sezione III civile; sentenza 26 febbraio 1998, n. 2127; Pres. Giuliano, Est. Lucentini, P.M.Cafiero (concl. conf.); Masera (Avv. Benucci, Strada) c. Soc. Icmesa (Avv. Sigillò, Broggini,Lenski). Conferma App. Milano 13 gennaio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1877/1878-1879/1880Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192648 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
za, le stesse ragioni di tutela devono intendersi operanti anche
quando la cessazione della occupazione de facto avvenga per effetto dell'acquisto, da parte del conduttore, del bene già og
getto di locazione.
Né rileva, in senso contrario, la capacità patrimoniale del sog
getto, così dimostrata: a parte, infatti, la circostanza che lo stesso
può addivenire all'acquisto anche mediante ricorso al credito — come nella specie afferma il ricorrente —, è comunque deci
siva la circostanza che detta capacità non rileva neppure per
gli altri modi di cessazione della occupazione de facto, espressa mente considerati dal legislatore.
Nel bilanciamento degli interessi in conflitto detto acquisto
può essere semmai valutato, in relazione alla citata sentenza
149/92 Cost., ai fini della prova della sussistenza o meno di
difficoltà a reperire altro idoneo immobile: profilo, questo, co
me detto, peraltro precluso al giudice del rinvio.
5. - Accolti, per quanto sopra esposto, i primi tre e l'ultimo
motivo di ricorso, in relazione ad essi la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in altra sezione dello stesso Tribunale di Roma.
Il quale riesaminerà il materiale probatorio, attenendosi ai
criteri sopra enunciati, e, accertata, alla stregua delle già acqui site risultanze processuali, la causale del versamento eseguito dal Mazzetti il 24 luglio 1989, ne verificherà la validità con rife
rimento al menzionato art. 2, con l'alternativa conseguenza che, ove riterrà che la somma venne erogata per la causale risultante
dalle quietanze, ne dichiarerà l'illegittimità per la parte ecceden
te il limite del venticinque per cento del canone convenzionale,
previsto dallo stesso art. 2, e che, ove confermerà invece che
il versamento venne effettuato a titolo di risarcimento del mag
gior danno ex art. 1591 c.c., ne pronuncerà la totale illegittimi
tà, adottando quindi la conseguente — parziale o totale — pro nuncia restitutoria.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 26 feb
braio 1998, n. 2127; Pres. Giuliano, Est. Lucentini, P.M.
Cafiero (conci, conf.); Masera (Avv. Benucci, Strada) c.
Soc. Icmesa (Aw. Sigillò, Broggini, Lenski). Conferma App. Milano 13 gennaio 1995.
Giudizio (rapporto tra il giudizio civile o amministrativo e il
penale) e pregiudizialità penale — Condanna generica al ri
sarcimento del danno contenuta in sentenza penale — Rile
vanza nel giudizio civile di quantificazione — Limiti — Ulte
riori affermazioni nel giudicato penale — Rilevanza — Esclu
sione (Cod. civ., art. 2043, 2050; cod. proc. pen. del 1930, art. 27; 1. 8 luglio 1996 n. 349, istituzione del ministero del
l'ambiente e norme, in materia di danno ambientale, art. 18).
Posto che la condanna generica al risarcimento del danno con
tenuta in una sentenza penale non esige alcuna verifica in
ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ma po stula soltanto l'accertamento della potenzialità lesiva del fat to dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità
tra questo e il pregiudizio lamentato, restando salva nel suc
cessivo giudizio civile di liquidazione del quantum la possibi lità di ritrattare l'esistenza stessa di un danno unito eziologi camente con il fatto illecito, ne consegue che ogni ulteriore
affermazione contenuta nella sentenza penale, relativa alla con
creta esistenza del danno e all'entità dello stesso, perché non
funzionale alla pronuncia, non può attingere a dignità di giu
dicato, incombendo così sul danneggiato l'onere di provare, nel giudizio civile di liquidazione del quantum, l'esistenza del
nesso di causalità tra l'evento e il danno. (1)
(1) Con la presente pronuncia (anche in Danno e resp., 1998, 336, con nota di V. Carbone, Gli effetti perversi, ma irrisarcibili della dios
sina), la Suprema corte aderisce al tralatizio orientamento tracciato dal
li, Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata in data
16 novembre 1987 Giorgio Masera, sua moglie Milena Masche
roni ed i loro figli Marco e Gloria Masera — premesso che
la s.a.s. Masera-distilleria liquori e fabbrica di bìbite gassate, con sede in Seveso, era stata dichiarata fallita il 7 luglio 1977, recando seco il fallimento personale del primo, che ne era socio
accomandatario, con conseguenze gravissime per l'intera fami
glia — esponevano che il fallimento era stato determinato dalla
fuoriuscita di diossina dallo stabilimento della Icmesa s.p.a. av
venuta il 10 luglio 1976, secondo quanto aveva accertato la Corte
d'appello di Milano con sentenza penale irrevocabile, ove la
Icmesa, quale responsabile civile, era stata condannata a risar
la giurisprudenza di legittimità circa i limiti spiegati dal giudicato pena le — contenente la condanna generica al risarcimento dei danni — nel successivo giudizio civile di liquidazione del quantum. È pacifico, infat
ti, che la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno
per fatto illecito, avendo come contenuto una mera declaratoria iuris, integra un accertamento di potenziale idoneità del fatto illecito a pro durre conseguenze dannose o pregiudizievoli, a prescindere da ogni ri scontro non solo sulla misura ma anche sulla sussistenza del danno, essendo riservata al giudice della liquidazione ogni ulteriore indagine. Ne consegue che ogni «ulteriore accertamento» relativo alla concreta sussistenza del danno e alla sua quantificazione, in quanto non funzio nale alla pronuncia, non può attingere alla dignità di giudicato, trattan dosi di un giudizio, quello penale, diretto ad accertare la responsabilità del condannato, la illiceità del fatto, non già la dannosità dello stesso
(nel caso di specie, il giudice penale non si era limitato ad accertare la mera potenzialità dannosa dell'illecito, ma aveva espressamente rico nosciuto la sussistenza del rapporto causale, con la conseguenza che il giudice del merito, a giudizio del danneggiato, avrebbe dovuto limi tarsi ad accertare l'entità dei danni derivati dal fallimento senza metter li in discussione. Ma così non è stato). Vista la copiosità delle pronunce in subiecta materia, si veda a titolo esemplificativo: Cass. 8 novembre
1994, n. 9261, Foro it., Rep. 1994, voce Sentenza civile, n. 15; 31 mar zo 1994, Pinizzotto, id., Rep. 1995, voce Ambiente (tutela dell'), n.
103; 19 gennaio 1993, Bonaga, id., Rep. 1993, voce Sentenza penale, n. 73; 11 aprile 1989, Pirrone, id., Rep. 1990, voce cit., n. 81; 23 aprile 1986, n. 2859, id., 1986, I, 1533, con nota di A. Proto Pisani; 5 giu gno 1985, n. 3356, in motivazione, id., 1985, I, 2239, con nota di R. Pardolesi.
Ma v'è di più. Alla stregua dell'indirizzo giurisprudenziale testé rife
rito, nel successivo giudizio di liquidazione del danno il danneggiato ha l'obbligo di fornire la prova del nesso causale tra il reato accertato nel giudicato penale e le conseguenze subite. Anzi, i giudici di legittimi tà (Cass. 8 marzo 1991, n. 2459, id., Rep. 1991, voce Giudizio (rappor to), n. 36, e Arch, civ., 1991, 679) precisano che la pronuncia di con danna generica al risarcimento dei danni, emessa in un giudizio penale, non importa la preclusione alla deduzione, nel successivo giudizio di
liquidazione del quantum, di nuovi profili di danno non contemplati (ma neppure esclusi) nel giudicato penale, bastando a tal fine provare il nesso di causalità tra il fatto illecito già accertato e le conseguenze dannose lamentate, anche se queste si siano verificate successivamente alla sentenza (art. 27, 2° comma, c.p.p. abrogato).
Impostata esclusivamente sul profilo del pregiudizio patrimoniale, esclu dendo in tato il danno ambientale prodotto dalla nube di tetroclorodi benzodiossina (nota come diossina), all'imprenditore di Seveso non po teva toccare miglior sorte, vista soprattutto la netta chiusura mostrata dalla Corte di legittimità — nel liquidare il danno morale — nelle due note vicende processuali che hanno visto «l'una contro l'altro armati» i cittadini del piccolo centro lombardo e l'Icmesa (Cass. 20 giugno 1997, n. 5530, Foro it., 1997, I, 2068, con nota di A. Palmieri, nonché Dan no e resp., 1997, 711, con nota di B. Pozzo, Danno ambientale e dan no morale: ultimo atto-, 24 maggio 1997, n. 4631, Foro it., Mass., 438, e Corriere giur., 1997, 1172, con nota di G. De Marzo, Danno morale e reati di pericolo: il caso Icmesa). In questa occasione, infatti, il Su
premo collegio, in linea con i principi guida tracciati dai giudici delle
leggi (ord. 22 luglio 1996, n. 293, Foro it., 1996, I, 2963; sent. 17 feb braio 1994, n. 37, id., 1994, I, 1326, con note di D. Poletti, L'azione di regresso previdenziale, il danno morale e il nuovo diritto «vivente», e di C. Castronovo, Danno alla salute e infortuni. La Corte costituzio nale e i diritti secondi, id., 1995, I, 84; 14 luglio 1986, n. 184, id.,
1986, I, 2053, con note di Ponzanelli, La Corte costituzionale, il dan no patrimoniale e il danno alla salute, e di P. G. Monateri, La Costi
tuzione ed il diritto privato: il caso dell'art. 32 Cost, e del danno biolo
gico («Staatsrecht vergeht, Privatrecht besteht»), ibid., 2976), ha riba dito l'assunto secondo cui il danno morale soggettivo, inteso quale transeunte turbamento psicologico, è, al pari, del danno patrimoniale in senso stretto, danno-conseguenza, indennizzabile solo ove «derivi co me conseguenza ulteriore del danno biologico». Pertanto, nel caso di
compromissione della salubrità ambientale a seguito di disastro colpo so, occorso per la dispersione di una sostanza altamente tossica (nella
specie, diossina), il danno morale subito dalla popolazione non è risar
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1879 PARTE PRIMA 1880
ciré loro i danni provocati, da liquidare in separato giudizio.
Pertanto, la convenivano davanti al Tribunale di Monza, per sentirne disporre la liquidazione.
Radicatosi il contraddittorio, l'adito tribunale accoglieva le
domande, le quali però, su appello dell'Icmesa, erano respinte dalla Corte d'appello di Milano. Motivava all'uopo la corte ter
ritoriale (nel limite di rilevanza segnato dai motivi di ricorso)
che, contrariamente a quanto aveva ritenuto il giudice di prime
cure, la prova del nesso di causalità fra il comportamento del
l'Icmesa e il fallimento non poteva trarsi ex art. 27 c.p.p. dalla
sentenza penale — nella parte in cui i dipendenti dell'Icmesa,
quali imputati di disastro colposo, e la stessa Icmesa, quale re
sponsabile civile, erano stati definitivamente condannati al ri
sarcimento dei danni, da liquidare in separato giudizio —, dato
che, ai fini d'una simile declaratoria, occorre soltanto accertare
la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e la probabile esistenza del nesso di causalità con il pregiudizio lamentato, co
me peraltro aveva deciso la Corte di cassazione giudicando sulle
impugnazioni proposte dalla società e dagli imputati su questo
capo della sentenza. Ciò detto — soggiungeva la corte milanese — le prove acquisite in atti (specificamente esaminate) dimo
stravano che il fallimento era stato dichiarato per ragioni indi
pendenti dall'evento di cui sopra. Per la cassazione della sentenza Giorgio Masera ha proposto
ricorso sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l'in
timata.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunziando
violazione e falsa applicazione degli art. 27, 28, 477 c.p.p., con
seguente violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art.
360, n. 3, c.p.c.), il ricorrente deduce che dal giudicato penale relativo alla vicenda in questione sarebbero coperti ex art. 27
c.p.p. non solo «i fatti accertati positivamente», ma anche l'esi
stenza del nesso eziologico tra di essi ed il pregiudizio subito
dal Masera, rappresentato dal fallimento, dal momento che il
giudice d'appello, in sede penale — pur dando atto che, ai fini
d'una condanna generica al risarcimento, è sufficiente l'accerta
mento di un fatto potenzialmente dannoso —, aveva affermato
che quel nesso era documentalmente provato in base alla certi
ficazione resa dal sindaco di Meda, secondo la quale «il Mase
ra, titolare dell'omonima distilleria, ha subito gravi danni a se
guito della fuoriuscita della nube tossica». In altri termini, il
giudice penale non si era limitato a ritenere che l'evento de quo, in quanto potenzialmente dannoso, potesse avere inciso sull'at
tività aziendale, ma aveva invece espressamente riconosciuto la
concreta esistenza del rapporto causale. In quest'ottica, il giudi ce del merito, in sede civile, avrebbe dovuto limitarsi ad accer
tare l'entità dei danni attinenti al fallimento.
Con il secondo motivo, denunziando contraddittoria ed erro
nea motivazione su punto decisivo della controversia, violazio
ne dell'art. 360, n. 5, c.p.c., il medesimo ricorrente deduce che
aveva errato il giudice d'appello nel ritenere che il tribunale,
cibile, perché non è consequenziale ad una menomazione psico-fisica o ad altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale.
In una prospettiva diversa, decisamente rivoluzionaria, si pone sem
pre in materia di risarcimento per danno ambientale, Cass. 1° settem bre 1995, n. 9211, id., Rep. 1995, voce Ambiente (tutela dell'), n. 95, e Giust. civ., 1996, 777, con nota di F. Giampietro. I giudici di legitti mità, relativamente all'azione di risarcimento, promossa da un comune a norma dell'art. 18 1. 8 luglio 1986 n. 349, hanno tracciato un 'distin
guo', sotto il profilo probatorio, tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata o a posizioni soggettive individuali, tutelabili secon do il regime tradizionale della responsabilità per danno ai terzi (art. 2043, 2050), e danno all'ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambien tale, comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente in sé considera to (art. 18, 1° comma). In dottrina, tra i più recenti contributi, v. B. Pozzo, Quantificazione del risarcimento e assicurabilità del rischio: no ta a margine del caso «Haven», in Danno e resp., 1997, 296; Id., Dan no ambientale e imputazione della responsabilità. Esperienze giuridiche a confronto, Milano, 1996; A. Somma, La valutazione del danno am bientale, in Alpa e Bessone, La responsabilità civile (aggiornamento), in Giur. sist. dir. comm. fondata da Bigiavi, Torino, 1997, I, 513; Id., La valutazione del danno ambientale: rilevanza pubblica della le sione e categorie civilistiche, in Contratto e impr., 1995, 524; S. T. Ma succi, Tutela dell'ambiente: le ragioni (e i principi) di un testo unico, in Riv. critica dir. privato, 1996, 377.
Il Foro Italiano — 1998.
che pur aveva accolto la domanda, avesse ritenuto l'insufficien
za della statuizione in punto di nesso di causalità, tanto da con
siderare le prove acquisite sul punto: che, in realtà, il loro esa
me era stato funzionale all'accertamento e alla quantificazione dei danni dedotti in causa.
Le due censure debbono essere esaminate congiuntamente, at
tenendo alla medesima questione relativa al preteso giudicato, formatosi nel giudizio penale, sul rapporto eziologico tra il fatto
reato ivi accertato e il danno reclamato dal ricorrente.
Osserva il collegio. Secondo un pacifico orientamento giuris
prudenziale, la condanna generica al risarcimento dei danni, con
tenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice riconosca che la parte civile vi ha diritto, non esige alcun accer
tamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibi
le, ma postula soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso
di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restan
do nel giudizio di liquidazione del quantum la possibilità di esclu
sione dell'esistenza stessa di un danno unito da rapporto eziolo
gico con il fatto illecito (in questo senso, Cass. 8 novembre
1994, n. 9261, Foro it., Rep. 1994, voce Sentenza civile, n. 15; 19 gennaio 1993, Bonaga, id., Rep. 1993, voce Sentenza penale, n. 73; sez. I 28 febbraio 1992, Simbula, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 61; 8 marzo 1991, n. 2459, id., Rep. 1991, voce Giudi
zio (rapporto), n. 36). In applicazione di tale principio, meritevole di totale adesione
(ed ovviamente estensibile al caso della sentenza di condanna
generica pronunciata in sede civile), si deve pertanto ritenere
che non incorse in errore la corte territoriale allorché affermò
che nel giudizio civile di liquidazione il Masera avrebbe dovuto
fornire la prova del nesso di causalità tra il reato di disastro
colposo, del quale erano imputati taluni dipendenti della Icme
sa, poi condannati, ed il fallimento della società (onde, essa
prova non essendo stata fornita, il rigetto delle domande).
Conseguenzialmente, è vano richiamarsi dal Masera il giudi cato penale ex art. 27 c.p.p. previgente, il quale coprirebbe con la sua autorità il nesso di causalità, alla stregua dell'accerta mento compiuto dal giudice penale (nei seguenti termini: «il
nesso eziologico è documentalmente provato in base alla dichia
razione del sindaco di Meda, che certifica che 'il Masera, titola
re dell'omonima distilleria, ha subito gravi danni a seguito della
fuoriuscita della nube tossica': prova integrata dal fatto obietti
vo dell'evacuazione della zona, disposta con ordinanza dell'au
torità amministrativa, e dalla relazione della giunta provinciale ove si riconosce che 'la diossina ha reso difficile la vita alle
aziende di media misura'»). L'insussistenza del giudicato, del resto, era stata già accerta
ta, nello stesso procedimento penale di cui trattasi, dalla Corte di cassazione, la quale respinse le impugnazioni proposte dagli imputati e dall' Icmesa avverso il capo relativo agli interessi civi li proprio in riferimento al principio sopra enunciato (secondo quanto si rileva dall'impugnata decisione).
In definitiva, l'accertamento compiuto dalla Corte d'appello di Milano, in sede penale, circa la sussistenza del rapporto cau sale fra reato e fatto dannoso non può considerarsi irretrattabi le in forza di giudicato, non costituendo, secondo le note regole in materia, un presupposto logico-giuridico della declaratoria iuris che sostanzia la condanna generica ai danni.
Appena rilevato che proprio in questi termini si è recente mente espressa, ancora una volta, la Corte di cassazione (con la citata sentenza 9261/94, ove si puntualizza che «ogni ulterio re affermazione in merito contenuta nella motivazione della sen tenza penale — ed in particolare quella relativa alla concreta sussistenza e all'entità del danno, in quanto non funzionale alla
pronuncia — non può attingere, con riferimento a quel deter minato dispositivo, alla dignità di giudicato»), non resta che
rigettare i due mezzi d'annullamento. (Omissis)
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