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sezione lavoro; sentenza 14 giugno 1999, n. 5892; Pres. Ianniruberto, Est. Castiglione, P.M....

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sezione lavoro; sentenza 14 giugno 1999, n. 5892; Pres. Ianniruberto, Est. Castiglione, P.M. Carnevali (concl. diff.); Soc. Frette (Avv. Petroni, Veneto) c. Leonardi (Avv. Serrao). Conferma Trib. Roma 14 giugno 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 595/596-599/600 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195473 . Accessed: 28/06/2014 12:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 12:36:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 14 giugno 1999, n. 5892; Pres. Ianniruberto, Est. Castiglione, P.M.Carnevali (concl. diff.); Soc. Frette (Avv. Petroni, Veneto) c. Leonardi (Avv. Serrao). ConfermaTrib. Roma 14 giugno 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 595/596-599/600Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195473 .

Accessed: 28/06/2014 12:36

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PARTE PRIMA

cautelare, onde tale ordinanza non è suscettibile di ricorso straor

dinario per cassazione (sez. un. 824/95, id., 1995, I, 796, e

1832/96, id., 1996, I, 1232; adde, tra le altre, Cass. 8178/96,

id., Rep. 1997, voce Procedimenti cautelari, n. 102, e 5430/96,

id., Rep. 1996, voce cit., n. 89). Con riferimento all'ipotesi in cui la corte d'appello abbia di

chiarato inammissibile il reclamo proposto avverso il decreto

del tribunale reso in materia, vanno condivisi gli argomenti che, nel caso di specie, la corte territoriale ha addotto a confutazio

ne del principio enunciato dalla sentenza di questa corte 3127/93,

cit., secondo cui v'è la ricorribilità per cassazione ex art. Ili

Cost., essendo coinvolta la questione attinente alla sussistenza

0 meno del diritto soggettivo processuale di riesame. D'altro

canto, detta pronuncia è rimasta isolata, essendo stata superata dalla successiva elaborazione giurisprudenziale, che ha posto in

rilievo come la non ricorribilità per cassazione ex art. Ill Cost,

non trovi deroga neppure quando la corte d'appello risolva,

positivamente o negativamente, le questioni inerenti all'ammis

sibilità del reclamo, atteso che la pronuncia sull'osservanza del

le norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, 1 modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice, ha, necessariamente, la medesima natura

dell'atto giurisdizionale per cui il processo è preordinato, di modo

che, se tale atto sia privo di decisorietà, detta pronuncia non

può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, alla

stregua della strumentalità della problematica processuale (così le citate Cass. 6315/98, 9636/97, 8178/96, nonché Cass. 498/96,

id., 1996, I, 857). In particolare, Cass. 8178/96, cit. — resa

in tema di provvedimenti cautelari, del tutto coincidente con

quello in esame — ha osservato che, pur dovendosi condividere

l'assunto secondo cui alle norme che regolano il processo corri

spondono diritti soggettivi delle parti, tuttavia «la pronuncia sull'osservanza o meno dalle norme medesime, ove inserita in

un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, non

può avere separata consistenza di statuizione su quei diritti, per ché le disposizioni processuali non sono suscettibili di un dibat

tito distinto ed astratto e, quindi, se attinenti ad un atto non

decisorio né impugnabile su quel rapporto, non possono essere

autonomamente oggetto d'impugnazione ed ulteriore discussio

ne» (v., nello stesso senso e con specifico riferimento alla mate

ria di cui all'art. 2409 c.c., anche Cass. 9636/97, cit.). L'inammissibilità del ricorso si estende, logicamente, anche

zione del procedimento in cui si articola il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. (come l'istruzione dei procedimenti di giurisdizione volontaria in genere (22)) conosce strumenti e metodi assolutamente peculiari ri

spetto i corrispondenti mezzi di prova (e di integrazione probatoria) del processo ordinario (23); le menzionate diversità derivano infatti dal la stessa sommarietà del procedimento ex art. 2409 c.c. e si avvertono

già nella stessa «audizione» in camera di consiglio degli amministratori e dei sindaci (24), ferma restando la non fungibilità degli strumenti di istruzione camerale a quelli ordinari (25).

Piero Gallo

indagini che possono essere commesse dal giudice al consulente tecnico ai sensi del combinato disposto degli art. 62 e 194 c.p.c.

(22) In ordine ai quali, v. amplius Proto Pisani, Lezioni di diritto

processuale civile, cit., 731, ove ravvisa nell'art. 738, 3° comma, c.c. una «piena apertura anche ai poteri inquisitori del giudice e alla prova atipica», per poi concludere che «il procedimento ex art. 737 ss. è quanto di più lontano immaginabile dai processi a cognizione piena del secon do libro c.p.c.»; in argomento, cfr. ancora Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, I, cit., 178 ss.

(23) Deve dunque convenirsi con chi individua nell'ispezione della società uno strumento istruttorio sui generis: così Rordorf, L'ispezione della società ex art. 2409 c.c., cit., 590.

(24) Il che dovrebbe condurre, seguendo la tesi della reclamabilità e secondo il puntuale rilievo di Carnelutti, Appellabilità del decreto del tribunale che ordina l'ispezione, cit., 414, alla reclamabilità imme diata di ogni provvedimento con il quale il giudice disponga l'assunzio ne di informazioni ai sensi dell'art. 738, 3° comma, c.p.c. Tale accosta mento è evidente anche in Tedeschi, op. cit., 278, il quale conclude

per la reclamabilità differita (insieme al provvedimento definitivo del

procedimento) non solo dell'ordine di ispezione, quanto anche di quello di comparizione o di assunzioni di informazioni.

(25) Talché le risultanze istruttorie emerse nel corso di un procedi mento di giurisdizione volontaria non possono essere considerate utiliz zabili in sede contenziosa: in tal senso, v. Cass. 29 settembre 1999, n. 10804, Foro it., Mass., 1082, con specifico riguardo agli accertamen ti compiuti ex art. 2409 c.c.

Il Foro Italiano — 2000.

al profilo riguardante la legittimazione dell'amministratore del

la società (su cui il ricorrente ha argomentato nella memoria

presentata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.), trattandosi di questione

comunque riconducibile alla stessa ammissibilità del reclamo av

verso il provvedimento del tribunale e non essendo suscettibile

di autonomo esame in sede di legittimità, in ragione della pre clusione derivante dall'impossibilità di dare ingresso all'impu

gnazione ex art. Ill Cost.

Analogo ragionamento va fatto in ordine alla questione della

competenza per territorio del tribunale — oggetto di un motivo

di reclamo dinanzi alla corte d'appello, nonché del presente ri

corso — perché la non decisorietà della pronuncia adottata dal

giudice di merito ricomprende necessariamente il punto della

competenza, quale questione pregiudiziale rispetto all'insorgen za del potere-dovere di riesame (cfr., di recente, Cass. 11729/98,

id., Rep. 1998, voce Società, n. 691, in sede di regolamento di competenza proposto avverso decreto dalla corte d'appello, adottato su reclamo contro il provvedimento del tribunale, reso

ex art. 2409 c.c.). In conclusione, va dichiarato inammissibile il ricorso.

CORTE di CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 giugno

1999, n. 5892; Pres. Ianniruberto, Est. Castiglione, P.M.

Carnevali (conci, diff.); Soc. Frette (Aw. Petroni, Vene

to) c. Leonardi (Avv. Serrao). Conferma Trìb. Roma 14

giugno 1996.

Lavoro (rapporto di) — Trasferimento del lavoratore — Unità

produttiva — Nozione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e

dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin

dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).

È illegittimo il trasferimento — e quindi il licenziamento suc

cessivo al rifiuto del dipendente di aderirvi, il rifiuto stesso

non potendo neppure essere considerato dimissioni — laddo

ve il datore di lavoro non abbia dimostrato, al fine di prova re l'inutilizzabilità del dipendente medesimo nel negozio pres so cui quest'ultimo lavorava e che è stato oggetto del ridi

mensionamento alla base del trasferimento, che il negozio stesso costituisse un'unità produttiva, intesa non come ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell'impresa, ma

come più consistente e vasta entità aziendale che, eventual

mente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti

nel territorio dello stesso comune, si caratterizzi per sostan

ziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed am

ministrativa, tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo

relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'atti

vità produttiva aziendale, dovendosi escludere l'autonomia de

gli organismi minori aventi scopi strumentali ausiliari rispetto sia ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività produttiva aziendale (nella specie, una lavoratrice

era stata trasferita da uno dei cinque negozi aziendali in Ro

ma, appunto oggetto di ridimensionamento, al negozio di Ca

tania, carente di organico). (1)

(1) La pronuncia sopra riportata si segnala non tanto per la (consoli data) nozione di unità produttiva che utilizza (cfr. Cass. 6 agosto 1996, n. 7196, Foro it., 1996, I, 3367, con nota di richiami; per ampia rico struzione delle tesi in punto, cfr. M. Brollo, La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni e trasferimento, Art. 2103, in II codice civile. Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 1997, 389 ss.), e per avere affermato il principio, ugualmente recetto, che

l'illegittimità del trasferimento implica la illegittimità del licenziamento del lavoratore che abbia rifiutato d'aderirvi (da ultimo, Cass. 8 feb braio 1999, n. 1074, id., Mass., 159, e, per esteso, Notiziario giurispru denza lav., 1999, 335), con il rifiuto dando luogo ad un comportamen

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

• Svolgimento del processo. — Con lettera del 18 febbraio 1993,

la signora Ivana Leonardi, commessa presso il negozio della

soc. Frette s.p.a. in Roma, via Nazionale n. 84, fu trasferita — con decorrenza dal 15 marzo 1993 — alla filiale di Catania

dalla società datrice di lavoro al fine di riequilibrare l'organico. Ritenendo il trasferimento illegittimo, con ricorso ex art. 700

c.p.c., la lavoratrice adì, in via d'urgenza, il Pretore di Roma,

il quale, con ordinanza in data 3 agosto 1993 (Foro it., Rep.

1994, voce Provvedimenti di urgenza, n. 81) rigettò il ricorso,

rilevata la sussistenza di una situazione di crisi e di incremento

di vendita a Catania, a fronte di un decremento presso la filiale

della capitale. Con lettera del 6 ottobre 1993, dopo essersi dichiarata dispo

nibile — al termine di un periodo di assenza per malattia —

a riprendere l'attività in Roma ed avere, quindi, comunicato

l'impossibilità di accettare il trasferimento, la Leonardi fu li

cenziata per non essersi presentata al lavoro presso la nuova

sede di Catania.

Pertanto, con ricorso in data 8 novembre 1993, essa conven

ne in giudizio, dinanzi il Pretore di Roma, in funzione di giudi ce del lavoro, la s.p.a. Frette, chiedendo che fossero dichiarati

illegittimi ed inefficaci il trasferimento e, conseguentemente, an

che il licenziamento, con condanna della società convenuta a

reintegrare essa ricorrente nel posto di lavoro.

Il pretore rigettò la domanda della ricorrente, ritenute la na

tura disciplinare — ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 86 del

ccnl — e la legittimità del cambiamento di sede «dovuto a ra

gioni tecniche ed organizzative e, in particolare, all'esigenza di

riequilibrare l'organico della filiale di Roma A al notevole ridi

mensionamento della superficie di vendita verificatosi a segui

to. . .di lavori di ristrutturazione dei locali della filiale ed alla

conseguente persistente diminuzione del lavoro», nonché alla

carenza di organico della filiale di Catania.

Il Tribunale di Roma, accogliendo l'appello proposto dalla

lavoratrice, annullò il licenziamento ed ordinò alla Frette di rein

tegrare la Leonardi nel posto di lavoro in Roma, condannando

la al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni glo

bali di fatto dal giorno del recesso «ad oggi», con gli accessori

di legge. Rilevato che, in Roma, esistevano altri cinque negozi della

società, di modo che il trasferimento della dipendente alla filia

le di Catania sarebbe stato legittimo soltanto se fosse stata pro

vata l'impossibilità di «assorbimento» della stessa lavoratrice

presso la sede di provenienza, il tribunale osservò che la società

datrice non aveva dato alcuna prova in tal senso; con la conse

guenza che, una volta dichiarata l'illegittimità del trasferimen

to, era illegittimo anche il licenziamento, poiché il rifiuto della

dipendente al cambiamento di sede non poteva qualificarsi co

me inadempimento. Contro la sentenza d'appello del 23 novembre 1995, la s.p.a.

Frette ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi di an

nullamento, cui resiste, con controricorso, Ivana Leonardi.

Motivi della decisione. — Con tre motivi che, per evidente

connessione, possono essere esaminati congiuntamente, la so

cietà ricorrente deduce:

a) con il primo motivo: omessa, insufficiente e contradditto

ria motivazione circa un punto decisivo della controversia; tra

visamento dei fatti; erronea presupposizione; errata e fuorvian

te interpretazione. Il licenziamento era fondato su una circostanza — sia pure

conseguenziale al trasferimento — distinta da questo.

Il tribunale ha disatteso il rilievo secondo cui il recesso era

to che non può neppure essere considerato dimissioni (ad es., Cass.

1° febbraio 1989, n. 606, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 989), quanto per altri due profili.

Il primo è la peculiarità della specie, evidenziata in parentesi nella

massima. Il secondo profilo è che non ritenendosi provato che quello dei negozi romani cui la lavoratrice era addetta costituisse unità produt

tiva, si è ritenuta la correttezza del ragionamento del giudice di merito

che ha escluso l'inutilizzabilità della lavoratrice stessa nell'unità a qua. Sulla questione della necessità che le esigenze aziendali debbano riguar dare una sola o entrambe le unità produttive, di provenienza e di desti

nazione, cfr. la ricostruzione del dibattito giurisprudenziale in L. de

Angelis, Rassegna critica della giurisprudenza degli anni novanta sul

trasferimento del lavoratore, in Lavoro giur., 1997, 896; in dottrina,

da ultimo, F. Cala, Il trasferimento del lavoratore, Padova, 1999, 197 ss.

Il Foro Italiano — 2000.

stato intimato a seguito dell'assenza ingiustificata della dipen dente dal posto di lavoro, di guisa che ha errato il giudice d'ap

pello per avere posto in correlazione il trasferimento e il licen

ziamento;

b) con il secondo motivo: omessa, insufficiente e contraddit

toria motivazione circa un punto decisivo della controversia non

ché vizio di ultrapetizione. Il tribunale si è posto in contrasto con due pronunce, ben

argomentate, del pretore, il quale aveva evidenziato le compro vate ragioni tecniche e produttive. Il giudice dell'appello, al con

trario, ha posto a base del proprio convincimento il diverso

elemento dell'inutilizzabilità della lavoratrice nella sede roma

na, con un allargamento del campo di indagine non consentito,

in quanto nuovo. E ciò, nonostante la società avesse dimostrato

esaurientemente la ricorrenza delle esigenze tecnico-organizzative e produttive legittimanti il trasferimento. Di qui il vizio di ul trapetizione, giacché il presupposto individuato dal tribunale (l'i nutilizzabilità della Leonardi) era circostanza che doveva essere

dedotta — in via di eccezione — da costei;

c) con il terzo motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo, nonché violazione e falsa

applicazione dell'art. 2103 c.c.

Il controllo del giudice sulla sussistenza delle ragioni addotte

dal datore di lavoro per giustificare il trasferimento deve essere

limitato all'accertamento del nesso causale tra le ragioni e il

provvedimento adottato. Il tribunale, viceversa, non ha dato

compiuta ragione del proprio convincimento.

Si deduce, in sostanza, un vizio di motivazione in ordine al

ragionamento con il quale il tribunale ha escluso la sussistenza

dei presupposti (o almeno di uno di essi) legittimanti — ai sensi dell'art. 13 dello statuto dei lavoratori — il trasferimento della

dipendente della Frette da Roma a Catania, nonché vizio di

ultrapetizione. La doglianza, però, non ha fondamento.

Nell'affermare che in Roma esistono altri (cinque) negozi del

la società, attuale ricorrente, dove la lavoratrice poteva essere

utilizzata e che non erano state provate — dalla stessa società — le esigenze organizzative, che avrebbero potuto giustificare 10 spostamento definitivo del luogo di lavoro della Leonardi,

11 tribunale si è allineato ai principi affermati, nella soggetta

materia, da questa corte.

In proposito, appare opportuno sottolineare che l'art. 13 1.

20 maggio 1970 n. 300 (statuto dei lavoratori), nel regolamenta re lo ius variandi del datore di lavoro (e dei suoi poteri organiz

zativi), un'esplicazione del quale è costituita dalla facoltà di mu

tare la sede o il luogo di lavoro del dipendente con l'atto del

trasferimento dello stesso sia da un'unità produttiva, sia nel

l'ambito della medesima unità produttiva, limita tale potere con

riferimento alla sola prima ipotesi, prescrivendo la sussistenza

di «comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive», come presupposto (di legittimità) dell'atto di trasferimento; pre

supposto che non è, invece, necessario nel caso di trasferimento

nell'ambito della stessa unità produttiva (Cass. 3990/84, id.,

Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1042).

Ai fini dell'identificazione della fattispecie regolamentata dal l'art. 13 cit., occorre, quindi, che vi siano un mutamento defi

nitivo (trasferimento) — e non già temporaneo — del luogo

di adempimento della prestazione lavorativa dedotta nel rap

porto (Cass. 683/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 879; 13051/91,

id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 291; 11281/91, ibid.,

voce Lavoro (rapporto), n. 941; 475/89, id., Rep. 1989, voce

cit., n. 981, ed altre), e due unità produttive: quella di prove

nienza e quella di destinazione.

Appare, allora, evidente che è rilevante la nozione di unità

produttiva, che è poi la stessa nozione operante agli effetti della

tutela reintegratoria del lavoratore ingiustamente licenziato, di

cui all'art. 18 dello statuto dei lavoratori, avendo la giurispru

denza affermato in generale il carattere unitario della nozione

di unità produttiva nell'ambito dello statuto dei lavoratori (1.

300/70). In particolare, si è affermato che «per unità produttiva» deve

intendersi ogni articolazione autonoma dell'azienda, avente, sotto

il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare in tutto o in parte l'attività di produzione di beni o di servizi (Cass. 7196/96, id., 1996, I, 3367; v. anche Cass. 5920/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2282). Del resto, la Corte costituzionale, già

nel 1974, aveva espresso l'opinione che l'unità produttiva si ca

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PARTE PRIMA

ratterizza all'interno dell'organizzazione imprenditoriale per il

«carattere di autonomia, così dal punto di vista economico

strutturale, come da quello finalistico o del risultato produtti

vo, nella più vasta area del mercato dei beni o dei servizi» (Cor te cost. 6 marzo 1974, n. 55, id., 1974, I, 959).

Opinione che, ancora recentemente, è stata ribadita da questa

Suprema corte, che — con sentenza n. 5934 del 13 giugno 1998

(id., Rep. 1998, voce Sindacati, n. 170) — si è soffermata nuo

vamente sulla nozione di unità produttiva, precisando significa tivamente che costituisce unità produttiva — ai fini suddetti —

non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell'im

presa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale

che, eventualmente articolata in organismi minori — anche non

ubicati tutti nel territorio del medesimo comune — si caratteriz

zi per sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tec

nica ed amministrativa, tali che in essa si esaurisce per intero

il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale

dell'attività produttiva aziendale. Coerentemente, deve escludersi

l'autonomia, ai fini dell'integrazione di una separata unità pro duttiva ai sensi di legge, degli indicati organismi minori, aventi

scopi meramente strumentali ausiliari rispetto al fine produttivo

dell'impresa (v. Cass. 11092/97, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1517; 7848/95, id., Rep. 1996, voce cit., n. 798, ed altre). Corollario di tali principi è che non si configura come unità

produttiva un'articolazione aziendale che, sebbene dotata di una

certa autonomia amministrativa, sia destinata a scopi intera

mente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività pro duttiva aziendale, la cui realizzazione costituisce elemento ca

ratterizzante dell'unità produttiva (cfr. Cass. 5934/98, cit.).

L'accoglimento in giurisprudenza (e, prevalentemente, anche

in dottrina) di una nozione unitaria e generale di unità produtti va comporta alcune rilevanti conseguenze, una delle quali con

sente di configurare come trasferimento (ex art. 13 dello statuto

dei lavoratori) solo lo spostamento del lavoratore da un'unità

produttiva ad un'altra, individuata secondo il criterio dell'auto

nomia, non rilevando, a tal fine, l'elemento spaziale, in quanto non considera trasferimento — seppure in presenza di un note

vole spostamento geografico — il mutamento del luogo di lavo

ro, quando questo si verifichi all'interno di una stessa unità

produttiva. In quest'ottica, affiora una concreta esigenza di (rapida) tute

la della posizione del lavoratore nel caso del trasferimento, che

risulti essere illegittimo perché carente delle ragioni giustificatri

ci, in particolare del requisito dello spostamento da un'unità

produttiva ad un'altra. In tal caso, è consentito il controllo giu diziale in ordine ai presupposti di legittimità dell'atto di trasfe

rimento, che si deve limitare — secondo il tradizionale insegna mento giurisprudenziale — alla sussistenza del nesso di causali

tà tra il provvedimento e le ragioni tecniche, organizzative e

produttive, poste a fondamento dello stesso, come richiesto dal

l'art. 13 cit., non essendo sufficiente la dimostrazione — da

parte del datore di lavoro — dell'esigenza di sopperire alla ca

renza di organico esistente presso un'unità produttiva (Cass. 1438/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1028); ma non potendosi detto controllo estendere fino alla valutazione del merito della

scelta del datore di lavoro (Cass. 6408/93, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 885; 55/87, id., 1987, I, 2437, ed altre). E ove il lavoratore rifiuti di aderire al trasferimento perché

illegittimo (come può fare ex art. 1460 c.c.: Cass. 2715/81, id.,

Rep. 1982, voce cit., n. 916) non può per ciò solo essere consi

derato dimissionario e — qualora segua il suo licenziamento — la legittimità, o meno, di tale recesso è condizionata alla

sussistenza delle giustificate ragioni del trasferimento (cfr. Cass.

606/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 989). Concordando con i su esposti principi, i giudici di merito

hanno rilevato, dunque, sostanzialmente la carenza di uno dei

requisiti di legittimità del trasferimento adottato nei confronti

della Leonardi, dal momento che la società Frette non ha dimo

strato che la filiale (o, meglio, il negozio) situato in via Nazio nale in Roma costituisce un'unità produttiva, con una motiva

zione sufficientemente adeguata, che si sottrae ad ogni censura.

Né, in contrario, si ravvisano vizi di ultrapetizione, in quanto la pronuncia del tribunale — con specifico riferimento alle ra

gioni della decisione adottata — è rimasta nell'ambito della res

in iudicio deducta e della concreta fattispecie prospettata dalle

parti, anche se detta decisione è afferente ad una questione non

Il Foro Italiano — 2000.

espressamente formulata (inutilizzabilità della lavoratrice), ma

implicitamente contenuta nel thema decidendum (Cass. 1438/98,

cit.): la Leonardi ha infatti dedotto in giudizio la violazione

del disposto dell'art. 13 dello statuto dei lavoratori, sostenendo

la illegittimità del provvedimento. Con la logica conseguenza che la controversia ha investito

tutti gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dalla nor

ma citata.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 aprile

1999, n. 3688; Pres. Cantillo, Est. Felicetti, P.M. Macca

rone (conci, diff.); Soc. So.ge.stab. (Avv. Ciufo) c. Min.

finanze e altri. Cassa App. Roma 25 novembre 1996.

Demanio e patrimonio dello Stato — Concessione — Canoni — Coefficienti di maggiorazione — Riferimento alla data del

l'atto di concessione (Cod. nav., art. 39; d.l. 2 ottobre 1981

n. 546, disposizioni in materia di imposta di bollo e sugli atti e formalità relativi ai trasferimenti degli autoveicoli, di

regime fiscale delle cambiali accettate da aziende e istituti di

credito nonché di adeguamento della misura dei canoni de

maniali, art. 9; 1. 1° dicembre 1981 n. 692, conversione in

legge, con modificazioni, del d.l. 2 ottobre 1981 n. 546, art. 1).

I coefficienti di maggiorazione dei canoni demaniali di conces

sione previsti dall'art. 9 d.l. 2 ottobre 1981 n. 546, convertito

nella 1.1° dicembre 1981 n. 692, vanno determinati con rife rimento alla data dell'atto di concessione, che è quella in cui

il canone è stato determinato in conformità della legislazione e dei valori al momento esistenti, e non a quella dell'eventua

le anticipata occupazione dell'area. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo si denun

cia la violazione e falsa applicazione degli art. 38 e 39 c. nav.;

16, 17 e 35 reg. nav. mar.; 9 d.l. 2 ottobre 1981 n. 546, conver

(1) Non si rinvengono precedenti editi in termini nella giurisprudenza della Suprema corte.

La corte enuncia il principio di cui in massima muovendo dalla rico struzione della ratio della norma di cui all'art. 9, 1° comma, d.l. 546/81. In particolare, viene rilevato dalla Suprema corte che con l'articolazio ne per bienni dei coefficienti di aggiornamento dei canoni demaniali la disposizione in esame ha inteso «rendere gli aumenti singolarmente congrui e tra loro perequati»: ciò in quanto detti criteri già scontano le modifiche in aumento, della misura minima dei canoni demaniali

marittimi, nel frattempo intervenute ad opera della normativa di ade

guamento. Se tale è la voluntas legis deve desumersi, a detta della Suprema cor

te, che il coefficiente di maggiorazione applicabile alla situazione de dotta debba essere identificato con quello che abbraccia il periodo di

tempo in cui l'atto di concessione è stato stipulato (e il canone determi

nato) in conformità della legislazione e dei valori esistenti a quel mo

mento, e non con quello che investe il periodo di tempo in cui si è verificata l'immissione nel possesso del bene; tutto ciò anche quando l'occupazione si sia protratta in forza di un atto di sottomissione per ben quindici anni, come nell'odierna fattispecie.

Sempre in materia di adeguamento della misura dei canoni demaniali

marittimi, per l'affermazione secondo cui l'aumento «si applica imme diatamente ai canoni 'in atto' senza necessità di alcun provvedimento dell'autorità amministrativa, alla quale la legge non attribuisce alcuna discrezionalità né sull'ai né sul quantum del prescritto adeguamento, ancorché nell'atto di concessione siano previste modalità di 'rivaluta zione' del canone secondo la disciplina della 1. 21 dicembre 1961 n. 1501», v. Cass. 18 febbraio 1994, n. 1587, Foro it., Rep. 1994, voce

Demanio, n. 27. Sull'accertamento della demanialità marittima, v. Pret. Palermo 18

luglio 1996, id., 1998, II, 357, con nota di richiami; in argomento, anche G. Pescatore, La delimitazione del demanio marittimo, ibid., V, 229.

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