sezione III civile; sentenza 1° aprile 1996, n. 2961; Pres. Taddeucci, Est. M. Finocchiaro, P.M.Chirico (concl. diff.); D'Arezzo (Avv. Recchi, Papa) c. Ruggeri (Avv. Petrella). Conferma App.Napoli 15 luglio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2417/2418-2421/2422Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190081 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
al rispetto della norma contrattuale in discussione», per poi pro nunciarsi sulla legittimità del licenziamento. Invero, sfugge alla
ricorrente che il tribunale sottolineò che nella fattispecie l'unico
addebito disciplinare contestato al Russo era costituito dalla con
danna a pena detentiva inflitta dal pretore, e ciò con motivazio
ne non specificamente censurata in questa sede, cosicché le con
siderazioni del fatto, in se e per se, oggetto della condanna e
del comportamento del dipendente in relazione alla suindicata
norma contrattuale, dovevano e devono rimanere estranee al
l'indagine giudiziaria. D'altra parte, non è compito di questa corte risolvere il que
sito se la sentenza di applicazione della pena su richiesta sia
equiparabile alla «sentenza passata in giudicato» prevista dal
l'art. 58 del contratto collettivo, già menzionato, perché ciò im
plica un esame diretto della norma contrattuale di diritto comu
ne non consentito al giudice regolatore. Com'è noto, l'interpretazione dei contratti collettivi post
corporativi, da parte dei giudici di merito, può essere censura
ta, in sede di legittimità, solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c.) e per vizi di mo
tivazione. Sotto il primo profilo la sentenza impugnata non ri
sulta censurata; quanto al secondo profilo, appena accennato
nel ricorso (art. 360, n. 5, c.p.c.), basti osservare che nessuna
carenza logica è obiettivamente riscontrabile nella sua motiva
zione, come si evince altresì dalle considerazioni che precedono. Ne consegue che, dovendosi confermare tale sentenza laddo
ve essa dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato al Rus
so perché fondato sull'equiparazione tra le due sentenze, di cui
si è detto, risulta superfluo l'esame delle questioni introdotte
con i primi due motivi del ricorso (violazione degli art. 112 c.p.c.,
7, 1° comma, statuto dei lavoratori e 2697 c.c.); motivi che,
pertanto, vanno dichiarati assorbiti.
Per le ragioni esposte si rigetta il quarto motivo del ricorso
mentre si dichiarano assorbiti gli altri tre motivi. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 1 ° apri le 1996, n. 2961; Pres. Taddeucci, Est. M. Finocchiaro, P.M. Chirico (conci, diff.); D'Arezzo (Avv. Recchi, Papa) c. Ruggeri (Avv. Petrella). Conferma App. Napoli 15 luglio 1993.
Contratti agrari — Mezzadria — Giudizio di rilascio — Pro
nuncia antecedente alla data di cessazione del rapporto —
Miglioramenti — Riconvenzionale — Ammissibilità (Cod. proc.
civ., art. 36; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti
agrari, art. 17, 20).
È ammissibile, nel giudizio proposto dal concedente per il rila
scio, la riconvenzionale proposta dal mezzadro per i miglio ramenti apportati al fondo rustico condotto, ancorché il rap
porto non sia ancora cessato alla data della pronuncia sul
rilascio, disposto per una data successiva a detta pronuncia di cessazione del rapporto. (1)
(1) Disposta nel febbraio del 1992 la cessazione del rapporto mezza
drile per il 10 novembre 1993, era stata rigettata dai giudici di primo
grado la riconvenzionale proposta del mezzadro per il riconoscimento
dell'indennità per i miglioramenti apportati al fondo. La corte del merito, confermando la sentenza dei giudici di primo
grado, aveva motivato il rigetto dell'appello proposto dal mezzadro con
la mancata cessazione del rapporto prima della data stabilita per il rila
scio, richiamando il 2° comma dell'art. 17 1. 203/82 che riconosce al
conduttore — affittuario, ed anche mezzadro per il rinvio di cui all'art.
38 stessa legge — una indennità per i miglioramenti apportati corri
spondente all'aumento di valore conseguito dal fondo, e quale risultan
te «al momento della cessazione del rapporto». La sentenza riportata ha cassato l'impugnata sentenza, motivando
che il 4° comma dell'art. 17, allorquando stabilisce che all'affittuario
Il Foro Italiano — 1996 — Parte 7-43.
Svolgimento del processo. — Con ricorso 24 maggio 1990
Ruggieri Raffaele, quale procuratore di Vallante Luisa, conce
dente di un fondo di Ha. 4.6.64. in Vairano Patenora condotto
a mezzadria da Zompa Francesco e D'Arezzo Anna chiedeva
che il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sezione specializzata
agraria, convalidasse — ai sensi dell'art. 657, 2° comma, c.p.c. — nei confronti della D'Arezzo, nonché di Zompa Alma, Gina, A. Maria e Rosa, succedute al genitore Francesco, deceduto
il 29 maggio 1989, lo sfratto già intimato, essendo il contratto
cessato il 10 novembre 1989.
Costituitesi in giudizio le convenute deducevano il difetto di
legittimazione attiva della Vallante, per non avere la stessa pro vato di essere proprietaria di tutti gli immobili, nonché l'inam
missibilità della procedura di cui all'art. 657 c.p.c. in materia
di rapporti agrari e, infine, che il rapporto inter partes sarebbe
cessato non alla data indicata in ricorso ma in quella diversa
compete la ritenzione sino a quando non sia versata l'indennità per i miglioramenti apportati, non subordina la proponibilità della doman da volta all'accertamento dei miglioramenti ed alla quantificazione del l'indennità alla preventiva cessazione del contratto tra le parti. Ed è stata ritenuta irrilevante, a tali fini, la circostanza che per la quantifica zione dell'indennità, secondo quanto disposto dal 2° comma dell'art.
17, occorra fare riferimento al valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti e quale risultante al momento della cessa zione del rapporto.
Ha affermato la corte che nell'eventualità che le parti non raggiunga no un accordo sul «probabile» valore del fondo all'epoca della cessa zione del rapporto, o l'affittuario non sia in grado — neppure tramite consulenza tecnica — di dare «idonea» prova dell'importo dell'indenni tà dovuta, la domanda potrà, eventualmente (ove non si ritenga di fare
applicazione analogica del 2° comma dell'art. 20 1. 203/82), essere ri
gettata, ma tale questione attiene al merito della causa, e non alla «pro ponibilità» della rinconvenzionale, erroneamente esclusa dalla corte del merito.
Appare sterile ed inutile domandarsi se il riferimento al merito da
parte della sentenza riportata sia o meno pleonastico, per essere stato il ricorso per cassazione proposto sulla ammissibilità della rinconven zionale.
Siccome il riferimento al merito nella sentenza riportata esiste, si os serva in proposito che l'accordo raggiunto tra le parti sul «probabile» valore del fondo al momento della cessazione del rapporto, o la «ido nea» prova data dall'affittuario (o dal mezzadro) sull'indennità dovuta
per i miglioramenti, non assolvono a quanto stabilito dal 2° comma dell'art. 17, secondo cui l'indennità spettante va rapportata al migliora mento ancora sussistente alla cessazione del rapporto. Sotto tale aspet to, la richiamata giurisprudenza sulla condanna condizionata quanto alla sua efficacia (Cass. 26 ottobre 1991, n. 11424, Foro it., Rep. 1991, voce Sentenza civile, n. 47; 13 settembre 1991, n. 9578, ibid., voce Ob
bligazioni in genere, n. 15), ha scarso o nessun rilievo, considerato che il «probabile» valore del fondo al momento della cessazione del rappor to, e l'«idonea» prova fornita dal conduttore circa l'importo dell'in dennità dovuta, dovranno comunque essere verificati al momento della cessazione del rapporto, secondo il disposto del 2° comma dell'art. 17
che, come già detto, collega la indennità al miglioramento residuato alla cessazione del rapporto stesso. Va ricordato, la condanna condizio nata viene giustificata con il verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, o di un termine prestabilito, o di una controprestazione spe cifica, sempreché il verificarsi della circostanza tenuta presente non ri chieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudi zio di cognizione: nel caso di «probabile» accordo tra le parti sul valore del fondo al momento della cessazione del rapporto, o di «idonea»
prova circa l'indennità spettante fornita dal conduttore, sarà necessario un ulteriore accertamento, per la determinazione dell'indennità, e tale ulteriore accertamento non rientra certo nello schema previsto per la condanna condizionata.
Più semplicemente, fuori discussione l'ammissibilità della riconven zionale nel giudizio per il rilascio, anche quando la cessazione del rap porto sia pronunciata in data antecedente a quella per il rilascio, opera a favore dell'affittuario (o del mezzadro) il diritto di ritenzione stabilito dal 2° comma dell'art. 20 1. 203/82, sino a quando non sia stato soddi sfatto il suo credito, salvo che il locatore non presti idonea garanzia da stabilirsi dall'autorità giudiziaria su istanza del concedente. E si os serva che per l'applicazione di tale norma, al contrario di quanto dubi
tativamente prospettato dalla sentenza riportata, non v'è bisogno di fa re ricorso all'analogia essendo il diritto di ritenzione espressamente pre visto dalla stessa norma.
Va sottolineato che il diritto di ritenzione, come disciplinato dal 2°
comma dell'art. 20, opera se nel giudizio di cognizione o nel processo di esecuzione è fornita prova della sussistenza in generale dei migliora menti, per cui appare eccessiva la preoccupazione della sentenza ripor tata di richiedere, sembra per la stessa ammissibilità della riconvenzio nale sui miglioramenti, il «probabile» accordo delle parti sul valore del
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2419 PARTE PRIMA 2420
prevista dall'art. 34, 2° comma, 1. 3 maggio 1982 n. 203, spie
gando, altresì, alcune domande riconvenzionali per asseriti mi
glioramenti apportati al fondo e per le differenze delle quote di riparto.
All'esito dell'espletata istruttoria l'adita sezione, con senten
za 13-27 febbraio 1992, dichiarava, da un lato, che il rapporto di mezzadria inter partes aveva scadenza il 10 novembre 1993,
disponendo, per tale data, il rilascio del fondo in favore della
ricorrente, dall'altro, l'improponibilità delle riconvenzionali.
Gravata tale pronuncia dalle soccombenti D'Arezzo Anna,
Zompa Alma, Anna Maria, Rosa e Gina la Corte di appello di Napoli, sezione specializzata agraria, con sentenza 9 giugno - 15 luglio 1993 rigettava il gravame, ponendo a carico delle
appellanti le spese di lite.
Per quanto ancora rilevante al fine del decidere la corte del
merito osservava che esattamente i giudici di primo grado ave
vano ritenuto l'improponibilità della domanda dei mezzadri di
retta al conseguimento di un indennizzo per i miglioramenti ap
portati al fondo, atteso che l'art. 17 1. n. 203 del 1982 prevede che l'affittuario che ha eseguito le opere «ha diritto a una in
dennità corrispondente all'aumento di valore di mercato del fon
do a seguito dei miglioramenti da lui effettuati e quale risultan
te al momento della cessazione del rapporto». Non essendo, nella specie, alla data della pronuncia di appel
lo (15 luglio 1993) ancora cessato temporalmente il rapporto
(che sarebbe cessato solo il 10 novembre 1993) non poteva farsi
luogo a valutazione dei miglioramenti apportati (potendo la re
lativa procedura essere iniziata solo dopo la detta data del 10
novembre 1993). Per la cassazione di tale ultima pronuncia hanno proposto
ricorso D'Arezzo Anna, Zompa Alma, Anna Maria, Rosa e
Gina, affidato ad un unico motivo. Resiste, con controricorso, illustrato da memoria, Ruggieri Raffaele, quale procuratore di
Vallante Vittoria, Olimpia Maria, Isabella e Stefania, coeredi
di Vallante Luisa.
Motivi della decisione. — 1. - Come accennato in parte espo sitiva i giudici del merito hanno dichiarato improponibile la do
manda riconvenzionale spiegata dai mezzadri, diretta al conse
fondo alla cessazione del rapporto, ovvero la «idonea» prova sulla in dennità spettante per i miglioramenti gravanti sull'affittuario (o mezza
dro). E sul diritto di ritenzione di cui al 2° comma dell'art. 20, la giuris prudenza di merito ha ritenuto che l'esercizio di diritto di ritenzione
legittima l'affittuario ad opporsi all'esecuzione iniziata nei suoi con fronti per il rilascio del fondo, purché sia suffragata da elementi anche indiziari a sostegno della domanda (Pret. Padova 19 ottobre 1993, Dir. e giur. agr. e ambiente, 1995, 180, con nota di Tortolini; Trib. Larino 23 agosto 1988, Foro it., Rep. 1990, voce Contratti agrari, n. 257, e Giur. agr. it., 1990, 372, con nota di Cappiello. La dottrina da ultimo cit. dubita dell'opportunità del criterio adottato con l'art. 20, che mal si concilia con la natura eccezionale dell'autotutela concessa all'affit tuario, soprattutto per l'eccessivo frazionamento delle pronunce che ta le disciplina consente tra giudizio di rilascio e accertamento dell'an e del quantum dei diritti dell'affittuario).
Va anche ricordata Cass., sez. un., 27 luglio 1987, n. 6518, Foro
it., 1987, I, 3007, con osservazioni di D. Bellantuono, e Giur. agr. it., 1988, 277, con nota di Cappiello; Giust. civ., 1988, I, 132, con nota di M. Finocchi aro: questa decisione della Suprema corte ha rite nuto che l'affittuario, ai sensi degli art. 17 e 20 1. 203/82, anche per la prima volta in sede di opposizione all'esecuzione per il rilascio, può fare valere il diritto di ritenzione del fondo fino a che non venga soddi sfatto il suo credito per i miglioramenti apportati, anche quando tali
miglioramenti siano stati eseguiti senza accordo con il concedente. Il diritto di ritenzione, attuando una forma di autotutela, in contra
sto con il principio generale secondo cui a nessuno è lecito rendersi
giustizia da sé, è istituto eccezionale ammesso nei casi espressamente previsti dalla legge, tra cui va ricordato quanto previsto dagli art. 1150-1152 c.c. per il possessore di buona fede, sino a quando non gli siano corrisposte le indennità dovute per riparazioni, miglioramenti e addizioni. E si osserva che il diritto di ritenzione per i miglioramenti agrari non ha soltanto funzione di garanzia per il credito vantato dal
conduttore, ma anche quella di consentire l'accertamento dei migliora menti prima che il rapporto abbia fine, potendo il concedente rientrato nella disponibilità del fondo eliminare i miglioramenti apportati dal col tivatore a contratto. E va da sé che dopo l'accertamento dei migliora menti, il concedente potrà ottenere la disponibilità del fondo prestando idonea garanzia, come prevede l'art. 20 1. 203/82.
Per la storia infinita dei miglioramenti agrari, mai accettati dalle par ti proprietarie, e portati più volte all'esame della Corte costituzionale, v. D. Bellantuono, in Foro it., 1993, I, 1366. [D. Bellantuono]
Il Foro Italiano — 1996.
guimento del'indennità prevista dall'art. 17, 2° comma, 1. 3 mag
gio 1982 n. 203, per avere gli stessi eseguito opere di migliora mento fondiario dei terreni, sul rilievo che tale indennità deve
essere rapportata all'aumento di valore di mercato del fondo
quale risultante al momento della cessazione del rapporto e,
pertanto, non può essere reclamata (né giudizialmente accerta
ta) in un momento anteriore.
2. - Con l'unico motivo le ricorrenti denunciano «violazione
e falsa applicazione degli art. 17 e 20, 1. 3 maggio 1982 n. 203, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.».
La corte del merito — osservano le ricorrenti — ha dichiara
to inammissibile la domanda di pagamento di indennizzo per
miglioramenti in quanto il relativo diritto sorgerebbe solo e sol
tanto nel momento della risoluzione del rapporto, ma tale af
fermazione è erronea, sotto due concorrenti profili. In primo luogo a norma dell'art. 17, 2° comma, ultimo pe
riodo, 1. 3 maggio 1982 n. 203, le parti possono convenire la
corresponsione di tale indennità anche prima della cessazione
del rapporto (per cui deve ritenersi che ciò va rinviato a data
successiva alla cessazione del rapporto è solo la liquidazione,
dell'indennità). Contemporaneamente, i giudici del merito non hanno tenuto
presente che a norma dell'art. 20 della stessa 1. n. 203 del 1982
quando nel giudizio è fornita la prova generica della sussistenza
delle opere di cui al 1° comma dell'art. 16 all'affittuario com
pete la ritenzione fino a quando non sia soddisfatto del suo
credito e sino ad allora, pertanto, non può essere emessa sen
tenza al rilascio, che sarebbe inutiliter data.
3. - Il proposto ricorso è fondato, e meritevole di accoglimento. Nel vigente ordinamento processuale — come assolutamente
pacifico in dottrina come in sede di legittimità — è ammissibile
la condanna condizionata, quanto alla sua efficacia, ad un evento
futuro ed incerto o ad una controprestazione (Cass. 26 ottobre
1991, n. 11424, Foro it., Rep. 1991, voce Sentenza civile, n.
47; 13 settembre 1991, n. 9578, ibid., voce Obbligazioni in ge
nere, n. 15). Nel nostro ordinamento — in altri termini — sono ammesse,
in omaggio al principio dell'economia dei giudizi, sentenze con
dizionali, nelle quali l'efficacia della condanna è subordinata
al verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, o di
un termine prestabilito, o di una controprestazione specifica,
sempreché il verificarsi della circostanza tenuta presente non ri
chieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuo
vo giudizio di cognizione. Con dette pronunce non viene emessa una condanna da vale
re per il futuro, ma si accerta l'obbligo (attuale) di eseguire una certa prestazione ed il condizionamento (parimenti attuale) di tale obbligo al verificarsi di una circostanza il cui avveramen
to, pur presentandosi differito ed incerto, non richiede, per il
suo accertamento, altre indagini che quella se la circostanza si
sia o meno verificata (Cass. 1° febbraio 1991, n. 978, ibid., voce Sentenza civile, n. 46; 26 gennaio 1987, n. 706, id., 1987,
I, 1451. Nel senso che la sentenza che subordina la condanna
di pagamento ad una somma di denaro all'adempimento del
l'obbligo di restituzione di una cosa determinata acquista effi
cacia di titolo esecutivo solo dopo l'effettiva restituzione o il
deposito della cosa, ai sensi dell'art. 1210 c.c., non essendo suf
ficiente la mera offerta della prestazione, che, a norma dell'art.
1209 c.c., produce solo l'effetto di mettere in mora il creditore
senza liberare il debitore dell'obbligazione, Cass. 17 maggio 1994, n. 4818, id., Rep. 1994, voce Sentenza civile, n. 57).
Proprio con riferimento alla materia agraria questa corte —
come è noto — ha affermato che in tema di contratti agrari, le condizioni che legittimano il diritto di ripresa come diritto
potestativo di recesso anticipato dal contratto devono sussistere
nel momento in cui con la disdetta la relativa manifestazione
di volontà è portata a conoscenza dell'altra parte, ancorché i
suoi effetti siano differiti alla scadenza di un determinato ter
mine di preavviso, con la conseguenza, pertanto, che l'art. 42
1. n. 203 del 1982, riconoscendo al concedente la facoltà di far
cessare anticipatamente il rapporto, previa disdetta da intimarsi
almeno tre anni prima della fine dell'annata agraria in cui av
verrà il rilascio da parte del concessionario, non comporta l'im
proponibilità della domanda prima del decorso del triennio, trat
tandosi di termine al cui rispetto deve intendersi subordinato
il solo rilascio del fondo e non l'esercizio dell'azione (Cass. 15
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dicembre 1987, n. 9288, id., Rep. 1987, voce Contratti agrari, n. 133).
Non controverso quanto precede non pare possa dubitarsi che
l'art. 17 1. 3 maggio 1982 n. 203, pur prevedendo — come rego la — che l'indennità per miglioramenti sia corrisposta (divenga, cioè, esigibile) al momento della cessazione del rapporto, ed
attribuendo, all'affittuario, «la ritenzione del fondo, fino a quan do non gli sia versata dal locatore l'indennità fissata dall'ispet torato oppure determinata con sentenza definitiva dall'autorità
giudiziria», in alcun modo subordina la proponibilità della do
manda volta all'accertamento dei miglioramenti ed alla quanti ficazione della indennità di cui si discute alla preventiva cessa
zione del contratto inter partes. Non solo dalla lettera della legge non si ricava che la norma
abbia previsto una tale «condizione», dell'azione giudiziaria, ma
questa è esclusa in base ad una lettura sistematica della previ
sione, sia nell'ambito della 1. n. 203, sia in relazione ad altre
disposizioni in tema.
Prevedendo — in particolare — la norma positiva (art. 20, 2° comma, ultima parte, 1. n. 203 del 1982) che le parti posso no, all'estremo, convenire che il pagamento dell'indennità in
questione, (eventualmente nella misura determinata in sede giu
diziaria) avvenga «prima della cessazione del rapporto», anzi
ché alla data della detta cessazione, appare assolutamente in
congruo e privo di giustificazione, interpretare la norma positi va nel senso che sia precluso al giudice procedere alla detta
quantificazione, prima della cessazione del rapporto.
Irrilevante, al fine del decidere, è la circostanza che al fine
della quantificazione dell'indennità in parola occorre avere ri
guardo al «valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti ... e quale risultante al momento della ces
sazione del rapporto, con riferimento al valore attuale di mer
cato del fondo non trasformato».
Nell'eventualità, infatti, le parti non raggiungeranno un ac
cordo sul probabile valore del fondo all'epoca della cessazione
del rapporto, o l'affittuario non sarà in grado — neppure tra
mite consulenza tecnica — appunto in considerazione del gran
tempo intercorrente tra la data del giudizio e l'epoca della ces
sazione del rapporto, di dare idonea prova dell'importo del'in
dennità dovuta, la domanda degli affittuari potrà, eventualmente
(ove non si ritenga di fare applicazione analogica dell'art. 20, 2° comma, della stessa 1. n. 203 del 1982), essere rigettata, ma
la questione — palesemente — attiene al merito della contro
versia, non alla sua «proponibilità», come erroneamente affer
mato dai giudici del merito. Quanto precede trova ulteriore conforto nella testuale previ
sione di cui all'art. 1152 c.c.
Tale ultima disposizione — in particolare — nell'attribuire, non diversamente, del resto, rispetto all'art. 17 ora in esame, il diritto di ritenzione in favore del possessore di buona fede, finché non gli siano corrisposte le «indennità dovute» (per ripa
razioni, miglioramenti, addizioni), espressamente prevede che
tali indennità devono essere domandate nel corso del giudizio di rivendicazione.
Se questa è la regola generale (e non può tacersi che il diritto
del possessore all'indennità per i miglioramenti recati alla cosa
e per le addizioni costituenti miglioramento ha come presuppo sto la sussistenza dei medesimi all'atto della restituzione della
cosa migliorata, Cass. 18 marzo 1991, n. 2876, id., Rep. 1991, voce Possesso, n. 12, non diversamente di quanto è previsto
per il diritto dell'affittuario all'indennità per cui è causa) è evi
dente che la norma speciale, contenuta nell'art. 17 in esame, che nulla prevede al riguardo, non può che leggersi in armonia
con la prima (e non certamente in termini opposti a questa). In alcun modo pertinente, al fine del decidere, da ultimo,
si appalesa l'insegnamento contenuto in Cass. 2 marzo 1994, n. 2037 (id., Rep. 1994, voce Contratti agrari, n. 158), invocato
dal controricorrente nella propria memoria ex art. 378 c.p.c. In tale occasione, infatti, questa corte, dalla premessa, pacifi
ca, che l'affittuario ha diritto al pagamento della indennità per i miglioramenti apportati al fondo rustico da lui condotto in
locazione solo dal momento della cessazione del rapporto, e
non mentre è ancora nel godimento del fondo, usufruendo dei
miglioramenti, e che per la determinazione della predetta inden
nità nella misura corrispondente alla differenza tra l'attuale va
lore di mercato del fondo non trasformato ed il valore conse
guito dal fondo in seguito ai miglioramenti, ai sensi del 2° com
II Foro Italiano — 1996.
ma, dell'art. 17 1. 3 maggio 1982 n. 203, deve aversi riguardo alla data di cessazione del rapporto, ha affermato che solo dal la predetta data l'affittuario ha diritto agli interessi legali sul
relativo credito, senza in alcun modo porsi il problema — ora in esame — della possibilità (o meno) di un giudizio volto alla
quantificazione dell'indennità in questione in epoca anteriore alla cessazione del rapporto.
La pronuncia da ultimo richiamata, in altri termini, si è limi
tata ad affermare l'esigibilità (salvo, ovviamente, come si è ac
certato sopra, diverso accordo tra le parti) del credito per mi
glioramenti solo al momento della cessazione del rapporto, ma
ciò non implica affatto, alla luce dei principi generali in tema
di obbligazioni pecuniarie ed in tema di sentenze condizionali, che sia preclusa l'emissione di una sentenza che accertata l'esi
stenza di un credito, condanni il debitore al suo pagamento, allorché questo diverrà esigibile.
La sentenza impugnata, in conclusione, deve essere cassata
e la causa va rimessa — anche per le spese di questo grado — alla stessa Corte di appello di Napoli, sezione specializzata
agraria, perché si adegui al seguente principio di diritto:
«L'affittuario convenuto con azione di ripresa o di rilascio
del fondo per una certa data ove abbia eseguito le opere di
cui al 1° comma dell'art. 6 1. 3 maggio 1982 n. 203 può chiede
re, in via riconvenzionale — ancorché al momento della do
manda il rapporto di affitto non sia ancora cessato, tra le parti — l'indennità corrispondente all'aumento del valore di mercato
del fondo a seguito dei miglioramenti effettuati, a norma del
l'art. 17, 2° comma, della stessa 1. n. 203 del 1982».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 29 marzo
1996, n. 2959; Pres. Lipari, Est. Pignataro, P.M. Gambar
della (conci, conf.); Petroni, Scarselli (Avv. Testa, Nidiasi) c. Enel; Enel (Avv. Manzi, Bartoluzzi) c. Petroni, Scarselli.
Cassa App. Firenze 4 aprile 1992.
Elettrodotto — Servitù — Indennizzo — Determinazione — Per
dita di veduta — Rilevanza (R.d. 11 dicembre 1933 n. 1775,
approvazione del t.u. delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti elettrici, art. 123).
Nell'ipotesi di servitù di elettrodotto, va cassata la sentenza di
merito che, nella determinazione dell'indennizzo, non abbia
considerato il deprezzamento subito dal fondo per la perdita di veduta, intesa come amenità del paesaggio (nella specie, installazione di un traliccio alto più di quaranta metri presso la sommità di una collina). (1)
(1) Homo sine pecunia imago mortis: un'efficace iperbole per ricor dare che, rispetto all'ambiente, per vantare un diritto soggettivo non basta essere persona fisica (come avviene in materia di sanità, ex art. 32 Cost.), ma occorre il particolare legame tra l'individuo e l'ambiente che si fonda sulla proprietà: questa, infatti, non tollera menomazioni
ambientali, neppure se provocate in vista di un interesse della società
(v. le riflessioni di Berti, In una causa con l'Enel, la Cassazione mette in penombra lo Stato di diritto, nota a Cass. 9 marzo 1979, n. 1463, in Foro it., 1979, I, 2909, annotata anche da Gallo, ibid., 939). E così l'interesse legittimo, unico strumento di tutela accordato ai non
proprietari, appare «lo strumento di tutela dei poveri, giacché rispetto alla proprietà la conservazione delle condizioni ambientali è invece una
pretesa assoluta, che si configura come diritto patrimoniale» (così Ber
ti, cit., 2912). Comunque, la questione trattata dalla corte è oggetto di giurispru
denza costante: quando si verte in tema di determinazione di indennità
per imposizione di servitù di elettrodotto, si devono accordare i distinti indennizzi che l'art. 123 r.d. 1775/33 correla ai diversi pregiudizi di carattere economico che il bene può subire. Tra questi, il depaupera mento economico subito dal bene (suolo e fabbricati), gravato da una servitù coattiva che determina un deterioramento paesaggistico. L'in
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