sezione III penale; sentenza 9 febbraio 2005; Pres. Savignano, Est. Lombardi, P.M. Passacantando(concl. diff.); ric. Proietti. Annulla Trib. Roma 15 aprile 2004Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 463/464-465/466Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202143 .
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463 PARTE SECONDA
quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti di
imputati nell'ambito di procedimenti penali, poiché una diretti
va non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da
una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attua
zione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli
imputati» (par. 78 e dispositivo). Basti rilevare in proposito che, nel caso esaminato dalla corte
europea, né gli originari art. 2621 e 2622 c.c., che prevedevano un trattamento sanzionatorio più severo, e sotto la vigenza dei
quali erano stati commessi i reati contestati, né i nuovi art. 2621
e 2622 c.c., che hanno introdotto un trattamento penale più mite,
costituiscono attuazione di direttive comunitarie; sicché si com
prende l'affermazione secondo cui una direttiva comunitaria,
per stessa e senza la mediazione di leggi nazionali di attuazione,
non possa determinare o aggravare una responsabilità penale nella soggetta materia. Mentre nel caso della disciplina sui ri
fiuti, la direttiva comunitaria è stata trasposta nell'ordinamento
nazionale attraverso il d.leg. 22/97, che ha previsto in aggiunta un sistema sanzionatorio a presidio della disciplina stessa, sic
ché né la previsione della responsabilità penale, né la sua limi
tazione derivano direttamente dalla direttiva comunitaria, es
sendo, invece, state introdotte, la prima dall'art. 51 d.leg. 22/97,
e la seconda all'art. 1, 19° comma, 1. 426/98.
Nella presente vicenda processuale, quindi, non può farsi ri
corso al principio statuito nella suddetta sentenza comunitaria
del 3 maggio 2005, proprio perché presupposto di questo prin
cipio è la mancanza di norme nazionali attuative della direttiva
comunitaria.
10. - Infine, la rilevanza e ammissibilità della questione di le
gittimità costituzionale del testo novellato dell'art. 34, 4° com
ma, d.leg. 22/97 trova conforto in numerose sentenze di codesta
corte, che, proprio in materia di rifiuti, hanno dichiarato l'ille
gittimità costituzionale di varie leggi regionali che avevano de
penalizzato lo stoccaggio provvisorio non espressamente auto
rizzato di rifiuti tossici e nocivi (306/92, id., 1993, I, 332; 437/92, ibid., 331; 194/93, id., 1994, I, 3578) o l'accumulo temporaneo di rifiuti tossici e nocivi (sent. 213/91, id., 1991, I,
2993), o che avevano escluso dagli impianti di smaltimento di
rifiuti gli impianti di depurazione per conto terzi di rifiuti liqui di, così esonerando la loro gestione dall'obbligo di autorizza
zione (sent. 173/98, id., 1998,1, 2345). In questi casi la caducazione delle norme legislative regionali
per contrasto con fonti normative gerarchicamente superiori, co
stituzionali e comunitarie, è perfettamente sovrapponibile alla
richiesta caducazione del testo novellato del richiamato art. 30
per contrasto col diritto comunitario; ed ha gli stessi effetti sul
trattamento penale degli imputati nell'ambito dei processi prin
cipali. Per tutte queste ragioni non sembra potersi dubitare della ri
levanza della questione.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 9
febbraio 2005; Pres. Savignano, Est. Lombardi, P.M. Passa
cantando (conci, diff.); ric. Proietti. Annulla Trib. Roma 15
aprile 2004.
Animali e vegetali (protezione degli) — Animali pericolosi — Divieto di detenzione — Autorizzazione — Necessaria
anteriorità rispetto alla data di acquisto — Fattispecie (L. 7 febbraio 1992 n. 150, disciplina dei reati relativi all'appli cazione in Italia della convenzione sul commercio internazio
nale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, fir
mata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla 1. 19 dicembre
1975 n. 874, e del regolamento Cee 3626/82 e successive mo
dificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la
detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che posso no costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica, art. 1, 6).
Il divieto di detenzione di un animale appartenente ad una delle
specie ritenute pericolose per la salute e l'incolumità pubbli ca viene meno solo in caso di eventuale autorizzazione che
deve essere comunque precedente all'acquisto dell'animale
(nella specie, è stato ritenuto sussistente il divieto di deten
zione di un istrice europeo in quanto l'acquisto risulta suc
cessivo all'inclusione di tale esemplare nell'elenco ministe
riale delle specie ritenute pericolose per la salute e l'incolu
mità pubblica). (1)
Svolgimento del processo. — Con la sentenza impugnata il
Tribunale di Roma ha affermato la colpevolezza di Proietti
Mauro in ordine ai reati: c) di cui all'art. 1 1. 150/92; d) di cui
all'art. 6, 1° comma, 1. 150/92, ascrittigli per aver detenuto un
Hystrix cristata (istrice europeo), animale incluso nell'allegato
a) appendice III GH del regolamento Ce n. 3626 del 1982, non
ché nell'elenco degli animali pericolosi per la salute e l'incolu
mità pubblica, di cui al decreto del ministro dell'ambiente del
19 aprile 1996, senza la prescritta autorizzazione e documenta
zione. Per quanto interessa ai fini del giudizio di legittimità va
rilevato che la sentenza ha applicato all'imputato, in relazione al
reato di cui al capo c), le disposizioni di cui all'art. 1 1. 150/92,
prima delle modifiche introdotte dal d.leg. 275/01, affermando
(1) Con la decisione in epigrafe la Corte di cassazione affronta la
questione relativa all'ambito di applicazione della fattispecie riguar dante la detenzione di animali pericolosi con riferimento all'individua zione degli elementi in presenza dei quali si può ottenere l'autorizza zione alla continuazione di tale detenzione. Secondo la Suprema corte è necessario verificare, in primo luogo, l'inclusione dell'animale posse duto nell'elenco predisposto dal ministero competente e relativo all'in dividuazione delle diverse specie animali tra quelle pericolose per la salute e l'incolumità pubblica. In secondo luogo, si valuta come decisi
vo, il momento della presentazione dell'autorizzazione alla detenzione dell'animale che deve essere preventiva rispetto al suo acquisto.
In merito alla qualificazione della fattispecie relativa al divieto di detenzione di animali pericolosi già si era espressa Cass. 11 febbraio
2004, Chiarotti, Foro it., 2004, II, 489, con nota di richiami, afferman do che tale divieto sussiste a prescindere da ogni valutazione sulle mo dalità di custodia degli animali. Nello stesso senso, con riguardo ad una
parte di esemplare di animale (nella specie, una zanna di elefante) ap partenente a specie protetta, v. Cass. 24 ottobre 2003, Carlessi, ibid., 210, con nota di richiami, e, con riferimento a prodotti derivati da
esemplari di fauna selvatica minacciati di estinzione (nella specie, ipo tesi relativa alla detenzione di manufatti in avorio ricavati da elefante africano o asiatico), v. Cass. 8 ottobre 2003, Shig Kee Chan, id., Rep. 2004, voce Animali (protezione), nn. 12, 15.
Sul rapporto esistente tra identificazione delle specie protette e di vieto di detenzione, v. Cass. 21 gennaio 2005. Tomasini, Riv. pen., 2005, 985.
In merito alla non sanzionabilità penale di alcuni comportamenti connessi alla detenzione di animali regolarmente detenuti, v. Cass. 10 dicembre 2003, Sarra, Foro it., 2004, II, 352, con nota di richiami.
Più in generale, con specifico riguardo alla qualificazione del reato di maltrattamento di animali, Cass. 4 maggio 2004, Brao, id., 2005, II, 295, con nota di richiami e nota di Perez Monguio, ha chiarito che la
fattispecie criminosa di cui all'art. 727 c.p. è integrata non solo da
quelle condotte che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali, ma anche da quelle che, in modo ingiustificato, inci dono sulla sensibilità degli stessi e sono determinate dalle condizioni
oggettive con cui questi vengono tenuti.
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GIURISPRUDENZA PENALE
che il fatto ascritto al Proietti, e commesso in data 13 dicembre
2000, era previsto come reato anche ai sensi della formulazione
originaria della norma citata.
Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'im
putato, che la denuncia con tre motivi di gravame e l'impugna zione è stata trasmessa a questa corte ai sensi dell'art. 568, ul timo comma, c.p.p.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di annulla mento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 1 1. 150/92.
Si osserva che l'art. 1 1. 150/92, ritenuto dal giudice di merito
norma più favorevole rispetto alla fattispecie novellata dal d.leg. 275/01, puniva solo la condotta di colui che detenesse, senza la
prescritta documentazione, gli esemplari indicati nell'appendice I dell'allegato A, ovvero nell'allegato C, parte I, del regola mento Ce n. 3626 del 1982, di talché la mera detenzione degli
esemplari indicati nelle appendici II e III del regolamento Ce
non costituiva una condotta penalmente rilevante, essendo pe raltro richiesta la detenzione per la vendita; che solo in seguito alla riforma introdotta dal d.leg. 275/01 è stata prevista come
reato la detenzione, senza la prescritta documentazione, degli animali elencati nell'allegato A del citato regolamento, di talché
non sussiste più alcuna distinzione tra le varie appendici. Si deduce, quindi che il giudice di merito ha erroneamente af
fermato la colpevolezza del Proietti per un fatto che all'epoca in
cui fu commesso non costituiva reato. In proposito si aggiunge che la sentenza fa erroneamente riferimento ad un non meglio
precisato richiamo intercorrente tra appendice I e III, che non
sussiste e, in ogni caso, esplica l'esclusiva funzione di indicare
l'esistenza di un'altra specie simile.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente censura la
mancata assoluzione dell'imputato dal reato di cui al capo d), affermando che la fattispecie criminosa non sussiste.
Con il motivo di impugnazione si censura il riferimento della
sentenza al fatto che l'imputato non rientra tra i soggetti di cui
all'ultimo comma dell'art. 6 1. 150/92, circostanza di cui non vi
è menzione nel capo di imputazione e si osserva che nella moti
vazione non si è neppure dato conto delle risultanze istruttorie.
Si osserva inoltre che la detenzione degli animali pericolosi di
cui al d.m. del 1996 è consentita, oltre che ai soggetti indicati
nel citato ultimo comma dell'art. 6, anche ai soggetti che siano
espressamente autorizzati dagli enti territoriali competenti, in
quanto l'art. 6, 1° comma, 1. 150/92 fa salvo quanto previsto dalla 1. 11 febbraio 1992 n. 157; che, pertanto, possono detenere
animali pericolosi sia coloro che siano espressamente autoriz
zati dagli enti locali all'allevamento di fauna selvatica a fine
amatoriale o ornamentale (art. 17 1. 157/92), sia chiunque abbia
acquistato i predetti animali presso allevamenti regolarmente autorizzati (art. 2, 17 e 21 1. 157/92). Si deduce, quindi, che
l'imputato aveva prodotto al giudice di merito la documentazio
ne attestante che l'istrice era stato acquistato presso un centro
regolarmente autorizzato, aveva inoltrato una richiesta di auto
rizzazione presso l'ente locale, secondo le prescrizioni della 1.
157/92, nonché della 1. reg. Lazio 17/95, ed aveva inoltrato le
ulteriori comunicazioni alla Usi e al prefetto, di talché il Proietti
doveva essere assolto perché il fatto non sussiste o non costitui
sce reato.
Con l'ultimo mezzo di annullamento il ricorrente censura, in
fine, l'entità della pena inflitta, deducendo che il giudice di me
rito ha irrogato una pena pari al doppio di quella minima edit
tale senza fornire un'adeguata motivazione al riguardo e senza
tener conto della tenuità del fatto contestato anche alla luce del
l'effettivo comportamento dell'imputato. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Osserva la corte che il giudice di merito ha correttamente ap
plicato all'imputato la disciplina di cui all'art. 1 1. 150/92, come
sostituito dall'art. 1 d.l. 13 gennaio 1993 n. 2, convertito in 1.
59/93, e, quindi, nel testo antecedente alla riforma di cui al
d.leg. 18 maggio 2001 n. 275, in quanto normativa più favore
vole vigente alla data del fatto.
Orbene, il 1° comma dell'articolo citato disponeva: «Chiun
que in violazione di quanto previsto dal decreto del ministro del
commercio con l'estero del 31 dicembre 1983, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 64 del 5 marzo
1984, importa, esporta o riesporta, sotto qualsiasi regime doga nale, vende, espone per la vendita, detiene per la vendita, offre
II Foro Italiano — 2006.
in vendita, trasporta, anche per conto terzi, o comunque detiene
esemplari di specie indicate nell'allegato A, appendice I, e nel
l'allegato C, parte I, del regolamento (Cee) 3626/82 del consi
glio del 3 dicembre 1982, e successive modificazioni, è punito con le seguenti sanzioni (...)».
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente anche ai sensi della disposizione sopra riportata, prima della novella di
cui al d.leg. 275/01, era prevista come reato la mera detenzione
degli animali in cui agli elenchi citati nell'art. 1.
Detto articolo, però, fa riferimento esclusivamente all'appen dice I dell'allegato A e non anche all'appendice III, mentre il te
sto novellato fa riferimento genericamente agli esemplari ap
partenenti alle specie elencate nell'allegato A del regolamento,
peraltro indicando il successivo regolamento Ce 338/97 del con
siglio del 9 dicembre 1996. Erroneamente, pertanto, il giudice di merito ha esteso la pu
nibilità della detenzione senza la prescritta documentazione, al
l'istrice, la cui specie risultava elencata nell'appendice III, do
vendosi ritenere peraltro irrilevanti, a fronte del chiaro dettato
normativo, per l'esigenza di tipicità della fattispecie penale, gli eventuali collegamenti previsti per determinate sottospecie dalle
varie appendici. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza
rinvio in ordine all'imputazione di cui al capo c) perché il fatto
non era previsto dalla legge come reato.
E, invece, infondato il secondo motivo di gravame. Risulta evidente che il riferimento dell'impugnata sentenza ai
soggetti indicati nell'art. 6, 6° comma, 1. 150/92 ha il solo signi ficato di escludere che all'imputato non fosse applicabile il di
vieto di detenere animali che costituiscano un pericolo per la
salute e per l'incolumità pubblica imposto dal 1° comma dello
stesso articolo.
Ciò precisato, osserva la corte che ai sensi del 3° comma del
citato art. 6 sono obbligati a denunciare alla prefettura territo
rialmente competente la detenzione di animali pericolosi e pos sono ottenere l'autorizzazione a continuare a detenerli esclusi
vamente coloro che ne fossero già in possesso alla data della
pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto con il quale il
ministero competente stabilisce «i criteri da applicare nell'indi
viduazione della specie di cui al 1° comma e predispone di con
seguenza l'elenco di tali esemplari». In ogni altro caso l'autorizzazione alla detenzione «di fauna
selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed
amatoriale», eventualmente ottenibile ai sensi dell'art. 17 1. 11
febbraio 1992 n. 157, per l'espressa riserva contenuta nel 1°
comma dell'art. 6 1. 150/92, deve precedere l'acquisto dell'ani
male appartenente ad una delle specie ritenute pericolose per la
salute e l'incolumità pubblica. Orbene, nel caso in esame, il giudice di merito ha accertato
che il Proietti ha acquistato l'istrice il 27 settembre 1996, men
tre il decreto ministeriale, nel quale sono incluse tutte le specie di istrice, è del 19 aprile 1996, di talché l'imputato deteneva il
predetto animale in violazione del divieto di cui al citato art. 6, 1° comma, 1. 150/92, avendolo acquistato dopo l'inclusione
dello stesso nell'elenco di cui al citato decreto ministeriale sen
za essersi preventivamente munito di alcuna autorizzazione. Poiché il giudice di merito ha ritenuto la continuazione tra i
reati di cui all'affermazione della colpevolezza dell'imputato ed
ha determinato la pena in base alla fattispecie criminosa, rite
nuta più grave, di cui al capo c), la sentenza impugnata deve es
sere altresì annullata con rinvio per la sola determinazione della
pena relativa al reato di cui al capo d).
L'accoglimento del primo motivo di ricorso è assorbente, per le anzidette ragioni afferenti alla necessità di una nuova deter
minazione della pena, del terzo motivo, che peraltro si configura
quale mera censura di merito.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato nel resto.
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