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sezione III penale; sentenza 15 novembre 2002; Pres. Postiglione, Est. Grillo, P.M. Izzo (concl....

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sezione III penale; sentenza 15 novembre 2002; Pres. Postiglione, Est. Grillo, P.M. Izzo (concl. conf.); ric. Proc. rep. Trib. Bergamo in c. Vezzoli e altri. Annulla Trib. Bergamo 18 gennaio 2002 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 5 (MAGGIO 2003), pp. 283/284-287/288 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198610 . Accessed: 24/06/2014 22:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.107 on Tue, 24 Jun 2014 22:34:39 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 15 novembre 2002; Pres. Postiglione, Est. Grillo, P.M. Izzo (concl.conf.); ric. Proc. rep. Trib. Bergamo in c. Vezzoli e altri. Annulla Trib. Bergamo 18 gennaio2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 5 (MAGGIO 2003), pp. 283/284-287/288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198610 .

Accessed: 24/06/2014 22:34

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PARTE SECONDA

Si è avuto cura di mettere ripetutamente in risalto che la grave situazione locale non può non essere territoriale-ambientale, non

può non consistere in una patologia del territorio, perché è in

quel determinato territorio, in quel determinato luogo, che si ra

dica il processo, il quale ne è, eccezionalmente, sradicato perché è in forse l'imparzialità del giudice.

Giudice, però, che, proprio perché la grave situazione locale è

una patologia ambientale, territoriale, da tutti percepibile, non

può non essere se non il giudice nel suo complesso, cioè la to

talità dei giudici, con la conseguenza che, ove si abbia la prova

positiva dell'assoluta imparzialità sia pure soltanto di alcuni

giudici, la rimessione non può essere disposta. La prova di quella imparzialità direbbe, invero, con estrema

chiarezza che, al più, v'è, in quel luogo, una situazione non del

tutto fisiologica, ma non quella situazione che, se è grave, pa

tologica, non può non giustificare quanto meno la rappresenta zione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice.

Ebbene, nel processo lodo Mondadori, il g.i.p., con sentenza

del 19 giugno 2000, ha dichiarato di non doversi procedere nei

confronti di Acampora, Metta, Pacifico, Previti e Berlusconi

perché il fatto non sussiste e la corte di appello, a seguito di ap

pello del procuratore della repubblica, mentre ha disposto il rin

vio a giudizio di tutti gli altri, ha riconosciuto a Berlusconi le

attenuanti generiche e ha dichiarato di non doversi procedere

per estinzione del reato per prescrizione; la Corte di cassazione,

poi, con sentenza del 16 novembre 2001, ha rigettato, tra gli al

tri, il ricorso di Berlusconi.

Se si riflette che la sentenza del g.i.p. è del 19 giugno 2000 e

che, in quel momento, secondo le richieste, Borrelli già aveva

trasformato la procura in organismo politico, facendo anche

tutta quella serie di dichiarazioni che vanno dal 1993 al 1997 e

disponendo per quella notifica che, secondo Previti, aveva asse

stato un colpo mortale al governo allora in carica che poco dopo dovette dimettersi, non può dubitarsi del significato di questa

pronuncia. La quale, peraltro, non è stata emessa in un fattispecie in cui

l'assoluzione poteva dirsi scontata, tanto è vero che la corte di

appello ha affermato che anche per Berlusconi vi sarebbero state

ragioni per il rinvio a giudizio, perché il materiale indiziario rendeva prospettabile il successo delle ragioni dell'accusa all'e

sito degli apporti dibattimentali; e, del resto, la Corte di cassa

zione nulla ha avuto da eccepire, neppure sul punto, alla deci

sione della corte di appello. Né può obiettarsi, come si è fatto nell'udienza dinanzi a que

ste sezioni unite, che il g.i.p. che ha emesso quella sentenza è

stato trasferito, ché ciò che importa, evidentemente, è che un

giudice, ed un giudice che si è interessato di uno dei processi di

cui si chiede la rimessione, abbia ritenuto, nonostante la situa

zione descritta dai richiedenti, di dover prosciogliere gli impu tati.

Inoltre, sono stati più volte citati i principi formulati dall'or

dinanza del 23 febbraio 1998 di questa Corte di cassazione, che

ha rigettato una richiesta presentata da Berlusconi e da altri per la rimessione di un diverso processo.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 7 luglio 1998, ha af

fermato la penale responsabilità di Berlusconi per una serie di

episodi di corruzione che gli erano stati contestati in quel pro cesso e la corte d'appello, con sentenza del 9 maggio 2000, ha

riconosciuto le attenuanti generiche, dichiarando estinte per pre scrizioni tre ipotesi di corruzione, e ha assolto Berlusconi per non aver commesso il fatto dalla imputazione di corruzione di

cui al capo E.

E, se si riflette, di nuovo, sulle date, la situazione, secondo le

richieste di rimessione, era, anche in questo caso, di particolare

gravità, avendo Borrelli già iniziato con successo, secondo i ri

chiedenti, l'opera di trasformazione della procura in organismo

politico. E, d'altro canto, gli imputati di quel processo avevano richie

sto la rimessione proprio perché ritenevano che vi fossero le

condizioni previste dalla legge per il trasferimento del processo. Il proscioglimento e l'assoluzione — e, a ben vedere, anche il

riconoscimento delle attenuanti generiche con la conseguente dichiarazione di prescrizione, tenuto conto che riconoscere o

Il Foro Italiano — 2003.

non riconoscere le attenuanti generiche rientra tra i poteri di

screzionali del giudice — dicono che, in quegli anni, alcuni giu

dici di Milano, quando hanno ritenuto di dover prosciogliere o

assolvere o riconoscere attenuanti generiche, anche quando il ri

conoscimento delle stesse determinava la prescrizione dei reati,

lo hanno fatto, e questo è segno evidente dell'inesistenza del

condizionamento dell'imparzialità, segno evidente, dunque, dell'inesistenza della grave situazione locale.

2. - Tutto ciò premesso, le richieste debbono essere rigettate.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 15

novembre 2002; Pres. Postiglione, Est. Grillo, P.M. Izzo

(conci, conf.); ric. Proc. rep. Trib. Bergamo in c. Vezzoli e

altri. Annulla Trib. Bergamo 18 gennaio 2002.

Lavoro (collocamento e mobilità della mano d'opera) — Di

sposizioni in materia di avviamento al lavoro — Violazio

ne — Sanzioni penali — Applicabilità — Condizioni (L. 29 aprile 1949 n. 264, provvedimenti in materia di avviamento al

lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoc

cupati, art. 11, 27; 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di in

termediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e

nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi, art. 2).

Atteso che, a seguito delle recenti riforme legislative in materia

di collocamento, servizi per l'impiego ed intermediazione di

mano d'opera, è venuto meno il monopolio pubblico del col

locamento — ritenuto da Corte giust. 11 dicembre 1997, cau

sa C-55/96, Job Centre, in contrasto con gli art. 86, n. 1, e 82

Ce — occorre ritenere vigenti ed applicabili le norme (art. 11

e 27 l. n. 264 del 1949 e 2 l. n. 1369 del 1960) sul regime delle sanzioni penali in caso di violazione delle disposizioni

legali in materia. (1)

(1) I. - Si tratta di una rilevante sentenza in sede penale della Corte di cassazione, sul punto dell'applicabilità del regime di sanzioni previ sto dalle leggi sul sistema di collocamento (1. n. 264 del 1949) e sul di vieto di intermediazione di mano d'opera (1. n. 1369 del 1960) nelle

ipotesi, evidentemente ancora configurabili pur a seguito della consi stente deregulation della disciplina dell'avviamento al lavoro nel no stro sistema, di violazione della disciplina limitativa in materia. Secon do la corte, la sentenza Job Centre II imponeva, in virtù dei principi di

supremazia del diritto comunitario e di effetto diretto delle disposizioni del trattato, la disapplicazione della disciplina italiana in contrasto, sulla base del presupposto, effettivamente ravvisabile al tempo della

pronunzia, di un «abuso di posizione dominante», in contrasto con gli art. 86, n. 1, e 82 Ce, dipendente da un sistema caratterizzato da un ec cesso di vincoli burocratici e previsioni sanzionatorie, palesemente non in grado di soddisfare le indispensabili esigenze di efficienza nell'in contro fra domanda ed offerta nel mercato del lavoro (v. Corte giust. 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Foro it., 1998, IV, 41, con nota di G.

Meliadò). Precisano i giudici penali, tuttavia, che a seguito delle diver se riforme intervenute nel nostro sistema (1. n. 608 del 1996, sull'esten sione della chiamata nominativa e la soppressione dell'obbligo del nullaosta preventivo, sostituito dalla comunicazione ex post; 1. n. 196 del 1997 sull'introduzione del lavoro temporaneo; d.leg. n. 469 del

1997, sul nuovo regime dei servizi per l'impiego e dell'attività di me diazione privata), univocamente volte a rimuovere il monopolio pubbli co degli uffici di collocamento, mediante, da un lato, la «ristrutturazio ne» dei servizi pubblici per l'impiego, con il conferimento di impor tanti funzioni agli enti locali, dall'altro, e soprattutto, l'apertura del si stema ai privati, attraverso forme di mediazione «autorizzata» e l'intro duzione dell'istituto del lavoro temporaneo, bisogna ritenere «cessata la

possibilità di abuso di posizione dominante da parte degli uffici di col

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GIURISPRUDENZA PENALE

Svolgimento del processo. — Con la sentenza indicata in

premessa, il Tribunale di Bergamo, a seguito di opposizione a

decreto penale di condanna, assolveva «perché il fatto non è

previsto dalla legge come reato» Vezzoli Massimo, Gorla Emi

lio e Cioce Carmine dai reati di cui agli art. 2, in relazione al

l'art. 1 1. 1369/60 e 11 1. 264/49, per violazione delle disposi zioni in materia di collocamento di mano d'opera.

Secondo il tribunale la vecchia normativa nazionale, la viola

zione della quale è ascritta ai prevenuti, è in contrasto, e dunque è incompatibile, con quella comunitaria (art. 86 e 90 del trattato

locamento, paventata dalla Corte di giustizia, e quindi d'incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria». Per questo, e di

conseguenza, le sezioni penali della Cassazione, ritenendo concluso il

periodo di «moratoria» imposto dai giudici comunitari, affermano, per così dire, una sorta di reviviscenza del regime sanzionatorio, quanto meno nei suoi risvolti di diritto penale, nella misura (giocoforza più li

mitata di prima) in cui l'attività in questione venga svolta, da soggetti pubblici o privati in regime di autorizzazione, in violazione della pre scritta (e tuttora vigente) disciplina.

II. - È la prima volta, a quanto consta, che la Cassazione si pronunzia in termini così netti sulla reviviscenza della disciplina limitativa del

l'avviamento al lavoro, prendendo espressamente posizione sul caratte

re non più in contrasto con fondamentali principi del diritto comunita rio del sistema italiano di collocamento ed intermediazione. Il fatto che

il giudice nazionale proponga una valutazione di tal fatta, circa il venir

meno dell'incompatibilità fra la disciplina nazionale e quella comunita

ria a seguito delle profonde modifiche del sistema, appare del resto

conforme agli stessi principi enunciati dalla Corte di giustizia nel caso

Job Centre IL e ribaditi, senza accenti particolarmente innovativi, da

Corte giust. 8 giugno 2000, causa C-258/98, Corra, id., 2002, IV, 245, e Lavoro giur., 2000, 749, con nota di V. Filì. Anzi, vale la pena di ri

cordare che in quell'occasione, i giudici di Lussemburgo, interpellati sulla compatibilità del «nuovo» regime di avviamento al lavoro, ex 1. n.

196 del 1997 e d.leg. n. 469 del 1997, con gli art. 86, n. 1, e 82 Ce, di

chiararono la questione irricevibile, ritenendo che il giudice a quo (Pret. Firenze 20 giugno 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Unione euro

pea. n. 1174) non avesse fornito alcuna precisazione in ordine alla que stione in esame e, di fatto, rimettendo ogni valutazione al riguardo ai

giudici nazionali, pur nei limiti dei principi interpretativi forniti dagli stessi giudici comunitari.

III. - La pronunzia in rassegna, oltre a riattivare, seppure a distanza di tempo, il dialogo con la Corte di giustizia, peraltro introducendo, come si è detto, elementi di sostanziale novità, trae espressamente ispi razione da alcuni recenti precedenti delle sezioni civili e lavoro della

Corte di cassazione in subiecta materia. Infatti, con riferimento a con

troversie insorte nel periodo antecedente l'entrata in vigore della 1. n.

608 del 1996, cit. supra, i giudici di legittimità hanno costantemente ritenuto di disapplicare la normativa nazionale sul divieto di mediazio

ne privata e sul correlato divieto di assunzione «non per il tramite» de

gli uffici di collocamento, una volta ritenuta la sussistenza dei presup

posti per la violazione delle norme del trattato Ce più volte richiamate; nel far ciò, tuttavia, hanno incidentalmente precisato che tale valutazio

ne vale «fino a che la materia non è stata diversamente regolata dall'art.

9 bis 1. n. 608 del 1996», con ciò implicitamente ammettendo, precisa no i giudici in motivazione, che «gli effetti della decisione suddetta de

vono essere rivalutati alla luce delle modifiche in materia, apportate dal

legislatore nazionale e non considerate da quello comunitario» (in tal

senso, cfr. Cass. 4 maggio 2001, n. 6307, id., Rep. 2001, voce Lavoro

(collocamento), n. 43; 8 ottobre 2001, n. 12321, ibid., voce Lavoro

(rapporto), n. 642; 5 agosto 2000, n. 10316, id.. Rep. 2000, voce Lavo

ro (collocamento), n. 45, e Notiziario giurisprudenza lav., 2000, 688;

v., anche, pur trattandosi di principio di diritto più complesso, Cass. 7

agosto 1999, n. 8504, Foro it., 2000, I, 563, con nota di richiami, oltre

che a precedenti giurisprudenziali di vario tenore, anche all'ampia dot

trina sulla riforma del collocamento). Da ultimo, peraltro, una nuova

questione pregiudiziale relativa alla compatibilità della normativa ita

liana in materia di collocamento, ex 1. n. 608 e d.leg. n. 469 del 1997

con le più volte citate norme del trattato Ce, è stata sollevata da Trib.

Biella, ord. 18 ottobre 2001, est. Ramella, reperibile al sito Internet

<http://www.inps.it/ac/0rdinanze/tribunali/civili/tl81001 ,htm>.

IV. - La disciplina italiana in materia di collocamento e intermedia

zione di mano d'opera, variamente riformata, come detto, negli ultimi

anni, continua ad essere oggetto di ripetuti interventi, generalmente volti ad un allentamento dei vincoli burocratici, ma anche ad una tra

sformazione e riorganizzazione dei servizi per l'impiego, resi depositari di funzioni di formazione ed orientamento. A tacere d'altro, vale la pe na ricordare il d.leg. 21 aprile 2000 n. 181, disposizioni per agevola re l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'art.

li. Foro Italiano — 2003.

Ce), per cui deve ritenersi da questa implicitamente abrogata. A

tale conclusione, secondo il giudicante, deve pervenirsi sulla ba

se della decisione 11 dicembre 1997 della Corte di giustizia Ce

(Foro it., 1998, IV, 41), immediatamente precettiva, i cui effetti

sono stati poi riconosciuti da diverse pronunzie della sezione la

voro di questa Suprema corte.

Avverso detta decisione propone ricorso il procuratore della

repubblica per violazione di legge, sostenendo che la menzio

nata sentenza della Corte di giustizia non porta alle conclusioni

cui perviene il tribunale, e cioè che l'intera normativa penale in

materia di intermediazione di mano d'opera deve ritenersi ora

implicitamente abrogata; infatti, a seguito dell'entrata in vigore della 1. 196/97, che, creando la nuova figura delle «imprese di

fornitura di lavoro temporaneo», ha fatto cadere il regime di

monopolio degli uffici territoriali del ministero del lavoro, non

può più ravvisarsi una situazione di «abuso di posizione domi

nante» da parte degli uffici pubblici nazionali, che determinò la

pronunzia de qua, per cui risulta superata ogni questione relati

va ai rapporti tra il trattato Ce e la normativa interna degli Stati

membri in materia di collocamento.

Con memoria ex art. 611 c.p.p., i difensori di Gorla chiedono

il rigetto del ricorso del p.m., evidenziando che la gravata deci

sione, pur tenendo conto della normativa inerente il c.d. lavoro

interinale (1. 196/97), ravvisa tuttavia la persistenza della posi zione di abuso statale nella materia in esame, in quanto la men

zionata legge, invece che liberalizzare il mercato del lavoro, «ha

dato luogo al contingentamento del settore delegato ad imprese

private in alcuni rami ultratutelati» proprio da essa. Inoltre, se

condo gli esponenti, l'entrata in vigore della nuova legge, che

ha dato luogo ad una nuova tipologia di reato, ha determinato

l'implicita abrogazione dell'art. 1 1. 1369/60 ormai richiamato

solo quoadpoenam dall'art. 10 1. n. 196.

All'odierna udienza dibattimentale il p.g. conclude come ri

portato in premessa. Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato.

Thema decidendum è se, a seguito della sentenza 11 dicembre

1997 (causa C-55/96) della Corte di giustizia delle Comunità

europee, possa ancora considerarsi vigente la normativa nazio

nale, la cui violazione è stata ascritta ai prevenuti, sul divieto di

mediazione privata di mano d'opera e sul correlativo divieto di

assunzione non «per il tramite» degli uffici di collocamento.

Il Tribunale di Bergamo, come si è detto, ha ritenuto di dover

disapplicare la normativa nazionale in questione, sulla base

delle argomentazioni della richiamata sentenza della Corte di

giustizia, che l'hanno considerata insanabilmente confliggente con gli art. 86 e 90, n. 1, del trattato Ce (secondo la numerazio

ne all'epoca vigente), nonché sulla base di diverse sentenze

della sezione lavoro di questa Suprema corte.

Secondo il tribunale, infatti, la normativa nazionale (in parti colare gli art. 1, 1° comma, e 2 1. 1369/60 ed 11 1. 264/49) con

sente «l'abuso di posizione dominante» da parte degli uffici

45. 1° comma, lett. a), 1. n. 144 del 1999, da ultimo modificato e cor retto dal d.leg. 19 dicembre 2002 n. 297, il cui art. 8 abroga, fra l'altro, i titoli I e II 1. n. 264 del 1949, facendone tuttavia espressamente salvi

l'art. 11, 1° comma, e l'art. 27, 1° e 3° comma, sul sistema dei divieti e

delle conseguenti sanzioni penali. Inoltre, l'art. 1 1. 14 febbraio 2003 n. 30, delega al governo in mate

ria di occupazione e mercato del lavoro, prevede criteri direttivi per una

ampia deregulation della disciplina dell'interposizione, sino a prospet tare il superamento della 1. n. 1369 del 1960, allargando anche le ma

glie della mediazione privata e del ricorso al lavoro temporaneo. V. - In dottrina, per un quadro ricostruttivo del sistema alla luce delle

recenti riforme, v., fra gli altri, A. Lassandari, La disciplina del mer

cato del lavoro nel nuovo disegno costituzionale, in Riv. giur. lav.,

2002, I, 231; V. Fili, Avviamento al lavoro fra liberalizzazione e de

centramento, Milano, 2002; mentre sul nuovo sistema derivante dal

combinato disposto dei d.leg. n. 181 del 2000 e n. 297 del 2002, cfr., da

ultimo, E. Massi, La riforma del collocamento, in Dir. e pratica lav.,

2003, inserto del fase. 4. Sui contenuti della legge delega, nella parte richiamata, v„ invece, E. Massi-M.R. Gheido-A. Casotti-P. Rausei-D.

Vedani, La riforma del mercato del lavoro, ibid., inserto del fase. 10; G. Suppiej, La nuova disciplina del mercato del lavoro, in Guida al

lav., 2003, fase. 10. 24. [G. Ricci]

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PARTE SECONDA

pubblici di collocamento, giacché questi, quantunque chiara

mente non in grado di soddisfare tutte le odierne esigenze del

mondo del lavoro, agiscono tuttavia in regime di monopolio, ga rantito peraltro da un sistema sanzionatorio penale e ammini

strativo.

Ritiene il collegio che la questione di diritto, relativa all'at

tuale vigenza della menzionata normativa, non sia stata risolta

correttamente dal giudice del merito, che si è basato sulla ri

chiamata decisione comunitaria, ma senza tenere nel debito

conto gli interventi del legislatore nazionale in subiecta materia, sostanzialmente coevi alla pronunzia in questione, e però da

questa non considerati, come si evince indubitabilmente dal te

sto della stessa.

Con il d.l. 1° ottobre 1996 n. 510, convertito con 1. 608/96,

infatti, ma soprattutto con le successive 1. 196/97, che ha intro

dotto il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, e d.leg. 469/97, che ha definito le modalità necessarie per l'autorizza

zione a svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di

lavoro ad idonee strutture organizzative, è stato completamente sovvertito il quadro normativo del mercato del lavoro, venendo

meno il monopolio assoluto fino ad allora esercitato dagli uffici

di collocamento, col sorgere — come peraltro ammette la stessa

sentenza impugnata — di «un sistema di collocamento parallelo

ed alternativo a quello pubblico». La 1. 196/97, in particolare, creando la figura dell'«impresa

fornitrice» di lavoro temporaneo, riconosce a tale nuovo sog

getto di diritto privato (che può costituirsi nella forma di società

di capitali o cooperativa) —

purché regolarmente abilitato allo

svolgimento di detta attività, previa iscrizione in apposito albo — la possibilità di operare direttamente nel settore dell'inter

mediazione di mano d'opera. È ovvio che, per muoversi legitti mamente nell'ambito di questa normativa, se ne devono osser

vare le specifiche prescrizioni, altrimenti «continua a trovare

applicazione la 1. 23 ottobre 1960 n. 1369», come testualmente

stabilisce l'art. 10, 1° comma.

Il d.leg. 469/97, con cui sono stati conferiti alle regioni ed

agli enti locali funzioni e compiti in materia di mercato del la

voro, a norma dell'art. 1 1. 59/97, ha soppresso — dal 1° gen

naio 1999 — le strutture e gli uffici periferici del ministero del

lavoro e della previdenza sociale, operanti nel campo dell'atti

vità di mediazione, riconoscendo analoga funzione a soggetti

privati (imprese o gruppi di imprese, società cooperative o enti

non commerciali), aventi come esclusivo oggetto sociale l'atti

vità di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, purché mu

nite di specifica autorizzazione ministeriale (art. 10). Nei con

fronti dei soli soggetti autorizzati, il decreto esclude l'applica zione delle disposizioni contenute nella 1. 264/49.

Dunque, essendo pacificamente venuto a cessare il regime di

monopolio da parte degli uffici di collocamento, è cessata anche

la possibilità di abuso di posizione dominante da parte di essi, paventata dalla Corte di giustizia, e quindi d'incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria.

Nondimeno il nostro legislatore ha inteso — e ben poteva farlo — sanzionare penalmente chi svolga l'attività in questione (non più riservata a soggetti pubblici, ma pur tuttavia sempre tenuta sotto stretta vigilanza per tutelare il fondamentale inte

resse dei lavoratori), senza rispettarne la specifica disciplina. Anche le sentenze della sezione lavoro di questa corte,

menzionate dal tribunale a supporto del proprio assunto (5 a

gosto 2000, n. 10316, id., Rep. 2000, voce Lavoro (colloca

mento), n. 45; 11 settembre 2000, nn. 11940, 11941 e 11951,

ibid., nn. 49, 48 e 46) — che riconoscono l'obbligo per il giu dice italiano di disapplicare la normativa nazionale sul divieto

di mediazione privata e sul correlato divieto di assunzione non

«per il tramite» degli uffici di collocamento, qualora sia ac

certata la ricorrenza dei presupposti indicati nella citata deci

sione della Corte di giustizia — precisano che detto discorso

vale fino a quando la materia non è stata diversamente rego lata dalla 1. 608/96, con ciò ammettendo che gli effetti della

decisione suddetta devono essere rivalutati alla luce delle mo

difiche in materia, apportate dal legislatore nazionale e non

considerate da quello comunitario.

Conclusivamente ritiene il collegio che le norme, la cui viola

li. Foro Italiano — 2003.

zione è stata ascritta ai prevenuti, non sono state implicitamente

abrogate, per effetto della sentenza C-55/96 della Corte di giu

stizia, come affermato dal tribunale, essendo venuto intanto me

no il presupposto su cui la decisione si fondava, e cioè il mono

polio degli uffici di collocamento statali. Neppure appare condivisibile il rilievo, esposto con la memo

ria difensiva, che il richiamo operato dall'art. 10, 1° comma, 1.

196/97 alla normativa del 1960 sia soltanto quoad poenam, per ché detta norma richiama l'intera 1. n. 1369, quindi evidente

mente non solo le disposizioni sanzionatone, ma anche quelle

precettive.

Pertanto, il giudice del merito dovrà riesaminare la questione alla luce delle esposte considerazioni in diritto, accertando in

particolare se, nella fattispecie in esame, sussistano le condizio

ni, poste dalla menzionata normativa, per essere esonerati da

penale responsabilità in relazione ai reati ascritti ai prevenuti.

I

CORTE D'ASSISE DI PALERMO; ordinanza 28 gennaio 2003; Pres. Nobile, Rei. Pellino.

CORTE D'ASSISE DI PALERMO;

Dibattimento penale — Esame — Dichiarazioni rese dal

collaboratore di giustizia oltre il termine di sei mesi dal l'inizio della collaborazione — Inutilizzabilità — Esclu sione (Cod. proc. pen., art. 210, 500, 503; d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, nuove misure in materia di sequestri di persona a

scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collabo

rano con la giustizia, art. 16 quater, 1. 15 marzo 1991 n. 82, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 gennaio 1991 n. 8).

L'art. 16 quater, 9° comma, d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (conver

tito, con modificazioni, dalla l. 15 marzo 1991 n. 82), intro

dotto dall'art. 14 l. 13 febbraio 2001 n. 45, non prevede l'inutilizzabilità assoluta e generalizzata delle dichiarazioni

rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di sei mesi

dall'inizio della collaborazione in quanto la regola di esclu

sione probatoria si riferisce testualmente alle dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, e non

può quindi estendere il suo ambito di operatività nei confronti di dichiarazioni rese al giudice nel contraddittorio dibatti

mentale. (1)

(1-2) Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia: aspetti problematici.

1. - Le decisioni di merito in rassegna affrontano alcune complesse problematiche processuali derivanti dalla nuova normativa in tema di

protezione e di trattamento sanzionatorio dei «collaboratori di giusti zia» introdotta dalla 1. 13 febbraio 2001 n. 45, approvata a conclusione di una lunga e travagliata «gestazione parlamentare» (1).

In base a questa disciplina, ai fini dell'adozione delle speciali misure di protezione e della concessione delle circostanze attenuanti e dei be nefici penitenziari previsti dalla legge nel caso di collaborazione di giu stizia, la persona interessata deve rendere al procuratore della repubbli ca, entro il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della vo

(1) Vigna-Alfonso, Lineamenti della legge sui collaboratori di giu stizia, in AA.VV., Nuove nonne sulla formazione e valutazione della

prova (l. 1° marzo 2001 n. 63) a cura di Tonini, Padova, 2001. 97.

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