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sezione III civile; sentenza 17 maggio 1985, n. 3013; Pres. Lo Surdo, Est. Quaglione, P. M. Zema...

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sezione III civile; sentenza 17 maggio 1985, n. 3013; Pres. Lo Surdo, Est. Quaglione, P. M. Zema (concl. conf.); Alberti (Avv. G. Stella Richter) c. Banco Lariano (Avv. E. Romanelli, Taroni). Conferma App. Milano 13 luglio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 1 (GENNAIO 1986), pp. 159/160-163/164 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180131 . Accessed: 28/06/2014 12:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.107 on Sat, 28 Jun 2014 12:27:55 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 17 maggio 1985, n. 3013; Pres. Lo Surdo, Est. Quaglione, P. M. Zema(concl. conf.); Alberti (Avv. G. Stella Richter) c. Banco Lariano (Avv. E. Romanelli, Taroni).Conferma App. Milano 13 luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 1 (GENNAIO 1986), pp. 159/160-163/164Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180131 .

Accessed: 28/06/2014 12:27

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PARTE PRIMA

l'atto costitutivo una partecipazione agli utili non diversa da

quella degli altri soci. Sicché si sarebbe potuta configurare la

presunzione di onerosità dell'opera prestata quale amministratore della società irregolare.

La discorde soluzione della questione, addotta nella sentenza

impugnata, quale primaria ragione del rigetto dell'appello e della domanda di Ugo Santalucia, non determina, tuttavia, l'acco

glimento del ricorso. La stessa sentenza espone infatti una motivazione alternativa

che non trova nel ricorso un'adeguata censura. Ed è noto che quando la pronuncia di merito è basata su due

distinte ragioni, ciascuna delle quali è sufficiente da sola a

sorreggerla, l'eventuale fondatezza di censure riguardanti soltanto una delle argomentazioni poste a fondamento della decisione del

giudice del merito non comporta la cassazione della sentenza, la

quale resta pur sempre fondata sull'altra ragione non, o a torto, censurata, idonea per tale motivo a sorreggere la sentenza stessa

(v. sent. mi. 1248/83, id., Rep. 1983, voce Impugnazioni civili, n.

27; 5617/81, id., Rep. 1981, voce Cassazione civle, n. 43). È stato inoltre chiarito (conf. sent. 5503/81, id., Rep. 1981,

voce Sentenza civile, n. 104) che, qualora il petitum della domanda attrice sia fondata su un duplice ordine di ragioni giuridiche, collegate a presupposti antitetici e formulate in via alternativa o subordinata, la sentenza del giudice del merito, la

quale, dopo aver aderito alla prima ragione, esamini ed accolga anche la seconda, al fine di sostenere la decisione pure nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio df contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio deci

dendi, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato, ma configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, e, pertanto, può essere utilmente impugnata solo mediante la censura di entrambe.

Il Tribunale di Bari, dopo avere disatteso con ampia argomen tazione l'assunto di parte istante circa il diritto a compenso dell'attività di amministratore della società, nascente dalla nomina contestuale all'atto di costituzione, giudicata corrispondente in fatto alla effettiva situazione, ha esaminato, per l'eventualità che tale situazione non sussistesse, la diversa ipotesi « che il mandato ad amministrare sia stato conferito a Ugo Santalucia in data successiva alla costituzione della società e che possa trovare

applicazione la disposizione dell'art. 1709, che stabilisce la pre sunzione di onerosità del mandato ».

Ha soggiunto, quindi, che il comportamento costante ed univoco dell'istante aveva vinto tale presunzione, concludendo, che « se mai richiese compenso ciò accadde perché la stessa parte ritenne che compenso non fosse dovuto ».

In ordine a tale apprezzamento di merito il ricorrente non ha

proposto alcuna censura ed a questa corte è preclusa, pertanto, ogni indagine sulla congruità e ragionevolezza dell'addotta ragio ne motivata.

Ne deriva il rigetto del ricorso. (Omissis)

CORTE I>i CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 17

maggio 1985, n. 3013; Pres. Lo Surdo, Est. Quaglione, (P. M. Zema (conci, conf.); Alberti (Avv. G. Stella Richter) c.

Banco Lariano (Avv. E. Romanelli, Taroni). Conferma App. Milano 13 luglio 1982.

Prescrizione e decadenza — Danni da reato — Processo penale — Derubricazione del titolo del reato — Declaratoria di

prescrizione del reato — Azione civile di risarcimento —

Decorrenza del termine (Cod. civ., art. 2947).

Nel caso in cui, a seguito di derubricazione del titolo del reato

contestato nel capo di imputazione, la sentenza penale dichiari

estinto per prescrizione il nuovo reato, l'azione civile volta al

risarcimento del danno provocato è esercitatile nei termini

ordinari di prescrizione che decorrono dal momento della

pubblicazione della sentenza penale. (1)

(1) Non si riscontrano precedenti in termini. La questione trattata dalla corte — quale sia il termine prescrittivo, qualora il danneggiato possa usufruire del più lungo termine di prescrizione previsto dalla legge penale, nel caso in cui, nel corso del giudizio penale, si sia verificata una degradazione del titolo del reato e, conseguentemente, il

Il Foro Italiano — 1986.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato in

data 3 maggio 1978, Ariberto Alberti esponeva che, sin dalla sua

costituzione, aveva ricoperto la carica di consigliere condelegato della fallita società Lapsa, il cui patrimonio comprendeva, tra

l'altro, l'SO % delle quote sociali della Italvisetta s.r.l., anch'essa dichiarata fallita, il pacchetto azionario della Elettromeccanica Meridionale s.p.a. Emme, il 50 % del pacchetto azionario della

Linbo Cattaneo s.a. Sosteneva che la Lapsa aveva finanziato la Italvisetta per la somma di lire 123.838.942 e, all'uopo, si era

esposta verso il Banco Lariano, di cui era correntista, oltre i

limiti del fido concessole, per cui, all'inizio del 1959, l'istituto aveva richiesto o il rientro nei limiti del fido, oppure una solida

garanzia in aggiunta a quelle preesistenti. Rilevava che, in conse

guenza, Martino Monteni amministratore unico della Italvisetta e, al contempo, presidente del consiglio di amministrazione della

Lapsa, concludeva con Pietro Zerbi un accordo per la prestazio ne, da parte di costui, di una garanzia per lire 150.000.000, presso il Banco Lariano, a favore della Italvisetta e che, una volta ottenutala, il condirettore generale dell'istituto, Domenico

Romani, comunicava telefonicamente alla Lapsa, in data 15 marzo 1959, che, accingendosi i membri dell'ispettorato del credito ad esaminare la posizione debitoria della società, si rendeva opportuno l'immediato rilascio di controgaranzia della Italvisetta a favore della Lapsa; in ordine alla stessa, poi, suggeriva di riempire e sottoscrivere un modulo fideiussorio, lasciando in bianco la data di rilascio ed il nominativo del beneficiario della

garanzia. Soggiungeva che il Monteni aveva accettato il suggeri mento, ma il Romani aveva riempito il modulo con la data del 25 marzo 1959, indicando come beneficiaria la Safer, e, esiben do il medesimo al direttore generale del banco ed agli ispettori, aveva concretato l'illecita distrazione, da parte dello stesso istitu to, di una garanzia per lire 150.000.000. Chiariva che, emersa la

distrazione, il Romani si era giustificato dicendo che, con la

copertura di irregolarità da lui commesse con la Safer, era in

grado di far concedere alla Lapsa un lungo piano di ammorta mento in funzione del programma della Italvisetta; ma, al contra

rio, la direzione generale del Banco Lariano, con la minaccia di

presentazione d'istanza di fallimento, aveva finito con l'imporre alla Lapsa ed ai suoi amministratori la formazione di atti

giuridicamente nulli ed illeciti come: la costituzione in pegno dei

nuovo reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione — si risolve in due interrogativi connessi: a) avvenuta l'equiparazione tra fatto illecito ed ipotesi di reato, sono efficaci in sede civile le modificazioni che rispetto all'iniziale contestazione si verifichino nel corso del procedimento penale?; b) risolta negativamente la questione sub a), il termine di decorrenza del periodo prescrittivo è quello della commis sione del fatto, in applicazione della prima parte del 3° comma dell'art. 2947, o quello ordinario di prescrizione, decorrente dal momento della pubblicazione della sentenza penale, in applicazione della seconda parte del 3° comma del succitato articolo?

È possibile dare al quesito sub a) soluzione negativa, sulla base del costante orientamento giurisprudenziale che ritiene di dover far salvo l'affidamento del danneggiato nell'iniziale contestazione del reato, dal momento che « non può preventivamente conoscere l'esito del processo penale» (v. Cass. 24 giugno 1981, n. 4118, Foro it., Rep. 1981, voce Prescrizione e decadenza, n. 175, sulla concessione di attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., e da ultimo Cass. 19 agosto 1983, n. 5412, id., 1984, I, 500, con nota di richiami).

In merito al quesito sub b), la giurisprudenza si mostra incerta. In Cass. 22 gennaio 1968, n. 175, id., 1968, I, 977 ss., si è ritenuto che le ipotesi disciplinate nel 3° comma dell'art. 2947 siano più d'una, e precisamente che la prima parte sia utilizzabile nel caso in cui il fatto illecito sia astrattamente considerato come reato e, per conseguenza, il termine di prescrizione civile venga ad essere equiparato al più lungo termine penale, con decorrenza dal momento in cui venne commesso il fatto. Mentre differente è l'ipotesi in cui si sia iniziato un procedimen to penale e nel corso di questo si sia verificata un'attenuazione ovvero una degradazione del titolo del reato, degradazione che comporti una pena edittale massima che lo assoggetti ad una prescrizione di durata uguale o inferiore a quella stabilita per l'azione volta al risarcimento del danno, avente titolo nel fatto reato originariamente contestato: in tal caso deve farsi riferimento a quest'ultimo ed il termine sarà quello ordinario, decorrente dal momento in cui la sentenza diviene irrevoca bile. Si potrebbe quindi ritenere che, una volta iniziatosi il procedi mento penale e a prescindere dai suoi esiti, si debba applicare la seconda parte del 3° comma.

Contrastante appare, sul punto, l'orientamento di App. Milano 20 gennaio 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 21, e per esteso in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1978, 179 ss., con nota di R. Rovelli, che, pur richiamandosi nella motivazione alla sentenza Cass. 175/68 per una fattispecie analoga, applicando la prima parte del 3" comma dell'art. 2947, ritiene che il termine di prescrizione dell'azione civile sia equiparato a quello penale del reato in prima contestazione, ma lo fa decorrere dal momento della commissione del fatto.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

beni della Lapsa; la ratifica assembleare della fideiussione Italvi

setta, illegalmente attribuita in favore della Safer; l'autorizzazione di accollo alla Italvisetta del debito della Safer verso il banco. L'attore significava che la complessa operazione era sfociata in « una proposta di transazione al Banco Lariano » del 14 marzo 1961, ancora imposta dall'istituto, e di cui questo si era servito per effettuare, a proprio ingiusto profitto, la spoliazione dei

cespiti sociali sia della Lapsa che dell'Italvisetta, causando, in tal modo, il fallimento di entrambe le società. Rimarcato, infine, che con la « proposta di transazione » non si era perfezionata alcuna transazione e che dalle dichiarazioni di fallimento della Lapsa erano derivati all'istante gravissimi danni morali e materiali, come la sua condanna per il reato di bancarotta fraudolenta, l'Alberti conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Como, il Banco Lariano per sentir dichiarare la nullità della scrittura privata 14 marzo 1961 e dei pregressi e susseguenti atti intervenuti; dichia rare il banco convenuto responsabile del fallimento della Lapsa e della Italvisetta; dichiarare, stante la nullità assoluta dell'atto menzionato, l'imprescrittibilità dell'azione per danni.

Costituitosi, il Banco Lariano contestava l'assunto dell'attore quanto alla natura dei rapporti denunciati e alle modalità di svolgimento dei medesimi.

Il tribunale, con sentenza 31 dicembre 1979, respingeva la domanda e condannava Ariberto Alberti alla rivalsa delle spese processuali in favore dell'istituto.

L'impugnazione proposta dall'Alberti veniva, poi, respinta, con sentenza 13 luglio 1982, dalla Corte d'appello di Milano la quale osservava che non sussisteva la dedotta nullità degli atti prepara tori della proposta di transazione, cioè della ratifica — da parte dell'assemblea dei soci della soc. Italvisetta — della garanzia fornita alla soc. Safer e dell'autorizzazione data dal procuratore Vitali al Banco Lariano per l'accollo alla soc. Italvisetta dell'im

porto del debito Safer verso l'istituto; infatti, la carenza di potere dell'amministratore unico di una società a s.r.l. di prestare garanzia a favore di terzi e la mancanza di firma del segretario sul verbale di delibera assembleare potevano, al più, comportare l'annullabilità della deliberazione di ratifica, non la sua nullità in

quanto le delibere di assemblee societarie sono nulle solo per contrasto con le norme dettate a tutela di un interesse generale ov vero nel caso di impossibilità o illiceità dell'oggetto (art. 2379 c.c.); inoltre l'art. 20 dello statuto della soc. Italvisetta prevedeva i più ampi poteri per l'amministratore unico con il solo limite della ma teria riservata all'assemblea, fra le quali, tuttavia, non erano com

prese le assunzioni di garanzia; quanto poi, all'accollo, da parte della soc. Italvisetta, della posizione debitoria della Safer verso il Banco Lariano, pur ammesso che il Vitali, nel realizzarlo, avesse ecceduto dai limiti del mandato, spettava solo al mandante di far valere l'eventuale annullabilità dell'atto; esclusa, pertanto, la nul lità degli atti preparatori della c.d. proposta di transazione, doveva escludersi anche la nullità di questa che era stata accetta ta dall'istituto mediante fatti concludenti consistiti nell'incamera mento dei beni oggetto della proposta transattiva; infine, in ordine alle pretese violenze e macchinazioni dolose che avrebbero inciso sulla formazione degli atti preparatori e sull'atto transatti

vo, esse avrebbero comportato l'annullabilità di quegli atti, ai sensi degli art. 1434 e 1439 c.c., con la conseguenza che le relative azioni sono ormai largamente prescritte. Aggiungeva la corte di Milano che era prescritta anche l'azione di risarcimento di danni derivati, secondo la tesi dell'Alberti, dall'illecito compor tamento del Banco Lariano, in quanto la decorrenza del quin quennio non poteva fissarsi al momento in cui era divenuta irrevocabile la sentenza istruttoria di proscioglimento emessa il 16

aprile 1977 giacché, a tacer d'altro, l'art. 2947 c.c., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine prescrizionale stabilito dalla legge penale per i reati cui si ricolleghi la pretesa risarcitoria, si riferisce a tutti i possibili soggetti della pretesa, anche a coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta o se condaria. Da ultimo, la corte di merito riteneva inutile esaminare la domanda di accertamento della nullità della c.d. proposta di transazione per contrarietà a norme imperative la cui azione non è soggetta a prescrizione, per l'impossibilità di far conseguire all'istante un qualsiasi vantaggio pratico a causa dell'intervenuta

prescrizione dell'azione di risarcimento danni, donde la mancanza d'interesse ad agire nell'Alberti.

Avverso questa sentenza l'Alberti ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi illustrati con memoria. Il Banco Lariano resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 1325, 1326, 1327, 1418, 1343, 1345, 1346, 1965, 1966, 1967 c.c. in relazione

Il Foro Italiano — 1896 — Parte I- 11.

all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. per avere la corte di Milano

erroneamente ritenuto la validità della transazione 14 marzo 1961, in forza della quale si era attuata la cessione al Banco Lariano

dell'intero patrimonio della soc. Lapsa, con la contestuale fraudo lenta distrazione della fideiussione di 150 milioni di lire a favore della soc. Safer, a) senza adeguatamente considerare che, nel caso in esame, l'esecuzione della c.d. proposta non comporta di per sé la conclusione del contratto, b) trascurando altresì di valutare le

conseguenza del difetto della forma scritta che è richiesta ad

probationem per il contratto di transazione e e) senza prendere, da ultimo, in esame la tesi, prospettata dall'Alberti, della nullità della transazione per illiceità della causa ovvero del motivo comune consistito nel ratificare l'illecito commesso dal Banco Lariano con distrazione della fideiussione di 150 milioni mediante abuso di foglio in bianco.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 2947 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. per avere la Corte d'appello di Milano erroneamente ritenuto che si fosse

prescritta l'azione civile di risarcimento del danno senza conside rare, al fine di stabilire la decorrenza del relativo periodo prescrizionale, che era pendente un processo a carico di Dome nico Romani, condirettore del Banco Lariano, per bancarotta

fraudolenta, imputazione solo in seguito derubricata — con la sentenza istruttoria di proscioglimento in data 16 aprile 1977 —

in quella di bancarotta preferenziale prevista dall'art. 216, 3°

comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267. Pertanto, ad avviso del ricorrente, la prescrizione quinquennale dell'azione civile dovreb be calcolarsi con la decorrenza dal giorno in cui la sentenza istruttoria è divenuta irrevocabile; e, poiché questa risulta deposi tata il 16 aprile 1977, il periodo prescrizionale non era ancora

compiuto quando il giudizio civile fu iniziato con citazione del 3

maggio 1978.

Sostiene, in subordine, il ricorrente che — se anche non si volesse aderire a tale tesi — dovrebbe in ogni caso tenersi conto del reato contestato al Romani (che comporta la sua prescrizione in 15 anni, a norma dell'art. 157, n. 2, c.p.), e di un periodo di interruzione della prescrizione di altri sette anni e mezzo, con la

conseguenza che, ai sensi dell'art. 2947, 3° comma, c.c., anche la

prescrizione dell'azione di risarcimento del danno dipendente dal fatto reato deve ritenersi avere pari durata: e, nella specie, il periodo complessivo come sopra determinato di 22 anni e mezzo era ben lungi dall'essere esaurito all'atto dell'introduzione del

giudizio civile.

La sentenza della Corte d'appello di Milano si basa su due diversi ordini di motivi, avendo ritenuto priva di fondamento, nel merito, la domanda dell'Alberti e, comunque, prescritto il diritto di questo al risarcimento del danno. Pertanto, l'esattezza di alcune censure contenute nel secondo mezzo non influisce sulla sorte del ricorso giacché la sentenza del giudice d'appello è validamente sorretta da motivi di merito che giustificano l'affer mata infondatezza della domanda di risarcimento del danno.

Le disposizioni contenute nel 3° comma dell'art. 2947 c.c. si ispirano al criterio di stabilire un opportuno coordinamento fra la sorte dell'azione civile di risarcimento del danno e l'esito dell'a zione punitiva dello Stato, al fine di impedire che nell'ordinamen to giuridico si verifichino delle disarmonie inique e inopportune quando il fatto produttivo del danno è considerato dalla legge come reato. Innanzi tutto, in forza della prima parte di quel 3° comma, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile: si è inteso, cosi, evitare che il responsabile di un fatto illecito, sebbene condannato nel giudizio penale, si

sottragga all'obbligo di risarcire il danno per essere la prescrizio ne civile, in quanto più breve, intervenuta prima dell'eventuale interruzione della prescrizione penale.

La seconda parte dello stesso 3° comma si fonda sull'ulteriore

presupposto che il reato sia rimasto estinto per causa diversa dalla prescrizione (cioè per la morte del reo, per amnistia o per remissione della querela) ovvero che sia pronunciata sentenza irrevocabile nel giudizio penale. La norma stabilisce che — nei casi in cui un processo penale pende o potrebbe ancora essere iniziato allorché sopravviene una causa estintiva del reato prima del compimento della prescrizione — il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati nei primi due commi

(cinque o due anni, rispettivamente) con decorrenza dalla data di estinzione del reato; quando, invece, il processo penale si conclu de con sentenza di merito, la prescrizione del diritto al risarci mento del danno — negli stessi termini di cui ai primi due commi dell'art. 2947 c.c. — decorre dalla data nella quale la sentenza è divenuta irrevocabile.

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PARTE PRIMA

Nell'ipotesi di estinzione del reato per una qualsiasi causa, la sentenza che lo accerti — sia essa pronunciata nella fase dibatti mentale ovvero in istruttoria — è meramente dichiarativa di un evento che il legislatore ha ritenuto operante fin dalla sua verificazione (per effetto del naturale decorso del periodo prescri zionale, per la sopravvenuta morte del reo, per l'entrata in vigore del provvedimento di amnistia); e tanto stabilisce espressamente il 3° comma dell'art. 2947 c.c. secondo cui la prescrizione dell'azione civile decorre « dalla data di estinzione del reato », mentre solo nell'ipotesi di sentenza emessa nel giudizio penale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno avviene « con decorrenza dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile ». In tal senso si è già pronunciata questa corte, affermando il principio che, ove il reato sia estinto per prescrizione, deve entro 10 stesso termine ritenersi prescritto anche il diritto al risarcimen to del danno, senza che l'eventuale sentenza irrevocabile emessa nel giudizio penale per dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione importi la decorrenza ex novo del termine di pre scrizione del diritto dalla data di quella sentenza (Cass. 19 gennaio 1973, n. 215, Foro it., 1973, I, 1430).

La situazione è sostanzialmente diversa allorché pende un processo penale a carico del presunto responsabile del fatto produttivo del danno per un titolo di reato che subisce una modificazione o degradazione nel corso delle varie fasi processua li ovvero con la sentenza penale conclusiva del giudizio; e proprio questa ipotesi si è verificata nella specie in quanto il procuratore della repubblica presso il Tribunale di Como promos se l'azione penale, fra gli altri, contro Domenico Romani imputa to di concorso in bancarotta fraudolenta a norma degli art. 110

c.p. e 223, 1° e 2° comma, n. 2, 216, 1° comma, n. 1, 219, 1°

comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 mentre il giudice istruttore dello stesso tribunale, con sentenza 16 aprile 1977, dichiarò non doversi procedere nei confronti del Romani, in ordine al reato di bancarotta preferenziale di cui all'art. 219, 3° comma, 1. fall. —

cosi modificata l'imputazione originariamente ascrittagli — perché l'azione penale non poteva essere esercitata, trattandosi di reato estinto per prescrizione. Ha ritenuto il giudice penale che, non essendo intervenuto tempestivamente alcun atto interruttivo ai

sensi dell'art. 160 c.p., si fosse compiuto il periodo decennale di

prescrizione applicabile nella specie (art. 157, n. 3, c.p.), in

quanto il delitto di bancarotta preferenziale è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

Con riferimento al caso analogo in cui il capo di imputazione originario attribuiva al prevenuto un reato non rientrante nella

previsione di un provvedimento concessivo di amnistia, ma che

tuttavia, nel corso del processo penale, subisca una modifica ovvero una degradazione la quale comporti l'applicazione del

beneficio, questa corte — con le sentenze 16 maggio 1958, n. 1586 (id., Rep. 1958, voce Prescrizione civile, n. 110) e 10 dicembre 1976, n. 4598 (id., 1977, I, 661) — ha diffusamente

esposto i motivi per i quali la prescrizione del diritto al risarci mento del danno, nei termini ordinari di cinque o due anni, debba decorrere dalla data della sentenza modificativa dell'iniziale titolo di reato, e contestualmente dichiarativa dell'estinzione del nuovo reato, anziché dal giorno di entrata in vigore del provve dimento con cui il beneficio fu concesso. In sintesi si è ritenuto, con argomentazioni identicamente applicabili al caso in esame, che non si può far carico al danneggiato di avere ignorato il

provvedimento di clemenza (nella specie, l'applicabilità di un più breve periodo di prescrizione penale correlato all'eventuale, futu ra degradazione o diversa qualificazione del fatto illecito) e di essere stato negligente nella salvaguardia del suo diritto giacché « sembra eccessivo e certamente non aderente ad esigenze di

giustizia sostanziale pretendere che debba prevedere l'ulteriore

situazione che potrà per avventura determinarsi per effetto della decisione che sarà per emettere il giudice penale ». In realtà, si è

tenuto conto dell'effetto prodotto dall'attività del giudice penale sulla situazione del danneggiato relativamente alla prescrizione del suo diritto, nel senso che la contestazione del reato da parte del titolare dell'azione penale — prevalendo sulla personale ed

astratta configurazione giuridica del fatto ad opera del danneggia to — determina in concreto il titolo di reato ascritto all'imputa to danneggiarne e, quindi, per il disposto dell'art. 2947, 3°

comma, 1' parte, c.c., la prescrizione del diritto al risarcimento

del danno.

Quando, poi, nell'ulteriore corso del processo penale, l'organo

giudiziario competente varia, nella fase istruttoria o in sede dibatti

mentale, l'originaria contestazione, mutando o degradando il titolo del reato, tale variazione incide direttamente sulla situazione del

danneggiato alla data della pronuncia della sentenza penale e solo

11 Foro Italiano — 1986.

da questo momento egli è tenuto ad osservare la prescrizione

conseguente al nuovo titolo di reato: la prescrizione del diritto al

risarcimento del danno sarà, tuttavia, di nuovo quella quinquen nale o biennale a seconda che si tratti delle ipotesi di cui al 1°

o al 2° comma dell'art. 2947 c.c.

Allo stesso principio si ispira la decisione di questa corte che,

nell'ipotesi di sentenza penale la quale rechi una degradazione del titolo di reato rispetto a quello contestato nel capo di

imputazione, deve aversi riguardo a quest'ultimo e non già al

reato configurato nella sentenza se, per effetto della degradazione, il reato accertato comporti una pena edittale massima che lo

assoggetti ad una prescrizione di durata uguale o inferiore a

quella stabilita per il diritto al risarcimento che abbia il proprio titolo nel fatto reato (Cass. 14 aprile 1972, n. 1193, id., Rep.

1972, voce cit., n. 68).

In definitiva, allorché l'originaria imputazione venga degradata e il giudice penale dichiari estinto il nuovo reato per prescrizione in quanto comporta una pena inferiore a quella di cui all'iniziale

contestazione, non si possono ritenere verificati sulla situazione

del diritto al risarcimento del danno gli effetti connessi alla

nuova prescrizione penale, avendo il danneggiato fatto affidamen

to, fino a quella data, sulla conservazione dell'azione civile negli stessi termini utili per l'esercizio della pretesa punitiva dello Stato

contro il responsabile e, perciò, su una diversa situazione che gli assicurava la salvaguardia del proprio diritto. Pertanto, dichiarato

estinto il reato e venuta meno, in conseguenza della detta

variazione del titolo di reato, l'equiparazione fra la durata della

prescrizione penale e quella della prescrizione civile, inizierà a

decorrere, dalla data della sentenza penale, il periodo ordinario

della prescrizione civile, quinquennale o biennale, a seconda dei

casi.

Facendo applicazione di tali principi alla fattispecie, poiché la

sentenza del giudice istruttore presso il Tribunale di Como è del

16 aprile 1977 (quando ancora non si era verificata la prescrizio ne del reato più grave, quello cioè di bancarotta fraudolenta

ascritto al Romani) mentre la notifica della citazione dell'Alberti

è avvenuta il 3 maggio 1978, non si è verificata la prescrizione del diritto di questo al risarcimento del danno.

Sono, tuttavia, prive di fondamento le su esposte censure

formulate dal ricorrente col primo motivo, riguardanti il merito

della controversia.

Secondo le disposizioni del codice civile vigente, e a differenza di

quanto stabiliva il codice del 1965, la transazione deve farsi ad

substantiam per atto pubblico o scrittura privata solo nei casi

previsti dall'art. 1350, n. 12, c.c., cioè quando abbiano ad oggetto la proprietà di beni immobili, diritti reali immobiliari ed altri

rapporti ad essi assimilati; negli altri casi, essendo lo scritto

richiesto ad probationem, è da escludersi l'ammissibilità della

prova per testi mentre sono ammissibili la confessione e l'utiliz

zazione di elementi presuntivi, per cui il consenso dato da una

delle parti alla transazione può dedursi anche dalla manifestazio ne tacita di una volontà inequivoca di approvare e fare proprio il negozio proposto dall'altra parte con atto scritto.

Nel caso in esame è incontestato fra le parti, in questa come

nelle precedenti fasi del giudizio, che il regolamento di interessi

intervenuto fra la soc. Lapsa, la soc. Italvisetta e la Safer, da un

lato, e il Banco Ladano, dall'altro, riguardasse rapporti giuridici non attinenti a diritti reali immobiliari. La prova della stipula dell'accordo transattivo ben poteva risultare, dunque, dal compor tamento successivo dell'istituto di credito che non aveva sotto

scritto la transazione e, in particolare, dall'attuazione integrale dei relativi patti, così come è stato accertato dai giudici di

merito.

Quanto alla dedotta illiceità della transazione perché stipulata — secondo la tesi del ricorrente — al fine di tener ferma la

dolosa distrazione della fideiussione, i giudici di primo e di

secondo grado hanno accertato il consenso delle società e dei

privati che avrebbero avuto interesse contrario all'utilizzazione

della fideiussione in favore della soc. Safer e ciò nel quadro di

un complesso intreccio di rapporti fra società collegate e in un

globale regolamento di interessi e di posizioni debitorie, il cui

accertamento è stato compiuto dai giudici di merito con una

valutazione dei fatti ancorata alla documentazione prodotta. E

tenendo conto della certezza delle fonti probatorie documentali, dalle quali ha tratto il proprio convincimento, la Corte d'appello di Milano ha correttamente ritenuto la materia controversa insu scettibile di un diverso apprezzamento attraverso la prova testi moniale dedotta dall'Alberti, che ha perciò considerato inammis

sibile perché priva di decisività. (Omissis)

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