sezione lavoro; sentenza 23 maggio 1998, n. 5168; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Martone(concl. conf.); Paparone e altri (Avv. Chirillo) c. Usl n. 9 della Calabria. Conferma Trib. Locri 20gennaio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 9 (SETTEMBRE 1998), pp. 2411/2412-2413/2414Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194286 .
Accessed: 28/06/2014 12:28
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.223.28.76 on Sat, 28 Jun 2014 12:28:48 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2411 PARTE PRIMA 2412
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 mag
gio 1998, n. 5168; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Mar
tone (conci, conf.); Paparone e altri (Avv. Chirillo) c. Usi
n. 9 della Calabria. Conferma Trìb. Locri 20 gennaio 1994.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Condanna
in futuro — Estremi — Fattispecie (Cod. civ., art. 2909; cod.
proc. civ., art. 474).
Non è configurabile come condanna in futuro una sentenza con
un dispositivo articolato in due capi distinti, di cui il primo contiene l'accertamento del diritto degli attori a vedere ri
compresa nello stipendio la quota mensile di carovita in un
certo ammontare e il secondo la condanna del datore di lavo
ro al pagamento delle relative differenze retributive con rife rimento a mensilità di stipendio corrisposte in passato. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 10 aprile 1991
il Pretore del lavoro di Locri dichiarava che Giuseppe Paparone e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe tutti dipendenti della
Usi n. 28 di Locri, avevano diritto di percepire le quote mensili
di carovita, che competevano loro dal maggio 1986, con l'inclu
sione dell'indennità di contingenza dovuta ai sensi dell'art. 1
1. 26 febbraio 1986 n. 38 per il settore industriale, e condannava
la Usi n. 28 di Locri al pagamento delle relative differenze,
con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla matu
razione di ciascun rateo al soddisfo.
Con atti di precetto notificati il 19 ottobre 1991 e il 16 no
vembre 1991 i lavoratori, sulla base di tale sentenza, intimava
no alla Usi di pagare le quote di carovita per il periodo relativo
ai mesi di giugno, luglio e agosto 1991.
La Usi proponeva opposizione, che veniva accolta dal Preto
re del lavoro di Locri con sentenza 12 giugno 1992.
Decidendo sull'appello proposto dal Paparone e dagli altri
lavoratori, nel contraddittorio con la Usi n. 9 della Calabria
(già Usi n. 28), che contestava la fondatezza dell'impugnazione, il Tribunale di Locri confermava la decisione impugnata con
sentenza del 20 gennaio 1994.
Il giudice dell'appello osservava, in primo luogo, che la sen
tenza emessa nel precedente giudizio non poteva essere invocata
come titolo esecutivo perché la stessa non integrava un'ipotesi
(1) Non si rinvengono precedenti in termini. Lo svolgimento del processo, cosi come ricostruito dalla pronuncia
in epigrafe, è, in sintesi, il seguente. Gli attori ottengono il 10 aprile 1991 una sentenza favorevole articolata in due capi. Con il primo capo viene accertato il loro diritto a percepire le quote mensili di carovita a partire dal maggio 1986, con l'inclusione dell'indennità di contingen za dovuta ai sensi dell'art. 1 1. 26 febbraio 1986 n. 38 per il settore industriale. Con il secondo capo viene emessa condanna al pagamento delle differenze di compenso per le quote di carovita corrisposte in mi sura inferiore al dovuto. Sulla base di questa sentenza gli attori intima no il 19 ottobre 1991 al convenuto di pagare le quote di carovita per il periodo relativo ai mesi di giugno, luglio e agosto 1991, dunque per un periodo successivo alla sentenza. In applicazione del principio rias sunto nella massima viene confermata la sentenza di accoglimento del
l'opposizione al precetto. Se il dispositivo di condanna della sentenza aveva ad oggetto le quote
di carovita corrisposte nel passato, e non anche le quote di carovita da corrispondere in futuro, la presente pronuncia è indubbiamente cor
retta, poiché effettivamente la sentenza resa nel precedente giudizio non era «configurabile come una ipotesi di condanna in futuro, perché non richiesta dalle parti e non qualificata in tal senso in maniera esplicita dal pretore». Superflue ai fini della decisione appaiono peraltro le con siderazioni che la sentenza svolge sull'aspetto precettivo del giudicato sulle situazioni soggettive durevoli nel tempo. Infatti, anche se si affer ma che l'accertamento giudiziale di una tale situazione soggettiva si
proietta verso il futuro (in questo senso, B. Sassani, Impugnativa del l'atto e disciplina del rapporto, Padova, 1989, 177 ss.; R. Caponi, L'ef ficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, 80 ss., a cui si rinvia anche per indicazioni sulla condanna in futuro, e, da ultimo, Id., In tema di limiti temporali del giudicato civile sulle situazioni sog gettive che proteggono un interesse durevole nel tempo, in Foro it., 1998,1, 1193 ss.), e che quindi si proietta verso il futuro l'accertamento del diritto a percepire le quote di carovita in un certo ammontare, tale affermazione non può porre rimedio alla decisiva circostanza che, nella
fattispecie de qua, era stata chiesta e ottenuta la condanna solo con riferimento alle quote di carovita corrisposte nel passato, e non anche con riferimento alle quote di carovita da corrispondere in futuro. [R. Caponi]
Il Foro Italiano — 1998.
di condanna per il futuro o, in secondo luogo che il giudice,
qualora sia parte in giudizio un ente pubblico, deve limitarsi
ad accertare la regolarità della costituzione, senza controllare
se esista o meno l'impegno di spesa. Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassa
zione il Paparone e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe in
base a due distinti motivi illustrati da memoria. Non si è costi
tuita la Usi n. 9 di Locri. Motivi della decisione. — (Omissis). Ciò premesso, passando
all'esame dell'impugnazione, con il primo motivo il De Angelis denuncia violazione degli art. 2909 c.c. e 429 c.p.c. e insuffi
ciente e contraddittoria motivazione, in relazione agli art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, c.p.c., e censura la sentenza impugnata nella parte in cui è stato affermato che la sentenza resa nel
precedente giudizio non conteneva una condanna per il futuro.
Sostiene il ricorrente che il tribunale, errando nel valorizzare
una frase inserita nella motivazione della suddetta precedente sentenza (quella che aveva fatto riferimento al periodo per cui
è causa») nonché nel dare rilievo all'accordo collettivo recepito dal d.p.r. n. 41 del 1991 (trattandosi di una pattuizione prece dente alla formazione del giudicato), non ha considerato che
la sentenza in questione, disponendo per il futuro, aveva man
tenuto la sua validità di titolo esecutivo anche per il periodo successivo alla sua emanazione, tenuto conto del fatto che nel
primo dei suoi due capi era stato riconosciuto il diritto dei lavo
ratori e che nel secondo era stata emessa condanna specifica, sebbene con l'atto introduttivo del giudizio fosse stata formula
ta la domanda di condanna generica.
Questo motivo è privo di fondamento. Pur non potendosi
escludere, in linea strettamente teorica, che una pronuncia giu
risdizionale, emanata in conformità della domanda proposta dalla
parte quando ciò sia ammesso dall'ordinamento, possa statuire
per l'avvenire, tuttavia occorre che una siffatta statuizione sia
resa palese, in modo esplicito, dalle espressioni contenute nel
dispositivo. Come è stato testualmente affermato in una recente sentenza
(Cass. 23 ottobre 1997, n. 10431, Foro it., Rep. 1997, voce Sen
tenza civile, n. 50), il giudizio di cognizione, avuto riguardo alle disposizioni contenute negli art. 2907, 2908 e 2909 c.c., e
diretto ad accertare una situazione giuridica già esistente (anche
se, a volte, non produttiva di effetti immediati), dato che per mezzo del processo non è consentito, di norma, il conseguimen to di un bene futuro ed eventuale il cui titolo non sia ancora
sorto al tempo della proposizione della domanda giudiziale. Da
questo principio deriva che la pronuncia giurisdizionale di con
danna del convenuto a un fare o a un dare, ivi compresa quella relativa al pagamento di una somma di danaro, produce i suoi
effetti per le prestazioni inerenti al tempo anteriore alla propo sizione della domanda e non per quella relativa al periodo suc
cessivo. E ciò vale anche con riferimento ai rapporti c.d. di
durata, in relazione ai quali, ferma eventualmente l'autorità della
pronuncia sull'esistenza del rapporto e sull'assenza di cause di
invalidità del titolo dal quale il rapporto stesso trae origine in
base alla regola giurisprudenziale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile — la condanna emessa dal giudice, a parte le eccezioni espressamente previste dalla legge (v., ad
esempio, l'art. 345, 1° comma, seconda parte, c.p.c.), trova
necessariamente il suo limite nelle prestazioni maturate fino al
giorno della notificazione dell'atto di citazione davanti al giudi ce di primo grado.
D'altra parte, anche a riconoscere, come è stato osservato
in dottrina, che in ordine ai rapporti di durata nell'ordinamen
to possano trovare ingresso, in relazione ad una particolare si
tuazione di fatto già esistente e rilevante nell'immediato futuro, le sentenze c.d. determinative intendendosi per tali quelle «delle
quali è consentita la modificazione o la revoca in conseguenza del successivo mutamento della suddetta situazione di fatto» e
riguardo alle quali, per conseguenza, «il giudicato si forma li
mitatamente allo stato di fatto esistente al tempo della pronun cia» (v., in giurisprudenza, Cass. 17 aprile 1991, n. 4136, non
massimata, secondo cui la decisione avente per oggetto la liqui dazione della pensione di invalidità fa stato fra le parti rebus
sic stantibus), tuttavia, come sopra è stato detto, per poter esse
re compresa in tale categoria, la sentenza deve contenere una
chiara statuizione al riguardo, ricavabile, senza possibilità di
equivoci, dal comando impartito dal giudice e contenuto nel
dispositivo.
This content downloaded from 91.223.28.76 on Sat, 28 Jun 2014 12:28:48 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Nel caso in esame, come asserisce lo stesso De Angelis, la
sentenza resa a conclusione del precedente giudizio e passata in giudicato conteneva nel dispositivo due distinti capi in base
alle testuali espressioni usate nel ricorso per cassazione, infatti, con il primo capo era stato «affermato il diritto» e con il secon
do era stata emessa «condanna al pagamento in favore dei ri
correnti delle differenze di compenso per le quote di carovita, ad essi corrisposte in misura inferiore al dovuto». Di tal che
non può essere sindacata, non sussistendo i vizi denunciati nel
ricorso, l'interpretazione del giudicato data dal tribunale — se
condo cui la sentenza resa nel precedente giudizio non era «con
figurabile come una ipotesi di condanna in futuro, perché non
richiesta dalle parti e non qualificata in tal senso in maniera
esplicita dal pretore» — per la ragione che tale interpretazione, del tutto corretta sia sotto il profilo giuridico che dal punto di vista logico, trova diretto riscontro nella statuizione del giu
dice, come riferita dal ricorrente.
I rilievi che precedono dimostrano l'inconferenza delle altre
censure formulate con il motivo in esame, ove si consideri: a) che a nulla vale ora sostenere che nel precedente giudizio era
stata chiesta la condanna generica della Usi, giacché, a parte il rilievo che una tale pronuncia non avrebbe legittimato i lavo
ratori ad esercitare l'azione esecutiva, resta il fatto che la con
danna specifica emessa dal giudice, non essendo stata impugna
ta, è passata in giudicato; b) che il tribunale ha interpretato tale giudicato in base al dispositivo della sentenza, avendo uti
lizzato alcune locuzioni contenute nella parte motiva solamente
a conferma del giudizio emesso: c) che del tutto irrilevante, a
fronte dell'interpretazione data, è l'accenno fatto dal tribunale
al d.p.r. n. 41 del 1991 enunciato al solo scopo di sottolineare
che la materia, per il periodo successivo, era stata regolata da
un nuovo accordo concluso tra le parti. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 22 mag
gio 1998, n. 5121; Pres. Baldassarre, Est. Mazziotti Di Cel
so, P.M. Maccarone (conci, parz. diff.); Soc. Soledil (Avv.
Netti) c. Petrelli ed altri (Avv. G. e P. Casavola). Confer ma App. Ancona 16 settembre 1996.
Appalto — Consegna dell'opera — Rifiuto del committente per
incompletezza ed irregolarità — Accettazione tacita — Esclu
sione (Cod. civ., art. 1665).
Nel contratto di appalto non è ravvisabile l'accettazione tacita
dell'opera nel caso in cui il committente rifiuti, peraltro legit
timamente, di ricevere la consegna dell'immobile in quanto
incompleta ed irregolare (nella specie, l'immobile era privo della licenza di abitabilità, per fatto addebitabile all'appalta
tore, nonché carente strutturalmente). (1)
(1) Con l'avallo di dottrina e giurisprudenza costanti, l'art. 1665 c.c. — nell'indicare i fatti ed i comportamenti sulla base dei quali deve
presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente —
dipana la matassa dell'accettazione tacita, ravvisandone il presupposto nella consegna dell'opera al committente e il fatto concludente nella
«ricezione senza riserve» da parte del committente stesso, anche se non
si sia proceduto alla verifica.
Naturalmente, occorre tenere distinte concettualmente la consegna, fatto meramente materiale che si attua mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente (affinché possa eseguire la verifica
dell'opera, ciò che costituisce un suo preciso onere), dall'accettazione, atto di volontà con cui il committente dichiara di voler accogliere la
prestazione, in quanto la si è trovata immune da vizi e difformità o,
comunque, si è rinunciato a farli valere. Ciò posto, il caso di specie
presenta la particolarità che di accettazione non poteva proprio parlar
si, per il semplice ed assorbente motivo che l'opera commissionata non
era (eufemisticamente) conforme a quanto dedotto in contratto: non
soJo l'appaltatore aveva omesso di compiere molteplici lavori nell'ese
cuzione dell'opera, ma — soprattutto — non aveva pagato gli «seri ed i contributi di costruzione e di urbanizzazione, col risultato di veder
li Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 19 e il 20 settembre 1988 la s.r.l. Soledil esponeva: che aveva
acquistato da Petrelli Mario, con atto del 24 ottobre 1983, par te di un appezzamento di terreno edificabilc, sito in Grottam
mare, della superficie di mq. 2320; che, con separata scrittura
redatta in pari data, era stato pattuito che essa società avrebbe
costruito a sue spese, su altro appezzamento di terreno del Pe
trelli, una palazzina la cui volumetria doveva essere pari al ven
tiquattro per cento dell'intero volume realizzato; che si era nel
contempo pattuito che le variazioni e le migliorie rispetto al
capitolato di appalto sarebbero state conteggiate e pagate a par
te; che, terminati i lavori, il Petrelli si era rifiutato di prendere in consegna l'immobile e di pagare i lavori extra-capitolato; che
aveva inutilmente più volte diffidato il Petrelli a prendere in
consegna l'immobile previo contestuale pagamento dei detti la
vori. La Soledil, quindi, conveniva in giudizio Petrelli Mario, Rosaria, Ambra e Leonilde per sentirli condannare al pagamen to della somma di lire 121.498.491 per i lavori extra-capitolato, oltre lire 4.000.000 per diritti del direttore dei lavori e lire
17.367.726 per oneri di cui alla 1. 10/77. I quattro convenuti si costituivano e deducevano che, prima
di stipulare l'atto indicato dall'attore, tra le parti era stata fir
mata, in data 6 luglio 1981, una scrittura privata con la quale il Petrelli aveva pattuito la cessione a Iacoponi Raniero del set
tantasei per cento di un'area edificabilc di mq. 3080 dietro il
corrispettivo rappresentato dalla costruzione di uno dei tre fab
bricati edificandi (palazzina C) sull'area medesima, da eseguirsi con la clausola «chiavi in mano» per una volumetria pari al
ventiquattro per cento del volume complessivo edificabilc; che
con il successivo atto del 24 ottobre 1983 si eano ribaditi i de
scritti accordi, sicché il Petrelli aveva venduto alla Soledil, la
quale si era obbligata in solido con lo Iacoponi, il settantasei
per cento dell'area dietro il corrispettivo della costruzione della
menzionata palazzina C, della quale si era concordata la conse
gna per il 27 settembre 1984; che la società attrice era inadem
piente di fronte a tali obblighi perché non aveva consegnato l'immobile in questione «chiavi in mano», non aveva consentito
ad esso Petrelli di verificare la volumetria della palazzina C e
perchè aveva prodotto una contabilità errata facendo figurare come migliorie lavori che tali non erano, senza che essi conve
nuti avessero concordato o autorizzato tali varianti. I Petrelli,
quindi, previa richiesta di chiamata in causa di Iacoponi Ranie
ro e di rigetto della domanda attrice, chiedevano in riconven
zionale che si dichiarasse l'inadempimento della Soledil e dello
Iacoponi in relazione ai punti sopra descritti e che si condan
nassero i suddetti alla consegna della palazzina ed al risarci
mento dei danni. In fase istruttoria interveniva volontariamente
in causa Iacoponi Raniero il quale si riportava a quanto dedot
to dalla Soledil.
II g.i. disponeva procedersi a c.t.u. all'esito della quale i con
venuti ottenevano il sequestro giudiziario della palazzina C con
versamento di una cauzione.
Disposto un supplemento di c.t.u., l'adito Tribunale di Asco
li Piceno, con sentenza depositata il 21 febbraio 1994, qualifi cati gli accordi interccorsi tra le parti sotto il profilo unitario
di un contratto misto a prevalente carattere di appalto, così
provvedeva: 1) dichiarava che alla società attrice ed a Iacoponi Raniero spettava, per lavori extra-capitolato, la somma di lire
39.085.680; 2) dichiarava che ai convenuti spettava, a titolo di
si rifiutata la licenza di abitabilità. In particolare, il punto nodale del rifiuto è da ravvisarsi proprio in quest'ultima carenza, posto che —
per giurisprudenza consolidata — nel caso di bene immobile destinato ad abitazione, la licenza de qua costituisce elemento essenziale, inte
grante l'identità del bene stesso ai fini delle intese contrattuali. Al pun to che la consegna del cespite privo della licenza di abitabilità integra un'ipotesi di consegna di aliud pro alio: da ultimo, v. Cass. 20 gennaio 1996, n. 442, Foro it., Rep. 1996, voce Vendita, n. 74. In dottrina, v. Vannicelli, La non abitabilità «legale» dell'immobile come causa di risoluzione della vendita immobiliare (nota a Cass. 4 novembre 1995, n. 11521, ibid., n. 75), in Corriere giur., 1996, 168, e De Tula, Vendi
ta di bene immobile e mancato rilascio della licenza di abitabilità (nota a Cass. 10 giugno 1991, n. 6576, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n.
88), in Giust. civ., 1992, I, 1335 (a tenore della quale «nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità è un ele mento che caratterizza l'immobile in relazione alla sua capacità di as solvere una determinata funzione economico sociale e, quindi, di soddi sfare in concreto i bisogni che hanno indotto l'acquirente ad effettuare
l'acquisto»).
This content downloaded from 91.223.28.76 on Sat, 28 Jun 2014 12:28:48 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions