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sezione III civile; sentenza 23 aprile 2003, n. 6442; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Russo(concl. parz. diff.); Alessi (Avv. Sperandeo) c. Proc. gen. App. Milano. Conferma App. Milano 9marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2003), pp. 2045/2046-2047/2048Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198037 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23
aprile 2003, n. 6442; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Rus
so (conci, parz. diff.); Alessi (Avv. Sperandeo) c. Proc. gen.
App. Milano. Conferma App. Milano 9 marzo 2001.
Notaio — Procedimento disciplinare — Sentenza — Impu
gnazione — Termine annuale (Cod. proc. civ., art. 327; 1. 16
febbraio 1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi
notarili, art. 157).
All'impugnazione delle sentenze pronunciate nei procedimenti
disciplinari a carico di notai è applicabile il termine annuale
di decadenza stabilito dall'art. 327 c.p.c. (1)
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Milano, con
sentenza resa in camera di consiglio il 12 aprile 1999, riteneva il
notaio Alessi Giuseppe colpevole della violazione dell'art. 64 1.
not. (omessa tenuta di repertorio), essendo stati annotati oltre
millecinquecento atti su repertori vidimati successivamente e
condannava l'Alessi all'ammenda di lire 6.120.000.
Avverso questa sentenza proponeva appello il notaio con ri
corso notificato il 14 dicembre 2000, rilevando che la prima sentenza non era mai stata notificata al domicilio eletto presso il
difensore (ma solo a lui personalmente) e che non era conse
guentemente mai decorso il termine breve di cui all'art. 155 1.
not.
La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 9
marzo 2001, riteneva inammissibile l'appello, perché, essendo
applicabile anche alla fattispecie il termine decadenziale di cui
all'art. 327 c.p.c., l'appello in questione era tardivo.
(1) A più di novant'anni dalla sua entrata in vigore la 1. 16 febbraio 1913 n. 89, che tuttora disciplina l'ordinamento del notariato, continua a dare luogo a questioni «nuove», come può essere definita quella che ha formato oggetto della decisione in rassegna, con cui per la prima volta è stata affrontata ex professo: se per l'impugnazione delle senten ze pronunciate nei procedimenti disciplinari a carico di notai, che non siano state notificate, si debba rispettare il termine di un anno dalla
pubblicazione del provvedimento, stabilito a pena di decadenza dal l'art. 327 c.p.c. In precedenza, con Cass. 25 marzo 1980, n. 2001, Foro
it., 1981, I, 1407, lo si era implicitamente presupposto (essendo venuta in discussione esclusivamente la necessità che entro l'anno il ricorso
per cassazione venga non solo notificato, ma anche depositato nella cancelleria della corte), mentre ora è stata data al quesito un'argomen tata risposta affermativa, in base al rilievo che la disciplina dei proce dimenti di cui si tratta, contenuta negli art. 148457 1. cit., si chiude con il richiamo, per il «rimanente», alle «disposizioni del codice di proce dura civile riguardanti gli affari da trattarsi in camera di consiglio», tra le quali la giurisprudenza, quando si verte nel campo della giurisdizio ne «contenziosa», include anche l'art. 327 c.p.c. (v., oltre ai precedenti citati in motivazione, da ultimo, Cass. 26 marzo 2003, n. 4482, id., Mass.). Si è quindi dato per scontato — come, del resto, per quanto consta, in tutte le altre pronunce in materia — che il rinvio di cui si tratta ha natura formale, invece che recettizia, sicché deve intendersi ora riferito al codice di procedura civile attuale, anziché a quello del
1865, che non fissava alcun termine per l'impugnazione di sentenze che non fossero state notificate. Invece, con riguardo ai procedimenti disciplinari nei confronti di magistrati, si è costantemente ritenuto che
l'analogo rinvio al codice di procedura penale, contenuto negli art. 32 e 34 r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, non ha carattere «mobile» e che
dunque deve continuare ad essere applicato il codice del 1930, anziché
quello del 1989 (v., tra le più recenti, Cass. 19 novembre 2002, n.
16264, id., Mass., 1205). Per la manifesta infondatezza — ribadita con la sentenza in rassegna
— della questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c., in ri ferimento all'art. 24 Cost., v., oltre ai precedenti citati in motivazione, da ultimo, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. 30 luglio 2002, n.
11264, ibid., 848, e, in quella costituzionale, Corte cost., ord. 26 marzo
1991, n. 129, id., Rep. 1991, voce Impugnazioni civili, n. 35. Sulle varie particolarità che caratterizzano i procedimenti disciplinari
a carico di notai, v. le note a Cass. 3 febbraio 1999, n. 908, id., 1999,1, 1863, e 5 aprile 2002, n. 4903, id., 2003,1, 1226.
Tra tali particolarità è compresa la qualità di litisconsorte necessario, riconosciuta da Cass. 25 luglio 2002, n. 10880, e 26 giugno 2002, n.
9328, id., 2002, I, 3022, al consiglio notarile, che però dallo svolgi mento del processo, quale è esposto nella sentenza in rassegna, non ri sulta aver partecipato al giudizio.
Per la configurabilità come illecito disciplinare dell'annotazione di atti in repertori non ancora vidimati, che costituiva la violazione adde bitata nella specie all'incolpato, v. Cass. 13 ottobre 2000, n. 13666, id., 2001,1,103.
Il Foro Italiano — 2003.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Alessi Giuseppe. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso
il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 360, nn. 4 e
5, c.p.c., in riferimento agli art. 156, 161 e 132, n. 4, c.p.c., per omessa e contraddittoria motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la vio
lazione e falsa applicazione di legge ex art. 156, 1° comma, 1.
89/13, in riferimento agli art. 154, 2° comma, 155, 2° comma, 157 1. not.; 273, 2° comma, r.d. 10 settembre 1914 n. 1326, ed
art. 327 c.p.c. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la viola
zione e falsa applicazione dell'art. 156, 1° comma, 1. 89/13, in
riferimento agli art. 12, 14 e 15 r.d. 262/42. Secondo il ricorrente il termine decadenziale per la proposi
zione dell'appello previsto dall'art. 327 c.p.c. non si applica al
procedimento disciplinare notarile, attesa la sua incompatibilità con lo specifico disposto dell'art. 155 1. not., che prevede un
solo termine per l'impugnazione, decorrente esclusivamente
dalla notifica della sentenza, da effettuarsi esclusivamente nei
modi previsti dall'art. 273 del regolamento. Inoltre secondo il ricorrente il rinvio operato dall'art. 157 1.
not. alle norme del codice di procedura civile, attiene esclusi
vamente alle ipotesi non espressamente contemplate dalla legge notarile, tra le quali non rientra il termine per l'impugnazione,
espressamente disciplinato dall'art. 156 1. not.
Assume il ricorrente che, poiché la legge notarile rappresenta un diritto eccezionale e singolare, non è possibile un'interpreta zione analogica delle norme del codice di rito, mentre le norme
fissate per il procedimento disciplinare notarile, si pongono in
rapporto di specialità rispetto alle norme del codice civile.
2. - Ritiene questa corte che i suddetti motivi, essendo stret
tamente connessi, vadano esaminati congiuntamente. Essi sono infondati e vanno rigettati. Ritiene questa corte che, in tema di procedimento disciplinare
notarile, la disposizione di cui all'art. 155, 2° comma, 1. 89/13, che fissa il termine di trenta giorni per la proposizione dell'ap
pello avverso la sentenza emessa dal tribunale in camera di con
siglio, decorrenti dalla data di notificazione della sentenza, da
effettuarsi a norma dell'art. 273 r.d. 10 settembre 1914 n. 1326, non esclude l'applicazione dell'art. 327 c.p.c., che stabilisce
che, indipendentemente dalla notificazione, l'impugnazione non
possa proporsi decorso un anno dalla pubblicazione della sen
tenza.
3.1. - Osserva preliminarmente questa corte che l'art. 157 1.
not. espressamente dispone che «sono nel rimanente applicabili ai procedimenti di cui al presente capo, le disposizioni del codi
ce di procedura civile riguardanti gli affari da trattarsi in camera
di consiglio». Ne consegue che sotto questo primo profilo sono irrilevanti le
censure mosse dal ricorrente, secondo cui data la natura speciale del procedimento disciplinare notarile, non sarebbero applicabili le norme del codice di procedura civile.
Proprio il richiamo espresso effettuato dall'art. 157 c.p.c. alle
norme del codice di rito, comporta che esse non sono applicabili solo nelle ipotesi d'incompatibilità, per essere la questione spe cificamente regolata dalla norma notarile, che sulla stessa si po ne come norma speciale, rispetto alla norma generale.
Nella fattispecie l'art. 155, 2° comma, 1. not. e l'art. 156, 1°
comma, 1. not., si limitano a regolare esclusivamente il termine breve d'impugnazione e le relative modalità, in questo senso
ponendosi come norme speciali rispetto a quanto diversamente
statuito dall'art. 325 c.p.c. 3.2. - Né può ritenersi, come sostiene il ricorrente, che il rin
vio alle norme del codice di procedura civile attenga esclusiva
mente alle sole norme regolanti il procedimento in camera di
consiglio. Detta interpretazione restrittiva, anzitutto, non trova riscontro
nella legge, che invece dispone che tutte le norme del codice di
rito vigente, applicabili agli affari da trattarsi in camera di con siglio, sono applicabili anche al procedimento disciplinare nota
rile (salvo ovviamente deroga della norma speciale). 3.3. - Inoltre detta interpretazione restrittiva si pone in contra
sto irresolubile con la posizione difensiva assunta dal ricorrente.
Infatti nella fattispecie la sentenza del tribunale fu notificata a
mani proprie dell'Alessi il 30 aprile 1999 ed il ricorrente, che propose appello solo il 15 dicembre 2000 (cioè dopo circa venti
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2047 PARTE PRIMA 2048
mesi), ritenne l'invalidità di detta notifica, perché non effettuata
presso il domicilio eletto presso il difensore.
Se si sostenesse, con il ricorrente, l'inapplicabilità delle nor
me del codice di rito al procedimento disciplinare in questione, ne conseguirebbe anche l'inapplicabilità dell'art. 285 c.p.c., che
espressamente prevede che la notifica della sentenza, al fine
della decorrenza del termine per l'impugnazione, va effettuata
su istanza di parte a norma dell'art. 170 c.p.c. e cioè presso il
procuratore costituito.
In questo caso l'appello sarebbe stato inammissibile.
Infatti l'invocata assoluta autonomia dell'art. 155 1. not. ri
spetto alle norme del codice di procedura civile, ad eccezione di
quelle che regolano lo svolgimento del procedimento interno
della camera di consiglio (segnatamente l'art. 738 c.p.c.), com
porterebbe che, non essendo specificato dall'art. 155 1. not. in
derogabilmente il soggetto destinatario della notifica della sen
tenza nella persona del difensore costituito (come invece avvie
ne con l'art. 285 c.p.c.), la notifica effettuata a mani proprie del
notaio, sottoposto al procedimento disciplinare, sarebbe idonea
a far decorrere il termine di trenta giorni per proporre l'appello a norma dell'art. 155 1. not., con la conseguenza che nella fatti
specie, essendo stata notificata la sentenza nelle mani del notaio
il 30 aprile 1999 ed essendo stato proposto l'appello solo il 15
dicembre 2000, l'appello sarebbe stato intempestivo. 3.4. - Sennonché la corte d'appello correttamente ha ritenuto
priva di ogni effetto detta notifica della sentenza effettuata nelle
mani del notaio, che era costituito in giudizio tramite un difen
sore, presso il quale era domiciliato.
Infatti, qui non è questione di violazione delle norme attinenti
alla notifica presso il domicilio eletto, essendo stata la notifica
effettuata a mani proprie, ma di violazione della norma di cui
all'art. 285 c.p.c., che individua come unico destinatario della
notifica della sentenza, ai fini della decorrenza del termine bre
ve, il difensore costituito (cfr. Cass. 23 maggio 1992, n. 6186,
Foro it., Rep. 1992, voce Impugnazioni civili, n. 19). Sennonché non può contemporaneamente il ricorrente Alessi
da una parte giovarsi delle norme del codice di rito, ai fini del
l'individuazione del soggetto destinatario della notifica della
sentenza, per gli effetti della decorrenza del termine d'impugna zione, e, quindi, per questa via sfuggire ad una dichiarazione di
inammissibilità dell'appello per intempestività, e nel contempo ritenere che dette norme non siano applicabili al di fuori del
procedimento interno alla camera di consiglio. 4. - Rimane il problema relativo al punto se il termine di cui
all'art. 327 c.p.c. sia applicabile alle sentenze emesse in camera
di consiglio. Secondo l'orientamento costante di questa corte l'art. 327
c.p.c. è applicabile anche ai provvedimenti emessi in camera di
consiglio, ove si tratti di procedimenti camerali contenziosi
(Cass. 17 maggio 1995, n. 5433, id., Rep. 1995, voce Matrimo
nio, n. 177; 20 dicembre 1994, n. 10950, ibid., n. 179; 28 gen naio 1994, n. 869, id., Rep. 1994, voce Filiazione, n. 84).
Né può essere seguita la contraria opinione di parte minorita
ria della dottrina, che motiva l'inapplicabilità della decadenza di
cui all'art. 327 c.p.c. ai provvedimenti camerali, con il richiamo
alla natura del provvedimento impugnato in quanto insuscetti
bile di passare in giudicato. Ciò, se può essere vero per alcuni dei provvedimenti resi con
rito camerale, non lo è nel caso in questione, dove la decisione
impugnata deriva da un effettivo contenzioso, ha natura di sen
tenza ed è idonea a passare in giudicato. 5. - Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la
violazione e falsa applicazione di legge ex art. 156, 1° comma, 1. 89/13, in riferimento agli art. 153, 154, 2° comma, 155, 2° comma, 157 1. not., 273 r.d. 1326/14 e 24 Cost.
Secondo il ricorrente la mancata notificazione della sentenza
al domicilio eletto ed al difensore costituirebbe una violazione
del diritto di difesa, di cui all'art. 24 Cost., ove si ritenga che, pur in assenza di questa notifica, decorra il termine, ai fini del
l'impugnazione delle sentenze emesse nel procedimento disci
plinare notarile.
6. - Ritiene questa corte che il suddetto motivo si risolve in
una questione di legittimità costituzionale delle norme indicate.
Essa è manifestamente infondata, riproponendo, sia pure con ri
ferimento all'interpretazione giurisprudenziale degli art. 153, 154 e 155 1. not. (e quindi al c.d. diritto vivente, che ne ritiene la
coesistenza con le norme del codice di rito e, per quanto qui in
II Foro Italiano — 2003.
teressa, con l'art. 327 c.p.c.), le eccezioni d'illegittimità costitu
zionale, avanzate nei confronti dell'art. 327 c.p.c. e già ritenute
manifestamente infondate da questa corte.
Va infatti condiviso, anche con riferimento al procedimento
disciplinare notarile, l'orientamento di questa corte che esclude
ogni profilo di contrasto fra gli art. 24 e 3 Cost, e la norma di
cui all'art. 327 c.p.c., secondo cui il termine annuale di impu
gnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, anziché
dall'avviso di comunicazione o dalla notifica della stessa. Deve
infatti ritenersi, quanto al primo profilo di supposta illegittimità costituzionale, che — anche alla luce delle indicazioni della
sentenza n. 584 del 1990 della Corte costituzionale (id., 1991,1,
2665) — una diversa disciplina dei termini in argomento scon
volgerebbe il sistema delle impugnazioni nel quale la decorren
za fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del
principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa
giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della
sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a
quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non
solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo ma re
stringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termi
ne lungo d'impugnazione alle parti costituite in giudizio alle
quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio a norma del
l'art. 133 c.p.c. (Cass. 26 settembre 1998, n. 9665, id., Rep.
1998, voce Impugnazioni civili, n. 64; 26 settembre 1996, n.
8513, id., Rep. 1996, voce cit., n. 36; 20 dicembre 1994, n. 10963, id., Rep. 1995, voce cit., n. 52).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 22
aprile 2003, n. 6419; Pres. Favara, Est. Cicala, P.M. Gam
bardella (conci, conf.); Min. finanze e Ufficio Iva di Milano
c. Comune di Corbetta. Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 1°
ottobre 1998 e decide nel merito.
Valore aggiunto (imposta sul) — Consumatore finale —
Rimborso — Legittimazione passiva del cedente (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul
valore aggiunto, art. 17, 18).
Il consumatore finale che abbia corrisposto l'Iva sui beni ac
quistati in misura superiore al dovuto può agire per il rim
borso esclusivamente contro il venditore e non anche contro
l'amministrazione finanziaria. ( 1 )
(1) La Suprema corte ribadisce, in tema di imposta sul valore ag giunto, l'estraneità al rapporto tributario del consumatore finale cui sia stata addebitata l'imposta a titolo di rivalsa.
Siffatta estraneità è affermata, per escludere la legittimazione a ri chiedere direttamente all'erario l'imposta pagata in eccesso al cedente, da Cass. 5 maggio 2003, n. 6778, Foro it., Mass.; 27 giugno 2001, n.
8783, id.. Rep. 2001, voce Valore aggiunto (imposta), n. 424, e Corrie re giur., 2001, 1314, con nota di Cicala; sez. un. 7 novembre 2000, n.
1147/SU, Foro it., Rep. 2000, voce Tributi in genere, n. 1476; sez. un. 13 dicembre 1991, n. 13446, id., Rep. 1992, voce Valore aggiunto (im
posta), n. 336; 22 novembre 1991, n. 12590, ibid., n. 337. La sentenza in epigrafe assume peraltro l'esistenza di un contrasto
all'interno della giurisprudenza della Cassazione in conseguenza di
Cass., sez. un., 14 maggio 2001, n. 208/SU, id., Rep. 2001, voce Tributi in genere, n. 1586, e Corriere trib., 2001, 2348, con nota di Comelli, che avrebbe riconosciuto al consumatore la legittimazione a richiedere all'amministrazione finanziaria il rimborso dell'Iva asseritamente non dovuta versata al fornitore.
Va però osservato che quest'ultima sentenza risulta essersi diretta mente pronunciata solo sull'individuazione del giudice avente giuris dizione sulla domanda di rimborso del cessionario del bene gravato di
Iva; nell'affermare che questo deve essere identificato nel giudice ordi nario (e non nella commissione tributaria), le sezioni unite hanno poi precisato che a quest'ultimo tocca stabilire se la domanda stessa «possa essere proposta, oltre che nei confronti del diretto cedente, anche nei confronti dell'amministrazione finanziaria». [M. Annecchino]
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