sezione lavoro; sentenza 21 novembre 1985, n. 5746; Pres. Pennacchia, Est. Pontrandolfi, P. M.Gazzara (concl. conf.); Russo (Avv. Ferlito) c. Azienda municipale trasporti di Catania (Avv.Grasso Polizzi). Cassa Trib. Catania 12 maggio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 455/456-457/458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180503 .
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PARTE PRIMA
legge e relazioni — nn. 738, 8, 56, 240-700A) disponevano, cia
scuno, che le r.s.a., avrebbero dovuto esser costituite « secondo le
procedure interne delle associazioni sindacali».
Tale inciso fu subito soppresso nella seduta antimeridiana
dell'I 1 dicembre 1969 sul rilievo della sua palese incostituzionali
tà nel caso in cui i lavoratori non sindacalizzati, ovvero iscritti a
sindacati poco rappresentativi, fossero rimasti esclusi dall'elezione
dei rappresentanti sindacali aziendali, proprio perché lo scopo che
si voleva conseguire era il massimo concorso possibile di lavora
tori all'elezione, quale garanzia di reale pluralismo e di massi
ma rappresentatività dell'opinione di base che l'organismo eletto
avrebbe espresso e rappresentato. Tale approccio nuovo per lo sviluppo delle relazioni tra datori
di lavoro e lavoratori non è certamente privo d'inconvenienti per le imprese con piccolo numero di dipendenti, ove trovare tre
soggetti disposti, o idonei, a svolgere compiti ed attività sindacali, non è sempre agevole.
Per ovviare a tale inconveniente il senato, nella seduta suddet
ta, propose di introdurre l'art. 11 bis che disponeva che: « in
tutte le aziende pubbliche e private con almeno dieci dipendenti e nelle aziende commerciali ed agricole con almeno cinque
dipendenti i lavoratori hanno diritto di eleggere la commissione
interna o il delegato di azienda ».
L'articolo non fu approvato, e tanto basta, ai fini limitati in
esame, a dare conferma che il legislatore non ha voluto conside
rare, neppure per eccezione, la costituzione della r.s.a. quale
organo monocratico, per cui, sotto il profilo interpretativo ubi lex
voluit dixit, ubi noluit tacuit, tanto più che, come già detto, « l'interpretazione della legge non dev'essere compiuta soltanto
attraverso la letteralità del testo, ma penetrandone anche lo
spirito e la forza » (Celso, D.I., 3, 18).
Vi è, però, un altro aspetto ermeneutico che rafforza la
convinzione della collegialità necessaria delle rappresentanze sin
dacali d'azienda.
Il legislatore, nel por mano allo statuto, dovette affrontare e
risolvere molti problemi che da anni si agitavano senza aver
trovato alcuna soluzione legislativa, che concernevano in partico
lare, il tema che era già stato oggetto, nella seconda legislatura, di un'indagine svolta da un'apposita commissione d'inchiesta
parlamentare sulle condizioni dei lavoratori in Italia (Gazz. uff. n. 96 del 27 aprile 1955; Le leggi, 1955, 408).
Tale commissione, nel capitolo dedicato ai « rapporti umani e
provvidenze sussidiarie ed integrative » aveva già posto in evi
denza la necessità di rafforzare la struttura sindacale sia quale strumento di tutela dei lavoratori, sia come controparte collettiva
affidabile dei datori di lavoro, secondo il sistema derivante
dall'art. 39 Cost.
Soltanto un'organizzazione siffatta, libera e pluralistica, ma
organizzata in campo nazionale, avrebbe potuto contribuire al
l'introduzione di regole di civiltà nel mondo del lavoro come
quello che lo statuto andava a porre. Di tanto ne sono testimonianza le tre leggi che ebbero origine
da quell'indagine e, in particolare, la n. 741 del 14 luglio 1959
che rese obbligatori erga omnes molti contratti collettivi.
Lo statuto stesso prese l'avvio, in sede referente, da un'indagine conoscitiva condotta dalla commissione lavoro del senato che
acquisi tutti i termini dei problemi da risolvere udendo, su
ciascuno di essi, le organizzazioni sindacali.
Tale impostazione si scontrò subito col sistema allora vigente, costituito, in seno alle singole imprese, non da organi periferici dei sindacati, ma da commissioni interne di origine eterogenea, non collegate in alcun modo all'esterno delle aziende con altri
organismi consimili, e non suscettibili, quindi, di essere valorizzate
come strumento omogeneo, sul territorio nazionale, per lo svilup
po e l'affermazione della contrattazione collettiva.
Il parlamento, posto dinanzi a tale scelta, non esitò ad imboc
care la strada del potenzamento sindacale lasciando cadere le
molte proposte di legge di riconoscimento e di disciplina delle commissioni interne, spinto a ciò dall'argomento decisivo dell'av
venuta ratifica, con la 1. 23 marzo 1958 n. 367, di due convenzio ni internazionali dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ri
spettivamente n. 87 e n. 98: 1) quella di S. Francisco del 17
giugno 1948, concernente la libertà sindacale e la protezione del
diritto sindacale; 2) quella di Ginevra dell'8 giugno 1949, concer nente l'applicazione dei principi del diritto di organizzazione e di
negoziazione collettiva. Tali convenzioni regolano entrambe l'attività dei sindacati
all'interno delle aziende con norme minuziose con cui si dispone addirittura, con l'art. 7 della n. 87 che: « il riconoscimento della
personalità giuridica dei sindacati dei lavoratori e degli impiegati,
Il Foro Italiano — 1986.
le loro federazioni e confederazioni, non potrà essere subordinato
a condizioni tali da impedire l'applicazione delle disposizioni di
cui agli art. 2, 3 e 4 » (costituzione dei sindacati, autorganizza zione di essi, divieto di loro scioglimento o sospensione in via
amministrativa). La necessità del tramonto delle vecchie commissioni interne e
la loro sostituzione, con regolamentazione legislativa, delle r.s.a.
fu una delle ragioni per cui non venne approvato il già cit. art. 11 bis, sul rilievo decisivo del governo, secondo il quale non
poteva esser seguito « un doppio binario » cioè rafforzare le
strutture sindacali all'interno delle aziende, che era il vero scopo della legge, e stabilire per legge l'esistenza delle commissioni
interne », trattandosi « di una contraddizione con la linea che le
grandi confederazioni sindacali avevano espresso ». Da quanto fin qui esposto consegue che, anche per la ragione
suddetta, le r.s.a., quali organi di sostituzione, nella prassi azien
dale e nella legislazione del lavoro, delle precedenti commissioni
interne, devono averne, con più compiuta ragione, la medesima
struttura plurisoggetiva, onde in nessun caso un componente di
esse, uti singulus, può assumere iniziative nel campo sindacale e del lavoro di competenza esclusiva della collegialità dell'organo.
Ciò non toglie che tale ultimo requisito possa avere anche efficacia di secondo grado, come nell'ipotesi in cui i rappresentan ti decidano di delegare la soluzione o la trattazione di alcune
questioni ad una eventuale segreteria, e che quest'ultima decida di affidare l'esecuzione di alcune deliberazioni ad un suo compo nente come sarebbe il caso, per l'appunto, dell'affissione di un
manifesto.
Quel che è essenziale, però, è che qualsiasi decisione o
comportamento, come già detto, sia frutto immediato o mediato della volontà collegiale dell'organo.
Tale primo aspetto della doglianza pertanto, è infondato e dev'essere rigettato.
Circa il secondo aspetto della censura, concernente il difetto di motivazione in ordine alla eccessività della sanzione disciplinare adottata in relazione alla mancanza commessa, deve rilevarsi che il tribunale, con motivazione adeguata e sufficiente nonché priva di vizi logici e giuridici, ha ritenuto che la sanzione era spropor zionata, sul rilievo che il manifesto affisso non conteneva alcuna
grave accusa nei confronti della direzione aziendale e che esso era il riflesso di un momento di tensione sindacale anche all'in terno stesso delle singole organizzazioni dei lavoratori.
Tale motivazione, frutto di un penetrante e corretto esame di
merito, sottrae la sentenza impugnata all'accusa di vizio logico che le è stata rivolta. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 novem bre 1985, n. 5746; Pres. Pennacchia, Est. Pontrandolfi, P. M. Gazzara (conci, conf.); Russo <Avv. Ferlito) c. Azienda
municipale trasporti di Catania (Avv. Grasso Polizzi). Cassa Trib. Catania 12 maggio 1981.
Ferrovie, tram vie e filovie — Agente — Esonero per inabilità —
Decorrenza (R.d. 8 gennaio 1931 n. 148, coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessio
ne, ali. A, art. 27, 29).
L'esonero dal servizio richiesto per inabilità fisica dall'agente dipendente da azienda municipalizzata di trasporti decorre, nel caso in cui l'esistenza dell'inabilità sia stata negata in prima istanza da visita medica ed affermata dal collegio medico in seconda istanza, dalla data di presentazione della domanda di collocamento a riposo. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Il ricorso, nell'unico motivo prospettato, è fondato.
(1) Riguardo la fattispecie, che si caratterizza in particolare per il fatto che era il lavoratore ad avere interesse all'esonero dal servizio anticipatamente rispetto ad una certa data, per godere di benefici riconosciuti fino a tale momento da accordi aziendali, non si rinvengo no precedenti in termini.
In materia di esonero per inidoneità fisica del dipendente, ma su atto di iniziativa del datore di lavoro, v., da ultimo, Cass. 27 luglio 1984, n. 4476, Foro it., Rep. 1984, voce Ferrovie e tramvie, n. 31; 9 luglio 1984, n. 3988, ibid., n. 30; 18 gennaio 1984, n. 450, ibid., n.
29; Trib. Trieste 2 novembre 1982, ibid., n. 33.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La controversia verte, com'è pacifico tra le parti, unicamente sulla decorrenza dell'invalidità o inidoneità del Russo allo svol
gimento delle mansioni presso l'azienda. è anche pacifico che l'art. 16 t.u. degli accordi aziendali, come
risulta dal verbale di chiarimento del 10 gennaio 1975, subordi nava la concessione dei benefici previsti nell'accordo stesso al
presupposto che il dipendente fosse stato posto in quiescenza per invalidità anteriormente alla data del 1° luglio 1974, o, comun
que, anteriormente alla data stabilita per lo scaglionamento se
mestrale.
È, poi, pacifico in atti che il Russo, a seguito di sua domanda
presentata il 31 luglio 1974, come ex combattente, era stato
scaglionato per il collocamento in pensione al 1° luglio 1979.
Ora, secondo l'azienda, lo stato d'invalidità, che rileva ai sensi
del 5° comma d.l. 8 luglio 1974 n. 261, convertito in 1. 14 agosto 1974 n. 355, sarebbe stato accertato il 16 novembre 1979, in sede
di visita di controllo collegiale, dallo stesso Russo richiesta, essendo emersa alla visita fiscale (di primo grado) del 25 maggio 1979 diagnosi di non invalidità. Pertanto — secondo l'azienda —
gli effetti dell'invalidità non potrebbero farsi risalire alla data
della domanda di pensionamento per invalidità del 10 marzo 1979
o alla data della prima visita del 25 maggio 1979, entrambe
anteriori alla data fissata per lo scaglionamento (1° luglio 1979). L'azienda ha torto ed ha ragione, invece, il ricorrente Russo. È
opportuno osservare che, ai sensi del verbale di chiarimento per
l'applicazione del d.l. 8 luglio 1974 n. 261, convertito in 1. 14
agosto 1974 n. 355, e degli accordi nazionali e aziendali, stipulato il 10 gennaio 1975 — il cui contenuto non è in contestazione —
l'azienda, in ottemperanza a quanto previsto dal 5° comma
dell'art.1 1. n. 355 del 1974, doveva collocare anticipatamente in
quiescenza, ai sensi e agli effetti della 1. 24 maggio 1970 n. 336 e
successive modifiche e integrazioni, gli aventi titolo a fruire dei
benefici della predetta legge, che fossero dai competenti sanitari
giudicati non idonei alla loro qualifica, con le modalità di cui
all'art. 29 dell'ali. A al r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, purché detto
riconoscimento avvenisse dopo l'entrata in vigore del d.l. 8 luglio 1974 n. 261 e prima del 1° giugno 1975 ovvero prima della data
assegnata all'avente diritto dallo scaglionamento al quale apparte neva.
Proprio a seguito di tale verbale chiarimento il Russo, il quale aveva presentato domanda di godimento dei benefici come ex
combattente, ai sensi della 1. n. 336 del 1970, in data 31 luglio
1974, presentò domanda di pensionamento per invalidità il 10
marzo 1979, prima, quindi, della data fissata per lo scaglionamen to semestrale (1° luglio 1979). L'accertamento dell'invalidità, con
seguentemente, avrebbe dovuto essere effettuato, del resto come
previsto anche dal suddetto verbale di chiarimento, con le moda
lità e nei termini di cui all'art. 29 ali. A al r.d. 8 gennaio 1931 n.
138.
Si osserva, al riguardo, che l'esonero dal servizio degli agenti autoferrotramvieri per inabibilità nelle funzioni proprie della
qualifica è previsto in via generale dall'art. 27, 1° comma, lett. b),
dell'ali. A al r.d. n. 148 del 1931, il quale, al 2° comma, stabilisce
che « l'esonero è disposto in seguito a giudizio medico, reso nelle
forme e nei modi stabiliti dall'art. 29 ».
Il successivo art. 29 prevede una complessa procedura di
accertamento dell'inabilità da espletarsi entro brevi termini, pro cedura che, grosso modo, si divide in due fasi, ove il giudizio medico di prima istanza si concluda in disaccordo sull'inabilità e
sia necessario adire il collegio medico di seconda istanza.
Questo, ai sensi del 4° comma, deve emettere il suo giudizio entro 15 giorni (dal precedente giudizio), prorogabili di altri 15
nel caso che l'agente debba essere sottoposto a speciali osserva
zioni. Il 5° comma stabilisce, poi, che « il rapporto di lavoro non si
interrompe durante il periodo dell'accertamento sanitario, salvo
che dal giudizio definitivo non risulti confermata l'inabilità ».
Ora — secondo la sentenza impugnata, la quale ha condiviso
la tesi dell'azienda — gli effetti dell'invalidità con interruzione
del rapporto non potevano risalire alla data della domanda di
pensionamento per inabilità (10 marzo 1979), né alla data della
visita medica di prima istanza (25 maggio 1979) e, comunque,
anteriormente alla data fissata per lo scaglionamento (1° luglio
1979), in quanto non ricorreva la prova che l'inabilità fosse
maturata anteriormente al 16 novembre 1979, data del suo
accertamento da parte del collegio medico di seconda istanza;
anzi, doveva ritenersi che il Russo, anteriormente al 1° luglio
1979, non fosse stato inabile, dato che, alla visita medica del 25
maggio 1979, era stata emessa nei suoi confronti diagnosi di non
invalidità ».
Tale ragionamento è — a parere della corte — frutto di una
erronea interpretazione dell'art. 29 dell'ali. A al r.d. n. 148 del
Il Foro Italiano — 1986 — Parte I- 30.
1931 e, specialmente, del 5° comma, per avere il tribunale
implicitamente recepito l'assunto del primo giudice secondo cui
l'effetto sperato dal Russo (e, cioè, la decorrenza dell'inabilità dalla data della domanda di pensionamento o della prima visita
medica) si sarebbe potuto verificare solo ove il giudizio medico
d'appello avesse confermato quello di primo grado, mentre, ove
vi fosse stata difformità tra i due giudizi (come nella fattispecie), solo il definitivo avrebbe potuto fare stato dell'inabilità e solo
dalla data dello stesso.
Senonché, quando il 5° comma del citato art. 29 stabilisce che « il rapporto non si interrompe durante il periodo dell'accerta
mento sanitario, salvo che dal giudizio definitivo non risulti
confermata l'inabilità », appare evidente come, ai fini della deroga di cui all'ultimo inciso (conferma dell'inabilità dal giudizio medi
co definitivo), tale espressione si riferisca all'inabilità dedotta
dall'interessato in sede di domanda di pensionamento e non a
quella eventualmente accertata nel giudizio medico di prima istanza. Se, infatti, il giudizio medico di prima istanza è stato
favorevole all'interessato, in quanto v'è stato accordo tra i medici
delle parti sulla sussistenza dell'inabilità, non c'è bisogno di adire
il collegio medico di seconda istanza, in quanto quel giudizio è
già di per sé definitivo; se, invece, il giudizio medico di prima istanza si è concluso negativamente per l'inabilità (anche se per
semplice disaccordo dei medici), l'interessato può adire il collegio medico di seconda istanza, il cui giudizio definitivo, se favorevole
all'interessato, in dissenso dal giudizio di prima istanza, ha
l'effetto di confermare l'inabilità dedotta dall'interessato con la
domanda e di porre nel nulla il giudizio medico di prima istanza; onde l'inabilità va fatta decorrere dalla domanda in quanto, essendovi conferma dell'inabilità nel giudizio medico definitivo, si
verifica retroattivamente l'interruzione del rapporto in deroga alla
regola secondo cui il rapporto di lavoro non si interrompe durante il periodo dell'accertamento sanitario.
Ne deriva che il ricorso va accolto e che, di conseguenza, la
sentenza impugnata va cassata con il rinvio della causa ad al
tro giudice d'appello, che si designa nel Tribunale di Siracusa, sezione lavoro, il quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà
al principio di diritto di cui sopra. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 novem bre 1985, n. 5674; Pres. Afeltra, Est. Micali, P. M. De Martini (conci, conf.); Istituto educativo assistenziale femmini le « Suore oblate di S. Antonio » (Avv. Di Noi, Pennetta) c.
Massa (Avv. Carrozzo). Cassa Trib. Brìndisi 7 giugno 1982.
Lavoro (rapporto) — Religiosa insegnante nell'ambito della con
gregazione di appartenenza — Natura del rapporto — Indennità di anzianità — Esclusione (Cost., art. 7; 1. 25 marzo 1985 n. 121, ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addi
zionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'I 1 febbraio 1929, tra la Repubbica italiana e la Santa Sede, art. 2; cod. civ., art.
2094, 2120).
L'attività didattica svolta dalla religiosa non alle dipendenze di
terzi, ma nell'ambito della propria congregazione e quale com
ponente di essa, secondo i voti pronunziati, non costituisce
prestazione di attività lavorativa soggetta alle leggi dello Stato
italiano, bensì opera di evangelizzazione compiuta religionis causa, in adempimento dei fini della congregazione stessa e
regolata eslcusivamente dal diritto canonico, onde la prestazio ne suddetta non legittima l'attrice alla proposizione della do
manda di pagamento dell'indennità di anzianità. (1)
(1-3) I. - La tendenza giurisprudenziale — emergente dalla seconda e dalla terza delle sentenze riportate — a considerare le attività
prestate dagli ecclesiastici e, in particolare, dai religiosi alla stregua del diritto comune del lavoro e della previdenza sociale soffre talvolta di ricadute nei vecchi schemi interordinamentali del diritto ecclesiasti
co, che lasciano spazio ad improbabili difetti di giurisdizione ratione subiecti et materiae, come dimostra Cass. 5674/85 in epigrafe.
La massima, per vero, corrisponde ad un principio agevolmente rinvenibile nella giurisprudenza della Cassazione (cfr., ad es., sent. 7 apri le 1978, n: 1624, Foro it., 1979, I, 2128) e, del resto, ritenuto da Corte cost. 9 giugno 1977, n. 108 (id., 1977, I, 1597), che, dichiarando la
illegittimità costituzionale del limite alla tutela previdenziale, previsto dalla 1. n. 392/56 (del cui carattere, interpretativo o innovativo, si
occupa Pret. Firenze in epigrafe), se l'attività del religioso venga
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