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sezione III civile; sentenza 29 maggio 1996, n. 4993; Pres. Coco, Est. Favara, P.M. Lugaro (concl....

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sezione III civile; sentenza 29 maggio 1996, n. 4993; Pres. Coco, Est. Favara, P.M. Lugaro (concl. diff.); Soc. editoriale La Repubblica e Scalfari (Avv. Ripa Di Meana, Scardascione) c. Craxi. Conferma App. Roma 30 giugno 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2367/2368-2371/2372 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190070 . Accessed: 25/06/2014 03:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 03:45:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 29 maggio 1996, n. 4993; Pres. Coco, Est. Favara, P.M. Lugaro (concl.diff.); Soc. editoriale La Repubblica e Scalfari (Avv. Ripa Di Meana, Scardascione) c. Craxi.Conferma App. Roma 30 giugno 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2367/2368-2371/2372Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190070 .

Accessed: 25/06/2014 03:45

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2367 PARTE PRIMA 2368

testo novellato) configura un diritto prescrivibile entro l'anno

ai sensi dell'art. 2952 c.c.;

2) che non è giuridicamente fondata la tesi che scinde la c.d.

assicurazione ultranazionale della carta verde dal rapporto assi

curativo nazionale, configurandosi il mancato pagamento del

premio per l'estensione della validità della polizza come ina

dempimento contrattuale in ordine al quale far valere il diritto

di rivalsa, ma al termine breve previsto dalla legge. Contro la decisione ricorre l'Assitalia con unico articolato mo

tivo in cui si deduce 1 'error iuris consistito «nella violazione

e falsa applicazione degli art. 2952, 2946 c.c. ed art. 1 d.m.

12 ottobre 1972, ed omessa ed insufficiente e contraddittoria

motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento

all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.». La tesi di fondo è la seguente: la «carta verde» non è clauso

la aggiuntiva all'originario contratto di assicurazione del veico

lo; essa è invece un contratto assicurativo autonomo, del tutto

nuovo, gestito da altri assicuratori, il quale ha lo scopo di assi

curare la circolazione del veicolo nazionale all'estero e per i

periodi ivi previsti. Conseguentemente, l'azione di rivalsa proposta dall'assicura

zione nei confronti dell'assicurato che non abbia versato il pre mio per il rilascio della carta ed abbia avuto un incidente all'e

stero, è un diritto di credito che non dipende dall'assicurazione

originaria e non rientra nell'ambito della prescrizione breve, ma

in quello della prescrizione ordinaria.

Sotto altro profilo Si deduce comunque l'operatività della pre scrizione da fatto illecito, atteso che l'assicurazione, con l'avve

nuto risarcimento al danneggiato, si sostituisce e succede nel

diritto del terzo.

Entrambi i profili dedotti risultano giuridicamente infondati

ed il secondo è inoltre inammissibile in quanto proposto per la prima volta in questa sede con una modifica della causa pe tendi ed un ampliamento della domanda.

Quanto al primo profilo si osserva come il diritto di rivalsa

esercitato dall'assicuratore, nel caso di danno cagionato da vei

colo circolante all'estero e non munito del certificato denomi

nato «carta verde», trovi il suo fondamento sia nella fonte nor

mativa che in quella convenzionale, secondo un rapporto che

la dottrina definisce di eterointegrazione contrattuale.

In definitiva l'assicurazione agisce ai sensi dell'art. 18 (nel testo novellato) 1. n. 990 del 1969, ma tale diritto deriva da

un inadempimento contrattuale dell'assicurato, il quale, stando

alle condizioni generali del contratto (di cui al citato d.m. 12

ottobre 1972 n. 280) è obbligato a munirsi di valida «carta ver

de», corrispondendo il modesto premio, allorché supera i confi

ni nazionali e si reca nei paesi cui si estende la carta assicurativa

che integra il contratto originario.

Conseguentemente, la prescrizione è quella breve di cui al

richiamato art. 2952, 2° comma, c.c., in quanto il diritto di

rivalsa in questione rientra nel novero degli altri diritti derivanti

dal contratto di assicurazione.

Restano così assorbite, in quanto ultronee o irrilevanti, le al

tre argomentazioni, ed anche quella relativa al diverso profilo di deducibilità dell'azione, posto che la qualificazione data im

pedisce una concorrenza di normative prescrizionali (cfr. per

precedenti analoghi, Cass. 24 agosto 1984, n. 4678 e 8 novem

bre 1984, n. 5638, Foro it., Rep. 1984, voce Prescrizione e de

cadenza, nn. 99, 98; 19 dicembre 1985, n. 6499, id., Rep. 1985, voce cit., n. 108; 4 gennaio 1992, n. 14, id., 1993, I, 202).

Il Foro Italiano — 1996.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 29 mag

gio 1996, n. 4993; Pres. Coco, Est. Favara, P.M. Lugaro

(conci, diff.); Soc. editoriale La Repubblica e Scalfari (Avv. Ripa Di Meana, Scardascione) c. Craxi. Conferma App. Roma 30 giugno 1992.

Responsabilità civile — Diritto di cronaca — Lesione dell'onore

e della reputazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043).

Responsabilità civile — Diritto di satira — Lesione dell'onore

e della reputazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043).

Va confermata la sentenza d'appello che, dalla constatata man

canza di coinvolgimento di un leader politico (nella specie, Bettino Craxi) in un'inchiesta finalizzata a perseguire finan ziamenti illeciti in favore di un partito, abbia desunto il ca

rattere non veritiero e scorretto dei titoli utilizzati da un quo tidiano («La Repubblica») per presentare il relativo servizio

giornalistico e, di conseguenza, abbia affermato la responsa bilità della società editrice e del direttore del giornale per vio

lazione dell'onore e della reputazione dell'uomo politico. (1) Va confermata la sentenza d'appello che abbia riconosciuto l'il

liceità di una vignetta satirica (nella specie, Craxi vi era raffi

gurato, per mano di Forattini, nelle vesti di un ladro con

garofano rosso sull'orecchio destro e gli si attribuiva la frase:

«quanto mi piace questo giornale da quando ha Portfolio»), in quanto idonea, unitamente al titolo di un contestuale servi

zio giornalistico, ad integrare il reato di diffamazione a mez

zo stampa. (2)

Svolgimento del processo. — Con citazione del 23 aprile 1987

Craxi Bettino conveniva dinanzi il Tribunale di Roma la soc.

Editoriale La Repubblica e Scalfari Eugenio, direttore del quo tidiano La Repubblica, per sentirli condannare al risarcimento

dei danni derivatigli dalla pubblicazione in prima pagina sul

giornale La Repubblica del 7 febbraio 1987 di una notizia ri

guardante il procedimento penale in corso a Torino conseguen te al fallimento della Sicmu, annunciato come un inquietante caso politico-finanziario portato alla luce dalla magistratura e

così titolato «Corruzione a Torino. Lo confesso, prima di falli

re ho finanziato il partito di Craxi».

Assumeva, ancora, il Craxi che nello stesso spazio del giorna le con evidente riferimento alla vicenda eravi una vignetta nella

quale era rappresentato un personaggio rassomigliante ad esso

(1-2) A quali canoni debba ispirarsi il diritto di cronaca, per non sfociare nella lesione dell'onore o dell'identità personale, è ormai ius

receptum: la prima massima ripropone puntualmente l'ordito concet tuale (in forma triadica: verità, interesse pubblico, continenza) diligen temente scandito, da ultimo, da Cass. 7 febbraio 1996, nn. 982 e 978, Foro it., 1996, I, 1252, con nota di A. Palmieri (la prima pronunzia è annotata, altresì, da M. Chiarolla, in Danno e resp., 1996, n. 4). Da sottolineare, tuttavia, come, nella circostanza, fosse in discussione non già il contenuto dell'articolo, bensì il suo titolo, che, riferendosi ad un'inchiesta su finanziamenti illeciti al Psi, esordiva con «corruzio ne» e chiudeva con «il partito di Craxi», senza che l'uomo politico risultasse, alla prova dei fatti, direttamente coinvolto nell'indagine (la sentenza di primo grado — Trib. Roma 23 maggio 1988, Foro it., Rep. 1990, voce Ingiuria, n. 16 — è riportata in Dir. informazione e infor matica, 1989, 919, con nota di V. Ricciuto; da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, non invano: ma nulla, avverte la Cassazione con maldissimulato imbarazzo, che potesse incidere sui termini della vicenda sottoposta al suo vaglio). In altre parole, la pronunzia in epi grafe applica, con severo cipiglio (evidentemente non condiviso dalle difformi conclusioni del p.m.), il 'decalogo' del giornalista, a suo tem

po tenuto a battesimo da Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, Foro it., 1984, I, 2711, con nota di R. Pardolesi, che aveva inflessibilmente condannato lo sleale difetto di chiarezza derivante, tra l'altro, da «ac costamenti suggestionanti (conseguiti anche mediante la semplice sequenza in un testo di proposizioni autonome, non legate cioè da alcun esplicito vincolo sintattico) di fatti che si riferiscono alla persona che si vuole mettere in cattiva luce con altri fatti [...] che [...], per il contesto in cui sono inseriti, il lettore riferisce inevitabilmente a persone ben deter minate».

Il «subdolo espediente» del caso di specie era corroborato da una

graffiarne vignetta di Forattini: miscela esplosiva, rileva la corte, che travalica la dissacrazione del personaggio e sfocia nella mera denigra zione. E, questa volta, sembra proprio di poter dire che la 'musa infet ta' è stata contagiata dall'esterno (sul diritto di satira e i suoi limiti, v. Pret. Roma, ord. 16 febbraio 1989, id., 1990, I, 3038, con nota di M. Chiarolla). [R. Pardolesi]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Craxi vestito da ladro che diceva: «Quanto mi piace questo gior nale da quando ha Portfolio». Il Craxi, al fine di sottolineare

l'intento denigratorio del giornale, aggiungeva che nella crona

ca del processo contenuta nelle pagine interne del quotidiano si ammetteva che le indagini avevano ad oggetto un'accusa di

pretesa violazione di legge sul finanziamento dei partiti, di gui sa che il termine «corruzione» che dominava la prima pagina del giornale non aveva alcun riferimento alla realtà, in quanto la vicenda narrata non poteva farsi rientrare nella figura della

«corruzione».

Radicatosi il contraddittorio, i convenuti assumevano che non

poteva condividersi l'accostamento operato dal Craxi tra artico

lo e vignetta e che la vignetta, satirica per la sua stessa natura, non poteva ricondurre al concetto di diffamazione. Rilevavano,

ancora, i convenuti che il preteso danno si sarebbe ugualmente verificato anche senza la pubblicazione, stante il risalto che la

stampa nazionale aveva dato alla vicenda.

Con sentenza 23 maggio 1988 (Foro it., Rep. 1990, voce Danni

civilif n. 66) il tribunale condannava i convenuti a risarcire al

Craxi i danni non patrimoniali liquidandoli in lire 175.000.000, oltre interessi.

Proponevano impugnazione la soc. Editoriale La Repubblica e lo Scalfari assumendo che erroneamente il tribunale aveva ri

tenuto diffamatorio il contenuto dell'articolo pubblicato essen

do veritieri i fatti narrati. Il Craxi chiedeva il rigetto del gravame. La Corte d'appello di Roma con sentenza 30 giugno 1992

confermava la decisione dei primi giudici.

Osservava, tra l'altro, la corte che era ed è incontrovertibile

la legittimazione attiva del Craxi, in quanto la indicazione del

suo cognome e la raffigurazione dello stesso vestito da ladro

con un garofano all'orecchio destro indicano nel predetto l'ef

fettivo destinatario della pubblicazione. In relazione alla titolazione dell'articolo, la corte ha rilevato

che dalla ordinanza di rinvio a giudizio di Maiocco Gianfranco

ed altri risulta che l'inchiesta era finalizzata a perseguire finan

ziamenti illeciti in favore del Psi, senza coinvolgimenti dell'on.

Craxi. Pertanto, non vi era alcun motivo che giustificasse l'uso

della parola «corruzione» e del cognome del segretario. Non

si erano rispettate, di conseguenza, né l'utilità della notizia, né

la verità oggettiva, né la forma civile della esposizione dei fatti, condizioni di esercizio della libertà di stampa. La espressione «corruzione» è stata volutamente usata per distorcere la verità

e suscitare nel lettore un particolare interesse, così ledendo l'in

tera titolazione il prestigio e la reputazione del Craxi, presenta to come politico corrotto.

La vignetta ideata dal Forattini era ulteriore conferma del

riferimento all'on. Craxi, vestito da ladro e con un garofano sull'orecchio destro, come tale diffamatoria, in quanto finaliz

zata a nuocere una determinata persona, distorcendo la verità

dei fatti narrati. Dal contesto poteva, quindi, dedursi che vi

erano gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa, accertabile ai fini civili.

La corte affermava, ancora, che era pacifico il nesso causale

tra la pubblicazione ed il danno e responsabile del fatto doveva

ritenersi anche il direttore del giornale ex art. 57 c.p., perché a conoscenza della pubblicazione, nonché l'editore ai sensi del

l'art. 11 1. 8 febbraio 1948 n. 47. Da ultimo, la corte riteneva

adeguata la somma liquidata dal tribunale a titolo di danno

morale.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazio

ne la soc. Editoriale La Repubblica e lo Scalfari affidandolo

a cinque motivi. Non ha svolto difese il Craxi.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di annulla

mento la soc. Editoriale La Repubblica e lo Scalfari, denunzia

ta la violazione degli art. 2687 c.c., 100 c.p.c. e 115 c.p.c., nonché la contraddittoria motivazione della sentenza con riferi

mento, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., lamen

tano che la corte d'appello abbia erroneamente ritenuto la legit timazione attiva del Craxi e ciò in quanto non vi era alcun rife

rimento concreto della figura rappresentata nella vignetta all'on.

Craxi mentre nell'articolo non veniva fatto, altresì, alcun riferi

mento allo stesso Craxi, ma al Psi, definito «Il partito di Craxi».

La doglianza non ha fondamento. Risulta in modo sufficien

temente chiaro dalla sentenza impugnata che la corte d'appello ha ritenuto il Craxi legittimato ad agire in giudizio evidenzian

do che l'indicazione del suo cognome e la raffigurazione dello

stesso vestito da ladro con un garofano sull'orecchio destro al

II Foro Italiano — 1996.

l'interno di un medesimo spazio del giornale, costituissero pro va certa che il Craxi stesso fosse l'effettivo destinatario della

pubblicazione. A tale conclusione il giudice di appello è giunto all'esito di una accurata disamina dei fatti di causa ed ha sor

retto il proprio convincimento con motivazione corretta, artico

lata e logica, onde la decisione sul punto sfugge ad ogni critica.

Con il scondo mezzo di annullamento la soc. Editoriale La

Repubblica e lo Scalfari, denunziata la insufficiente motivazio

ne della sentenza con riferimento all'art. 360, n. 5, c.p.c., la

mentano che la Corte territoriale abbia erroneamente valutato

la questione sottoposta al suo vaglio in quanto esaminata non

nella sua globalità ed interezza, omettemdo, altresì, di tenere

presente come i fatti si erano effettivamente svolti nonché il

normale linguaggio giornalistico. In definitiva sostengono i ri

correnti, se la corte del merito avesse attentamente esaminato

la ordinanza di rinvio a giudizio si sarebbe resa conto come

la decisione presa era totalmente priva di base.

La doglianza non ha fondamento. Va premesso che, in con

creto, il Craxi lamenta il contenuto diffamatorio di un servizio

giornalistico pubblicato sul giornale La Repubblica del 7 feb

braio 1987 che ha per oggetto lo svolgimento delle indagini giu diziarie riguardanti il versamento da parte del responsabile della

Sicmu di somme ed enti tra cui una società costituente una arti

colazione organizzativa del Psi. Tale servizio giornalistico, so

stiene il Craxi, ha carattere diffamatorio essendo così concepito in apposito spazio: «La magistratura porta alla luce un inquie tante caso politico-finanziario». Corruzione a Torino. Si, lo con

fesso, prima di fallire ho finanziato il partito di Craxi». Nello

stesso riquadro vi è, altresì, una vignetta satirica che ritrae un

personaggio identificabile in esso l'on. Craxi nelle vesti di ladro

ed al quale veniva attribuita una frase: «Quanto mi piace que sto giornale da quanto ha Portfolio» con chiari allusioni, per

tanto, alla sua attività di uomo dedito alle frodi ed alle ruberie.

Ritenuto che i fatti in seguito verificatisi e riguardanti le note

vicende giudiziarie dell'on. Craxi non possono avere alcuna ri

levanza nel presente giudizio dovendosi considerare che, ai fini

del carattere diffamatorio della notizia, la valutazione della ve

rità dei fatti riportati dal quotidiano La Repubblica doveva es

sere effettuata, come è stata effettuata, al momento della sua

divulgazione e non certo a quello successivo, va evidenziato ai

fini che qui rilevano che secondo l'orientamento giurispruden ziale di questa corte (4871/95, id., Mass. 597) affinché la divul gazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore possa consi

derarsi lecito esercizio del diritto di cronaca, devono ricorrere

le seguenti condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblica

ta, l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (così detta per

tinenza) e la correttezza formale della esposizione (così detta

continenza); la condizione della verità della notizia comporta, come inevitabile corollario, l'obbligo del giornalista non solo

di controllare l'attendibilità della fonte (non sussistendo forme

informative privilegiate) ma anche di accertare e di rispettare la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia con la conse

guenza che solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente osser

vato, potrà essere utilmente invocata l'esimente dell'esercizio del

diritto di cronaca. È noto, altresì, che in tema di diffamazione a mezzo stampa,

qualora non vi sia stato esame della pubblicazione da parte del

giudice penale, in sede civile potrà accertarsi se sussistono o

meno i presupposti della responsabilità civile quale fonte del

danno da risarcire.

Nella motivazione della sentenza impugnata la corte romana

ha rilevato, prendendo ad esame la titolazione dell'articolo con

cernente gli illeciti finanziamenti del Psi, che dalla ordinanza

di rinvio a giudizio del Maiocco risultava che l'inchiesta era

finalizzata a perseguire finanziamenti illeciti in favore del parti to socialista senza coinvolgimenti diretti o indiretti dell'on. Cra

xi per il quale non era stata nemmeno chiesta l'autorizzazione

a procedere. Di conseguenza, ha affermato, ancora, la corte

d'appello, non vi era motivo che rendesse giustificabile nella

titolazione dell'articolo l'uso della parola «corruzione» e del co

gnome del Craxi, espressioni non pertinenti ai fatti esposti in

sintesi nella prima pagina e più diffusamente nell'interno del

giornale.

Pertanto, nella ipotesi in esame, i giudici di appello hanno

rilevato non essere state rispettate le condizioni che regolano l'esercizio della libertà di stampa essendo i titoli stati ideati e

composti in maniera tale da fornire al lettore una rappresenta

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2371 PARTE PRIMA 2372

zione distorta e tendenziosa, come tale non vera e non civile

essendo i fatti stati raccontati nel servizio al solo fine di alterare

la verità.

La corte romana ha posto, da ultimo, in rilievo che la titola

zione aveva, quindi, come fine, quello di ledere il prestigio e

l'onore del Craxi presentandolo come politico corrotto, essen

do, ripetesi, la parola «corruzione» stata usata impropriamente la perifrasi «partito di Craxi» evidenziava quasi un rapporto di proprietà che faceva risalire al Craxi irregolarità da altri

commesse.

La motivazione fornita dai secondi giudici è corretta ed in

armonia con gli anzideti principi, oltre che sostenuta da logiche e razionali argomentazioni che sono espressione di un attento

esame dagli atti di causa ed è, in definitiva, esente da censure.

Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti, denunziata

la violazione degli art. 9, 21 e 33 Cost, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., lamentano che la corte d'appello abbia erronea

mente ritenuto sussistere la responsabilità di essi ricorrenti sulla

considerazione che la vignetta satirica era stata usata non solo

al fine di fare satira, dissacrazione o caricatura, ma per raffor

zare un articolo di giornale la cui finalità era quella di nuocere

una determinata persona distorcendo la verità dei fatti narrati.

In tale modo argomentando, la corte d'appello avrebbe stravol

to il concetto di satira posto che il limite della stessa non è

quello della verità del fatto illustrato, ma quello della necessità

che il personaggio messo alla berlina sia persona nota e che

la satira non scenda nelle vicende strettamente personali. La doglianza non ha fondamento. È noto che il diritto di

satira, pur trovando garanzia negli articoli della Costituzione

dinanzi citati, deve, comunque, ritenersi soggetto a limiti secon

do criteri di coerenza causale tra qualità della dimensione pub blica del personaggio fatto oggetto di satira ed il contenuto

artistico-espressivo sottoposto ai percettori del messaggio. Di

conseguenza, deve ritenersi illecita la satira meramente denigra

toria, tale da strumentalizzare pretestuosamente il nome e l'im

magine di un determinato personaggio. A questi principi si è correttamente uniformata la gravata

sentenza allorché, nell'esaminare la vignetta ideata dal Forattini

che rappresentava il Craxi vestito da ladro con un garofano sull'orecchio destro, ha ritenuto che, pur non dovendo le vi

gnette satiriche rappresentare e rispettare la verità dei fatti avendo

come fine la caricatura e la dissacrazione del personaggio, tut

tavia, in concreto, una tale vignetta, in quanto a supporto di

un articolo la cui finalità era quella di nuocere una determinata

persona, doveva ritenersi illecita essendo meramente denigrato ria della rispettabilità ed onorabilità del Craxi, presentato ai

lettori come un individuo corrotto e, quindi, un ladro, circo

stanza quest'ultima avvalorata dalla espressione fatta dire allo

stesso Craxi: «Quanto mi piace questo giornale da quando ha

Portfolio».

In conclusione, la corte romana ha affermato che la titolazio

ne e la vignetta unitamente considerate fossero idonee ad inte

grare il reato di diffamazione a mezzo stampa avendo corretta

mente applicato il principio giurisprudenziale secondo il quale la libertà di stampa può essere esercitata a condizione che sussi

sta, tra l'altro, la verità oggettiva o almeno putativa della infor

mazione fornita ai lettori.

Con il quarto mezzo di impugnazione lo Scalfari e la soc.

Editoriale La Repubblica, denunziata la violazione degli art. 40

e 41 c.p., nonché l'omesso esame di fatti decisivi con riferimen

to, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., lamentano

che la corte d'appello abbia tralasciato di considerare che il danno

lamentato per essere risarcibile doveva trovarsi in rapporto di

causalità immediata e diretta con il fatto (pubblicazione dell'ar

ticolo e della vignetta) che si assumeva averlo prodotto. L'o

messo accertamento del nesso di causalità importava, quale con

seguenza, la non sussistenza della condizione per risarcire il

danno.

La censura non ha fondamento. Tale doglianza si risolve,

infatti, in una critica del rapporto di causalità tra evento e fatto

la cui ricostruzione, in tema di responsabilità civile, è rimessa

al giudice del merito ed è sindacabile in Cassazione solo per vizi attinenti la motivazione.

E sotto tale profilo la Corte d'appello di Roma, dopo avere

considerato diffamatoria la pubblicazione contenuta nel giorna le La Repubblica, ha ritenuto con esauriente motivazione che

nessun danno l'on. Craxi avrebbe mai potuto subire dai fatti,

Il Foro Italiano — 1996.

sia pure gravi, narrati, rispetto ai quali era completamente estra

neo, onde i danni lamentati dovevano farsi risalire in via diretta

alla pubblicazione della notizia nel quotidiano del 7 febbraio

1987, il che costituiva e costituisce elemento di prova sufficiente

per la esistenza del danno risarcibile.

Con il quinto mezzo di impugnazione la soc. Editoriale La

Repubblica e lo Scalfari, denunziata la violazione dell'art. 2056

e dell'art. 1226 c.c., nonché la insufficiente motivazione della

sentenza con riferimento, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell'art.

360 c.p.c., lamentano che la corte territoriale abbia erronea

mente ritenuto esatta la quantificazione del danno sulla base

di mere enunciazioni di puro stile che, come tali, prescindono da qualsiasi riferimento a concreti parametri, impedendo, per

conseguenza, ogni controllo sul procedimento logico. La censura è infondata. La decisione impugnata si è attenuta

alla giurisprudenza di legittimità (cfr. 1120/86, id., Rep. 1987, voce cit., n. 169) secondo la quale alla valutazione equitativa è possibile fare ricorso per i danni morali derivanti da fatto

illecito ove i danni stessi non possono essere provati nel loro

preciso ammontare o siano in re ipsa (Cass. 3414/93, id., Rep.

1993, voce Distanze legali, n. 8).

Ora, l'esercizio in concreto del potere discrezionale del giudi ce del merito di liquidare il danno in via equitativa non è censu

rabile in sede di legittimità se la decisione è sorretta da motiva

zione immune da vizi logici o errori in diritto (Cass. 1724/90,

id., Rep. 1990, voce Danni civili, n. 179). Nella ipotesi in esame, la corte romana ha motivato il pro

prio convincimento in maniera logica, articolata ed esaustiva

col ritenere esatta la quantificazione del danno avendo conside

rato la particolare idoneità della pubblicazione a ledere il presti

gio e l'onore del Craxi, negativamente incidendo la stessa sulla

sua immagine di uomo politico.

Va, in conclusione, disatteso anche il quinto mezzo e con

esso l'intero ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 28 mag

gio 1996, n. 4912; Pres. Grossi, Est. Marietta, P.M. Cin

que (conci, conf.); Pasini (Avv. Sordi, Macciotta) c. Ligas, Mascia (Aw. Grillo, Chessa Miglior, Farina). Conferma

App. Cagliari 9 dicembre 1993.

Comodato — Morte del comodante — Risoluzione del contrat

to — Eredi — Legittimazione (Cod. civ., art. 1811).

Posto che nel contratto di comodato la morte del comodante

determina la risQluzione del contratto, la relativa azione di

restituzione si trasmette agli eredi, senza che a nulla rilevi

la necessità del comodatario in ordine all'uso del bene. (1)

(1) È opinione indiscussa che la morte del comodante determini la risoluzione del contratto di comodato, nonostante il fatto che il codice civile preveda la sola ipotesi della morte del comodatario: «nel contrat to di comodato la morte del comodante determina la risoluzione del contratto al pari del caso previsto per la morte del comodatario dal l'art. 1811 c.c.», con la conseguente attribuzione agli eredi del como dante stesso del diritto di agire per la risoluzione del contratto e la restituzione della cosa (Cass. 19 aprile 1991, n. 4258, Foro it., Rep. 1992, voce Comodato, nn. 8, 9, e Giur. it., 1992, I, 1, 346, con la

precisazione che solo gli eredi sarebbero titolari del diritto accennato, non già i terzi, pur se comproprietari del bene). È stato, inoltre, affer mato che «l'occupazione, protrattasi dopo il decesso del comodante, legittima il proprietario alla richiesta di indennizzo ai sensi degli art. 2041 e 2042 c.c., da determinarsi in base ai parametri normativi di va lore fissati dal legislatore per il godimento di immobili urbani secondo la 1. 392/78»: Pret. Venosa 4 giugno 1986, Foro it., Rep. 1989, voce

cit., n. 10, e Nuovo dir., 1989, 891, con nota di Carretta. Nel caso di specie, il comodatario mirava a far dichiarare che l'area

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