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sezione III civile; sentenza 27 giugno 2002, n. 9348; Pres. Fiduccia, Est. Perconte Licatese, P.M....

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sezione III civile; sentenza 27 giugno 2002, n. 9348; Pres. Fiduccia, Est. Perconte Licatese, P.M. Giacalone (concl. diff.); Biancolillo (Avv. Gius. Pezzano) c. Comune di Cerignola (Avv. Carbone). Cassa App. Bari 27 ottobre 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2633/2634-2635/2636 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196832 . Accessed: 24/06/2014 23:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.86 on Tue, 24 Jun 2014 23:34:57 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 27 giugno 2002, n. 9348; Pres. Fiduccia, Est. Perconte Licatese, P.M.Giacalone (concl. diff.); Biancolillo (Avv. Gius. Pezzano) c. Comune di Cerignola (Avv. Carbone).Cassa App. Bari 27 ottobre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2633/2634-2635/2636Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196832 .

Accessed: 24/06/2014 23:34

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Un primo orientamento afferma che il provvedimento del

giudice delegato il quale, esorbitando dai propri poteri, pronunci con decreto in luogo del collegio su un'opposizione allo stato

passivo deve considerarsi un atto giuridicamente inesistente per carenza assoluta di potere ad emetterlo e, non essendo idoneo in

quanto tale a produrre gli effetti del giudicato sostanziale, può essere rimosso solo con la proposizione di un'azione di nullità

(.querela nullitatis), e cioè con un'ordinaria azione di annulla

mento esercitabile senza limiti di tempo. Con puntuale riferi

mento ad una fattispecie in cui il giudice delegato, dato atto del

l'opposizione del curatore a una domanda tardiva di ammissione

al passivo di un credito in via privilegiata, aveva provveduto con decreto alla sua ammissione in via chirografaria, senza

provvedere all'istruzione della causa e disponendo la cancella

zione della causa dal ruolo, il provvedimento è stato ritenuto

abnorme e suscettibile di rimozione solo con la querela nullita

tis proponibile dinanzi allo stesso giudice ovvero al giudice del

reclamo (Cass. 20 novembre 1996, n. 10153, Foro it., Rep.

1997, voce Fallimento, n. 608). Altre pronunce hanno ritenuto proponibile il rimedio dell'op

posizione allo stato passivo (Cass. 10 maggio 1978, n. 2266, id.,

1978, I, 2191) o il reclamo al tribunale fallimentare ex art. 26 1.

fall. (Cass. 28 settembre 1979, n. 5000, id., Rep. 1979, voce cit., n. 480; 21 settembre 1993, n. 9633, id., Rep. 1994, voce cit., n.

556). Tuttavia gli orientamenti largamente predominanti, che si

contrappongono con maggiore frequenza nella giurisprudenza di

questa corte, sono quelli che ritengono impugnabile il provve dimento del giudice delegato con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost, in considerazione della sua natura

di provvedimento decisorio potenzialmente definitivo su diritti

soggettivi privo di uno specifico mezzo di impugnazione per il

suo carattere abnorme (Cass. 28 marzo 1990, n. 2536, id., Rep.

1990, voce cit., n. 523; 30 maggio 1997, n. 4868, id., Rep. 1997, I, 2461; 19 novembre 1997, n. 11497, id., 1998, 1, 453; 23 di cembre 1997, n. 13008, id., Rep. 1998, voce cit., n. 653) e

quello che attribuisce a tale provvedimento natura sostanziale di

sentenza e lo ritiene perciò suscettibile di impugnazione con

l'appello, e cioè con il rimedio normalmente esperibile contro la

sentenza che definisce la controversia sulla domanda di ammis

sione tardiva del credito al passivo fallimentare (Cass. 19 giu

gno 1995, n. 6937, id., Rep. 1996, voce cit., n. 519; 30 maggio 1997, n. 4866, id., Rep. 1997, voce cit., n. 637; 4 giugno 1997, n. 4980, ibid., n. 635; 18 giugno 1997, n. 5459, id., 1997, 1, 2874; 5 gennaio 2000, n. 55, id., 2000,1, 421).

Le molteplici soluzioni prospettate dalla giurisprudenza sono,

a ben vedere, riconducibili a due categorie fondamentali, e cioè

quella che considera il provvedimento abnorme del giudice de

legato come espressione di uno scorretto esercizio della giuris dizione e, in quanto tale, suscettibile di rimozione attraverso gli ordinari rimedi previsti dal codice di rito il cui mancato eserci

zio comporta la definitività della pronuncia negativa in ordine

alla domanda tardiva di ammissione al passivo, e quella che lo

ritiene atto non semplicemente viziato, ma del tutto inesistente

per carenza assoluta di potere giurisdizionale del giudice dele

gato e, conseguentemente, improduttivo di effetti e rimovibile

senza limiti di tempo con una mera azione di accertamento (in

tema di giuridica inesistenza di atti diversi emessi in carenza as

soluta del relativo potere in materia fallimentare, v. Cass. 14

marzo 1985, n. 1984, id., 1985, I, 2282; 8 settembre 1986, n.

5476, id., Rep. 1986, voce cit., n. 557; 6 aprile 1992, n. 4214,

id., Rep. 1992, voce cit., n. 485; 4 febbraio 1993, n. 1402, id.,

Rep. 1993, voce cit., n. 235; 20 giugno 1997, n. 5557, id.. Rep.

1998, voce cit., n. 626).

Orbene, se si esamina la disciplina dettata dalla legge falli

mentare per le dichiarazioni tardive di credito va considerato

che il giudice delegato non è investito di funzioni decisorie in

quanto, se non ritiene di accogliere la domanda, deve provvede re d'ufficio all'istruzione della causa, attesa l'impossibilità per il creditore escluso in tutto o in parte di proporre opposizione

contro uno stato passivo del quale è stata disposta la chiusura ai

sensi dell'art. 97 1. fall. Né può ritenersi il provvedimento nega

tivo del giudice delegato come sostitutivo della sentenza che

avrebbe dovuto decidere sulla esclusione del credito tardiva

mente fatto valere nei confronti del fallimento nei casi in cui al

l'esclusione possa pervenirsi senza necessità di istruzione, poi ché a ciò si oppone l'espressa riserva di collegialità sancita dal

li. Foro Italiano — 2002.

l'art. 50 bis, n. 2, c.p.c. per le cause conseguenti a dichiarazioni

tardive di crediti di cui al r.d. 16 marzo 1942 n. 267, il quale ri

badisce la netta distinzione di funzioni tra giudice istruttore e

collegio. Da ciò consegue che il decreto del giudice delegato che ri

getta la domanda di ammissione tardiva di un credito al passivo fallimentare è atto radicalmente inesistente, in quanto emesso da

un giudice privo di poteri decisori, e pertanto insuscettibile di

produrre effetti giuridici. Il giudice dinanzi al quale esso venga impugnato con uno dei

mezzi previsti dal codice di rito non può perciò pronunciare nel

merito o rimettere le parti dinanzi al primo giudice — come pu

re talora è stato ritenuto (Cass. 4 marzo 1999, n. 1816, id., 1999,

I, 3581 ) — non essendo mai stato instaurato un giudizio conten

zioso suscettibile di prosecuzione, ma deve limitarsi a dichiarare

l'inesistenza del provvedimento impugnato, restituendo le parti nella situazione in cui esse si trovavano prima della pronuncia del provvedimento dichiarato inesistente.

In conclusione la sentenza impugnata dev'essere quindi cas

sata senza rinvio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 27

giugno 2002, n. 9348; Pres. Fiduccia, Est. Perconte Licate

se, P.M. Giacalone (conci, diff.); Biancolillo (Avv. Gius. Pezzano) c. Comune di Cerignola (Avv. Carbone). Cassa

App. Bari 27 ottobre 1998.

Avvocato — Tariffa forense — Spese generali

— Rimborso

forfetario — Liquidazione d'ufficio — Esclusione (D.m. 5

ottobre 1994 n. 585, regolamento recante approvazione della

delibera del Consiglio nazionale forense in data 12 giugno

1993, che stabilisce i criteri per la determinazione degli ono

rari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati ed ai

procuratori legali per le prestazioni giudiziali, in materia ci vile e penale, e stragiudiziali, art. 15).

Il rimborso forfetario delle spese generali, dovuto ali 'avvocato

ai sensi dell'art. 15 della tariffa professionale approvata con

d.m. 5 ottobre 1994, in ragione del dieci per cento sugli ono

rari e sui diritti, non può essere liquidato d'ufficio ma solo su

domanda del legale. ( 1 )

Motivi della decisione. — (Omissis). Col quarto mezzo, de

nunciando la violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360, n. 3,

c.p.c.), il ricorrente lamenta infine che la corte abbia liquidato

(1) La statuizione più esaustivamente argomentata sul punto è stata

resa da Cass. 23 gennaio 2002, n. 738 (est. Segreto), Foro it., 2002, 1,

1556, con osservazioni di C.M. Barone, che (con riferimento all'art. 15

della tariffa professionale approvata con d.m. 24 novembre 1990, iden

tico alla corrispondente disposizione della successiva tariffa approvata con il d.m. 5 ottobre 1994, considerato nella specie) ha adottato la stes

sa soluzione propugnata nella specie dalla riportata sentenza.

Prima di quest'ultima, però, sez. Il 23 maggio 2002, n. 7527, ibid.,

2331, ancora con osservazioni di C.M. Barone, ha enunciato principio antitetico a quello ora ribadito.

E, a conferma della disinformazione e della confusione che caratte

rizzano ormai stabilmente l'approccio alla questione delle sezioni sem

plici della corte, basta evidenziare che tanto la pronuncia in rassegna

quanto la precedente contraria n. 7527 del 2002 hanno completamente

ignorato la citata Cass. n. 738 del 2002, pur trattandosi, come si è ri

cordato, della più congruamente motivata decisione finora assunta sul

tema dal Supremo collegio. L'intervento delle sezioni unite appare a questo punto urgente e in

differibile, anche perché la ricorrente emanazione di sentenze difformi

e disinformate su uno stesso circoscritto problema, oltretutto di ben li

mitata rilevanza, come quello in discussione, non giova certo alla cre

dibilità della corte. [C.M. Barone]

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2635 PARTE PRIMA 2636

alla controparte, d'ufficio, e quindi senza istanza del legale, il

rimborso forfetario sulle spese generali previsto dall'art. 15 del

la tariffa professionale.

Questo motivo è invece fondato.

La corte, nel dispositivo, ha condannato il Biancolillo a rim

borsare al comune le spese del grado, quelle per diritti e onorari

«comprensive del dieci per cento per contributo spese generali». Da ultimo, stabilisce l'art. 15 della tariffa approvata con d.m.

5 ottobre 1994 n. 585 che «all'avvocato ed al procuratore è do

vuto un rimborso forfetario delle spese generali in ragione del

dieci per cento sull'importo degli onorari e dei diritti».

In proposito ritiene il collegio di aderire all'indirizzo giuris

prudenziale maggioritario, secondo cui il rimborso in questione non può essere liquidato d'ufficio, occorrendo l'apposita do

manda del legale (Cass. 25 febbraio 1999, n. 1637, Foro it.,

Rep. 1999, voce Avvocato, n. 187; 28 agosto 1998, n. 8558, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 185; 3 novembre 1994, n. 9040, id.,

1995,1, 3213; 30 dicembre 1992, n. 13742, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 91); e nella specie una domanda siffatta non può ritenersi

proposta, contrariamente all'avviso del resistente, con la generi ca istanza di «pagamento delle spese di lite» formulata nelle

conclusioni dal comune.

Consegue all'accoglimento del motivo in esame la cassazione

senza rinvio, in parte qua, della sentenza impugnata, fermo nel

resto il regolamento delle spese in essa effettuato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 27 giugno 2002, n. 9346; Pres. Marvulli, Est. Preden, P.M.

Martone (conci, conf.); Parmentola e altra (Avv. Imperati) c.

Soc. Ras (Avv. Spadafora), Min. pubblica istruzione. Con

ferma App. Napoli 28 ottobre 1997.

Responsabilità civile — Scuola — Danno cagionato dal mi

nore a sé stesso — Responsabilità dell'istituto scolastico e

dell'insegnante — Natura contrattuale (Cod. civ., art.

1218,2048). Istruzione pubblica

— Danno cagionato dal minore a sé

stesso — Azione di risarcimento — Legittimazione passiva

dell'insegnante — Esclusione (Cod. civ., art. 1218, 2048; 1.

11 luglio 1980 n. 312, nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato, art. 61).

Nel caso di danno arrecato dall'allievo a sé stesso, la respon sabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non va ri

condotta nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, bensì in quello della responsabilità contrattuale, con conse

guente applicazione del regime probatorio desumibile dal

l'art. 1218 c.c. (1)

(1) Con la sentenza in epigrafe, le sezioni unite della Cassazione ri solvono un contrasto giurisprudenziale che riguardava anche la corte di

legittimità. 11 dubbio era rappresentato dall'applicabilità dell'art. 2048 c.c. al caso in cui l'allievo, durante l'orario scolastico, resti pregiudi cato da un fatto dannoso non imputabile direttamente ad altri minori

sottoposti alla vigilanza degli stessi precettori (c.d. danno del minore a sé stesso). L'odierna sentenza, sancendo un principio innovativo, re

spinge l'orientamento che, basandosi su un'interpretazione piuttosto svincolata dal testo della norma, la applicava al caso in parola. Si acco

glie così la diversa soluzione per cui (e qui sta l'importante novità della

pronuncia), nella circostanza descritta, sia la responsabilità della scuo

la, sia quella degli insegnanti andrebbero ricondotte nell'ambito con

trattuale, piuttosto che extracontrattuale (così già Di Ciommo, Danno «allo» scolaro e responsabilità «quasi oggettiva» della scuola, in Foro

it., 1999, I, 1575). Per tutta conseguenza, si delinea l'applicazione del

regime probatorio di cui all'art. 1218 c.c., il quale consente ai genitori rappresentanti dell'allievo danneggiato, al pari di quanto accadrebbe nel caso si applicasse l'art. 2048, di agire per il risarcimento verso gli

Il Foro Italiano — 2002.

La legittimazione passiva dell'insegnante, ai sensi dell'art. 61

I. 312/80, è esclusa (in quanto essa spetta al ministero com

petente) non solo nel caso di azione di risarcimento per danni

arrecati, durante l'orario scolastico, da un alunno ad un al

tro alunno (azione nella quale sia invocata la presunzione di

cui all'art. 2048 c.c.), ma anche nell'ipotesi di danni arrecati

dal! 'allievo a sé stesso (ipotesi da far valere secondo i prin

cipi della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.). (2)

insegnanti, limitandosi a provare che il minore ha subito il danno men tre era sottoposto alla loro vigilanza.

Per i necessari approfondimenti, si rinvia alla nota di F. Di Gommo che segue.

(2) Il principio massimato, nella parte relativa all'applicazione del

l'art. 61 1. 11 luglio 1980 n. 312, anche al caso del danno cagionato dal

minore a sé stesso, trova il suo più autorevole precedente nella sentenza delle sezioni unite, in data 11 agosto 1997, n. 7454 (Foro it., Rep. 1998, voce Istruzione pubblica, n. 493, e, per esteso, Danno e resp., 1998, 260, con nota di Rossetti, Rass. avv. Stato, 1997,1, 162, con nota di Noviello, e Resp. civ., 1998, 1074, con nota di Settesoldi) dove pe rò la corte — pur ricordando, in un obiter dictum, l'orientamento della Cassazione per cui l'art. 2048 c.c. sarebbe applicabile anche al caso di danno «al» minore — non si esprimeva sulla natura, contrattuale o ex

tracontrattuale, della responsabilità della scuola e degli insegnanti per tale fatto. Nella pronuncia in rassegna, la Suprema corte conferma il ri sultato cui era giunta nel precedente citato, precisando però che: 1 ) l'art. 61 si applica sia in caso di responsabilità contrattuale che extra contrattuale degli insegnanti; 2) in questo secondo ambito va ricondotta la responsabilità per danni che il minore si autoprocura mentre è sotto la vigilanza dei precettori.

Per un'esauriente ed aggiornata ricognizione delle questioni aperte in materia di responsabilità civile della pubblica amministrazione per ille citi commessi da propri dipendenti, v., anche per la dottrina e la giuris prudenza ivi citate, M.P. Giracca, Responsabilità civile e pubblica amministrazione: quale spazio per l'art. 2049 c.c.? (nota a Cass. 7 no vembre 2000, n. 14484, 12 agosto 2000, n. 10803, e 18 febbraio 2000, n. 1890), in Foro it., 2001,1, 3293.

* * *

La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il dan no che il minore si procura da sé: verso il ridimensionamento del l'art. 2048 c.c.

1. - Il contrasto giurisprudenziale. Vicenda giurisprudenziale com

plessa e annosa quella della disciplina giuridica del danno che il minore si autoprocura durante l'orario scolastico (per una recente e articolata ricostruzione della questione, sia consentito sin d'ora rinviare a F. Di

Ciommo, Danno «allo» scolaro e responsabilità «quasi oggettiva» delta

scuola, in Foro it., 1999, I, 1575; cui adde B. Narciso, Danno cagio nato dal minore a sé stesso o a terzi e responsabilità della scuola, in Lessico dir. famiglia, Roma, 2000, fase. 2; V. Pandolfini, Sulla re

sponsabilità dei precettori e dell'ente scolastico per il danno cagionato dall'allievo a sé medesimo, in Giur. it., 2000, 507; nonché L. Daniele, La responsabilità dell'amministrazione scolastica per i danni recati dall'alunno a sé stesso, in Riv. giur. scuola, 2000, 157; V. Di Spirito, La responsabilità del personale della scuola per gli infortuni degli alunni, in Lavoro e prev. oggi, 1998, 1934; S. Masala, Sulla applica bilità della disciplina dell'art. 2048 c.c. (relativa alla responsabilità degli insegnanti per il fatto illecito degli allievi) nel caso in cui l'allie vo procuri un danno a sé stesso, in Riv. giur. sarda, 2000, 59).

Soluzione tribolata, ma auspicata e innovativa, quella a cui le sezioni unite (dopo essersi pronunciate in maniera del tutto opposta, soltanto

cinque anni fa, in un obiter dictum della sentenza 11 agosto 1997, n.

7454, Foro it., Rep. 1998, voce Istruzione pubblica, n. 493, e, per este

so, Danno e resp., 1998, 260, con nota di M. Rossetti, Rass. avv. Stato, 1997, I, 162, con nota di G. Noviello, e Resp. civ., 1998, 1074, con nota di R. Settesoldi) pervengono con la decisione in rassegna; la

quale finalmente — è proprio il caso di dirlo — inaugura un orienta

mento, basato sulla responsabilità contrattuale della scuola, che fa teso ro delle indicazioni dottrinali in materia (la tesi contrattuale era stata

già propugnata in Di Ciommo, op. cit., 1577; nonché, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza «bacchettona»?, in Danno e resp., 2001,

266) e, in definitiva, appare fondato in punto di diritto e convincente in vista del risultato pratico che consente di perseguire.

Correva l'anno 1958 quando la Cassazione per la prima volta si trovò a discutere di applicabilità dell'art. 2048 c.c. al caso dell'allievo che si

procura da sé un danno. La sentenza 10 luglio 1958, n. 2485 (Foro it., Rep. 1958, voce Responsabilità civile, n. 211) affermò limpidamente che la norma in parola non può operare fuori dall'ipotesi del fatto ille cito del minore che procuri danno ad un terzo. Alla stessa conclusione è

giunta, in tempi più recenti, la sentenza della Corte d'appello di Napoli, impugnata per cassazione dall'odierno ricorrente e ora confermata dalle

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