sezione III penale; sentenza 15 novembre 2002; Pres. Postiglione, Est. Grillo, P.M. Izzo (concl.conf.); ric. Proc. rep. Trib. Bergamo in c. Vezzoli e altri. Annulla Trib. Bergamo 18 gennaio2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 5 (MAGGIO 2003), pp. 283/284-287/288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198610 .
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PARTE SECONDA
Si è avuto cura di mettere ripetutamente in risalto che la grave situazione locale non può non essere territoriale-ambientale, non
può non consistere in una patologia del territorio, perché è in
quel determinato territorio, in quel determinato luogo, che si ra
dica il processo, il quale ne è, eccezionalmente, sradicato perché è in forse l'imparzialità del giudice.
Giudice, però, che, proprio perché la grave situazione locale è
una patologia ambientale, territoriale, da tutti percepibile, non
può non essere se non il giudice nel suo complesso, cioè la to
talità dei giudici, con la conseguenza che, ove si abbia la prova
positiva dell'assoluta imparzialità sia pure soltanto di alcuni
giudici, la rimessione non può essere disposta. La prova di quella imparzialità direbbe, invero, con estrema
chiarezza che, al più, v'è, in quel luogo, una situazione non del
tutto fisiologica, ma non quella situazione che, se è grave, pa
tologica, non può non giustificare quanto meno la rappresenta zione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice.
Ebbene, nel processo lodo Mondadori, il g.i.p., con sentenza
del 19 giugno 2000, ha dichiarato di non doversi procedere nei
confronti di Acampora, Metta, Pacifico, Previti e Berlusconi
perché il fatto non sussiste e la corte di appello, a seguito di ap
pello del procuratore della repubblica, mentre ha disposto il rin
vio a giudizio di tutti gli altri, ha riconosciuto a Berlusconi le
attenuanti generiche e ha dichiarato di non doversi procedere
per estinzione del reato per prescrizione; la Corte di cassazione,
poi, con sentenza del 16 novembre 2001, ha rigettato, tra gli al
tri, il ricorso di Berlusconi.
Se si riflette che la sentenza del g.i.p. è del 19 giugno 2000 e
che, in quel momento, secondo le richieste, Borrelli già aveva
trasformato la procura in organismo politico, facendo anche
tutta quella serie di dichiarazioni che vanno dal 1993 al 1997 e
disponendo per quella notifica che, secondo Previti, aveva asse
stato un colpo mortale al governo allora in carica che poco dopo dovette dimettersi, non può dubitarsi del significato di questa
pronuncia. La quale, peraltro, non è stata emessa in un fattispecie in cui
l'assoluzione poteva dirsi scontata, tanto è vero che la corte di
appello ha affermato che anche per Berlusconi vi sarebbero state
ragioni per il rinvio a giudizio, perché il materiale indiziario rendeva prospettabile il successo delle ragioni dell'accusa all'e
sito degli apporti dibattimentali; e, del resto, la Corte di cassa
zione nulla ha avuto da eccepire, neppure sul punto, alla deci
sione della corte di appello. Né può obiettarsi, come si è fatto nell'udienza dinanzi a que
ste sezioni unite, che il g.i.p. che ha emesso quella sentenza è
stato trasferito, ché ciò che importa, evidentemente, è che un
giudice, ed un giudice che si è interessato di uno dei processi di
cui si chiede la rimessione, abbia ritenuto, nonostante la situa
zione descritta dai richiedenti, di dover prosciogliere gli impu tati.
Inoltre, sono stati più volte citati i principi formulati dall'or
dinanza del 23 febbraio 1998 di questa Corte di cassazione, che
ha rigettato una richiesta presentata da Berlusconi e da altri per la rimessione di un diverso processo.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 7 luglio 1998, ha af
fermato la penale responsabilità di Berlusconi per una serie di
episodi di corruzione che gli erano stati contestati in quel pro cesso e la corte d'appello, con sentenza del 9 maggio 2000, ha
riconosciuto le attenuanti generiche, dichiarando estinte per pre scrizioni tre ipotesi di corruzione, e ha assolto Berlusconi per non aver commesso il fatto dalla imputazione di corruzione di
cui al capo E.
E, se si riflette, di nuovo, sulle date, la situazione, secondo le
richieste di rimessione, era, anche in questo caso, di particolare
gravità, avendo Borrelli già iniziato con successo, secondo i ri
chiedenti, l'opera di trasformazione della procura in organismo
politico. E, d'altro canto, gli imputati di quel processo avevano richie
sto la rimessione proprio perché ritenevano che vi fossero le
condizioni previste dalla legge per il trasferimento del processo. Il proscioglimento e l'assoluzione — e, a ben vedere, anche il
riconoscimento delle attenuanti generiche con la conseguente dichiarazione di prescrizione, tenuto conto che riconoscere o
Il Foro Italiano — 2003.
non riconoscere le attenuanti generiche rientra tra i poteri di
screzionali del giudice — dicono che, in quegli anni, alcuni giu
dici di Milano, quando hanno ritenuto di dover prosciogliere o
assolvere o riconoscere attenuanti generiche, anche quando il ri
conoscimento delle stesse determinava la prescrizione dei reati,
lo hanno fatto, e questo è segno evidente dell'inesistenza del
condizionamento dell'imparzialità, segno evidente, dunque, dell'inesistenza della grave situazione locale.
2. - Tutto ciò premesso, le richieste debbono essere rigettate.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 15
novembre 2002; Pres. Postiglione, Est. Grillo, P.M. Izzo
(conci, conf.); ric. Proc. rep. Trib. Bergamo in c. Vezzoli e
altri. Annulla Trib. Bergamo 18 gennaio 2002.
Lavoro (collocamento e mobilità della mano d'opera) — Di
sposizioni in materia di avviamento al lavoro — Violazio
ne — Sanzioni penali — Applicabilità — Condizioni (L. 29 aprile 1949 n. 264, provvedimenti in materia di avviamento al
lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoc
cupati, art. 11, 27; 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di in
termediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e
nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi, art. 2).
Atteso che, a seguito delle recenti riforme legislative in materia
di collocamento, servizi per l'impiego ed intermediazione di
mano d'opera, è venuto meno il monopolio pubblico del col
locamento — ritenuto da Corte giust. 11 dicembre 1997, cau
sa C-55/96, Job Centre, in contrasto con gli art. 86, n. 1, e 82
Ce — occorre ritenere vigenti ed applicabili le norme (art. 11
e 27 l. n. 264 del 1949 e 2 l. n. 1369 del 1960) sul regime delle sanzioni penali in caso di violazione delle disposizioni
legali in materia. (1)
(1) I. - Si tratta di una rilevante sentenza in sede penale della Corte di cassazione, sul punto dell'applicabilità del regime di sanzioni previ sto dalle leggi sul sistema di collocamento (1. n. 264 del 1949) e sul di vieto di intermediazione di mano d'opera (1. n. 1369 del 1960) nelle
ipotesi, evidentemente ancora configurabili pur a seguito della consi stente deregulation della disciplina dell'avviamento al lavoro nel no stro sistema, di violazione della disciplina limitativa in materia. Secon do la corte, la sentenza Job Centre II imponeva, in virtù dei principi di
supremazia del diritto comunitario e di effetto diretto delle disposizioni del trattato, la disapplicazione della disciplina italiana in contrasto, sulla base del presupposto, effettivamente ravvisabile al tempo della
pronunzia, di un «abuso di posizione dominante», in contrasto con gli art. 86, n. 1, e 82 Ce, dipendente da un sistema caratterizzato da un ec cesso di vincoli burocratici e previsioni sanzionatorie, palesemente non in grado di soddisfare le indispensabili esigenze di efficienza nell'in contro fra domanda ed offerta nel mercato del lavoro (v. Corte giust. 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Foro it., 1998, IV, 41, con nota di G.
Meliadò). Precisano i giudici penali, tuttavia, che a seguito delle diver se riforme intervenute nel nostro sistema (1. n. 608 del 1996, sull'esten sione della chiamata nominativa e la soppressione dell'obbligo del nullaosta preventivo, sostituito dalla comunicazione ex post; 1. n. 196 del 1997 sull'introduzione del lavoro temporaneo; d.leg. n. 469 del
1997, sul nuovo regime dei servizi per l'impiego e dell'attività di me diazione privata), univocamente volte a rimuovere il monopolio pubbli co degli uffici di collocamento, mediante, da un lato, la «ristrutturazio ne» dei servizi pubblici per l'impiego, con il conferimento di impor tanti funzioni agli enti locali, dall'altro, e soprattutto, l'apertura del si stema ai privati, attraverso forme di mediazione «autorizzata» e l'intro duzione dell'istituto del lavoro temporaneo, bisogna ritenere «cessata la
possibilità di abuso di posizione dominante da parte degli uffici di col
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GIURISPRUDENZA PENALE
Svolgimento del processo. — Con la sentenza indicata in
premessa, il Tribunale di Bergamo, a seguito di opposizione a
decreto penale di condanna, assolveva «perché il fatto non è
previsto dalla legge come reato» Vezzoli Massimo, Gorla Emi
lio e Cioce Carmine dai reati di cui agli art. 2, in relazione al
l'art. 1 1. 1369/60 e 11 1. 264/49, per violazione delle disposi zioni in materia di collocamento di mano d'opera.
Secondo il tribunale la vecchia normativa nazionale, la viola
zione della quale è ascritta ai prevenuti, è in contrasto, e dunque è incompatibile, con quella comunitaria (art. 86 e 90 del trattato
locamento, paventata dalla Corte di giustizia, e quindi d'incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria». Per questo, e di
conseguenza, le sezioni penali della Cassazione, ritenendo concluso il
periodo di «moratoria» imposto dai giudici comunitari, affermano, per così dire, una sorta di reviviscenza del regime sanzionatorio, quanto meno nei suoi risvolti di diritto penale, nella misura (giocoforza più li
mitata di prima) in cui l'attività in questione venga svolta, da soggetti pubblici o privati in regime di autorizzazione, in violazione della pre scritta (e tuttora vigente) disciplina.
II. - È la prima volta, a quanto consta, che la Cassazione si pronunzia in termini così netti sulla reviviscenza della disciplina limitativa del
l'avviamento al lavoro, prendendo espressamente posizione sul caratte
re non più in contrasto con fondamentali principi del diritto comunita rio del sistema italiano di collocamento ed intermediazione. Il fatto che
il giudice nazionale proponga una valutazione di tal fatta, circa il venir
meno dell'incompatibilità fra la disciplina nazionale e quella comunita
ria a seguito delle profonde modifiche del sistema, appare del resto
conforme agli stessi principi enunciati dalla Corte di giustizia nel caso
Job Centre IL e ribaditi, senza accenti particolarmente innovativi, da
Corte giust. 8 giugno 2000, causa C-258/98, Corra, id., 2002, IV, 245, e Lavoro giur., 2000, 749, con nota di V. Filì. Anzi, vale la pena di ri
cordare che in quell'occasione, i giudici di Lussemburgo, interpellati sulla compatibilità del «nuovo» regime di avviamento al lavoro, ex 1. n.
196 del 1997 e d.leg. n. 469 del 1997, con gli art. 86, n. 1, e 82 Ce, di
chiararono la questione irricevibile, ritenendo che il giudice a quo (Pret. Firenze 20 giugno 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Unione euro
pea. n. 1174) non avesse fornito alcuna precisazione in ordine alla que stione in esame e, di fatto, rimettendo ogni valutazione al riguardo ai
giudici nazionali, pur nei limiti dei principi interpretativi forniti dagli stessi giudici comunitari.
III. - La pronunzia in rassegna, oltre a riattivare, seppure a distanza di tempo, il dialogo con la Corte di giustizia, peraltro introducendo, come si è detto, elementi di sostanziale novità, trae espressamente ispi razione da alcuni recenti precedenti delle sezioni civili e lavoro della
Corte di cassazione in subiecta materia. Infatti, con riferimento a con
troversie insorte nel periodo antecedente l'entrata in vigore della 1. n.
608 del 1996, cit. supra, i giudici di legittimità hanno costantemente ritenuto di disapplicare la normativa nazionale sul divieto di mediazio
ne privata e sul correlato divieto di assunzione «non per il tramite» de
gli uffici di collocamento, una volta ritenuta la sussistenza dei presup
posti per la violazione delle norme del trattato Ce più volte richiamate; nel far ciò, tuttavia, hanno incidentalmente precisato che tale valutazio
ne vale «fino a che la materia non è stata diversamente regolata dall'art.
9 bis 1. n. 608 del 1996», con ciò implicitamente ammettendo, precisa no i giudici in motivazione, che «gli effetti della decisione suddetta de
vono essere rivalutati alla luce delle modifiche in materia, apportate dal
legislatore nazionale e non considerate da quello comunitario» (in tal
senso, cfr. Cass. 4 maggio 2001, n. 6307, id., Rep. 2001, voce Lavoro
(collocamento), n. 43; 8 ottobre 2001, n. 12321, ibid., voce Lavoro
(rapporto), n. 642; 5 agosto 2000, n. 10316, id.. Rep. 2000, voce Lavo
ro (collocamento), n. 45, e Notiziario giurisprudenza lav., 2000, 688;
v., anche, pur trattandosi di principio di diritto più complesso, Cass. 7
agosto 1999, n. 8504, Foro it., 2000, I, 563, con nota di richiami, oltre
che a precedenti giurisprudenziali di vario tenore, anche all'ampia dot
trina sulla riforma del collocamento). Da ultimo, peraltro, una nuova
questione pregiudiziale relativa alla compatibilità della normativa ita
liana in materia di collocamento, ex 1. n. 608 e d.leg. n. 469 del 1997
con le più volte citate norme del trattato Ce, è stata sollevata da Trib.
Biella, ord. 18 ottobre 2001, est. Ramella, reperibile al sito Internet
<http://www.inps.it/ac/0rdinanze/tribunali/civili/tl81001 ,htm>.
IV. - La disciplina italiana in materia di collocamento e intermedia
zione di mano d'opera, variamente riformata, come detto, negli ultimi
anni, continua ad essere oggetto di ripetuti interventi, generalmente volti ad un allentamento dei vincoli burocratici, ma anche ad una tra
sformazione e riorganizzazione dei servizi per l'impiego, resi depositari di funzioni di formazione ed orientamento. A tacere d'altro, vale la pe na ricordare il d.leg. 21 aprile 2000 n. 181, disposizioni per agevola re l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'art.
li. Foro Italiano — 2003.
Ce), per cui deve ritenersi da questa implicitamente abrogata. A
tale conclusione, secondo il giudicante, deve pervenirsi sulla ba
se della decisione 11 dicembre 1997 della Corte di giustizia Ce
(Foro it., 1998, IV, 41), immediatamente precettiva, i cui effetti
sono stati poi riconosciuti da diverse pronunzie della sezione la
voro di questa Suprema corte.
Avverso detta decisione propone ricorso il procuratore della
repubblica per violazione di legge, sostenendo che la menzio
nata sentenza della Corte di giustizia non porta alle conclusioni
cui perviene il tribunale, e cioè che l'intera normativa penale in
materia di intermediazione di mano d'opera deve ritenersi ora
implicitamente abrogata; infatti, a seguito dell'entrata in vigore della 1. 196/97, che, creando la nuova figura delle «imprese di
fornitura di lavoro temporaneo», ha fatto cadere il regime di
monopolio degli uffici territoriali del ministero del lavoro, non
può più ravvisarsi una situazione di «abuso di posizione domi
nante» da parte degli uffici pubblici nazionali, che determinò la
pronunzia de qua, per cui risulta superata ogni questione relati
va ai rapporti tra il trattato Ce e la normativa interna degli Stati
membri in materia di collocamento.
Con memoria ex art. 611 c.p.p., i difensori di Gorla chiedono
il rigetto del ricorso del p.m., evidenziando che la gravata deci
sione, pur tenendo conto della normativa inerente il c.d. lavoro
interinale (1. 196/97), ravvisa tuttavia la persistenza della posi zione di abuso statale nella materia in esame, in quanto la men
zionata legge, invece che liberalizzare il mercato del lavoro, «ha
dato luogo al contingentamento del settore delegato ad imprese
private in alcuni rami ultratutelati» proprio da essa. Inoltre, se
condo gli esponenti, l'entrata in vigore della nuova legge, che
ha dato luogo ad una nuova tipologia di reato, ha determinato
l'implicita abrogazione dell'art. 1 1. 1369/60 ormai richiamato
solo quoadpoenam dall'art. 10 1. n. 196.
All'odierna udienza dibattimentale il p.g. conclude come ri
portato in premessa. Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato.
Thema decidendum è se, a seguito della sentenza 11 dicembre
1997 (causa C-55/96) della Corte di giustizia delle Comunità
europee, possa ancora considerarsi vigente la normativa nazio
nale, la cui violazione è stata ascritta ai prevenuti, sul divieto di
mediazione privata di mano d'opera e sul correlativo divieto di
assunzione non «per il tramite» degli uffici di collocamento.
Il Tribunale di Bergamo, come si è detto, ha ritenuto di dover
disapplicare la normativa nazionale in questione, sulla base
delle argomentazioni della richiamata sentenza della Corte di
giustizia, che l'hanno considerata insanabilmente confliggente con gli art. 86 e 90, n. 1, del trattato Ce (secondo la numerazio
ne all'epoca vigente), nonché sulla base di diverse sentenze
della sezione lavoro di questa Suprema corte.
Secondo il tribunale, infatti, la normativa nazionale (in parti colare gli art. 1, 1° comma, e 2 1. 1369/60 ed 11 1. 264/49) con
sente «l'abuso di posizione dominante» da parte degli uffici
45. 1° comma, lett. a), 1. n. 144 del 1999, da ultimo modificato e cor retto dal d.leg. 19 dicembre 2002 n. 297, il cui art. 8 abroga, fra l'altro, i titoli I e II 1. n. 264 del 1949, facendone tuttavia espressamente salvi
l'art. 11, 1° comma, e l'art. 27, 1° e 3° comma, sul sistema dei divieti e
delle conseguenti sanzioni penali. Inoltre, l'art. 1 1. 14 febbraio 2003 n. 30, delega al governo in mate
ria di occupazione e mercato del lavoro, prevede criteri direttivi per una
ampia deregulation della disciplina dell'interposizione, sino a prospet tare il superamento della 1. n. 1369 del 1960, allargando anche le ma
glie della mediazione privata e del ricorso al lavoro temporaneo. V. - In dottrina, per un quadro ricostruttivo del sistema alla luce delle
recenti riforme, v., fra gli altri, A. Lassandari, La disciplina del mer
cato del lavoro nel nuovo disegno costituzionale, in Riv. giur. lav.,
2002, I, 231; V. Fili, Avviamento al lavoro fra liberalizzazione e de
centramento, Milano, 2002; mentre sul nuovo sistema derivante dal
combinato disposto dei d.leg. n. 181 del 2000 e n. 297 del 2002, cfr., da
ultimo, E. Massi, La riforma del collocamento, in Dir. e pratica lav.,
2003, inserto del fase. 4. Sui contenuti della legge delega, nella parte richiamata, v„ invece, E. Massi-M.R. Gheido-A. Casotti-P. Rausei-D.
Vedani, La riforma del mercato del lavoro, ibid., inserto del fase. 10; G. Suppiej, La nuova disciplina del mercato del lavoro, in Guida al
lav., 2003, fase. 10. 24. [G. Ricci]
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PARTE SECONDA
pubblici di collocamento, giacché questi, quantunque chiara
mente non in grado di soddisfare tutte le odierne esigenze del
mondo del lavoro, agiscono tuttavia in regime di monopolio, ga rantito peraltro da un sistema sanzionatorio penale e ammini
strativo.
Ritiene il collegio che la questione di diritto, relativa all'at
tuale vigenza della menzionata normativa, non sia stata risolta
correttamente dal giudice del merito, che si è basato sulla ri
chiamata decisione comunitaria, ma senza tenere nel debito
conto gli interventi del legislatore nazionale in subiecta materia, sostanzialmente coevi alla pronunzia in questione, e però da
questa non considerati, come si evince indubitabilmente dal te
sto della stessa.
Con il d.l. 1° ottobre 1996 n. 510, convertito con 1. 608/96,
infatti, ma soprattutto con le successive 1. 196/97, che ha intro
dotto il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, e d.leg. 469/97, che ha definito le modalità necessarie per l'autorizza
zione a svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di
lavoro ad idonee strutture organizzative, è stato completamente sovvertito il quadro normativo del mercato del lavoro, venendo
meno il monopolio assoluto fino ad allora esercitato dagli uffici
di collocamento, col sorgere — come peraltro ammette la stessa
sentenza impugnata — di «un sistema di collocamento parallelo
ed alternativo a quello pubblico». La 1. 196/97, in particolare, creando la figura dell'«impresa
fornitrice» di lavoro temporaneo, riconosce a tale nuovo sog
getto di diritto privato (che può costituirsi nella forma di società
di capitali o cooperativa) —
purché regolarmente abilitato allo
svolgimento di detta attività, previa iscrizione in apposito albo — la possibilità di operare direttamente nel settore dell'inter
mediazione di mano d'opera. È ovvio che, per muoversi legitti mamente nell'ambito di questa normativa, se ne devono osser
vare le specifiche prescrizioni, altrimenti «continua a trovare
applicazione la 1. 23 ottobre 1960 n. 1369», come testualmente
stabilisce l'art. 10, 1° comma.
Il d.leg. 469/97, con cui sono stati conferiti alle regioni ed
agli enti locali funzioni e compiti in materia di mercato del la
voro, a norma dell'art. 1 1. 59/97, ha soppresso — dal 1° gen
naio 1999 — le strutture e gli uffici periferici del ministero del
lavoro e della previdenza sociale, operanti nel campo dell'atti
vità di mediazione, riconoscendo analoga funzione a soggetti
privati (imprese o gruppi di imprese, società cooperative o enti
non commerciali), aventi come esclusivo oggetto sociale l'atti
vità di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, purché mu
nite di specifica autorizzazione ministeriale (art. 10). Nei con
fronti dei soli soggetti autorizzati, il decreto esclude l'applica zione delle disposizioni contenute nella 1. 264/49.
Dunque, essendo pacificamente venuto a cessare il regime di
monopolio da parte degli uffici di collocamento, è cessata anche
la possibilità di abuso di posizione dominante da parte di essi, paventata dalla Corte di giustizia, e quindi d'incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria.
Nondimeno il nostro legislatore ha inteso — e ben poteva farlo — sanzionare penalmente chi svolga l'attività in questione (non più riservata a soggetti pubblici, ma pur tuttavia sempre tenuta sotto stretta vigilanza per tutelare il fondamentale inte
resse dei lavoratori), senza rispettarne la specifica disciplina. Anche le sentenze della sezione lavoro di questa corte,
menzionate dal tribunale a supporto del proprio assunto (5 a
gosto 2000, n. 10316, id., Rep. 2000, voce Lavoro (colloca
mento), n. 45; 11 settembre 2000, nn. 11940, 11941 e 11951,
ibid., nn. 49, 48 e 46) — che riconoscono l'obbligo per il giu dice italiano di disapplicare la normativa nazionale sul divieto
di mediazione privata e sul correlato divieto di assunzione non
«per il tramite» degli uffici di collocamento, qualora sia ac
certata la ricorrenza dei presupposti indicati nella citata deci
sione della Corte di giustizia — precisano che detto discorso
vale fino a quando la materia non è stata diversamente rego lata dalla 1. 608/96, con ciò ammettendo che gli effetti della
decisione suddetta devono essere rivalutati alla luce delle mo
difiche in materia, apportate dal legislatore nazionale e non
considerate da quello comunitario.
Conclusivamente ritiene il collegio che le norme, la cui viola
li. Foro Italiano — 2003.
zione è stata ascritta ai prevenuti, non sono state implicitamente
abrogate, per effetto della sentenza C-55/96 della Corte di giu
stizia, come affermato dal tribunale, essendo venuto intanto me
no il presupposto su cui la decisione si fondava, e cioè il mono
polio degli uffici di collocamento statali. Neppure appare condivisibile il rilievo, esposto con la memo
ria difensiva, che il richiamo operato dall'art. 10, 1° comma, 1.
196/97 alla normativa del 1960 sia soltanto quoad poenam, per ché detta norma richiama l'intera 1. n. 1369, quindi evidente
mente non solo le disposizioni sanzionatone, ma anche quelle
precettive.
Pertanto, il giudice del merito dovrà riesaminare la questione alla luce delle esposte considerazioni in diritto, accertando in
particolare se, nella fattispecie in esame, sussistano le condizio
ni, poste dalla menzionata normativa, per essere esonerati da
penale responsabilità in relazione ai reati ascritti ai prevenuti.
I
CORTE D'ASSISE DI PALERMO; ordinanza 28 gennaio 2003; Pres. Nobile, Rei. Pellino.
CORTE D'ASSISE DI PALERMO;
Dibattimento penale — Esame — Dichiarazioni rese dal
collaboratore di giustizia oltre il termine di sei mesi dal l'inizio della collaborazione — Inutilizzabilità — Esclu sione (Cod. proc. pen., art. 210, 500, 503; d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, nuove misure in materia di sequestri di persona a
scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collabo
rano con la giustizia, art. 16 quater, 1. 15 marzo 1991 n. 82, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 gennaio 1991 n. 8).
L'art. 16 quater, 9° comma, d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (conver
tito, con modificazioni, dalla l. 15 marzo 1991 n. 82), intro
dotto dall'art. 14 l. 13 febbraio 2001 n. 45, non prevede l'inutilizzabilità assoluta e generalizzata delle dichiarazioni
rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di sei mesi
dall'inizio della collaborazione in quanto la regola di esclu
sione probatoria si riferisce testualmente alle dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, e non
può quindi estendere il suo ambito di operatività nei confronti di dichiarazioni rese al giudice nel contraddittorio dibatti
mentale. (1)
(1-2) Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia: aspetti problematici.
1. - Le decisioni di merito in rassegna affrontano alcune complesse problematiche processuali derivanti dalla nuova normativa in tema di
protezione e di trattamento sanzionatorio dei «collaboratori di giusti zia» introdotta dalla 1. 13 febbraio 2001 n. 45, approvata a conclusione di una lunga e travagliata «gestazione parlamentare» (1).
In base a questa disciplina, ai fini dell'adozione delle speciali misure di protezione e della concessione delle circostanze attenuanti e dei be nefici penitenziari previsti dalla legge nel caso di collaborazione di giu stizia, la persona interessata deve rendere al procuratore della repubbli ca, entro il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della vo
(1) Vigna-Alfonso, Lineamenti della legge sui collaboratori di giu stizia, in AA.VV., Nuove nonne sulla formazione e valutazione della
prova (l. 1° marzo 2001 n. 63) a cura di Tonini, Padova, 2001. 97.
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