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sezione II civile; sentenza 9 giugno 1994, n. 5611; Pres. ed est. Sammartino, Rel. Fantacchiotti,...

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Page 1: sezione II civile; sentenza 9 giugno 1994, n. 5611; Pres. ed est. Sammartino, Rel. Fantacchiotti, P.M. Dettori (concl. parz. diff.); A. e F. Centamore (Avv. Giorgianni, Catanzaro Lombardo)

sezione II civile; sentenza 9 giugno 1994, n. 5611; Pres. ed est. Sammartino, Rel. Fantacchiotti,P.M. Dettori (concl. parz. diff.); A. e F. Centamore (Avv. Giorgianni, Catanzaro Lombardo) c. R.Centamore (Avv. Giacobbe). Cassa App. Catania 23 marzo 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 2215/2216-2217/2218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193355 .

Accessed: 24/06/2014 23:32

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2215 PARTE PRIMA 2216

n. 861, id., Rep. 1969, voce Moneta nelle obbligazioni, n. 2) con la cogente valenza della svalutazione monetaria verificatasi

sino alla relativa decisione, siccome esattamente si è operato nella sentenza della Corte d'appello di Roma.

In conclusione, la detta sentenza si sottrae alla censura for

mulata con il ricorso principale proposto dalla Cassa di rispar mio di Roma, tal ché tale ricorso deve essere rigettato con la

conseguenza dell'assorbimento del ricorso incidentale formula

to, in via subordinata e condizionata all'accoglimento dell'av

verso ricorso, dalla soc. Miles.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 9 giugno 1994, n. 5611; Pres. ed est. Sammartino, Rei. Fantacchiot

ti, P.M. Dettori (conci, parz. diff.); A. e F. Centamore (Aw.

Giorgianni, Catanzaro Lombardo) c. R. Centamore (Avv.

Giacobbe). Cassa App. Catania 23 marzo 1990.

Procedimento civile — Rimessione della causa al collegio —

Ritorno della causa in istruttoria — Preclusione del «novum»

(Cod. proc. civ., art. 184, 359).

Rimessa la causa al collegio, se la stessa ritorna innanzi al giu dice istruttore per lo svolgimento dell'ulteriore istruttoria, ri

mane fermo per le parti il divieto di modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate (1)

(1) Con la sentenza riportata, non a caso redatta a seguito della sosti tuzione del relatore da parte del presidente, la Suprema corte, facendo leva sul fondamentale principio di concentrazione del processo, si fa

interprete di un orientamento decisamente minoritario della giurisprudenza che afferma il divieto di ius novorum nelle ipotesi in cui la causa, a

seguito di rimessione al collegio, sia restituita al giudice istruttore; in tal senso, v. Trib. Latina 12 dicembre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce Procedimento civile, n. 148, e Informazione prev. 1991, 985, nella par te in cui esclude la possibilità di sollevare per la prima volta eccezione di compensazione nella fase successiva alla emissione da parte del pri mo giudice di sentenza parziale; parimenti Trib. Brescia 25 ottobre 1951, Foro it., Rep. 1952, voce cit., n. 276, e Temi, 1952, 59 (con nota adesi va di A. Orengo, Rimessione al collegio e «ius novorum» in primo grado) e Cass. 10 settembre 1948, n. 1595, Foro it., Rep. 1948, voce

cit., n. 170. In dottrina, il principio è sostenuto da V. Andrioli, Com mento al codice di procedura civile, Napoli, 1956, II, 83-84.

Invero, la giurisprudenza sia di legittimità che di merito è da sempre ferma nel ritenere che nel corso del giudizio successivo al rinvio della causa dal collegio all'istruttore, devono ritenersi ammissibili le modifi cazioni delle domande e delle eccezioni già formulate, la produzione di nuovi documenti e di nuovi mezzi di prova in genere nonché la pro posizione di nuove eccezioni; in tal senso, v., oltre alle sentenze già citate in motivazione, Cass. 16 maggio 1973, n. 1392, Foro it., 1973, I, 2466; 26 novembre 1971, n. 3445, id., Rep. 1972, voce cit., n. 182 e Giust. civ., 1972, I, 899; 6 marzo 1970, n. 583, Foro it., Rep. 1970, voce cit., n. 184, e Giust. civ. 1970, I, 1017; 7 gennaio 1966, n. 136, Foro it., Rep. 1966, voce cit., n. 285; 6 agosto 1965, n. 1892, id., Rep. 1965, voce cit., n. 338; 22 luglio 1964, n. 1955, id., Rep. 1964, voce cit., n. 313; 26 febbraio 1960, n. 348, id., Rep. 1960, voce cit., n. 235; 18 giugno e 22 febbraio 1960, nn. 1602 e 300, ibid., nn. 236, 237, e Giust. civ., 1960, I, 1767 e 947; App. Roma 23 marzo 1959, Foro it., 1959, I, 839, con nota di richiami. In dottrina, cfr. P. Pajar

di, in Commentario del codice di procedura civile diretto da E. Auo

rio, Torino, 1980, II, 570. Sotto questo profilo, vi è concordia nel ritenere che, ove una delle

parti abbia proposto una nuova domanda in sede di comparsa conclu

sionale, il giudice debba pronunciarsi sulla stessa ove la controparte accetti espressamente il contraddittorio nella fase di trattazione seguita al ritorno della causa all'istruttore; cosi Cass. 16 maggio 1990, n. 4234, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 152; 14 giugno 1982, n. 3620, id., Rep. 1982, voce cit., n. 157; 20 dicembre 1978, n. 6117, id., Rep. 1978, voce cit., 147.

Il Foro Italiano — 1995.

Svolgimento del processo. — Rosario Centamore ha chiesto

l'accertamento del suo diritto di proprietà, per la quota di un

terzo, su un fabbricato con terreno circostante posto in Valver

de, nella via Vittorio Emanuele n. 200, ed intestato ai suoi fra

telli Alfio e Salvatore, sostenendo che il terreno è stato acqui stato ed il fabbricato è stato costruito anche con il suo denaro

dai fratelli che, proprio per questo motivo, hanno riconosciuto

il suo diritto di proprietà in una scrittura privata del 21 giugno 1962.

Alfio e Salvatore Centamore si sono opposti alla domanda

sostenendo, anzitutto, per quello che interessa in questa sede, che la scrittura invocata dall'attore è simulata e, contenendo

solo una dichiarazione unilaterale, non ha, comunque, efficacia

obbligatoria o reale, ed eccependo, in subordine, di avere usu

capito la proprietà indivisa della quota rivendicata dall'attore, avendone avuto il possesso ininterrotto per oltre venti anni.

In via riconvenzionale i predetti convenuti hanno chiesto che, in caso di accoglimento al pagamento di un terzo delle somme

da loro sborsate per l'acquisto del terreno e la costruzione del

l'edificio. La Corte d'appello di Catania, riformando la sentenza del

giudice di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto

la domanda di Rosaria Centamore, ha accertato e dichiarato

che quest'ultimo è proprietario, per un terzo, del fabbricato

ed ha rigettato la domanda riconvenzionale dei fratelli Alfio

e Salvatore Centamore.

Con le sentenze indicate in epigrafe, la corte di merito ha, in paricolare, ritenuto:

1) che nella scrittura del 22 giugno 1962 i fratelli Alfio e Sal vatore Centamore non hanno solo riconosciuto il diritto di pro

prietà per quota indivisa del fratello ma hanno anche dichiarato

di volere trsferire a questo il fabbricato, per la quota di un

terzo, ponendo in essere un atto negoziale che, essendo stato

accettato da Rosario Centamore, ha prodotto, anche per questo autonomo motivo, l'effetto traslativo voluto dalle parti;

2) che il rapporto causale di questo trasferimento deve essere

identificato nella utile gestione, da parte di Alfio e Salvatore

Centamore, degli affari del fratello Rosario, che, essendo in

quel tempo minorenne, non poteva partecipare agevolmente agli atti negoziali necessari per l'acquisto del terreno e la costruzio

ne del fabbricato;

3) che fino alla data della scrittura privata del 22 giugno 1962

i costi di acquisto del terreno e di costruzione dell'edificio sono

stati regolarmente rimborsati da Rosario Centamore ai fratelli

secondo ciò che indirettamente risulta dalla predetta scrittura, ove Alfio e Salvatore Centamore hanno dichiarato di non van

tare pretese di sorta nei confronti del fratello;

4) che il credito di Alfio e Salvatore Centamore per le succes sive spese di completamento dell'edificio, essendo sorto sicura

mente prima del gennaio del 1972, dato che nel giugno del 1971

l'edificio era completamente ultimato, è estinto essendosi già maturata la prescrizione decennale quando dai predetti fratelli

è stato fatto valere con la domanda riconvenzionale proposta, nel giudizio di primo grado, con la comparsa di risposta del 26 gennaio 1982;

5) che il compossesso del bene da parte di Rosario Centamo

re esclude il possesso esclusivo che i fratelli Alfio e Salvatore

Centamore sostengono di avere esercitato sul bene per il ven

tennio necessario per l'usucapione. Contro queste sentenze Alfio e Salvatore Centamore ricorro

no per cassazione. Rosario Centamore resiste con controricor

so. Sia i ricorrenti che il controricorrente hanno depositato memoria.

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli art.

1150, 2031, 2032, 2909, 2935 c.c., nonché omessa e contraddit toria motivazione su fatti decisivi, sostenendo che la corte di

merito: 1) non avrebbe potuto dichiarare, nella sentenza defini

tiva, la prescrizione del loro diritto alla rifusione delle spese

Per una soluzione intermedia, v. Cass. 28 aprile 1962, n. 839, id., Rep. 1962, voce cit., n. 272, in cui si ammette che le parti possano formulare nuove deduzioni, chiedere nuovi mezzi di prova e produrre in giudizio nuovi documenti sia pure nei limiti delle esigenze degli ulte riori accertamenti rimessi al giudice istruttore che si riferisce, di regola, a punti ben determinati della controversia.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di completamento dell'edificio dopo che, nella sentenza non de

finitiva, aveva accertato tale diritto nell'an con statuizione non

impugnata da Rosario Centamore; 2) non avrebbe potuto, co

munque, tenere conto della eccezione di prescrizione perché tar

divamente opposta da Rosario Centamore dopo che la causa

era stata già una prima volta rimessa al collegio che aveva pro nunciato la sentenza non definitiva; 3) ha errato nel fare decor

rere il termine di prescrizione del diritto in questione dalla data

di ultimazione dei lavori di completamento dell'edificio piutto sto che da quella di ratifica, da parte di Rosario Centamore, della attività di utile gestione degli affari del fratello che, secon

do gli accertamenti della corte di merito, essi avrebbero svolto.

La seconda delle censure che sostengono il motivo in esame

è senz'altro fondata.

L'art. 184 c.p.c., applicabile, in virtù del rinvio contenuto

nell'art. 359 dello stesso codice, anche nel giudizio di appello, consente alle parti di modificare le domande, eccezioni conclu

sioni da loro precedentemente formulate fino a quando la causa

non sia rimessa al collegio per la decisione, per converso ponen

do, dopo questa rimessione, una preclusione all'esercizio del po tere dalla stessa norma riconosciuto.

Il collegio non ignora che questa corte mentre in qualche pro nuncia (sent. 10 settembre 1948, n. 1595, Foro it., Rep. 1948,

voce Procedimento civile, n. 170, e 28 aprile 1962, n. 839, id.,

Rep. 1962, voce cit., n. 272) ha ammesso l'applicabilità della

predetta preclusione nel caso in cui il collegio, a cui la causa

era stata rimessa dall'istruttore dopo la precisazione delle con

clusioni, abbia rimesso le parti dinnanzi a quest'ultimo ai sensi

dell'art. 279 c.p.c., per ulteriore istruttoria, ha, in altre senten

ze (4400/54, id., Rep. 1954, voce cit., n. 384; 1986/60, id., Rep. 1960, voce cit., n. 151; 863/70, id., Rep. 1970, voce cit., n. 183; 1010/73, id., Rep. 1973, voce cit., n. 221) escluso la

preclusione statuendo che nella fase istruttoria successiva le parti

riacquistano la possibilità di esercitare tutti i poteri concessi dal

l'art. 184 c.p.c.

Questo secondo orientamento giurisprudenziale, in quanto ispi rato dalla considerazione che nelle ipotesi di rimessione della

causa dal collegio all'istruttore viene meno l'esigenza di garan zia del diritto di difesa delle parti (che si assume pregiudicato dalla possibilità di modificazioni della domanda o di eccezioni dopo la chiusura della trattazione della causa) non tiene conto,

però, che, secondo un principio costantemente affermato dalla

giurisprudenza di questa corte, la vera ragione del divieto sanci

to dall'art. 184 è quella di soddisfare un'esigenza di concentra

zione del processo che, per la sua stessa natura, deve procedere

per fasi ulteriori, senza arretramenti che, vanificandolo o fra

zionandolo, ne frusterebbero la funzione e ne prolungherebbe

ro, comunque, la durata oltre ogni ragionevole limite (sent. n.

94 del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 200; 8038/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 160: «Sia nel giudizio di primo grado sia in quello di secondo grado la precisazione delle conclusioni

definitive è l'ultima occasione utile per proporre nuove eccezio

ni dato che essa ha la precipua funzione di determinare in mo

do definitivo il tema di controversia»). La rimessione della causa dal collegio all'istruttore non fa

venir meno questa esigenza di concentrazione e di celerità del

processo che il legislatore ha evidentemente voluto tutelare im

pedendo la modifica delle domande, delle eccezioni e delle con

clusioni dopo che, grazie alla prima fase di trattazione della

causa, le parti hanno avuto la possibilità di sviluppare compiu tamente le rispettive difese.

Ciò è sufficiente per ritenere che la disposizione — ricavabile

dal combinato disposto dagli art. 184 e 189 c.p.c. — che limita

il potere delle parti di modifica delle domande, eccezioni e con

clusioni formulate, debba essere applicata nel senso più aderen

te al suo significato letterale ed allo spirito che l'informa ed

anche, quindi, nel caso che alla rimessione della causa dall'i

struttore al collegio sia seguito, invece della decisione, un prov

vedimento di rimessione delle parti all'istruttore.

In sintesi: l'ulteriore istruttoria disposta dal collegio è funzio

nale alla decisione della controversia, presa in considerazione

dal collegio stesso nei precisi termini in cui è stata definitiva

mente delineata dalle conclusioni già precisate; le nuove ecce

zioni e/o le modifiche delle domande già proposte immutano

invece i termini della contoversia e rischiano di provocare un

andirivieni del processo affatto incompatibile con il sistema a

cui si ispira il codice.

Il Foro Italiano — 1995 — Parte /-40.

Non varrebbe, in contrario, argomentare dall'art. 345/2 c.p.c.

per dedurre che, se le parti possono, nel giudizio di appello,

proporre nuove eccezioni, tanto vale ammetterne la proposizio ne in un'eventuale seconda fase istruttoria del primo giudizio.

Intanto tale possibilità non contraddice il principio della cele

rità e della concentrazione poiché, anzi, è proprio sul costo del l'esercizio di un tale facoltà in appello (occorre impugnare una

sentenza ed affrontare il rischio, compresa la eventualità di una

rifusione di spese, ai sensi dell'art. 345/2 cit., presumibilmente

più di quella prevista dall'art. 184) che il legislatore conta per

spingere le parti ad esaurire in modo definitivo, tutte le conclu

sioni — pregiudiziali, preliminari e di merito — in quel preciso momento.

In secondo luogo, l'argomento proverebbe troppo perché var

rebbe anche per le eccezioni proposte per la prima volta nelle

comparse conclusionali (e nessuno ha mai osato sostenerne l'am

missibilità) in primo grado. Non si comprende, infatti, perché il collegio, a cui, con le

nuove conclusioni, siano prospettate questioni (s'intende: non

rilevabili di ufficio) rilevanti per la decisione e necessitanti ulte riori accertamenti, debba rimettere le parti avanti all'istruttore

nell'un caso e non nell'altro.

L'inammissibilità del novum nella fase di discussione nasce

proprio dalla preclusione (del novum) al momento della preci sazione delle conclusioni. Ma, una volta intervenute, la preclu

sione, per sua natura, opera in modo irreversibile (a meno che

la legge non disponga diversamente: e l'art. 280/3, nel regolare il prosieguo dell'istruttoria dopo l'ordinanza del collegio, si li

mita a reintegrare il giudice istruttore nei suoi poteri senza al

cun accenno alle parti). In terzo luogo — quel che più conta nella presente causa —

l'argomento mai varrebbe per l'ipotesi che le nuove eccezioni

siano proposte nella prima fase dello stesso giudizio di appello, nella quale ipotesi non si configura, nel giudizio di legittimità, una possibilità analoga a quella pro spettabile nel giudizio di

appello rispetto a quello di primo grado. Nel caso in esame risulta che Rosario Centamore ha opposto

la prescrizione del diritto fatto valere nei suoi confronti dai fra

telli Alfio e Salvatore, solo dopo che la corte di merito, disatte

sa, con la sentenza non definitiva del 14 aprile 1989, la doman

da riconvenzionale proposta dei fratelli Alfio e Salvatore Cen

tamore, per la parte relativa alle spese sostenute per l'acquisto del terreno e per la costruzione seguite anteriormente alla scrit

tura privata del 21 giugno 1962, ha rilevato, «per converso, in relazione alle costruzioni ancora da edificare al momento della

scrittura», che sussiste l'obbligo di Rosario di pagare la sua

quota di spese ed ha avvertito l'esigenza di accertare, con l'au

silio di un consulente tecnico, «quali costruzioni siano posterio ri alla data della scrittura, il relativo costo e chi, eventualmente, le abbia sostenute».

L'eccezione è stata, cioè, proposta nel giudizio di appello so

lo dopo la rimessione, per la prima volta, della causa al collegio e nella fase processuale che è seguita alla restituzione della cau

sa dal collegio all'istruttore per un accertamento rispetto al quale la predetta eccezione — che è deduzione preliminare di merito

e non deduzione istruttoria — non è affatto conseguenziale né

strumentale.

Essa, dunque, avrebbe dovuto essere considerata tardiva dal

la sentenza definitiva impugnata. La rilevata fondatezza della censura ora esaminata, escluden

do la necessità dell'esame delle altre censure dedotte a fonda

mento del motivo in esame, conduce alla cassazione, sul punto, della impugnata sentenza definitiva della Corte d'appello di Ca

tania del 23 marzo 1990 con rinvio ad altro giudice che, nel

riesaminare il punto cassato della decisione, si uniformerà al

principio di diritto come sopra precisato.

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