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sezione III civile; sentenza 10 maggio 1985, n. 2920; Pres. Scribano, Est. Iannotta, P. M. Nicita...

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sezione III civile; sentenza 10 maggio 1985, n. 2920; Pres. Scribano, Est. Iannotta, P. M. Nicita (concl. conf.); Di Domenico (Avv. Mesiano, Pivato) c. De Checchi. Conferma Trib. Venezia 26 marzo 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 1981/1982-1985/1986 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177791 . Accessed: 28/06/2014 12:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 12:06:11 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 10 maggio 1985, n. 2920; Pres. Scribano, Est. Iannotta, P. M. Nicita(concl. conf.); Di Domenico (Avv. Mesiano, Pivato) c. De Checchi. Conferma Trib. Venezia 26marzo 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 1981/1982-1985/1986Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177791 .

Accessed: 28/06/2014 12:06

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

razione della particolare situazione in cui versa la lavoratrice

madre. Il ricorso è fondato. L'art. 12 1. 30 dicembre 1971 n. 1204

sulla tutela delle lavoratrici madri, ripetendo testualmente il

dettato dell'art. 15 1. 26 agosto 1950 n. 860, dispone che « in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è

previsto, a norma del precedente art. 2, il divieto di licenziamen

to, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento ».

Le indennità cui il lavoratore ha diritto in caso di licenziamen

to, limitando l'esame alla sola fonte legislativa (essendo superflua ai fini di causa l'estensione a quella contrattuale pure prevista dal

riportato articolo) sono quella di anzianità (art. 2120 c.c.) e

quella sostitutiva del mancato preavviso (art. 2118 e 2119 c.c.). Non è possibile dubitare che, con la riportata disposizione, si è

voluto includere fra i diritti della lavoratrice madre dimissionaria l'indennità sostitutiva del preavviso. Tale interpretazione è impo sta dall'esame della lettera della legge, che è perfettamente significante dell'intento legislativo e coerente con gli elementi della fattispecie regolata, contemporaneamente enunciati. Presup

ponendo infatti la legge speciale proprio quelle dimissioni volon tarie della prestatrice di lavoro che non darebbero, secondo la

legge comune, alcun diritto all'indennità sostitutiva del preavviso (se non nel caso di giusta causa, a norma della seconda parte del 1° comma dell'art. 2119); presupponendo altresì, col richiamo del

divieto di licenziamento durante il periodo protetto di cui all'art.

2, l'impossibilità di realizzazione dell'ipotesi di indennità secondo il diritto comune, e tuttavia stabilendo il diritto a quanto sarebbe

spettato per il caso di licenziamento; è evidente che ogni richia

mo alla diversa fattispecie non realizzata né realizzabile (il

licenziamento) dev'essere inteso come parametro di natura estrin

seca, indicato al solo fine di determinare il contenuto del diritto, che però trova esclusiva causa nella volontà innovatrice del

legislatore. È chiaro poi che la ratio dell'introduzione nell'ordinamento di

tale nuovo tipo di attribuzione patrimoniale va ravvisata nella

tutela della particolare situazione della lavoratrice madre, come

una sorta di parziale remunerazione della ridotta facoltà di

opzione per il mantenimento del rapporto di lavoro (derivata da

più stringenti motivazioni fisiologiche e familiari) e al tempo stesso — con riguardo alla controparte — di onere giustificato dalle condizioni organizzative della produzione e del lavoro che, almeno nel dato momento storico, non assicurano alla donna il

soddisfacimento delle proprie esigenze e l'adempimento dei propri compiti di madre conciliandoli con le prestazioni lavorative e col connesso guadagno.

Tutto ciò considerato ed individuata la portata della disposizione in esame nel senso (già affermato da questa Suprema corte con le

pronunzie n. 3475 del 22 ottobre 1975, cit., e n. 810 del 9 marzo 1976, id., Rep. 1976, voce Lavoro (rapporto), n. 778) della spettanza, oltre che dell'indennità di anzianità, di quel la sostitutiva del mancato preavviso, non sono concludenti, ai

fini interpretativi ed in senso contrario, le osservazioni sulla non

ricorrenza dei presupposti dell'indennità di preavviso di diritto

comune risultando invece in maniera inequivoca proprio la volon

tà di attribuire alla lavoratrice madre un diritto nuovo, diversa

mente strutturato e tipizzato. La sentenza impugnata dev'essere perciò cassata e la causa

rinviata ad altro giudice, il quale, sulla base del su enunciato

principio, procederà a nuovo esame delle ragioni addotte dalla

ricorrente con l'appello incidentale rigettato dal Tribunale di

Roma. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione IH civile; sentenza 10

maggio 1985, n. 2920; Pres. Scribano, Est. Iannotta, P. M.

Nicita {conci, conf.); Di Domenico (Avv. Mesiano, Pivato) c.

De Checchi. Conferma Trib. Venezia 25 marzo 1983.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso non

abitativo — Disciplina transitoria — Contratti soggetti a proroga — Clausola di aggiornamento del canone — Operatività —

Esclusione (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni

di immobili urbani, art. 68, 79).

Nelle locazioni di immobili non abitativi in corso alla data di

entrata in vigore della l. n. 392/78 e soggette a proroga legale, il canone non può essere aggiornato in base alla clausola di

salvaguardia originariamente stipulata tra le parti, non essendo

Il Foro Italiano — 1985.

consentiti aumenti del canone in misura superiore a quella stabilita dall'art. 68 della stessa legge n. 392. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso Maria

Alfonsina Di Domenico denuncia la violazione e falsa applica zione del d.l. 24 luglio 1973 n. 476 e degli art. 68 e 79 1. 392/78, nonché contraddittorietà di motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

Premesso che la clausola contrattuale di aggiornamento ISTAT

era divenuta inefficace, per effetto del d.l. 24 luglio 1973 n. 426, dal 1° gennaio 1975, giorno in cui il contratto di locazione era caduto in proroga legale, la ricorrente lamenta che i giudici di merito non abbiano ritenuto nuovamente operante detta clausola a partire dal 1° agosto 1978, a seguito della entrata in vi

gore della legge sull'equo canone (1. 27 luglio 1978 n. 392) e che si siano limitati, quindi, ad applicare, da tale ultima data (1°

agosto 1978), i soli aumenti previsti dall'art. 68 della stessa legge. Sul presupposto dell'abrogazione implicita del di. n. 426/73 e

dell'asserita ripresa di efficacia della clausola ISTAT anche per il

periodo antecedente all'entrata in vigore della normativa sull'equo canone, la ricorrente sostiene che il canone dovuto dal conduttore

De Checchi doveva essere determinato applicando: a) l'aggiorna mento ISTAT al 100 %, in conformità del patto contrattuale, dal

gennaio 1970 (data di inizio del rapporto) a tutto luglio 1978; b)

l'aggiornamento ISTAT al 75 %, in analogia con quanto disposto dell'art. 71 1. 392/78, a partire dal 1° agosto 1978; c) sul canone

cosi aggiornato, l'aumento annuo del 10 % fissato dall'art. 68

della stessa 1. n. 392/78. Ai fini della legittimità dell'aggiornamento ISTAT innanzi re

(1) Conformemente alla Cassazione, che ha esaminato per la prima volta la questione, la giurisprudenza di merito esclude che le clausole di aggiornamento del canone, divenute inefficaci con l'assoggettamento del contratto di locazione al regime vincolistico ex art. 1 d.l. 426/73 (sui cui limiti di applicazione v. Cass. 28 febbraio 1984, n. 1434, Foro it., 1984, I, 1584; 21 aprile 1983, n. 2748, id., 1983, I, 2485, con nota di richiami; 6 aprile 1981, n. 1923, id., 1981, I, 960), «rivivano» con l'entrata in vigore della legge c.d. dell'equo canone; v., in termini, Pret. Milano 26 marzo 1983, id., 1983, I, 1741, con nota di richiami, cui adde Pret. Chieti 28 novembre 1983, id., Rep. 1984, voce Locazione, n. 433.

Sulla misura degli aumenti del canone previsti dall'art. 68 1. n.

392/78, che è differenziata in relazione alla data di « stipulazione »

del contratto, v. Cass. 12 giugno 1984, n. 3496, id., 1984, 1, 2992, con nota di richiami. Sulle modalità di calcolo di tali aumenti, v. Cass. 28 febbraio 1984, n. 1434 e Trib. Oristano 21 febbraio 1984, ibid., 1584, con nota di richiami.

Secondo quest'ultima pronunzia, il locatore ha diritto di pretendere gli aumenti consentiti dalla legge anche sui ratei di canone già scaduti

prima della sua richiesta. Sulla questione v., in senso opposto, Trib. Torino 12 novembre 1984, Locazioni urbane, 1985, 115; iPret. Foggia 2 maggio 1984, Arch, locazioni, 1984, 674; e, in dottrina, S. Di Amato, Le locazioni non abitative, 1984, 166 ss.

Per i contratti in corso al 30 luglio 1978 e non soggetti al regime vincolistico, nel senso che le clausole convenzionali di aggiornamento del canone rimangono pienamente operative fino alla scadenza del

rapporto stabilita dalle parti, mentre per l'ulteriore durata imposta dall'art. 71 l. n. 392/78 si applicano i limiti di cui all'ult. comma dello stesso articolo, v. Cass. 29 novembre 1984, n. 6268, e 3 settem bre 1984, n. 4743, Foro it., Rep. 1984, voce cit., nn. 425, 426; e Cass. 21 aprile 1983, n. 2748, id., 1983, I, 2485, con nota di richiami. V., inol tre, Pret. Terni 18 aprile 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 504, secondo cui la misura ridotta dell'aggiornamento prevista dall'art. 71 cit. trova, invece, applicazione dall'entrata in vigore della legge c.d. dell'equo canone.

Per quanto concerne l'aumento (per il primo anno) e l'aggiornamen to (per il periodo successivo) del canone previsti dall'art. 15 bis d.l.

9/82 (convertito nella 1. n. 94/82) per ulteriore biennio di proroga delle locazioni contemplate dall'art. 67 1. n. 392/78, cfr., sul computo del primo, Pret. Foggia 2 maggio 1984, cit.; sulla aggiornabilità del canone ai sensi della disposizione anzidetta nell'ulteriore periodo di

proroga ex art. 2 1. n. 377/84 (riguardante i soli contratti di cui all'art. 67, lett. a, 1. n. 392/78), v. invece, su posizioni contrastanti: C.

Sforza Fogliani, L. 25 luglio 1984 n. 577. Blocco dell'ISTAT e

un'altra proroga, in Arch, locazioni, 1984, 375; R. Caccin, Ancora un blocco delle scadenze delle locazioni non abitative stipulate prima del 31 dicembre 1964, ibid., 379, e in Rass. equo canone, 1984, 115; V.

Carbone, L'equo canone si tinge di giallo, in Corriere giur., 1984, 231. In ordine alle locazioni non abitative soggette alla disciplina ordina

ria della 1. n. 392/78, si segnala che, per effetto della sostituzione dell'art. 32 disposta dall'art. 1, comma 9 sexies, d.l. 12/85 (nel testo

risultante dopo la conversione nella 1. n. 118/85: il testo coordinato è in Le leggi, 1985, I, 888), le parti possono ora convenire l'aggiorna mento annuale del canone, in misura non superiore al 75 % della

variazione, accertata dall'ISTAT, degli indici dei prezzi al consumo

per le famiglie di operai e impiegati.

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1983 PARTE PRIMA 1984

clamato, la ricorrente invoca la giurisprudenza di questa corte

che ha distinto tra l'adeguamento del canone, volto a mantenere

il valore reale della prestazione, e l'aumento in senso tecnico, e

ne trae motivo per sostenere che l'aggiornamento non si pone in

contrasto con alcuna disposizione di legge ed in particolare con

l'art. 79 della legge sull'equo canone.

In linea di stretto subordine, la ricorrente deduce che, anche

nell'ipotesi in cui l'aumento percentuale del canone, contemplato dall'art. 68 1. 392/78 per i contratti soggetti a proroga, fosse

alternativo rispetto all'aggiornamento ISTAT previsto dall'art. 71 della stessa legge per i contratti non soggetti a proroga, sarebbe in ogni caso applicabile al rapporto in esame l'aggiornamento ISTAT in misura integrale fino al 30 luglio 1978 e, per il periodo successivo, il solo aumento fissato dal citato art. 68.

La complessa censura è priva di fondamento.

Com'è noto, il d.l. 24 luglio 1973 n. 426 (convertito senza modificazione nella 1. 4 agosto 1978 n. 495) stabili, da un

lato, la nullità dei patti contrattuali, stipulati successivamente a detto decreto, importanti a qualsiasi titolo aumenti di canoni di locazione degli immobili urbani e, dall'altro, l'inefficacia, a

partire dalla stessa data, delle clausole di adeguamento dei canoni dirette a compensare eventuali effetti di svalutazione monetaria

(cosiddette clausole ISTAT). In sede di interpretazione di detto provvedimento legislativo è

stato precisato che la sanzione di inefficacia delle clausole di

indicizzazione va riferita ai soli contratti soggetti a proroga legale e che non si estende pertanto ai contratti con scadenza conven zionale posteriore alla data di detta proroga (Cass., sez. un., 6

aprile 1981, n. 1925, Foro it., Rep. 1981, voce Locazione, n. 724; 11 gennaio 1982, <n. 110, id., Rep. 1982, voce cit., n. 748; 12

dicembre 1982, n. 5266, ibid., n. 734).

Sicché, mentre per il periodo anteriore al 24 luglio 1973 le

clausole di adeguamento del canone di locazione erano efficaci

per tutti i contratti ed erano compatibili anche con il blocco dei

canoni, non comportando un aumento in senso tecnico e non

sussistendo una contraria disposizione legislativa (Cass. 26 giugno 1980, n. 4019, id., Rep. 1980, voce cit., n. 453; 8 maggio 1981, n.

3036, id., Rep. 1981, voce cit., n. 722; 15 febbraio 1982, n. 946,

id., Rep. 1982, voce cit., n. 744), l'innovazione segnata dal d.l. n.

426/73 risulta limitata ai soli contratti soggetti a proroga. L'inefficacia, così circoscritta, delle clausole in esame, s'è pro

tratta incontestabilmente fino all'entrata in vigore della legge

sull'equo canone, perché i provvedimenti legislativi sulla ulteriore

proroga delle locazioni urbane, intervenuti medio tempore, hanno

richiamato sempre le disposizioni dettate dal d.l. n. 426/73. E poiché è pacifico che il contratto di locazione inter partes,

avente ad oggetto locali destinati ad uso diverso dall'abitazione, è stato attratto nel regime di proroga a partire dal 1° gennaio 1975, dalla stessa data è rimasta inoperante la clausola ISTAT conve nuta dai contraenti.

Ciò premesso, il quesito posto dalla ricorrente concerne la

possibilità o meno di una ripresa di efficacia di detta clausola

ISTAT a seguito dell'abrogazione del d.l. 426/73, conseguente all'entrata in vigore della 1. 392/78 che ha dettato una nuova

disciplina delle locazioni di immobili urbani.

Secondo la ricorrente, non sussistono ostacoli alla positiva soluzione del quesito e la reviviscenza delle suddette clausole di

adeguamento dovrebbe essere intesa in maniera così integrale da

applicare le variazioni ISTAT al 100 % per l'intero periodo decorrente dall'inizio del rapporto (gennaio 1970) a tutto luglio 1978.

Conclusione quest'ultima chiaramente inaccettabile perché finisce

con il travolgere e considerare del tutto inoperante, anche tempo

raneamente, il d.l. 426/73, attribuendo alla relativa abrogazione una ripresa di efficacia ex tunc delle clausole parametral!, incom

patibile con la lettura e la ratio del predetto decreto.

Ma, a prescindere da tale particolare forzatura, non può condividersi la tesi di fondo volta a riconoscere una ripresa di

vigore delle clausole ISTAT a seguito dell'entrata in vigore della

legge sull'equo canone. Può condividersi la sola premessa relativa

alla cessazione dell'antecedente disciplina vincolistica e dello

stesso d.l. 426/73, dal momento che l'efficacia di quest'ultimo venne di volta in volta protratta dagli stessi provvedimenti di

proroga delle locazioni e quindi solo fino alla scadenza della

vecchia proroga fissata al 31 luglio 1978 dal di. 24 giugno 1978

n. 298.

Ma il problema non può essere risolto in termini generali, rilevando che la sanzione di inefficacia di un fatto contrattuale

non può sopravvivere alla norma che la commina. È necessario

invece valutare la disciplina dettata dalla nuova legge sulle

locazioni urbane onde stabilire se con essa si possa armonizzare

Il Foro Italiano — 1985.

l'asserita reviviscenza delle vecchie clausole di indicizzazione.

In tale ottica, va posto in debito rilievo che la 1. 392/78 non

regola soltanto le locazioni stipulate dopo la sua entrata in

vigore, ma prende in diretta considerazione anche i rapporti in

corso fissando un'apposita disciplina transitoria variamente arti

colata con riguardo alle locazioni abitative ed a quelle aventi ad

oggetto immobili ad uso diverso e, nell'ambito di tali categorie,

rispetto ai contratti prorogati e non soggetti a proroga secondo la

legislazione previgente (art. 58 ss.). Il regime transitorio mira a condurre con gradualità le locazio

ni in corso nel rispettivo regime ordinario dettato dalla nuova

legge (caratterizzato dall'equo canone libero per le locazioni non

abitative) al fine di evitare gravi ripercussioni di ordine sociale

ed economico.

In relazione a tale finalità la normativa transitoria risulta

particolarmente dettagliata regolando in modo diretto l'ulteriore

durata dei rapporti in corso ed il relativo canone e contemplan

do, in alcuni casi, anche l'aggiornamento ex lege dello stesso ca

none in base alle variazioni accertate dall'ISTAT dell'indice

dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Per quanto specificatamente attiene alle locazioni non abitative

già soggette a proroga — come quella intercorrente tra le parti in

causa — le disposizioni transitorie della 1. 392/78 impongono un

prolungamento della durata per un tempo variabile secondo la

data di inizio del rapporto (art. 67) e correlativamente riconosco

no al locatore il diritto di pretendere annualmente un aumento

del canone in misura percentuale determinata, anch'essa variabile

secondo la decorrenza iniziale dal rapporto (art. 68). Per tali locazioni nessun aggiornamento legale o convenzionale

del canone è espressamente contemplato, mentre per quelle non

abitative e non soggette a proroga — ferma restando l'operatività della clausola ISTAT per tutta la durata pattizia del rapporto

(Cass. 21 aprile 1983, n. 2748, id., 1983, I, 2485) — l'art. 71 della

stessa legge stabilisce, all'ultimo comma, che il canone potrà essere aggiornato annualmente su richiesta del locatore dal giorno della scadenza contrattualmente prevista, in base al 75 % della

variazione accertata dall'ISTAT.

A questo punto il problema innanzi posto si riduce allo

stabilire se per le locazioni non abitative in corso all'entrata in

vigore della 1. 392/78 e già soggette a proroga legale sia possibile un aggiornamento convenzionale del canone in base alla clausola di salvaguardia originariamente stipulata, in aggiunta agli aumenti in misura fissa espressamente preveduti dal citato art. 68.

La risposta negativa scaturisce dalla organicità e completezza della relativa disciplina transitoria e dalla inderogabilità delle stesse disposizioni sancita dall'art. 79.

Sotto il primo profilo, va invero osservato che se il legislatore ha deciso, per le ragioni indicate, di attuare un graduale passag

gio dal vecchio regime vincolistico alla nuova disciplina c.d.

dell'equo canone, dettando i criteri ritenuti piti idonei ad

assicurare, medio tempore, un equo bilanciamento dei contrappo sti interessi delle parti, l'operatività dell'autonomia privata in

ordine agli elementi fondamentali del rapporto espressamente considerati, quali la durata del contratto e l'ammontare del

canone, mal si concilia con il regime legale apprestato e cioè con lo strumento prescelto per la realizzazione dello scopo perseguito.

D'altro canto, se anche per i contratti in corso non soggetti a

proroga — per i quali, come già detto, la clausola ISTAT ha

mantenuto la sua efficacia vincoltante per tutta la durata pattizia del rapporto — è stato previsto, per il periodo successivo alla

scadenza convenzionale, un meccanismo di aggiornamento legale nella misura ridotta del 75 % della variazione ISTAT (art. 71), ed è stata negata quindi ulteriore efficacia alla vecchia clausola

contrattuale, risulta palese l'intenzione del legislatore di non

consentire l'aggiornamento convenzionale del canone per i con

tratti la cui durata è stata forzosamente prolungata, attesa la

fonte legale di regolamentazione del rapporto. Sotto il secondo profilo è da rilevare che l'art. 79 sancisce la

nullità di « ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del

contratto o attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a

quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente

legge ».

Data la natura di disposizione finale, l'art. 79 si applica incontestabilmente anche ai rapporti precedenti, ed alla stregua del relativo testo la pretesa reviviscenza della clausola ISTAT, inizialmente stipulata dai contraenti, si risolve in una pattuizione contraria e quindi nulla, in quanto determina una misura del

canone diversa da quella fissata dall'art. 68.

Per sfuggire a tale conseguenza non vale distinguere tra au

mento del canone ed aggiornamento dello stesso secondo le

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

variazioni degli indici ISTAT, per poi ritenere vietato il primo e

consentito il secondo, giacché l'art. 79 non vieta soltanto gli

aumenti in termini reali del canone ma ogni variazione in

aumento Che non sia prevista dalle disposizioni della stessa 1.

392/78. Del resto anche per le nuove locazioni non abitative, per le

quali non si applica l'equo canone, l'art. 32 1. 392/78 limita

l'autonomia privata prevedendo che l'aggiornamento convenziona

le non può essere domandato per i primi tre anni; che la

richiesta può essere avanzata solo con cadenza biennale; che la

stessa non può superare il 75 % della variazione in aumento

accertata dall'ISTAT.

Tale regolamentazione, rapportata al disposto del suindicato

art. 79, è stata esattamente ritenuta inderogabile dalla dottrina. Il

che dimostra l'ampia portata dell'art. 79 ed il suo riferimento

anche all'aggiornamento del canone, oltre che all'aumento in

senso tecnico.

Ne consegue che al contratto tra gli attuali contendenti non è

consentito applicare, a partire dal 1° agosto 1978, la clausola

ISTAT, originariamente stipulata, perché incompatibile con le

disposizioni transitorie della legge sull'equo canone le quali, per

le locazioni non abitative già soggette a proroga, contengono il

canone nella misura indicata nell'art. 68.

Il particolare regime legale apprestato con le disposizioni da

ultimo indicate è confermato dall'art. 15 bis della successiva 1. 25

marzo 1982 n. 94, il quale, nel prorogare ulteriormente per un

biennio la scadenza dei contratti in corso relativi ad immobili

non abitativi (e precisamente la scadenza dei contratti indicati

nelle lett. a, b e c del 1° comma dell'art. 67 1. 392/78) ha

previsto un nuovo aumento (applicabile una sola volta e non

annualmente) ed inoltre, a partire dal secondo anno di proroga,

l'aggiornamento annuale sempre nella misura del 75 % della varia

zione accertata dall'ISTAT. In concreto, un nuovo meccanismo lega

le di variazione del canone volto a garantire, da un lato, un'adeguata redditività dell'immobile a fronte dell'ulteriore prolungamento della durata del contratto, e, dall'altro, la protezione dei condut

tori da oneri sproporzionati alla loro capacità economica.

In definitiva, valutando le suindicate disposizioni transitorie,

relative alle locazioni non abitative già soggette a proroga, alla

luce del disposto dell'art. 79 della stessa 1. 932/78, si ricava

l'esistenza di un compiuto ed inderogabile sistema legale, in

merito alla durata ed al canone di dette locazioni, che non lascia

spazio all'autonomia privata, cosi come esattamente ritenuto dai

giudici di appello. 11 ricorso proposto dalla Di Domenico deve essere pertanto

respinto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 maggio

1985, n. 2869; Pres. Grimaldi, Est. Corsaro, P. M. Nicita

(conci, difl.); I.n.p.s. (Avv. Benanti) c. Manghi (Avv. Agostini,

Hernandez). Cassa Pret. Reggio Emilia 18 maggio 1982.

Previdenza sociale — Trasmissione tardiva del certificato ai

malattia all'I.n.p.s. — Perdita del trattamento economico di

malattia (D.l. 30 dicembre 1979 n. 663, provvedimenti per il fi

nanziamento del servizio sanitario nazionale, per la previdenza,

per il contenimento del costo del lavoro e per la proroga

dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base

alla legge 1° giugno 1977 n. 285, sull'occupazione giovanile,

art. 2; 1. 29 febbraio 1980 n. 33, conversione in legge, con

modificazioni del d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, art. 1; 1. 23

aprile 1981 n. 155, adeguamento delle strutture e delle procedu

re per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti

di disoccupazione, e misure urgenti in materia previdenziale e

pensionistica, art. 15).

Il lavoratore assente dal lavoro per malattia, che invìi all'I.n.p.s.

il certificato di diagnosi senza osservare il termine di due

giorni previsto dagli art. 2 d.l. 663/79, convertito con modificazio

ni in l. 33/80, e 15 l. 155/81, e che non provi l'esistenza

di una causa incolpevole di giustificazione del ritardo, ha diritto

al trattamento economico di malattia ridotto, con esclusione, cioè,

di quello relativo al periodo compreso tra la scadenza del termine

stesso e la data di invio del certificato. (1)

(1) La Corte di cassazione si pronunzia per la prima volta — e in

senso negativo per il dipendente — sulle conseguenze del tardivo

inoltro del certificato di diagnosi all'I.n.p.s. da parte del lavoratore

assente per malattia in fattispecie cui era applicabile l'art. 3 d.l.

Il Foro Italiano — 1985.

Svolgimento del processo. — Manghi Enrico, con ricorso del 15

dicembre 1981, chiedeva al Pretore del lavoro di Reggio Emilia il

riconoscimento del suo diritto a percepire dall'I.n.p.s. l'indennità

di malattia, non corrisposta per il tardivo invio dei certificati

medici, per il periodo dal 18 al 20 luglio 1981.

L'istituto suddetto, convenuto, resisteva in giudizio. Il pretore

con sentenza 18 maggio 1982 accoglieva la domanda del ri

corrente, rilevando: che anche dopo l'entrata in vigore della 1.

29 febbraio 1980 n. 33 (modificata dalla 1. 23 aprile 1981 n. 155, le

conseguenze del tardivo invio del certificato di malattia sono

regolate dall'art. 1915 c.c., in virtù del richiamo contenuto nel

precedente art. 1886; che, infatti, l'art. 2, 2° comma, 1. n. 33,

cit., non pone alcuna limitazione al pagamento dell'indennità,

costituente un diritto soggettivo perfetto, garantito dall'art. 38

Cost., per il tardivo invio del certificato; che l'interprete non può

pervenire alla soluzione prospettata dall'istituto, quando quelle

norme del codice civile portano a confermare la soluzione data

al problema dalla giurisprudenza, allorché la indennità in que

stione era a carico dell'Ln.a.m. L'I.n.p.s. impugna la decisione

(inappellabile, ai sensi dell'art. 440 c.p.c.) del pretore, ricorrendo

in Cassazione, per un solo motivo. Il Manghi resiste con controri

corso. Entrambe le parti presentano memoria difensiva.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, l'I .n.p.s., denunciando la violazione e l'errata applicazione dell'art. 2 1. 29 febbraio 1980 n. 33 (modificato dall'art. 15 1. 23 aprile 1981 n. 155), deduce: che il pretore ha erroneamente affermato che la denuncia della malattia doveva essere regolata dalle norme del contratto di assicurazione privata del codice civile; che questa soluzione, affermata dalla giurisprudenza quando il mancato pa gamento dell'indennità per ritardato invio della certificazione di malattia era previsto unicamente da una norma regolamentare interna dell'I.n.a.m., non può essere confermata ora che la nuova normativa di legge ha radicalmente mutato la situazione; che, infatti, la materia è ormai regolata da leggi speciali e non è più possibile fare ricorso alle norme del codice civile; che, quindi, se il certificato medico è inviato in ritardo (e l'invio equivale alla

presentazione della domanda d'indennità), la prestazione a carico

dell'I.n.p.s. non può che decorrere dalla data di spedizione o di

presentazione di detta documentazione sanitaria; che è irrilevante il fatto che la legge, nel quadro procedimentale complessivo, non

preveda espressamente le conseguenze del mancato o ritardato invio del certificato medico nel termine di due giorni; che, infine, non si verifica alcuna limitazione del diritto soggettivo del lavoratore (il pretore ha richiamato l'art. 38 Cost.), perché la mancata percezione della presentazione deriva dal mancato rispet to di un preciso obbligo di legge.

Le censure sono fondate. Le sezioni unite di questa corte con la sentenza n. 3750 del 13 giugno 1980 (Foro it., 1980, I, 2467) hanno escluso che gli effetti dell'omesso o ritardato inoltro

all'I.n.a.m., da parte dell'interessato, del certificato di malattia

potessero essere disciplinati dalle norme regolamentari dello stesso

istituto, dovendosi, invece, fare ricorso alle disposizioni degli art.

1886, 1913 e 1915 c.c. A detto principio si sono uniformate le decisioni successive della sezione lavoro.

L'I .n.p.s., però, ora chiede una pronuncia che tenga conto della situazione venutasi a creare dopo che l'art. 2 1. 29 febbraio 1980 n. 33, modificato dall'art. 15 1. 23 aprile 1981 n. 155, ha disposto che il lavoratore è tenuto a recapitare o trasmettere, entro due

giorni, allo stesso istituto (l'I .n.p.s.) il certificato del medico curante. La questione non può essere risolta richiamando e confermando una giurisprudenza che presuppone la disciplina normativa (1. 11 gennaio 1943 n. 138) e regolamentare interna

dell'I.n.a.m., senza tener conto delle nuove disposizioni di legge, che demandano all'I.n.p.s. ed agli organi regionali del servizio sanitario gli adempimenti previdenziali; disposizioni che sono

motivate da nuove esigenze e che hanno implicazioni, anche di ordine pratico, dalle quali non può prescindere nell'interpretare le singole norme secondo l'intento del legislatore. (Controlli

tempestivi ed efficaci, per scoraggiare il fenomeno « antisociale »

dell'assenteismo). Deve essere, quindi, riconsiderato il riferimento agli art. 1886,

1913 e 1915 c.c. In generale, quando si tratta di estendere a

rapporti di alto interesse sociale una normativa di natura privati stica, elemento di valutazione di rilevanza preminente deve rite nersi la « compatibilità » della ratio legis. In particolare, un'in

663/79, convertito, con modificazioni, in 1. 33/80, quale modificato dall'art. 15 1. 155/81. Contra, Pret. Bologna 19 dicembre 1984, Foro it., 1985, I, 1549. Per i precedenti relativi alla normativa anteriore (cui è fatto riferimento nella sentenza in epigrafe), v. la nota di richiami a Trib. Firenze 28 giugno 1984, ibid., 323.

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