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sezione lavoro; sentenza 12 giugno 2003, n. 9462; Pres. Trezza, Est. Giacalone, P.M. Cinque (concl....

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sezione lavoro; sentenza 12 giugno 2003, n. 9462; Pres. Trezza, Est. Giacalone, P.M. Cinque (concl. conf.); Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo) c. Muraro (Avv. Cabibbo). Conferma App. Trento 2 settembre 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 4 (APRILE 2004), pp. 1215/1216-1217/1218 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199160 . Accessed: 28/06/2014 08:19 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.196 on Sat, 28 Jun 2014 08:19:19 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 12 giugno 2003, n. 9462; Pres. Trezza, Est. Giacalone, P.M. Cinque(concl. conf.); Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo) c. Muraro (Avv. Cabibbo). Conferma App. Trento2 settembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 4 (APRILE 2004), pp. 1215/1216-1217/1218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199160 .

Accessed: 28/06/2014 08:19

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PARTE PRIMA

somme al termine del rapporto abbia un notevole grado di cer

tezza e prevedibilità, requisiti che mancavano nel caso di specie. 1.2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la viola

zione e falsa applicazione dell'art. 64, 1° comma, d.p.r. 22 di

cembre 1986 n. 917 in relazione all'art. 360, 1° comma, n. 3,

c.p.c. Deduce l'amministrazione che a norma dell'art. 64, 1° com

ma, d.p.r. 917/86 «le imposte sui redditi e quelle per le quali è

prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in de

duzione. Le altre imposte sono deducibili nell'esercizio in cui

avviene il pagamento». Nella fattispecie la società aveva corrisposto l'imposta di

bollo in modo virtuale, cioè a fine anno su quantificazione del

l'ufficio. Tale modalità non era però idonea a derogare il prin

cipio contenuto nella citata disposizione, secondo cui è applica bile il criterio di cassa e non di competenza.

Essendo incontroverso che l'imposta venne assolta nel 1991

non poteva la società dedurre l'onere nel 1990.

1.3. - Con l'ultimo motivo l'amministrazione ricorrente de

duce il vizio di ultrapetizione e la violazione e falsa applicazio ne dell'art. 37 1. 413/91, in relazione all'art. 360, 1° comma, n.

3, c.p.c., sul rilievo che con il ricorso introduttivo non era stata

fatta valere la franchigia del cinquanta per cento, prevista dal

l'art. 37 1. 413/91 e applicata dal giudice di appello per le spese per omaggi, per l'erogazione liberale all'Apres di lire 3.000.000 e per gli interessi attivi sui crediti d'imposta.

2.1. - Il primo motivo del ricorso è infondato.

L'art. 70, 3° comma, d.p.r. 917/86, che prevede che sono de

ducibili gli accantonamenti di fine rapporto di cui alla lett. d) dell'art. 16, 1° comma, d.p.r. 917/86, si riferisce alle indennità

percepite per la cessazione del rapporto di agenzia delle persone fisiche, tra le quali rientra l'indennità suppletiva di clientela.

In contrario non vale rilevare che dal contratto collettivo che

disciplina detta indennità suppletiva risulta che essa non viene

corrisposta sempre ma soltanto nelle ipotesi di scioglimento di

un contratto a tempo indeterminato per fatto non imputabile al

l'agente. La natura aleatoria dell'indennità, infatti, non consentiva al

l'ufficio di contestare in radice la legittimità dell'accantona

mento ma solo di determinare il quantum di quest'ultimo sulla

base di criteri statistici, che tenessero conto delle probabilità di

cessazione del rapporto di agenzia per fatto imputabile all'a

gente. Tale questione, l'unica rilevante ai fini della deduzione del

l'accantonamento in oggetto, è invece rimasta del tutto estranea

alla materia del contendere.

2.2. - Parimenti infondato è il terzo motivo del ricorso con cui

l'amministrazione finanziaria deduce che la franchigia del cin

quanta per cento prevista dall'art. 37 1. 413/91, franchigia appli cata dal giudice di appello per le spese per omaggi, per l'eroga zione liberale all'Apres di lire 3.000.000 e per gli interessi attivi sui crediti d'imposta, non è stata fatta valere dalla contribuente

con il ricorso introduttivo.

Invero, è incontroverso che la società Lorenz aveva presen tato dichiarazione integrativa semplice ex art. 32, 1° comma, 1.

413/91 e quindi aveva diritto all'applicazione della franchigia di

cui all'art. 37 successivo; la circostanza che la contribuente ab

bia fatto per la prima volta richiamo alla suddetta norma di fa

vore solo nelle deduzioni presentate nel giudizio di appello, non

impediva al giudice tributario di applicare detto beneficio fi

scale, posto che, spettando esso di diritto al contribuente in rela

zione al condono fiscale richiesto, doveva ritenersi implicita mente fatto valere dal medesimo sin dal ricorso introduttivo.

2.3. - Merita invece accoglimento il secondo motivo del ri

corso.

A norma dell'art. 64, 1° comma, d.p.r. 917/86, le imposte di

verse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è prevista la

rivalsa, anche facoltativa, sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento (nel caso di specie, nell'anno 1991). Il criterio adottato dal legislatore per la deducibilità di dette impo ste è quindi quello della cassa e non della competenza.

Né vale in contrario fare richiamo all'art. 64, 3° comma, d.p.r. 917/86, che determina la deducibilità degli accantonamenti per le imposte non ancora definitivamente accertate nei limiti del

l'ammontare corrispondente alle dichiarazioni presentate, agli accertamenti o provvedimenti degli uffici e alle decisioni delle

commissioni tributarie. Tale disposizione da un lato si riferisce

Il Foro Italiano — 2004.

agli accantonamenti diretti a coprire debiti indeterminati nel

l'ammontare o nella data di sopravvenienza alla data di chiusura

dell'esercizio sociale; dall'altro, consente di dedurre gli accan

tonamenti nell'esercizio in cui viene presentata la dichiarazione, che coincide con quello di pagamento del conguaglio (cfr. art.

15 d.p.r. 642/72). La modalità di pagamento dell'imposta di bollo nel caso in

esame, e cioè con il metodo virtuale anziché con quello ordina

rio o straordinario, non rileva sul piano normativo ai fini del

l'applicazione del criterio della competenza economica in luogo di quello della cassa.

D'altra parte, per il chiaro tenore letterale della statuizione di

cui al citato art. 64, 1° comma, che fa espresso richiamo in via

generale al principio di cassa, non può essere consentito, in

mancanza di una disposizione speciale derogatoria per l'impo sta di bollo, pervenire ad interpretazioni che, per il collega mento di detto tributo in questione con i ricavi o per altre ra

gioni di ordine sistematico (cfr., in tal senso, circ. min. fin.

136/E/2000/108411 del 5 luglio 2000), conducano a ritenere applicabile un criterio diverso da quello espressamente con

templato dalla legge. In conclusione, rigettati il primo e il terzo motivo del ricorso,

va accolto il secondo motivo, con cassazione della sentenza im

pugnata in ordine al motivo accolto e rinvio, anche per la pro nunzia sulle spese relative al giudizio di legittimità, ad altra se zione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 giu

gno 2003, n. 9462; Pres. Trezza, Est. Giacalone, P.M. Cin

que (conci, conf.); Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo) c. Mu

raro (Avv. Cabibbo). Conferma App. Trento 2 settembre

2000.

Previdenza e assistenza sociale — Assicurazione generale

obbligatoria — Immutabilità del titolo della pensione — Esclusione (R.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, perfezionamento e

coordinamento legislativo della previdenza sociale, art. 45; r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia,

per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, art. 9;

d.p.r. 27 aprile 1968 n. 488, aumento e nuovo sistema di cal

colo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbli

gatoria, art. 14; 1. 30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordi

namenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 13; 1. 12 giugno 1984 n. 222, revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile, art. 1).

Nell'assicurazione generale obbligatoria non sussiste alcun

principio generale d'immutabilità del titolo della pensione,

potendo l'assicurato optare per un tipo di pensionamento più

vantaggioso per il quale sia in possesso dei requisiti contri

butivi. (1)

(1) In senso conforme, v. Cass. 2 aprile 2003, nn. 5096 e 5097, Foro it., Mass., 434; 23 giugno 1999, n. 6418, id., Rep. 1999, voce Previden za sociale, n. 601; 7 luglio 1998, n. 6603, ibid., n. 639, e Giust. civ., 1999, I, 2765, con nota di Muzi; 20 febbraio 1998, n. 1821, Foro it..

Rep. 1998, voce cit., n. 594; Trib. Firenze 22 ottobre 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 549; App. Milano 8 gennaio 2001, id., Rep. 2001. voce cit., n. 584; Trib. Napoli 28 marzo 2001, ibid., n. 587.

In senso contrario, Cass. 2 aprile 1996, n. 3045, id.. Rep. 1996, voce

cit., n. 710; 7 maggio 1993, n. 5299, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 561; 5

aprile 1991 n. 3567, id.. 1992,1, 187; 1° aprile 1987, n. 3145, id., 1988, I, 2359, con nota di Rocco. E, per la giurisprudenza di merito, Trib. Pi sa 13 dicembre 1990, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 763; Pret. Bergamo 9 dicembre 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 715; Trib. Pisa 4 marzo

1995, id., Rep. 1996, voce cit.. n. 664. Secondo Cass. 25 marzo 1993, n. 3548, id., Rep. 1993, voce cit., n.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 22 ot

tobre 1999, Guido Muraro ha chiesto che fosse accertato il suo

diritto a conseguire la pensione di anzianità, in sostituzione di

quella d'invalidità già riconosciutagli dal maggio 1998, previo trasferimento dei contributi versati nel periodo in cui aveva la

vorato in Svizzera, evidenziando che la richiesta avanzata al

l'Inps, con domanda del 23 dicembre 1998, era stata definitiva

mente respinta in sede amministrativa.

L'Inps, costituitosi in giudizio, aveva contestato la pretesa del

Muraro, sostenendo che il periodo di godimento dell'assegno d'invalidità non poteva incidere sull'anzianità contributiva se

non nei limiti indicati dal 6° comma dell'art. 1 1. n. 222 del 1984.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda statuendo la

trasformazione dell'assegno d'invalidità in pensione d'anzianità

a decorrere dal 1° febbraio 1999, con compensazione delle spe se di lite.

Su appello dell'Inps, la corte d'appello confermava la deci

sione di primo grado, osservando che il concetto della mutabi

lità del titolo del trattamento previdenziale, affermato da Cass.

1821/98 (Foro it., Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 594) modificando il precedente orientamento sul punto, aveva trovato

esplicita conferma nella successiva giurisprudenza: Cass. n.

6603 del 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 639, e n. 6418 del 1999, ibid., n. 601.

Aggiungeva la corte che il Muraro, dopo il riconoscimento

dell'assegno d'invalidità, aveva continuato la sua attività lavo

rativa, maturando la contribuzione necessaria al conseguimento della pensione d'anzianità, costituente trattamento previdenziale di maggior favore.

Avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione l'Inps, con unico, articolato motivo; resiste il Muraro con controricor

so.

Motivi della decisione. — L'istituto ricorrente, denunziando

violazione e falsa applicazione dell'art. 1, 10° comma, 1. n. 222

del 1984, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., ritiene che il

giudice d'appello avrebbe violato detta norma in quanto la stes

sa è insuscettibile d'interpretazione estensiva o analogica, pre vedendo la trasformazione dell'assegno d'invalidità in pensione di vecchiaia e non di anzianità; non trattandosi di un principio di

carattere generale; mentre dovrebbe essere riaffermato l'oppo sto principio d'immutabilità del titolo pensionistico, che deriva

dalla condizione di protezione peculiare già accordata all'inte

ressato, beneficiario di trattamento da invalidità, conseguente a

presupposti diversi da quelli previsti per la pensione di anziani

tà, la quale ultima non è tutelata dall'art. 38 Cost.

La censura è infondata.

Ritiene la corte che merita di essere confermato l'orienta

mento giurisprudenziale consolidatosi a seguito di Cass. 20 feb

braio 1998, n. 1821, secondo cui nel vigente ordinamento previ denziale non esiste — diversamente da quanto opinato dalla

precedente giurisprudenza di legittimità — un principio gene

rale di immutabilità del titolo della pensione, che non ne con

senta — in presenza dei requisiti di legge — la conversione.

Né a soluzione opposta, e favorevole alla configurabilità di

tale divieto di mutamento del titolo della pensione, sembra po tersi pervenire con il richiamo alle eccezioni, individuabili —

secondo la giurisprudenza anteriore a Cass. n. 1821 del 1998 —

negli: a) art. 14, 4° comma, d.p.r. 488/68; 13 1. 153/69; 4 d.l.

267/72; b) oppure dal testo normativo contenuto negli art. 45

r.d.l. 1827/35 e 9 r.d.l. 636/39 (modificato dalla 1. 218/52). In

309, il divieto di versamento di contributi volontari per periodi succes sivi al pensionamento è finalizzato ad evitare il mutamento del titolo della pensione.

Ad avviso di Corte cost. 20 dicembre 1988, n. 1116, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 736, e Dir. lav., 1989, II, 321, con nota di Rossi, il princi pio di immutabilità della pensione di invalidità, vigente prima deli'en trata in vigore della 1. 222/84, non si poneva in contrasto con l'art. 38 Cost.

Sull'immutabilità della pensione riliquidata secondo i più favorevoli criteri della previdenza marinara, in caso di sopravvenienza di più favo revoli criteri dell'assicurazione generale obbligatoria, cfr. Cass. 19 no vembre 2002, n. 16302, Foro it., 2003,1, 1167, con nota di richiami.

Per riferimenti, nel senso che occorre privilegiare il computo del trattamento pensionistico che risulti più favorevole all'assicurato, v. Corte cost. 28 maggio 1999, n. 201, id., 1999,1, 2162, con osservazioni di V. Ferrari.

Il Foro Italiano — 2004.

fatti, da una parte, le norme richiamate sub lett. a) non autoriz

zano — come ritenuto, invece, dalla meno recente giurispruden za — il mutamento del titolo della pensione quale eccezione ri

spetto ad una regola generale vietante detto mutamento; ma si

limitano a consentire la liquidazione dello stesso trattamento

pensionistico in base a criteri diversi. Neanche gli art. 45 r.d.l.

n. 1827 del 1935 e 9 r.d.l. n. 636 del 1939 (modificato dalla 1. 4 aprile 1952 n. 218) consentono di desumere il principio dell'al

ternatività preclusiva delle prestazioni dell'assicurazione gene rale obbligatoria, giacché il primo di detti articoli si limita a sta bilire che «l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia ha per

scopo principale l'assegnazione di una pensione nel caso di in

validità al lavoro o di vecchiaia. Essa ha, inoltre, per scopo la

concessione di un assegno in caso di morte dell'assicurato e la

prevenzione e la cura dell'invalidità» (1° comma); mentre l'art.

9 r.d.l. 636/39, nel testo sostituito dalla 1. 218/52, non contem

pla affatto il principio dell'immutabilità (o dell'alternatività preclusiva) del titolo della pensione (v. anche Cass. 23 giugno 1999, n. 6418, cit.).

Va, quindi, ribadito che, nell'ordinamento delineato dalla vi

gente legislazione, è consentita, concorrendo i requisiti di legge, la conversione della pensione o dell'assegno di invalidità in

pensione di anzianità, non ostandovi alcuna norma, neanche

quella di cui all'art. 1, 10° comma, 1. 12 giugno 1984 n. 222

(«revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile»), se condo il quale «al compimento dell'età stabilita per il diritto a

pensione di vecchiaia, l'assegno di invalidità si trasforma in presenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione, in

pensione di vecchiaia». Una volta ammessa la mutabilità del ti

tolo della pensione, è allora evidente, infatti, che il legislatore del 1984 ha inteso regolamentare espressamente (ma non esclu

sivamente) «la vecchiaia», che è la più comune e tipica delle

situazioni astrattamente generatrici di bisogno, tant'è che la di

sciplina della pensione di vecchiaia rappresenta il «cuore» del

sistema previdenziale, e, in qualche modo, lo caratterizza nel

suo complesso. Da ciò, tuttavia, non consegue che lo stesso le

gislatore abbia escluso l'ipotizzabilità di una conversione del

l'assegno di invalidità in pensione di anzianità, che rappresenta

pur sempre un evento giustificativo dell'intervento della previ denza pubblica, ma soltanto eventuale, dipendendo il suo con

seguimento — oltre che dall'anzianità di lavoro — dalla scelta

(facoltativa) del lavoratore; ragion per cui è comprensibile che

l'art. 1, 10° comma, 1. n. 222 del 1984 cit. abbia in certo qual modo trascurato di prevederla espressamente.

Inoltre, considerato anche che i contributi sono versati dal

l'assicurato senza imputazione all'una o all'altra prestazione dell'assicurazione generale obbligatoria, appare valida la con

clusione cui parte della dottrina era pervenuta ancor prima del

l'emanazione della 1. 12 giugno 1984 n. 222, e cioè che la con

tribuzione, indistintamente e globalmente versata, produce i

suoi effetti nel corso del rapporto assicurativo a seconda degli eventi che si succedono nel tempo, onde la posizione assicurati

va è suscettibile di utilizzazione in relazione a tali eventi, con

seguendo all'esercizio dello ius variandi soltanto lo storno dei

contributi da una ad altra forma di pensionamento con cessazio

ne, ovviamente, della precedente liquidazione. Siffatte conclu

sioni sono in armonia con la previsione dell'art. 38, 2° comma,

Cost., tendente ad assicurare al pensionato mezzi adeguati di

vita, talché il diritto alle prestazioni previdenziali, quale espres sione di un diritto attuativo della dignità umana, non può soffri

re limiti che non siano connessi alla funzione che è destinato ad

attuare. Non può, quindi, disconoscersi (tanto meno in sede in

terpretativa delle norme del sistema) il diritto al mutamento del

titolo della pensione a chi voglia optare per un tipo di pensio namento più vantaggioso, ricorrendone ovviamente i requisiti contributivi (Cass. 7 luglio 1998, n. 6603, cit.).

Per le ragioni esplicitate in precedenza, quindi, il ricorso deve

essere rigettato.

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