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sezione IV penale; sentenza 28 ottobre 2003; Pres. D'Urso, Est. Brusco, P.M. Cosentino (concl....

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sezione IV penale; sentenza 28 ottobre 2003; Pres. D'Urso, Est. Brusco, P.M. Cosentino (concl. conf.); ric. Rossi. Conferma Trib. Lodi 30 novembre 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 357/358-359/360 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199266 . Accessed: 28/06/2014 13:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.90 on Sat, 28 Jun 2014 13:10:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione IV penale; sentenza 28 ottobre 2003; Pres. D'Urso, Est. Brusco, P.M. Cosentino (concl.conf.); ric. Rossi. Conferma Trib. Lodi 30 novembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 357/358-359/360Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199266 .

Accessed: 28/06/2014 13:10

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GIURISPRUDENZA PENALE

naie, ma solo il possesso da parte di uno degli imputati di un ri

chiamo acustico, fatto di per sé non illecito;

4) insufficienza dell'unica argomentazione, posta a base del

l'affermazione di responsabilità, che uno degli imputati era «in

atteggiamento di caccia», trattandosi di un opinabile giudizio di

uno dei testi d'accusa, acriticamente recepito dal magistrato;

5) conseguente nullità del capo d'imputazione e della motiva

zione della sentenza per genericità ed illogicità; 6) assenza di alcun elemento di prova o indiziario a carico

degli imputati, ricavabili dalle testimonianze; 7) assenza di alcuna circostanza comprovante l'esercizio del

l'attività venatoria;

8) assenza di alcun elemento comprovante il concorso;

9) in subordine, assenza di motivazione in ordine alla man

cata concessione della sospensione condizionale agli imputati. Il ricorso, parzialmente fondato, va accolto nei limiti di se

guito esposti. In ordine alla prima censura, è sufficiente osservare che nel

caso di specie non era dovuto l'avviso di conclusioni delle in

dagini, non essendo tale atto, previsto dall'art. 415 bis c.p.p. nell'ambito del rito ordinario culminante nell'udienza prelimi

nare, dovuto nei casi di reati per i quali si proceda con citazione

diretta da parte del p.m. o per decreto penale e conseguente op

posizione, come nel caso di specie. Infondate sono la seconda e la quinta censura, deducenti la

nullità della contestazione, tenuto conto della sufficiente speci

ficità, in ordine alle circostanze di fatto, tempo e luogo, oltre

che dei puntuali riferimenti normativi, del capo d'imputazione, in narrativa testualmente riportato, enunciante un'accusa ben

precisa, tale da consentire ogni possibilità agli imputati di ap

prontare adeguata difesa.

Le rimanenti censure sono invece fondate, nella parte in cui

deducono l'insufficiente motivazione dell'affermazione di re

sponsabilità, con specifico riferimento all'elemento oggettivo della condotta contravvenzionale ascritta, in concorso, ai due

imputati. Il giudice di merito, infatti, nella succinta e sbrigativa moti

vazione della sentenza, non ha precisato se e quale dei due im

putati fosse in possesso di armi idonee all'abbattimento o cattu

ra della selvaggina, limitandosi ad affermare: «mentre l'Impero era in atteggiamento di caccia, dai pressi del Flauto proveniva il

suono di un richiamo acustico vietato ... che lo stesso occultava

in uno stivale».

L'art. 12 1. 11 febbraio 1992 n. 157, dopo aver precisato, al 2°

comma, che «costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto al

l'abbattimento o alla cattura della fauna selvatica mediante

l'impiego dei mezzi di cui all'art. 13» fissa, al comma successi

vo, delle presunzioni iuris et de iure desumibili da taluni com

portamenti inequivoci, quali il «vagare o il soffermarsi con i

mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna

selvatica o di attesa della medesima per abbatterla». L'art. 13

cit. contempla, quali mezzi leciti di abbattimento o cattura della

selvaggina alcuni tipi di fucile, l'arco ed il falco.

Ne consegue che non è ipotizzabile un «atteggiamento di cac

cia», inquadrabile tra i comportamenti previsti dall'art. 12 cit., nei casi in cui l'agente non sia in possesso di mezzi, leciti o il

leciti, di per sé idonei all'abbattimento o cattura della selvaggi

na, tale non potendosi ritenere, dunque, il solo richiamo, ancor

ché di genere vietato, il cui impiego, se di per sé sufficiente ad

attirare i pennuti, da solo non ne consente certo la cattura.

La motivazione neppure precisa se la distanza tra i due im

putati fosse tale da denotare una collaborazione nell'esercizio

venatorio, consentendo all'Impero, ove armato, di avvalersi del

l'effetto attrattivo esercitato dal richiamo detenuto dal Flauto

(anche se non armato). La sentenza impugnata va pertanto annullata, per nuovo esa

me, con rinvio al giudice a quo, rimanendo assorbita l'ultima

censura, denunziante una, peraltro evidente, assenza di motiva

zione su una richiesta (di concessione dei benefici) che pur ri

sulta essere stata, in via subordinata, formulata dalla difesa.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 28

ottobre 2003; Pres. D'Urso, Est. Brusco, P.M. Cosentino

(conci, conf.); ric. Rossi. Conferma Trib. Lodi 30 novembre

2000.

Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Omessa

trascrizione del dispositivo letto in udienza e inserito in at ti — Nullità — Esclusione — Errore materiale (Cod. proc.

pen., art. 130, 546).

L'omessa trascrizione, nell'originale della sentenza, del di

spositivo che pur esista, sia stato ritualmente letto in udienza

e risulti inserito negli atti processuali, non dà luogo a nullità

della sentenza per mancanza del dispositivo, ai sensi del

l'art. 546, 3° comma, c.p.p., ma integra un mero errore ma

teriale, riparabile secondo la procedura prevista dall'art.

130 c.p.p. (1)

(Omissis). Il ricorso è infondato e deve conseguentemente es

sere rigettato.

Pregiudiziale appare l'esame dell'eccezione di nullità della

sentenza impugnata perché priva del dispositivo. Dall'esame del fascicolo processuale, che questa corte può

compiere essendo stata dedotta una violazione di natura proces

suale, emerge che il dispositivo della sentenza in esame venne

regolarmente letto all'udienza del 30 novembre 2000 ed inserito

nel fascicolo. La motivazione della sentenza fu depositata il 30

gennaio 2001 ed effettivamente il documento è privo del dispo sitivo. Il giudice ha poi provveduto, con provvedimento 10

aprile 2001, alla correzione dell'errore materiale integrando la

sentenza depositata con il dispositivo omesso di tenore identico

a quello del dispositivo letto in udienza.

Ciò premesso deve rilevarsi, innanzitutto, che appaiono

inammissibili, in questa sede, le censure che si riferiscono alla

violazione della procedura prevista dall'art. 127 c.p.p. per la

correzione dell'errore materiale.

Già dubbia appare l'ammissibilità del motivo aggiunto perché non proposto con l'originario ricorso e non riferibile ad alcuno

dei motivi proposti inizialmente; ma in ogni caso non v'è dub

bio che le censure contro il provvedimento di correzione vadano

rivolte contro il medesimo in separato giudizio non potendo es

sere introdotte in questo procedimento che riguarda esclusiva

mente l'impugnazione contro la sentenza del giudice di merito e

non contro la separata ordinanza che avrebbe dovuto essere (si

ignora se lo sia stata) autonomamente impugnata. In ogni caso, essendo stata dedotta l'inesistenza della senten

za, che potrebbe essere dichiarata anche in assenza di espressa

impugnazione, va rilevato come la censura proposta sia infon

data. La sanzione di nullità prevista dall'art. 546, 3° comma,

codice di rito nel caso in cui «manca o è incompleto nei suoi

elementi essenziali il dispositivo» va infatti riferita al caso in

cui difetti totalmente il dispositivo e non ai casi nei quali il di

spositivo esista e ne sia stata data regolare lettura. In questi casi

infatti non v'è alcuna incertezza sul contenuto della decisione e

alcun interesse delle parti viene leso trattandosi di mera assenza

grafica quindi sanabile con la procedura prevista dall'art. 130

c.p.p. In questo senso si è già espressa la terza sezione di questa

corte con la sentenza 27 gennaio 1998, Pagliaro (Foro it., Rep.

1998, voce Sentenza penale, n. 14), il cui contenuto questo col

legio condivide.

(1) La pronuncia affronta una questione interpretativa ad oggi con

troversa: in senso conforme, cfr. Cass. 27 gennaio 1998, Pagliaro, Foro

it., Rep. 1998, voce Sentenza penale, n. 14; contra — nel senso che la

mancanza del dispositivo, sebbene ritualmente letto in udienza, deter

mina la nullità della sentenza, che non può essere integrata con la pro cedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p., non

utilizzabile allorché l'errore produca la nullità dell'atto — Cass. 8 otto

bre 1993, Negro, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 96, e 27 giugno 2002,

Melluso, id., Rep. 2002, voce cit., n. 41. Per un inquadramento della

natura e dei limiti del procedimento di correzione degli errori materiali,

cfr., per tutti, Amodio, in Commentario del nuovo codice di procedura

penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, II, sub art. 130,

104 ss.

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PARTE SECONDA

Non ignora la corte l'esistenza di precedenti di legittimità di

segno diverso (in particolare, Cass. 27 giugno 2002, Melluso,

id., Rep. 2002, voce cit., n. 41; 8 ottobre 1993, Negro, id., Rep. 1995, voce cit., n. 96) ma non ritiene di condividere questo orientamento. La previsione di nullità da parte dell'art. 546 cit.

può in effetti, dal punto di vista letterale, essere interpretata di

versamente, riferendola all'ipotesi in cui manchi proprio il di

spositivo letto in udienza ovvero all'ipotesi in cui, pur esistendo

il dispositivo letto, non venga riportato nella motivazione della

sentenza. A parere di questo collegio in questa seconda ipotesi non può ipotizzarsi la nullità della sentenza perché il dispositivo esiste ed è ormai immodificabile.

Se si considera la funzione dell'istituto della correzione del

l'errore materiale si vedrà che questa procedura è consentita nei

soli casi nei quali il contenuto dell'atto da correggere non subi

sce alcuna modificazione sostanziale. Ebbene la certezza del

contenuto già pubblicato del dispositivo della sentenza è, nel ca

so in esame, integralmente garantito. Verosimilmente la diffor

me giurisprudenza di legittimità è orientata anche dalla condivi

sibile esigenza di non convalidare una prassi, non frequente ma

esistente, che si avvale della procedura di correzione per ovviare

ad omissione od errori di giudizio nel dispositivo letto. Ma, nel

caso in esame, la necessità di questa esigenza non si pone in

quanto il dispositivo letto è conosciuto e la sua mancata ripro duzione nel testo della sentenza non immuta in nulla la decisio

ne adottata.

Il sistema delineato è quindi orientato ad evitare l'uso stru

mentale della procedura di correzione degli errori materiali per ovviare ad errori od omissioni di giudizio. Non sembra quindi che possa ritenersi in contrasto con la soluzione che si propone

quel filone della giurisprudenza di legittimità che afferma la

nullità, almeno parziale, del dispositivo incompleto, letto in

udienza e poi riprodotto nella sentenza e che ritiene l'inammis

sibilità, in questi casi, della correzione dell'errore materiale; v.

Cass. 12 febbraio 1999, Cutino, id., Rep. 1999, voce cit., n. 69

(relativa al caso dell'omissione nel dispositivo del nome di un

imputato e della pena inflitta); 22 settembre 1998, Cimieri,

ibid., n. 54 (relativa al caso dell'omessa statuizione sanzionato

ria nei confronti di un imputato); 19 febbraio 1997, Papi, id.,

Rep. 1997, voce cit., n. 76 (anche in questo caso erano state

omesse nel dispositivo le statuizioni relative ad alcuni degli im

putati); 28 aprile 1995, Pagliardi, id., Rep. 1996, voce cit., n. 12 (relativa al caso di omessa pronunzia su alcuni dei capi conte

stati). Come è agevole constatare in tutti questi casi era il dispositi

vo letto che presentava incompletezze od omissioni e corretta

mente si è ritenuto che ciò non fosse emendabile con la proce dura di correzione perché ciò avrebbe comportato un'immuta

zione del decisum. Il che, per quanto si è detto, non si verifica nel caso di una semplice omissione grafica in cui sia incorso l'estensore della sentenza. (Omissis)

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 15

ottobre 2003; Pres. Fattori, Est. Visconti, P.M. De Sandro

(conci, conf.); P.m. in c. Granato. Annulla senza rinvio Giud.

pace Firenze, ord. 17 settembre 2002.

Procedimento penale davanti al giudice di pace — Indagini preliminari — Avviso di conclusione — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 415 bis-, d.leg. 28 agosto 2000 n. 274, disposi zioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma

dell'art. 14 1. 24 novembre 1999 n. 468, art. 2).

Nel procedimento penale avanti al giudice di pace non trova

applicazione l'istituto dell'avviso di conclusione delle in

dagini preliminari, regolato, per il procedimento penale per reati di competenza del giudice unico, dall'art. 415 bis

c.p.p. (1)

Il ricorrente sostiene l'abnormità del provvedimento impu

gnato, in quanto è stata disposta un'attività assolutamente non

prevista dalla normativa inerente al procedimento dinanzi al

giudice di pace (d.leg. 28 agosto 2000 n. 274), e quindi non at tuabile. Inoltre, la situazione processuale derivante dall'ordi

nanza emessa dal Giudice di pace di Firenze procura una situa

zione di paralisi processuale, rimovibile solo con una decisione

di annullamento della Corte di cassazione.

Il ricorso è fondato e va accolto.

Il giudice di merito ha ritenuto che la necessità dell'adempi mento previsto dall'art. 415 bis c.p.p. (avviso all'indagato della

conclusione delle indagini preliminari) si evince dall'art. 2 d.leg. 274/00, il quale dispone che «nel procedimento davanti al

giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal presente de

creto, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel

codice di procedura penale ...». Lo stesso giudice ha sostenuto

altresì che una diversa interpretazione lederebbe il diritto di di

fesa dell'imputato. Va, invece, rilevato che proprio l'interpretazione sia letterale

che logica del citato art. 2 non può portare ad altra conclusione

che non sia quella di escludere l'applicabilità dell'art. 415 bis

c.p.p. al procedimento dinanzi al giudice di pace. L'art. 2, infatti, specifica che le norme processuali penali ge

nerali, pur se non espressamente citate nel decreto, si osservano

«in quanto applicabili». Tale dizione comporta, pertanto, la ne

cessità di un esame di carattere sia generale che sistematico

della norma in esame, della quale il giudice di merito ritiene do

verosa l'osservanza, in relazione al particolare procedimento

previsto dal d.leg. 274/00, che contiene numerose innovazioni

(1) Sin dal primo dibattito era apparso largamente maggioritario l'indirizzo incline ad escludere l'applicabilità dell'art. 415 bis c.p.p. (introdotto dall'art. 17, 2° comma, 1. 16 dicembre 1999 n. 479) al rito

penale avanti al giudice di pace, rimarcando come l'istituto apparisse distonico — anche al di là di pur sussistenti ragioni meccaniche — ri

spetto alla filosofia di fondo, improntata ad una incisiva semplificazio ne delle forme, che permea di sé il modello disegnato dal d.leg. n. 274 del 2000 (cfr., in tal senso, tra gli altri, Bricchetti, Indagini prelimina ri: la polizia torna protagonista, in Guida al dir., 2000, fase. 38, 100; Caprioli, Esercizio dell'azione penale: soggetti, morfologia, controlli, in II giudice di pace. Un nuovo modello di giustizia penale a cura di

Scalfati, Padova, 2001, 170 ss.; Ichino, La fase delle indagini prelimi nari nei reati di competenza del giudice di pace, in AA.VV., La com

petenza penale del giudice di pace, Milano, 2000, 92). Più di recente si è, peraltro, ribadito come talune perplessità di ordi

ne tecnico potrebbero, in astratto, ritenersi superabili alla luce di appo site manovre interpretative volte a rendere compatibile l'avviso ex art. 415 bis c.p.p. con il rito penale avanti al giudice di pace (cfr., per que sta tesi, l'articolata disamina di Ciavola, Chiusura delle indagini ed esercizio dell'azione penale, in II giudice di pace nella giurisdizione penale a cura di Giostra e Illuminati, Torino, 2001, 193 ss., nonché i rilievi di Marzaduri, Procedimento penale davanti al giudice di pace, in G. Conso-V. Grevi, Compendio di procedura penale, 2a ed., Padova, 2003, 1045); s'è notato, tuttavia, proprio facendo leva sull'impronta semplificatrice che fa da leitmotiv alle scelte del legislatore del 2000, come sia la prassi a orientarsi, anzitutto, nel senso di escludere l'appli cazione del congegno (cfr., per tale indicazione, ancora Ciavola, op. cit., 199, e Marzaduri, op. loc. cit.).

Nello stesso senso, da ultimo, Celeste-Iacoboni, Il giudice di pace. Le cause civili e i processi penali, Milano, 2003, 240, 318 s.

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