Sezione IV; decisione 3 luglio 1963, n. 518; Pres. Potenza, Est. Crisci; Vario (Avv. Sorrentino) c.Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Tracanna)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 353/354-355/356Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152906 .
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353 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 354
finanza locale nessuna condizione risulta posta per l'ado zione di una tariffa che resti nei limiti di quella massima.
L'adozione di questa rientra cioè nei poteri discrezionali
dell'Amministrazione comunale, il cui esercizio non esige una particolare dettagliata motivazione.
Per quanto concerne, invece, l'istituzione delle sovraim
posizioni, ai sensi dell'art. 95 t. u. n. 1175 del 1931, modifi
cato dall'art. 24 della legge 2 luglio 1952 n. 703, i comuni
possono essere autorizzati dalla giunta prov. amm. ad
aumentare le tariffe massime « in caso di accertata necessità ».
Le modalità e i criteri di applicazione della norma suddetta
sono disciplinati dall'art. 306 della legge comunale e provin ciale, secondo il quale (6° comma) la giunta prov. amm., in casi eccezionali, può autorizzare ulteriori aumenti delle
tariffe massime fino al limite del 50%. L'esercizio di siffatto potere è vincolato, quindi, a pre
cisi presupposti, onde non è consentito all'Amministrazione
di prescindere dalle particolari circostanze (« accertata ne
cessità » ed « eccezionalità » del caso), che, sole, giustifi cano la sovraimposizione. Ne deriva che non è sufficiente
il generico riferimento alle esigenze di bilancio, che si legge nel provvedimento impugnato.
Nel corso della discussione orale, la difesa del Comune
ha sostenuto che la censura di difetto di motivazione, de
dotta sotto tale profilo, è inconferente, perchè l'Ammini
strazione non si sarebbe avvalsa del potere di cui all'art. 95
t. u. per la finanza locale, ma di quello conferitole dal
l'art. 332, 5° comma, t. u. legge com. e prov. appunto in relazione all'esigenza di conseguire il pareggio di bilancio.
E il riferimento alla dedotta esigenza, contenuto nella de
liberazione comunale 11 dicembre 1959, costituirebbe idonea
motivazione.
Si sostiene cioè che la vigente legislazione contempla due poteri di maggiorazione delle imposte di consumo ; l'uno (previsto dall'art. 95 t. u. n. 1175 del 1931, modifi
cato dall'art. 24 della legge 2 luglio 1952 n. 703) ha per og
getto l'aumento delle tariffe massime, in caso di accertata
necessità e dietro autorizzazione della giunta prov. amm. ; l'altro (contemplato dal 5° comma dell'art. 332 suddetto) concerne i soli comuni che non siano in grado di assicurare
il pareggio economico dei propri bilanci ed ha per oggetto l'aumento delle imposte in genere e, in ispecie, di quelle di
consumo.
Ma, anche ammesso che i due poteri siano assolutamente
diversi per le finalità che si propongono e che il Comune si
sia avvalso del potere di cui all'art. 332, 5° comma, t. u.
3 marzo 1934 n. 383, non ne discendono le conseguenze volute. Il semplice riferimento alle esigenze di bilancio,
ripetendo tautologicamente il testo della legge, è insuffi
ciente a' giustificare l'esercizio di un potere previsto pur
sempre, nel sistema della finanza locale, per casi ecce
zionali.
In ogni modo, la deliberazione istitutiva delle supercon
tribuzioni, che così gravemente incide sugli interessi dei
contribuenti, deve essere adottata in base ad un ponderato esame della situazione economico-finanziaria del comune.
E le necessità del bilancio, invocate nel provvedimento
impugnato, non potrebbero, a stretto rigore, essere accer
tate se non in occasione della formazione e dell'approva zione del bilancio ; il che non è avvenuto nella specie.
La difesa del Comune cerca di superare l'obiezione, assumendo che l'autorizzazione alla sovraimposizione, data
indipendentemente dalla formazione e dalla approvazione del bilancio, ha carattere provvisorio e condizionato, e
diviene effettiva e definitiva con la seconda autorizzazione,
che interviene in sede di approvazione del bilancio. Ma l'as
sunto non può essere atteso, poiché la prima autorizzazione
non è nè provvisoria nè condizionata, derivando da essa
l'efficacia della tariffa e della sovraimposizione e perchè, in sostanza, l'autorizzazione intervenuta in sede di approva zione del bilancio non è che la riproduzione testuale della
prima, alla quale nulla aggiunge. Pertanto, la mancata im
pugnazione dalla seconda neppure preclude l'esame del ri
corso proposto avverso l'altra, come, invece, si pretende. La ricorrente deduce, ulteriormente, che il Comune non
ha considerato le ripercussioni che sul bilancio avrebbero
avuto le entrate provenienti dall'applicazione della tariffa
ordinaria dell'imposta di consumo sui materiali da impiegare nella costruzione dell'autostrada.
Anche tale censura è fondata.
La valutazione della sopravvenienza attiva derivante
dal gettito ordinario delle imposte di consumo costituisce
effettivamente il presupposto della deliberazione istitutiva
delle sovraimposizioni. La « necessità » dell'applicazione delle medesime è, infatti, determinata proprio dalla insuffi
cienza delle entrate ordinarie a far fronte a certe esigenze. Occorre quindi clie il comune consideri anzitutto l'entità
del gettito di queste ultime, al fine di stabilire se debba,
tuttavia, fare ricorso alla adozione della maggiorazione delle
imposte. Le sovraimposizioni, poi, costituendo nel sistema della
finanza locale un rimedio eccezionale, vanno contenute, entro limiti massimi stabiliti dalla legge, nella misura indi
spensabile a far fronte appunto alle esigenze in relazione alle
quali sono deliberate.
Nella specie, la maggiorazione della tariffa è stata adot
tata « ai fini del pareggio del bilancio ». Dunque lo stesso
Comune, con tale formula, ha inequivocamente affermato
di voler contenere la maggiorazione nel limiti occorrenti
al ripiano del bilancio. Ma, a tal fine, avrebbe dovuto anzi
tutto tenere conto dell'entità della sopravvenienza attiva
derivante dal gettito ordinario delle imposte e poi, se fosse
stato tuttavia necessario, avrebbe potuto procedere alla
sovraimposizione nei limiti suindicati.
L'Amministrazione obietta che, in quel momento, il
credito per le imposte ordinarie non era certo, essendo stata
contestata dalla S.a.c.c.a. dinanzi all'a.g.o. la stessa as
soggettabilità dei mateiiali occorsi per l'esecuzione dei la
vori all'imposta di consumo. Ma l'argomento non ha pregio. I bilanci comunali sono, infatti, bilanci di competenza
e non di cassa e, pertanto, nella previsione non poteva non
tenersi conto del credito in questione. D'altra parte, il Com
mune aveva già in deposito il terzo presunto dell'imposta, onde era in possesso degli elementi necessari per valutare
la entità della sopravvenienza e le sue ripercussioni sul
bilancio.
II ricorso deve essere, quindi, accolto e, in conseguenza, va annullato il provvedimento impugnato limitatamente
alla parte con la quale dispone l'aumento della imposta di consumo per l'anno 1960 oltre il limite della taiiffa
massima di legge. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione IV ; decisione 3 luglio 1963, n. 518 ; Pres. Potenza,
Est. Crisci ; Vario (Avv. Sorrentino) c. Min. lavori
pubblici (Avv. dello Stato Tracanna).
Case popolari — Presidente di istituto autonomo —
( ondalina penale non definitiva —• Seioylimento
dell'amministrazione — Legittimità —Fattispecie
(R. d. 28 aprile 1938 n. 1165, t. u. sull'edilizia popolare ed economica, art. 27 ; legge 1° marzo 1952 n. 113, ra
tifica, con modificazioni, della legge 30 settembre 1947
n. 1174, modificazioni alle disposizioni del t. u. 28 aprile 1938 n. 1165, art. 3).
È legittimo il provvedimento di scioglimento degli organi di
amministrazione di un istituto per le case popolari, fon
dato sulla circostanza che il presidente dell'istituto aveva
riportato condanna penale (anche se non definitiva, e,
successivamente al provvedimento, riformata in appello con assoluzione dell'imputato) per fatti con/nessi alla sua.
carica (nella specie, tale circostanza obiettiva è stata rite
nuta, indipendentemente dall'accertamento di responsa
bilità nei riguardi del funzionario, evento idoneo a
creare un'atmosfera di sospetto e di disistima nei confronti
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355 PARTE TERZA 356
dell'intera amministrazione ordinaria dell'ente, con pre
giudizio dei pubblici interessi che questo persegue). (1)
La Sezione, eco. — Il provvedimento di scioglimento dell'amministrazione ordinaria degli istituti autonomi pro vinciali per 1© case popolari, con la conseguente nomina
di un commissario governativo per la gestione straordinaria
dell'ente, può, ai sensi dell'art. 3 della legge 1° marzo 1952
n. 113, essere adottato dal Ministro per i lavori pubblici. « ove ricorrano gravi motivi », discrezionalmente valuta
bili dall'autorità preposta alla vigilanza dell'ente stesso. I gravi motivi possono riferirsi o al comportamento dei
titolari degli organi controllati in quanto responsabili di
irregolarità e di infrazioni alla legge o alla considerazione
obiettiva dell'opportunità, in presenza di determinate cir
costanze, di eliminare con la rimozione degli ordinari organi direttivi dell'ente, il pregiudizio che l'ulteriore permanenza in carica dei medesimi potrebbe arrecare all'interesse pub blico.
Solo nel primo caso e non, invece, nel secondo, la giu risprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto che il prov vedimento debba essere preceduto da una contestazione
degli addebiti che dia modo agli interessati di giustificarsi adeguatamente.
Nella specie gli addebiti mossi al Vario erano addirit tura sfociati in una denuncia all'autorità giudiziaria, con
promuovimento dell'azione penale a suo carico ; onde il ricorrente aveva avuto ampie possibilità di produrre tutti
gli elementi a sua discolpa nella competente sede.
Ciononostante, il Tribunale di Caltanissetta, con sen tenza del 18 gennaio 1962, aveva condannato il Vario per il reato di cui all'art. 98 del decreto pres. 30 marzo 1957 n. 361 (coartazione degli elettori da parte di un pubblico funzionario nell'esercizio e con abuso delle sue attribuzioni) e lo aveva assolto per insufficienza di prove dai reati di cui
agli art. 323 e 324 cod. pen. (abuso generico di ufficio, in teresse privato in atti di ufficio).
È ovvio che, di fronte ad una sentenza di primo grado non
passata in giudicato, l'amministrazione non poteva trarre da tale pronuncia giurisdizionale il convincimento circa l'ef fettiva e incontestabile colpevolezza dell'imputato (art. 27
Cost.), nè poteva, d'altra parte, invitarlo a giustificare il suo operato, risultando le discolpe già acquisite agli atti del procedimento giudiziario.
Ciò non esclude peraltro che la sentenza (resa nota al Ministero dei lavori pubblici con lettera della Prefettura di Caltanissetta del 19 gennaio 1962) dovesse essere in sè va lutata dal Ministero stesso per gli sfavorevoli riflessi che non poteva non esercitare sull'opinione pubblica, a pre scindere dalle future sorti del procedimento.
È evidente infatti che una pronuncia penale, sia pure non definitiva, la quale dichiari colpevole il presidente del l'istituto autonomo delle case popolari per un reato con nesso al suo comportamento nell'esplicazione delle fun zioni inerenti all'alta e delicata carica di cui è investito, costituisce un evento che, perla sua notorietà nell'ambiente, è atto a creare un'atmosfera di sospetto e di disistima nei
riguardi dell'intera amministrazione ordinaria dell'ente
pubblico, con pregiudizio dei pubblici interessi che l'ente stesso è istituzionalmente chiamato a perseguire.
Di qui il provvedimento impugnato, il quale, lungi dal l'affermare in qualsiasi modo la responsabilità del Vario, si è limitato a richiamare la citata lettera della Prefettura che comunicava l'emanazione della sentenza del Tribunale del 18 gennaio 1962 e, conseguentemente, a ritenere la ne cessità di procedere allo scioglimento degli organi di am
(1) Non constano precedenti in termini. Con riferimento all'accenno, fatto in motivazione, alle ipo
tesi nelle quali è necessaria la contestazione degli addebiti, vedi Cons. Stato, Sez. IV, 25 ottobre 1961, n. 460, Foro it., Rep. 1961, voce Case popolari, n. 130 ; Sez. V 11 maggio 1956, n. 361, id., 1956, III, 149, con nota di richiami.
In una fattispecie di scioglimento dell'amministrazione di un istituto per le case popolari, v. pure Sez. IV 25 giugno 1954, n. 416, id., Rep. 1954, voce cit., n. 75.
ministrazione dell'istituto « per la gravità dei fatti veri
ficatisi », ossia in ragione dell'intervenuta denuncia del pre sidente all'autorità giudiziaria seguita dal promovimento dell'azione penale e da una sentenza di condanna.
Di qui, del pari, l'esistenza di una adeguata motivaz'one
ob relationem fondata sulla circostanza obiettiva, e di per sè-stessa rilevante, della esistenza di una sentenza di con
danna a carico del presidente per fatti connessi alla sua
carica, circostanza sufficiente a giustificare lo scioglimento dell'intera amministrazione ordinaria dell'ente, indipenden temente dall'accertamento di responsabilità nei riguardi di
singoli titolari dei relativi organi. Ya del resto osservato che per i funzionari onorari pre
posti all'amministrazione degli istituti autonomi provin ciali per le case popolari, la legge, in considerazione anche
della temporaneità dell'incarico, contempla solo lo sciogli mento e la revoca, non anche altre misure provvisorie, quali la sospensione cautelare, vigenti per gli impiegati pubblici in attesa del definitivo esito dei provvedimenti penali o
disciplinari a loro carico.
È ben vero, come il ricorrente ha dimostrato nel corso
del presente giudizio, che egli, con sentenza della Corte d'ap
pello del 13 agosto 1962 è stato assolto da tutti i reati adde
bitatigli. Ma tale circostanza, se pur in ipotesi idonea, in
relazione al contenuto della sentenza di assoluzione, a rein
tegrare definitivamente l'onorabilità del ricorrente, non
vale, per le anzidette ragioni, ad incidere sulla legittimità del provvedimento impugnato, per quanto dolorose possano essere state le conseguenze del medesimo per l'interessato.
Per le esposte considerazioni il ricorso deve essere
respinto. Concorrono giuste ragioni per compensare fra le parti
le spese del giudizio. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione IV ; decisione 26 giugno 1963, n. 474 ; Pres. Po
listina P., Est. Landi ; Sempio (Avv. De Bosio, Golda Perini, Kanieri) c. Medico provinciale di
Milano (Avv. dello Stato Ciardulli) e Comune di Milano (Avv. Consolini, Sartogo).
Farmacia -— Farmacie comunali — Istituzione —
Municipalizzazione di pubblici servizi — Que stione di legittimità costituzionale — Manifesta
infondatezza (Costituzione della Repubblica, art. 35, 41 ; legge 9 giugno 1947 n. 530, modificazioni al t. u. della legge com. e prov. 3 marzo 1934 n. 383, art. 27).
Farmacia — Farmacia comunale -— Istituzione —
Condizioni (E. d. 15 ottobre 1925 n. 2578, t. u. delle
leggi sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da
parte del comune e delle province, art. 1 ; legge 9
giugno 1947 n. 530, art. 27).
È manifestamente infondata la questione di legittimità co stituzionale dell'art. 27 della legge 9 giugno 1947 n. 530, che prevede l'assunzione o l'impianto di farmacie da
parte dei comuni, anche sotto il più generale profilo della
costituzionalità dell'istituto della municipalizzazione dei
pubblici servizi. (1) Per l'istituzione di farmacie comunali non è richiesta la
ricorrenza di esigenze eccezionali, bensì solo di quelle
(1) La manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma che prevede la municipalizzazione di altro pubblico servizio (trasporti funebri) è stata ritenuta da Pret. Marigliano 23 luglio 1962, Foro it., Eep. 1962, voce Muni cipalizzazione dei pubblici servizi, n. 14. Vedi pure, quanto alle centrali de] latte, Corte cost. 23 marzo 1960, n. 11, id., 1960, I, 545, nonché in Giust. civ., 1960, III, 52, con nota di Pbedieri, e in Giur. cost., 1960, 90, con nota di Cheli.
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