sezione lavoro; sentenza 14 giugno 1999, n. 5892; Pres. Ianniruberto, Est. Castiglione, P.M.Carnevali (concl. diff.); Soc. Frette (Avv. Petroni, Veneto) c. Leonardi (Avv. Serrao). ConfermaTrib. Roma 14 giugno 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 595/596-599/600Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195473 .
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PARTE PRIMA
cautelare, onde tale ordinanza non è suscettibile di ricorso straor
dinario per cassazione (sez. un. 824/95, id., 1995, I, 796, e
1832/96, id., 1996, I, 1232; adde, tra le altre, Cass. 8178/96,
id., Rep. 1997, voce Procedimenti cautelari, n. 102, e 5430/96,
id., Rep. 1996, voce cit., n. 89). Con riferimento all'ipotesi in cui la corte d'appello abbia di
chiarato inammissibile il reclamo proposto avverso il decreto
del tribunale reso in materia, vanno condivisi gli argomenti che, nel caso di specie, la corte territoriale ha addotto a confutazio
ne del principio enunciato dalla sentenza di questa corte 3127/93,
cit., secondo cui v'è la ricorribilità per cassazione ex art. Ili
Cost., essendo coinvolta la questione attinente alla sussistenza
0 meno del diritto soggettivo processuale di riesame. D'altro
canto, detta pronuncia è rimasta isolata, essendo stata superata dalla successiva elaborazione giurisprudenziale, che ha posto in
rilievo come la non ricorribilità per cassazione ex art. Ill Cost,
non trovi deroga neppure quando la corte d'appello risolva,
positivamente o negativamente, le questioni inerenti all'ammis
sibilità del reclamo, atteso che la pronuncia sull'osservanza del
le norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, 1 modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice, ha, necessariamente, la medesima natura
dell'atto giurisdizionale per cui il processo è preordinato, di modo
che, se tale atto sia privo di decisorietà, detta pronuncia non
può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, alla
stregua della strumentalità della problematica processuale (così le citate Cass. 6315/98, 9636/97, 8178/96, nonché Cass. 498/96,
id., 1996, I, 857). In particolare, Cass. 8178/96, cit. — resa
in tema di provvedimenti cautelari, del tutto coincidente con
quello in esame — ha osservato che, pur dovendosi condividere
l'assunto secondo cui alle norme che regolano il processo corri
spondono diritti soggettivi delle parti, tuttavia «la pronuncia sull'osservanza o meno dalle norme medesime, ove inserita in
un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, non
può avere separata consistenza di statuizione su quei diritti, per ché le disposizioni processuali non sono suscettibili di un dibat
tito distinto ed astratto e, quindi, se attinenti ad un atto non
decisorio né impugnabile su quel rapporto, non possono essere
autonomamente oggetto d'impugnazione ed ulteriore discussio
ne» (v., nello stesso senso e con specifico riferimento alla mate
ria di cui all'art. 2409 c.c., anche Cass. 9636/97, cit.). L'inammissibilità del ricorso si estende, logicamente, anche
zione del procedimento in cui si articola il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. (come l'istruzione dei procedimenti di giurisdizione volontaria in genere (22)) conosce strumenti e metodi assolutamente peculiari ri
spetto i corrispondenti mezzi di prova (e di integrazione probatoria) del processo ordinario (23); le menzionate diversità derivano infatti dal la stessa sommarietà del procedimento ex art. 2409 c.c. e si avvertono
già nella stessa «audizione» in camera di consiglio degli amministratori e dei sindaci (24), ferma restando la non fungibilità degli strumenti di istruzione camerale a quelli ordinari (25).
Piero Gallo
indagini che possono essere commesse dal giudice al consulente tecnico ai sensi del combinato disposto degli art. 62 e 194 c.p.c.
(22) In ordine ai quali, v. amplius Proto Pisani, Lezioni di diritto
processuale civile, cit., 731, ove ravvisa nell'art. 738, 3° comma, c.c. una «piena apertura anche ai poteri inquisitori del giudice e alla prova atipica», per poi concludere che «il procedimento ex art. 737 ss. è quanto di più lontano immaginabile dai processi a cognizione piena del secon do libro c.p.c.»; in argomento, cfr. ancora Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, I, cit., 178 ss.
(23) Deve dunque convenirsi con chi individua nell'ispezione della società uno strumento istruttorio sui generis: così Rordorf, L'ispezione della società ex art. 2409 c.c., cit., 590.
(24) Il che dovrebbe condurre, seguendo la tesi della reclamabilità e secondo il puntuale rilievo di Carnelutti, Appellabilità del decreto del tribunale che ordina l'ispezione, cit., 414, alla reclamabilità imme diata di ogni provvedimento con il quale il giudice disponga l'assunzio ne di informazioni ai sensi dell'art. 738, 3° comma, c.p.c. Tale accosta mento è evidente anche in Tedeschi, op. cit., 278, il quale conclude
per la reclamabilità differita (insieme al provvedimento definitivo del
procedimento) non solo dell'ordine di ispezione, quanto anche di quello di comparizione o di assunzioni di informazioni.
(25) Talché le risultanze istruttorie emerse nel corso di un procedi mento di giurisdizione volontaria non possono essere considerate utiliz zabili in sede contenziosa: in tal senso, v. Cass. 29 settembre 1999, n. 10804, Foro it., Mass., 1082, con specifico riguardo agli accertamen ti compiuti ex art. 2409 c.c.
Il Foro Italiano — 2000.
al profilo riguardante la legittimazione dell'amministratore del
la società (su cui il ricorrente ha argomentato nella memoria
presentata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.), trattandosi di questione
comunque riconducibile alla stessa ammissibilità del reclamo av
verso il provvedimento del tribunale e non essendo suscettibile
di autonomo esame in sede di legittimità, in ragione della pre clusione derivante dall'impossibilità di dare ingresso all'impu
gnazione ex art. Ill Cost.
Analogo ragionamento va fatto in ordine alla questione della
competenza per territorio del tribunale — oggetto di un motivo
di reclamo dinanzi alla corte d'appello, nonché del presente ri
corso — perché la non decisorietà della pronuncia adottata dal
giudice di merito ricomprende necessariamente il punto della
competenza, quale questione pregiudiziale rispetto all'insorgen za del potere-dovere di riesame (cfr., di recente, Cass. 11729/98,
id., Rep. 1998, voce Società, n. 691, in sede di regolamento di competenza proposto avverso decreto dalla corte d'appello, adottato su reclamo contro il provvedimento del tribunale, reso
ex art. 2409 c.c.). In conclusione, va dichiarato inammissibile il ricorso.
CORTE di CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 giugno
1999, n. 5892; Pres. Ianniruberto, Est. Castiglione, P.M.
Carnevali (conci, diff.); Soc. Frette (Aw. Petroni, Vene
to) c. Leonardi (Avv. Serrao). Conferma Trìb. Roma 14
giugno 1996.
Lavoro (rapporto di) — Trasferimento del lavoratore — Unità
produttiva — Nozione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).
È illegittimo il trasferimento — e quindi il licenziamento suc
cessivo al rifiuto del dipendente di aderirvi, il rifiuto stesso
non potendo neppure essere considerato dimissioni — laddo
ve il datore di lavoro non abbia dimostrato, al fine di prova re l'inutilizzabilità del dipendente medesimo nel negozio pres so cui quest'ultimo lavorava e che è stato oggetto del ridi
mensionamento alla base del trasferimento, che il negozio stesso costituisse un'unità produttiva, intesa non come ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell'impresa, ma
come più consistente e vasta entità aziendale che, eventual
mente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti
nel territorio dello stesso comune, si caratterizzi per sostan
ziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed am
ministrativa, tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo
relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'atti
vità produttiva aziendale, dovendosi escludere l'autonomia de
gli organismi minori aventi scopi strumentali ausiliari rispetto sia ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività produttiva aziendale (nella specie, una lavoratrice
era stata trasferita da uno dei cinque negozi aziendali in Ro
ma, appunto oggetto di ridimensionamento, al negozio di Ca
tania, carente di organico). (1)
(1) La pronuncia sopra riportata si segnala non tanto per la (consoli data) nozione di unità produttiva che utilizza (cfr. Cass. 6 agosto 1996, n. 7196, Foro it., 1996, I, 3367, con nota di richiami; per ampia rico struzione delle tesi in punto, cfr. M. Brollo, La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni e trasferimento, Art. 2103, in II codice civile. Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 1997, 389 ss.), e per avere affermato il principio, ugualmente recetto, che
l'illegittimità del trasferimento implica la illegittimità del licenziamento del lavoratore che abbia rifiutato d'aderirvi (da ultimo, Cass. 8 feb braio 1999, n. 1074, id., Mass., 159, e, per esteso, Notiziario giurispru denza lav., 1999, 335), con il rifiuto dando luogo ad un comportamen
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
• Svolgimento del processo. — Con lettera del 18 febbraio 1993,
la signora Ivana Leonardi, commessa presso il negozio della
soc. Frette s.p.a. in Roma, via Nazionale n. 84, fu trasferita — con decorrenza dal 15 marzo 1993 — alla filiale di Catania
dalla società datrice di lavoro al fine di riequilibrare l'organico. Ritenendo il trasferimento illegittimo, con ricorso ex art. 700
c.p.c., la lavoratrice adì, in via d'urgenza, il Pretore di Roma,
il quale, con ordinanza in data 3 agosto 1993 (Foro it., Rep.
1994, voce Provvedimenti di urgenza, n. 81) rigettò il ricorso,
rilevata la sussistenza di una situazione di crisi e di incremento
di vendita a Catania, a fronte di un decremento presso la filiale
della capitale. Con lettera del 6 ottobre 1993, dopo essersi dichiarata dispo
nibile — al termine di un periodo di assenza per malattia —
a riprendere l'attività in Roma ed avere, quindi, comunicato
l'impossibilità di accettare il trasferimento, la Leonardi fu li
cenziata per non essersi presentata al lavoro presso la nuova
sede di Catania.
Pertanto, con ricorso in data 8 novembre 1993, essa conven
ne in giudizio, dinanzi il Pretore di Roma, in funzione di giudi ce del lavoro, la s.p.a. Frette, chiedendo che fossero dichiarati
illegittimi ed inefficaci il trasferimento e, conseguentemente, an
che il licenziamento, con condanna della società convenuta a
reintegrare essa ricorrente nel posto di lavoro.
Il pretore rigettò la domanda della ricorrente, ritenute la na
tura disciplinare — ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 86 del
ccnl — e la legittimità del cambiamento di sede «dovuto a ra
gioni tecniche ed organizzative e, in particolare, all'esigenza di
riequilibrare l'organico della filiale di Roma A al notevole ridi
mensionamento della superficie di vendita verificatosi a segui
to. . .di lavori di ristrutturazione dei locali della filiale ed alla
conseguente persistente diminuzione del lavoro», nonché alla
carenza di organico della filiale di Catania.
Il Tribunale di Roma, accogliendo l'appello proposto dalla
lavoratrice, annullò il licenziamento ed ordinò alla Frette di rein
tegrare la Leonardi nel posto di lavoro in Roma, condannando
la al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni glo
bali di fatto dal giorno del recesso «ad oggi», con gli accessori
di legge. Rilevato che, in Roma, esistevano altri cinque negozi della
società, di modo che il trasferimento della dipendente alla filia
le di Catania sarebbe stato legittimo soltanto se fosse stata pro
vata l'impossibilità di «assorbimento» della stessa lavoratrice
presso la sede di provenienza, il tribunale osservò che la società
datrice non aveva dato alcuna prova in tal senso; con la conse
guenza che, una volta dichiarata l'illegittimità del trasferimen
to, era illegittimo anche il licenziamento, poiché il rifiuto della
dipendente al cambiamento di sede non poteva qualificarsi co
me inadempimento. Contro la sentenza d'appello del 23 novembre 1995, la s.p.a.
Frette ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi di an
nullamento, cui resiste, con controricorso, Ivana Leonardi.
Motivi della decisione. — Con tre motivi che, per evidente
connessione, possono essere esaminati congiuntamente, la so
cietà ricorrente deduce:
a) con il primo motivo: omessa, insufficiente e contradditto
ria motivazione circa un punto decisivo della controversia; tra
visamento dei fatti; erronea presupposizione; errata e fuorvian
te interpretazione. Il licenziamento era fondato su una circostanza — sia pure
conseguenziale al trasferimento — distinta da questo.
Il tribunale ha disatteso il rilievo secondo cui il recesso era
to che non può neppure essere considerato dimissioni (ad es., Cass.
1° febbraio 1989, n. 606, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 989), quanto per altri due profili.
Il primo è la peculiarità della specie, evidenziata in parentesi nella
massima. Il secondo profilo è che non ritenendosi provato che quello dei negozi romani cui la lavoratrice era addetta costituisse unità produt
tiva, si è ritenuta la correttezza del ragionamento del giudice di merito
che ha escluso l'inutilizzabilità della lavoratrice stessa nell'unità a qua. Sulla questione della necessità che le esigenze aziendali debbano riguar dare una sola o entrambe le unità produttive, di provenienza e di desti
nazione, cfr. la ricostruzione del dibattito giurisprudenziale in L. de
Angelis, Rassegna critica della giurisprudenza degli anni novanta sul
trasferimento del lavoratore, in Lavoro giur., 1997, 896; in dottrina,
da ultimo, F. Cala, Il trasferimento del lavoratore, Padova, 1999, 197 ss.
Il Foro Italiano — 2000.
stato intimato a seguito dell'assenza ingiustificata della dipen dente dal posto di lavoro, di guisa che ha errato il giudice d'ap
pello per avere posto in correlazione il trasferimento e il licen
ziamento;
b) con il secondo motivo: omessa, insufficiente e contraddit
toria motivazione circa un punto decisivo della controversia non
ché vizio di ultrapetizione. Il tribunale si è posto in contrasto con due pronunce, ben
argomentate, del pretore, il quale aveva evidenziato le compro vate ragioni tecniche e produttive. Il giudice dell'appello, al con
trario, ha posto a base del proprio convincimento il diverso
elemento dell'inutilizzabilità della lavoratrice nella sede roma
na, con un allargamento del campo di indagine non consentito,
in quanto nuovo. E ciò, nonostante la società avesse dimostrato
esaurientemente la ricorrenza delle esigenze tecnico-organizzative e produttive legittimanti il trasferimento. Di qui il vizio di ul trapetizione, giacché il presupposto individuato dal tribunale (l'i nutilizzabilità della Leonardi) era circostanza che doveva essere
dedotta — in via di eccezione — da costei;
c) con il terzo motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo, nonché violazione e falsa
applicazione dell'art. 2103 c.c.
Il controllo del giudice sulla sussistenza delle ragioni addotte
dal datore di lavoro per giustificare il trasferimento deve essere
limitato all'accertamento del nesso causale tra le ragioni e il
provvedimento adottato. Il tribunale, viceversa, non ha dato
compiuta ragione del proprio convincimento.
Si deduce, in sostanza, un vizio di motivazione in ordine al
ragionamento con il quale il tribunale ha escluso la sussistenza
dei presupposti (o almeno di uno di essi) legittimanti — ai sensi dell'art. 13 dello statuto dei lavoratori — il trasferimento della
dipendente della Frette da Roma a Catania, nonché vizio di
ultrapetizione. La doglianza, però, non ha fondamento.
Nell'affermare che in Roma esistono altri (cinque) negozi del
la società, attuale ricorrente, dove la lavoratrice poteva essere
utilizzata e che non erano state provate — dalla stessa società — le esigenze organizzative, che avrebbero potuto giustificare 10 spostamento definitivo del luogo di lavoro della Leonardi,
11 tribunale si è allineato ai principi affermati, nella soggetta
materia, da questa corte.
In proposito, appare opportuno sottolineare che l'art. 13 1.
20 maggio 1970 n. 300 (statuto dei lavoratori), nel regolamenta re lo ius variandi del datore di lavoro (e dei suoi poteri organiz
zativi), un'esplicazione del quale è costituita dalla facoltà di mu
tare la sede o il luogo di lavoro del dipendente con l'atto del
trasferimento dello stesso sia da un'unità produttiva, sia nel
l'ambito della medesima unità produttiva, limita tale potere con
riferimento alla sola prima ipotesi, prescrivendo la sussistenza
di «comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive», come presupposto (di legittimità) dell'atto di trasferimento; pre
supposto che non è, invece, necessario nel caso di trasferimento
nell'ambito della stessa unità produttiva (Cass. 3990/84, id.,
Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1042).
Ai fini dell'identificazione della fattispecie regolamentata dal l'art. 13 cit., occorre, quindi, che vi siano un mutamento defi
nitivo (trasferimento) — e non già temporaneo — del luogo
di adempimento della prestazione lavorativa dedotta nel rap
porto (Cass. 683/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 879; 13051/91,
id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 291; 11281/91, ibid.,
voce Lavoro (rapporto), n. 941; 475/89, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 981, ed altre), e due unità produttive: quella di prove
nienza e quella di destinazione.
Appare, allora, evidente che è rilevante la nozione di unità
produttiva, che è poi la stessa nozione operante agli effetti della
tutela reintegratoria del lavoratore ingiustamente licenziato, di
cui all'art. 18 dello statuto dei lavoratori, avendo la giurispru
denza affermato in generale il carattere unitario della nozione
di unità produttiva nell'ambito dello statuto dei lavoratori (1.
300/70). In particolare, si è affermato che «per unità produttiva» deve
intendersi ogni articolazione autonoma dell'azienda, avente, sotto
il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare in tutto o in parte l'attività di produzione di beni o di servizi (Cass. 7196/96, id., 1996, I, 3367; v. anche Cass. 5920/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2282). Del resto, la Corte costituzionale, già
nel 1974, aveva espresso l'opinione che l'unità produttiva si ca
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PARTE PRIMA
ratterizza all'interno dell'organizzazione imprenditoriale per il
«carattere di autonomia, così dal punto di vista economico
strutturale, come da quello finalistico o del risultato produtti
vo, nella più vasta area del mercato dei beni o dei servizi» (Cor te cost. 6 marzo 1974, n. 55, id., 1974, I, 959).
Opinione che, ancora recentemente, è stata ribadita da questa
Suprema corte, che — con sentenza n. 5934 del 13 giugno 1998
(id., Rep. 1998, voce Sindacati, n. 170) — si è soffermata nuo
vamente sulla nozione di unità produttiva, precisando significa tivamente che costituisce unità produttiva — ai fini suddetti —
non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell'im
presa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale
che, eventualmente articolata in organismi minori — anche non
ubicati tutti nel territorio del medesimo comune — si caratteriz
zi per sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tec
nica ed amministrativa, tali che in essa si esaurisce per intero
il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale
dell'attività produttiva aziendale. Coerentemente, deve escludersi
l'autonomia, ai fini dell'integrazione di una separata unità pro duttiva ai sensi di legge, degli indicati organismi minori, aventi
scopi meramente strumentali ausiliari rispetto al fine produttivo
dell'impresa (v. Cass. 11092/97, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1517; 7848/95, id., Rep. 1996, voce cit., n. 798, ed altre). Corollario di tali principi è che non si configura come unità
produttiva un'articolazione aziendale che, sebbene dotata di una
certa autonomia amministrativa, sia destinata a scopi intera
mente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività pro duttiva aziendale, la cui realizzazione costituisce elemento ca
ratterizzante dell'unità produttiva (cfr. Cass. 5934/98, cit.).
L'accoglimento in giurisprudenza (e, prevalentemente, anche
in dottrina) di una nozione unitaria e generale di unità produtti va comporta alcune rilevanti conseguenze, una delle quali con
sente di configurare come trasferimento (ex art. 13 dello statuto
dei lavoratori) solo lo spostamento del lavoratore da un'unità
produttiva ad un'altra, individuata secondo il criterio dell'auto
nomia, non rilevando, a tal fine, l'elemento spaziale, in quanto non considera trasferimento — seppure in presenza di un note
vole spostamento geografico — il mutamento del luogo di lavo
ro, quando questo si verifichi all'interno di una stessa unità
produttiva. In quest'ottica, affiora una concreta esigenza di (rapida) tute
la della posizione del lavoratore nel caso del trasferimento, che
risulti essere illegittimo perché carente delle ragioni giustificatri
ci, in particolare del requisito dello spostamento da un'unità
produttiva ad un'altra. In tal caso, è consentito il controllo giu diziale in ordine ai presupposti di legittimità dell'atto di trasfe
rimento, che si deve limitare — secondo il tradizionale insegna mento giurisprudenziale — alla sussistenza del nesso di causali
tà tra il provvedimento e le ragioni tecniche, organizzative e
produttive, poste a fondamento dello stesso, come richiesto dal
l'art. 13 cit., non essendo sufficiente la dimostrazione — da
parte del datore di lavoro — dell'esigenza di sopperire alla ca
renza di organico esistente presso un'unità produttiva (Cass. 1438/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1028); ma non potendosi detto controllo estendere fino alla valutazione del merito della
scelta del datore di lavoro (Cass. 6408/93, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 885; 55/87, id., 1987, I, 2437, ed altre). E ove il lavoratore rifiuti di aderire al trasferimento perché
illegittimo (come può fare ex art. 1460 c.c.: Cass. 2715/81, id.,
Rep. 1982, voce cit., n. 916) non può per ciò solo essere consi
derato dimissionario e — qualora segua il suo licenziamento — la legittimità, o meno, di tale recesso è condizionata alla
sussistenza delle giustificate ragioni del trasferimento (cfr. Cass.
606/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 989). Concordando con i su esposti principi, i giudici di merito
hanno rilevato, dunque, sostanzialmente la carenza di uno dei
requisiti di legittimità del trasferimento adottato nei confronti
della Leonardi, dal momento che la società Frette non ha dimo
strato che la filiale (o, meglio, il negozio) situato in via Nazio nale in Roma costituisce un'unità produttiva, con una motiva
zione sufficientemente adeguata, che si sottrae ad ogni censura.
Né, in contrario, si ravvisano vizi di ultrapetizione, in quanto la pronuncia del tribunale — con specifico riferimento alle ra
gioni della decisione adottata — è rimasta nell'ambito della res
in iudicio deducta e della concreta fattispecie prospettata dalle
parti, anche se detta decisione è afferente ad una questione non
Il Foro Italiano — 2000.
espressamente formulata (inutilizzabilità della lavoratrice), ma
implicitamente contenuta nel thema decidendum (Cass. 1438/98,
cit.): la Leonardi ha infatti dedotto in giudizio la violazione
del disposto dell'art. 13 dello statuto dei lavoratori, sostenendo
la illegittimità del provvedimento. Con la logica conseguenza che la controversia ha investito
tutti gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dalla nor
ma citata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 aprile
1999, n. 3688; Pres. Cantillo, Est. Felicetti, P.M. Macca
rone (conci, diff.); Soc. So.ge.stab. (Avv. Ciufo) c. Min.
finanze e altri. Cassa App. Roma 25 novembre 1996.
Demanio e patrimonio dello Stato — Concessione — Canoni — Coefficienti di maggiorazione — Riferimento alla data del
l'atto di concessione (Cod. nav., art. 39; d.l. 2 ottobre 1981
n. 546, disposizioni in materia di imposta di bollo e sugli atti e formalità relativi ai trasferimenti degli autoveicoli, di
regime fiscale delle cambiali accettate da aziende e istituti di
credito nonché di adeguamento della misura dei canoni de
maniali, art. 9; 1. 1° dicembre 1981 n. 692, conversione in
legge, con modificazioni, del d.l. 2 ottobre 1981 n. 546, art. 1).
I coefficienti di maggiorazione dei canoni demaniali di conces
sione previsti dall'art. 9 d.l. 2 ottobre 1981 n. 546, convertito
nella 1.1° dicembre 1981 n. 692, vanno determinati con rife rimento alla data dell'atto di concessione, che è quella in cui
il canone è stato determinato in conformità della legislazione e dei valori al momento esistenti, e non a quella dell'eventua
le anticipata occupazione dell'area. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo si denun
cia la violazione e falsa applicazione degli art. 38 e 39 c. nav.;
16, 17 e 35 reg. nav. mar.; 9 d.l. 2 ottobre 1981 n. 546, conver
(1) Non si rinvengono precedenti editi in termini nella giurisprudenza della Suprema corte.
La corte enuncia il principio di cui in massima muovendo dalla rico struzione della ratio della norma di cui all'art. 9, 1° comma, d.l. 546/81. In particolare, viene rilevato dalla Suprema corte che con l'articolazio ne per bienni dei coefficienti di aggiornamento dei canoni demaniali la disposizione in esame ha inteso «rendere gli aumenti singolarmente congrui e tra loro perequati»: ciò in quanto detti criteri già scontano le modifiche in aumento, della misura minima dei canoni demaniali
marittimi, nel frattempo intervenute ad opera della normativa di ade
guamento. Se tale è la voluntas legis deve desumersi, a detta della Suprema cor
te, che il coefficiente di maggiorazione applicabile alla situazione de dotta debba essere identificato con quello che abbraccia il periodo di
tempo in cui l'atto di concessione è stato stipulato (e il canone determi
nato) in conformità della legislazione e dei valori esistenti a quel mo
mento, e non con quello che investe il periodo di tempo in cui si è verificata l'immissione nel possesso del bene; tutto ciò anche quando l'occupazione si sia protratta in forza di un atto di sottomissione per ben quindici anni, come nell'odierna fattispecie.
Sempre in materia di adeguamento della misura dei canoni demaniali
marittimi, per l'affermazione secondo cui l'aumento «si applica imme diatamente ai canoni 'in atto' senza necessità di alcun provvedimento dell'autorità amministrativa, alla quale la legge non attribuisce alcuna discrezionalità né sull'ai né sul quantum del prescritto adeguamento, ancorché nell'atto di concessione siano previste modalità di 'rivaluta zione' del canone secondo la disciplina della 1. 21 dicembre 1961 n. 1501», v. Cass. 18 febbraio 1994, n. 1587, Foro it., Rep. 1994, voce
Demanio, n. 27. Sull'accertamento della demanialità marittima, v. Pret. Palermo 18
luglio 1996, id., 1998, II, 357, con nota di richiami; in argomento, anche G. Pescatore, La delimitazione del demanio marittimo, ibid., V, 229.
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