sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Giacalone(concl. parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Iacona (Avv. Damigella) e altra. Cassa Trib.Catania 28 gennaio 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3087/3088-3093/3094Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197621 .
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3087 PARTE PRIMA 3088
cessata. Nega, pertanto, d'essere subentrata nel rapporto locati
vo e d'essere, conseguentemente, obbligata al pagamento della
indennità di avviamento. Lamenta, quindi, che il tribunale abbia
ritenuto sussistente la sua legittimazione a contraddire la do
manda della Odoroso, intesa alla determinazione dell'indennità.
La doglianza è fondata.
Il tribunale, sul rilievo che, ai sensi dell'art. 69 1. 392/78, l'esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata dalla
previa corresponsione dell'indennità di avviamento, ha ritenuto
che legittimato passivo rispetto all'azione di determinazione
della indennità promossa dal conduttore debba considerarsi
chiunque sia abilitato a promuovere l'azione esecutiva per con
seguire il rilascio dell'immobile e, quindi, anche il soggetto che — al pari dell'odierna ricorrente — abbia acquistato, dopo la
cessazione del rapporto locativo, l'immobile ancora occupato di
fatto dall'ex conduttore. Questa tesi non può condividersi. L'in
dennità di avviamento è intesa a ristabilire l'equilibrio tra loca
tore e conduttore, evitando che il primo possa trarre un ingiusti ficato arricchimento dall'avviamento commerciale acquisito
dall'impresa del secondo (Corte cost. 25 marzo 1980, n. 36, Fo
ro it., 1980, I, 1830). Questa considerazione potrebbe conside
rarsi di per sé sufficiente a rendere evidente che la correspon sione dell'indennità di avviamento non può farsi gravare se non
a carico del locatore. Non sembra, peraltro, inutile aggiungere che l'indennità consegue automaticamente e immediatamente
alla cessazione della locazione (Cass. 26 aprile 1985, n. 2734,
id., Rep. 1985, voce Locazione, n. 793) e che il suo importo va
determinato solo con riferimento a quel momento e non a quello del rilascio (Cass. 11 dicembre 1990, n. 11766, id., Rep. 1990, voce cit., n. 546), onde non può ritenersi che obbligato a corri
sponderla possa essere un soggetto diverso da quello che fino al
termine del rapporto ha rivestito la qualità di locatore. Del resto
l'art. 4 dell'abrogata 1. 27 novembre 1963 n. 19 (sull'avvia mento commerciale), prevedeva espressamente che il compenso
per la perdita dell'avviamento fosse dovuto al conduttore dal lo
catore, né vi sono elementi testuali o sistematici dai quali sia
possibile desumere che gli art. 34 e 69 1. n. 392 del 1978 (che trattano la stessa materia) abbiano introdotto una diversa rego lamentazione, nel senso che, quanto alla corresponsione dell'in
dennità in discorso, al locatore possa sostituirsi un altro sog
getto. Ché anzi l'art. 69 (che viene in applicazione proprio nel
caso di specie) prevede che, nell'ipotesi in cui il conduttore non
accetti le condizioni offertegli dal locatore per la prosecuzione della locazione, gli sia dovuta un'indennità ragguagliata al ca
none richiesto dal locatore, il che, costituendo criterio di garan zia e di contemperamento dei contrapposti interessi delle parti del rapporto locativo, conferma ulteriormente l'asserto che solo
al locatore incombe l'obbligo di corresponsione dell'indennità
per la perdita dell'avviamento commerciale.
La Nuzzi, avendo acquistato l'immobile dopo la cessazione del rapporto locativo intercorso tra la precedente proprietaria e la Odoroso, non ha acquisito la qualità di locatrice e non può,
quindi, ritenersi obbligata al pagamento dell'indennità di av
viamento, né legittimata a contraddire la domanda della Odoro
so, intesa alla determinazione giudiziale di tale indennità.
L'accoglimento del motivo testé esaminato rende superfluo l'esame del secondo motivo del ricorso (con cui la ricorrente
sostiene che l'indennità non spetterebbe al conduttore che con
tinui ad occupare l'immobile anche dopo la cessazione del rap
porto), del quarto motivo (con cui la ricorrente insiste nel soste
nere che la Odoroso non sarebbe in possesso dei requisiti di
legge per fruire dell'indennità), del quinto motivo (con cui la ri
corrente si duole della reiezione della sua eccezione di compen sazione), del sesto motivo (con cui la ricorrente si duole del ri
getto della sua istanza di sequestro conservativo) e del settimo
motivo (con cui la ricorrente lamenta la mancata compensazione delle spese del primo grado di giudizio), motivi tutti che ap paiono assorbiti.
L'impugnata sentenza va, dunque, cassata e. non essendo ne cessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel me rito in termini di accoglimento della domanda proposta dalla Nuzzi (per sentirsi dichiarare non tenuta al pagamento della in
dennità) e di rigetto della domanda riconvenzionale proposta dalla Odoroso (per la determinazione dell'indennità di av
viamento).
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Gia
calone (conci, parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Ia
cona (Avv. Damigella) e altra. Cassa Trib. Catania 28 gen naio 1998.
Lavoro (rapporto di) — Attività aziendale — Successione
ereditaria — Trasferimento d'azienda — Configurabilità
(Cod. civ., art. 2112). Lavoro (rapporto di) — Retribuzione sufficiente — Deter
minazione (Cost., art. 36; cod. civ., art. 2099; 1. 26 febbraio
1986 n. 38, disposizioni in materia di indennità di contingen
za).
L'ipotesi della continuazione dell'attività aziendale a seguito di
successione ereditaria rientra nella nozione di trasferimento d'azienda, inteso come sostituzione nella titolarità dell'im
presa, che rimanga immutata nella sua destinazione e nella
sua entità economica. ( 1 ) Ai fini della determinazione della «giusta retribuzione», ai sensi
dell'art. 36 Cost., nei confronti di lavoratore dipendente da
datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale fir mataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, residente
in zona depressa, con potere di acquisto monetario superiore alla media nazionale, il giudice del merito può discostarsi dai
minimi salariali stabiliti dal contratto collettivo, non diretta
mente applicabile al rapporto, ma assunto con valore para metrico, ad una triplice condizione: 1 ) che utilizzi dati stati
stici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul potere di ac
quisto della moneta e non la propria scienza privata: 2) che
consideri l'effetto già di per sé riduttivo della retribuzione
contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; 3) che l'eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della contingenza stabilita dalla I. n. 38 del 1986. (2)
(1-2) I. - In senso conforme alla prima massima, v. Cass. 1° agosto 1984, n. 4585, Foro it.. Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1804,
nonché, sostanzialmente, Cass. 7 giugno 2000. n. 7743, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 1429.
II. - Con la seconda massima, la corte ritorna sull'annosa questione dell'adeguamento della retribuzione insufficiente ai sensi dell'art. 36, 1° comma, Cost., a beneficio del prestatore di lavoro residente in aree economicamente depresse. L'interesse della pronuncia risiede nel ca rattere discretamente originale della soluzione. La corte, da un lato, ri badisce i principi, ampiamente affermati in precedenti pronunce, se condo cui l'adeguamento retributivo, mediante l'estensione dei minimi salariali contrattuali, deve avvenire con modalità tali da evitare lo sfruttamento del lavoratore operante nelle zone del paese con una situa zione socio-economica depressa e con un mercato del lavoro caratteriz zato da forte offerta di manodopera (in tal senso, Cass. 14 maggio 1997, n. 4224, Foro it.. 1998, I, 3227; 25 febbraio 1994, n. 1903, id., 1994, I, 3079); dall'altro, però, non nega la possibilità che il giudice di merito possa procedere ad una revisione verso il basso delle tariffe della contrattazione collettiva — utilizzate come indice parametrico della retribuzione equa e sufficiente giudizialmente determinata —
sulla base del differente potere d'acquisto nelle diverse zone del paese, al fine di «garantire a tutti i lavoratori di godere di una retribuzione monetaria che assicuri un eguale livello quantitativo e qualitativo di beni e di servizi, individuali e collettivi». Quel che, secondo la senten za, va evitato è il soggettivismo giudiziale, operazioni affidate alla «scienza privata del giudice, con l'effetto di riduzioni tranchantes e non motivate, che potrebbero risolversi, per la loro entità, in una viola zione dell'art. 36 Cost.». Per questo, la Cassazione individua alcuni
criteri-guida cui il giudice di merito deve attenersi in sede di determi nazione «in concreto» della retribuzione equa e sufficiente nei diversi ambiti territoriali, in particolare, oltre a fare utilizzo di dati statistici se ri ed affidabili relativi al costo della vita, elaborati da istituti nazionali
(quale l'Istat) incrociando indici di diverso tipo e «peso» specifico (per esempio non si può ignorare il maggior costo per alcuni servizi pubbli ci. quali sanità ed istruzione, che le famiglie del Mezzogiorno d'Italia debbono sopportare rispetto a quelle del centro-nord), il giudice dovrà tenere conto di due fondamentali parametri di natura salariale: a) l'e ventuale operazione di riduzione del trattamento retributivo dovrà tene re conto del fatto che il parametro assunto ai fini dell'applicazione del l'art. 36 Cost, è quello contrattuale (c.d. «minimo costituzionale», for mato da paga base, indennità di contingenza e tredicesima mensilità) e non l'intero monte retributivo (comprensivo anche di quattordicesima, premi di produzione, indennità, ecc.); b) in ogni caso, non può ammet tersi che il calcolo effettuato produca effetti di riduzione della misura
legale dell'indennità di contingenza, al di sotto dei livelli stabiliti dalla
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Il Pretore di Catania, giudice del lavoro, ha respinto la domanda di differenze retributive pro
posta da Iacona Domenico contro Cacciola Stefano Roberto e
Cacciola Patrizia Lucia, quali contitolari della Cacciola Stefano
Roberto e c. s.n.c., in relazione ad un rapporto di lavoro subor
dinato intercorso prima con il dante causa della società Cacciola
Salvatore e poi con la società stessa.
Il Tribunale di Catania, in accoglimento dell'appello dello Ia
cona ed in riforma della sentenza impugnata, ha condannato in
solido la società convenuta, nonché i soci in proprio, a pagare al
ricorrente la somma di lire 12.824.848, oltre rivalutazione mo
netaria ed interessi legali, calcolati sul capitale non rivalutato, oltre le spese processuali dei due gradi.
Il tribunale ha ritenuto che l'istruttoria compiuta in primo
grado ha consentito di accertare che il ricorrente aveva lavorato
continuativamente e con vincolo di subordinazione, nell'ambito
di un unico rapporto di lavoro corrente dal 1° maggio 1976,
prima alle dipendenze di Salvatore Cacciola, e poi proseguito,
dopo il decesso di questi, alle dipendenze della società conve
nuta fino al luglio del 1988, in fattispecie rientrante nell'ipotesi di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c.
Basava tale suo convincimento su: —- contenuto della lettera 22 luglio 1988 in atti; — sui testi escussi, ed in particolare, il teste Filippo Sciuto, i
quali hanno riferito che l'attività imprenditoriale prima svolta
da Salvatore Cacciola, alla morte di questi era proseguita negli stessi locali e con l'utilizzazione degli stessi beni aziendali, dai
figli Stefano Roberto e Patrizia Lucia Cacciola, che avevano al
l'uopo costituita apposita società in nome collettivo; — dall'atto costitutivo della società predetta; — dal certificato d'iscrizione in atti, rilasciato dalla camera
di commercio di Catania; — dalla dichiarazione di successione pure in atti, da cui si
evince che, sia il magazzino sito al viale Libertà di Catania, che
la ditta individuale Salvatore Cacciola erano in effetti devoluti
ai figli eredi, odierni appellati; — dalla bolla di accompagnamento del 10 maggio 1988 fir
mata da Iacona Domenico, nella qualità di persona consegnata ria della merce pervenuta alla ditta Cacciola Stefano Roberto e
c. s.n.c.
Il tribunale riteneva parimenti provata la natura subordinata
del dedotto rapporto di lavoro, le mansioni svolte, consistite nel
trasportare e montare impianti di sollevamento idrico, nel ripa rare pompe idrauliche in avaria, oltre che nel trasformare cabine
elettriche, che il tribunale riteneva rientrare nella seconda cate
goria di classificazione del personale dipendente dell'invocato
c.c.n.l. di settore.
Su tali premesse, il tribunale riteneva che i compensi di fatto
corrisposti al lavoratore fossero inadeguati in relazione alla
quantità e qualità delle prestazioni lavorative disimpegnate. Per quantificare le differenze retributive dovute, il tribunale
riteneva non applicabile l'invocato c.c.n.l. di settore, stante il
difetto di prova dell'iscrizione delle parti alle organizzazioni sindacali di categoria stipulanti; ma ne assumeva i minimi retri
butivi ivi indicati, con valore parametrico, al fine della determi
nazione della retribuzione congrua ai sensi dell'art. 36 Cost., ri
dotti però al trenta per cento in ragione delle modeste dimensio
ni della ditta datoriale e del costo del lavoro mediamente sop
portato nel locale mercato del lavoro in casi analoghi. Con l'ausilio di c.t.u., il tribunale ha determinato un credito,
in favore del lavoratore, pari alla complessiva somma di lire
12.824.848, per differenze retributive, indennità sostitutiva del
preavviso e delle ferie, nonché per trattamento di fine rapporto. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
Cacciola Stefano Roberto e Cacciola Patrizia Lucia, con unico
articolato motivo.
L'intimato si è costituito, resistendo, ed ha proposto ricorso
incidentale con tre motivi; ha depositato memoria ai sensi del
l'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione. — Vanno preliminarmente riuniti i
più recente normativa in materia (antecedente alla soppressione dell'i
stituto). In argomento, v. Cass. 26 marzo 1998, n. 3218, 14 maggio 1997, n.
4224, e 9 agosto 1996, n. 7383, id., 1998, I, 3227, con nota di richiami
di G. Ricci. [G. Ricci]
Il Foro Italiano — 2001.
due ricorsi principali ed il ricorso incidentale proposti avverso
la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Con unico articolato motivo di ricorso i ricorrenti, deducendo
violazione e falsa applicazione degli art. 2112, 2697 c.c.; 116
c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per erronea interpretazione dei
singoli elementi di fatto posti a base del ritenuto trasferimento
d'azienda, in particolare della mancata considerazione che la li
cenza commerciale intestata al dante causa non fu volturata agli eredi. Contestano altresì l'interpretazione data dalla sentenza
impugnata alla lettera 2 luglio 1988.
Il motivo, comune ad entrambi i ricorsi principali, è infonda
to, alla luce della costante giurisprudenza di questa corte, costi
tuente ius receptum, secondo cui la valutazione delle risultanze
della prova testimoniale e il giudizio sull'attendibilità dei testi e
sulla credibilità di alcuni invece che di altri — come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione — involgono apprezzamenti di fatto
riservati al giudice del merito; il quale, nel porre a fondamento
della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non
incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto a discutere ogni
singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (ex
plurimis, Cass. 14 aprile 1994, n. 3498, Foro it., Rep. 1994, vo
ce Prova testimoniale, n. 29). Nel ragionamento del tribunale, esposto in parte narrativa,
non si rinvengono vizi di motivazione; né è sufficiente la man
cata voltura della licenza commerciale per negare la vicenda
traslativa, fondata dal tribunale sulla corretta interpretazione dell'art. 2112 c.c., coerente alla giurisprudenza di questa corte
sul punto, secondo cui l'ipotesi della continuazione dell'attività
aziendale a seguito di successione ereditaria rientra nella previ sione del 1° comma dell'art. 2112 c.c. e, quindi, nella lata no
zione di trasferimento d'azienda, inteso come sostituzione nella
titolarità dell'impresa, che sia rimasta immutata nella sua desti
nazione e nella sua entità economica (Cass. 1° agosto 1984, n.
4585, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1804). Con il primo motivo il ricorrente incidentale, deducendo vio
lazione e falsa applicazione degli art. 2077 e 2099 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo
della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) censura la sentenza
impugnata nella parte in cui ha applicato una riduzione del
trenta per cento dei minimi contrattuali, contro l'insegnamento di questa corte (la cui citazione implica la censura di violazione
dell'art. 36 Cost.), secondo la quale: «Ai fini della determina
zione della giusta retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost, il giu dice, ove non ritenga di adottare come parametro i minimi sala
riali stabiliti dalla contrattazione collettiva, può discostarsene,
ma deve fornire specifica indicazione delle ragioni che sosten
gono la diversa misura da lui ritenuta conforme ai criteri di pro
porzionalità e sufficienza posti dalla norma costituzionale;
d'altro canto, la determinazione della retribuzione spettante in
misura inferiore ai suddetti minimi non può comunque trovare
motivazione nel richiamo a condizioni ambientali e territoriali, ancorché peculiari del mercato del lavoro nel settore di riferi
mento, perché il precetto costituzionale è rivolto ad impedire
ogni forma di sfruttamento del dipendente, anche quando trovi
radice nella situazione socio-economica del mercato del lavoro»
(Cass. 25 febbraio 1994, n. 1903, id., 1994, I, 3079, che ha cas
sato la sentenza impugnata, la quale aveva utilizzato come pa rametro i minimi salariali della contrattazione collettiva, ridotti
del venticinque per cento in considerazione «dell'ambiente so
cio economico depresso e del costo della vita»). Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo
violazione e falsa applicazione della 1. 26 febbraio 1986 n. 38;
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto de
cisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) censura la
sentenza impugnata perché, con la riduzione del trenta per cento
di cui al motivo che precede, ha inciso sulla misura legale della
contingenza. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro con
nessione, sono fondati, nei limiti che seguono. Come ricordato dal ricorrente, questa corte, con la sentenza
25 febbraio 1994, n. 1903, cit., ha enunciato i principi sopra ri
portati, che ha confermato con la successiva sent. 14 maggio 1997, n. 4224 (id., 1998,1, 3227).
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3091 PARTE PRIMA 3092
Tali principi vanno tenuti fermi, quanto alla funzione dei mi nimi salariali quale parametro della giusta retribuzione ai sensi
dell'art. 36 Cost., e quanto alla necessità di evitare lo sfrutta
mento del lavoratore anche nelle zone del paese con una situa
zione socio-economica depressa e con un mercato del lavoro ca
ratterizzato da forte offerta di manodopera. Tuttavia va meglio approfondita la nozione di giusta retribu
zione ai sensi dell'art. 36 Cost., in rapporto alla sua necessaria
espressione monetaria.
In una economia monetaristica, quali sono tutte le società
moderne, l'adeguatezza richiesta dall'art. 36 si misura con il
potere di acquisto della moneta corrisposta come retribuzione, e
cioè con la quantità e qualità di beni e servizi che il potere di
acquisto della retribuzione è in grado di assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia.
La rilevanza giuridica del potere di acquisto reale di una re
tribuzione nominale è stato espressamente riconosciuto nell'or
dinamento giuslavoristico dall'art. 429, 3° comma, c.p.c., e dal
coerente e costante insegnamento di questa corte, la quale ha af fermato la natura sostanziale della disposizione, afferente cioè alla natura del credito retributivo (Cass., sez. un., 25 marzo
1986, n. 2095, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (con
troversie), n. 345), e la sua funzione di mantenere inalterato il
potere di acquisto di beni reali insito nella retribuzione dovuta dal datore di lavoro al lavoratore (ex plurimis, Cass. 6 dicembre
1984, n. 6444, id., Rep. 1984, voce cit., n. 304; funzione riba dita anche all'esito delle successive vicende legislative da Corte cost. 2 novembre 2000, n. 459, id., 2001,1, 35).
Ove il potere di acquisto di una stessa quantità di moneta sia
differenziato nel paese (e domani nell'Unione), il precetto del l'art. 36 Cost, non preclude che la retribuzione possa essere dif ferenziata nelle varie zone del paese, al fine di garantire a tutti i
lavoratori di godere di una retribuzione monetaria che assicuri un eguale livello quantitativo e qualitativo di beni e di servizi, individuali e collettivi.
La sentenza impugnata coglie quindi un nocciolo di verità nella sua operazione riduttiva dei minimi contrattuali nazionali.
Ma tale operazione non può essere affidata alla scienza pri vata del giudice, con l'effetto di riduzioni tranchantes e non
motivate, che potrebbero risolversi, per la loro entità, in una violazione dell'art. 36 Cost.; né a diffuse percezioni che in al cune regioni, prevalentemente del sud, alle quali devono ag giungersi anche alcune enclaves del nord, il potere di acquisto della moneta è maggiore della media nazionale, sulla quale sono
parametrati i contratti collettivi nazionali di lavoro di diritto comune.
Perché il giudice del merito, nel determinare la giusta retribu zione per un lavoratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale firmataria di contratto col lettivo nazionale di lavoro, ed occupato in zona depressa del
paese, possa procedere ad una riduzione dei minimi contrattuali nazionali ivi previsti, deve procedere ad una triplice valutazio ne.
Occorre in primo luogo che il giudice del merito parta da dati
certi, rilevati ed elaborati da seri istituti di ricerca, preferibil mente pubblici, i quali, come l'Istat, misurano, provincia per provincia, il costo della vita calcolato su un paniere omogeneo, in tutto il territorio nazionale, di beni e servizi. Al riguardo do vrà valutare, se non già considerato da tali indici, che al minor costo di beni primari, quali gli alimentari in genere, o anche, nei centri minori, la casa, possono accompagnarsi maggiori costi
per alcuni servizi pubblici, quali ad esempio quelli sanitari e dell'istruzione superiore, dei quali i cittadini del sud debbano eventualmente approvvigionarsi a maggior costo fuori regione, data la carenza di alcuni servizi locali, maggiori costi che con corrono anch'essi a determinare il valore reale della retribuzio ne.
In secondo luogo il giudice del merito deve considerare che, all'interno della stessa zona o ambito di rilevazione statistica, vi è già una differenza di trattamento retributivo tra il lavoratore
dipendente da datore di lavoro iscritto ad organizzazione sinda cale firmataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, il
quale gode dell'intero trattamento contrattuale, e lavoratore di
pendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sin dacale firmataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, al
quale è assicurato solo il minimo costituzionale. Infatti la giurisprudenza di questa corte, in punto di valore pa
II Foro Italiano — 2001.
rametrico ai fini dell'art. 36 Cost, della retribuzione stabilita da
un contratto collettivo nei confronti delle parti non aderenti alle
organizzazioni firmatarie, ha elaborato la nozione di «minimo
costituzionale», nel senso che il giudice del merito, il quale as
suma come criterio orientativo un contratto collettivo di catego ria non vincolante per le parti, non può fare riferimento a tutti
gli elementi ed istituti che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma deve prendere in considerazione
solo quelli che costituiscono il c.d. minimo costituzionale (Cass. 16 luglio 1987, n. 6273, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 1290; 18 marzo 1992, n. 3362, id., Rep. 1992, voce cit., n.
1110; 28 marzo 2000, n. 3749, id., 2000,1, 2538). La motivazione è che, ove si assumesse il contratto collettivo
nella sua interezza, gli si attribuirebbe una efficacia erga omnes
che non gli appartiene (Cass. 26 marzo 1998, n. 3218, id., 1998,
I, 3227). Ciò posto, si può registrare un orientamento convergente, an
che se non univoco, circa le voci contrattuali che compongono il
minimo costituzionale, e quelle che le sono estranee.
Compongono il minimo costituzionale: a) i minimi salariali o
retribuzione base; b) l'indennità di contingenza (Cass. 28 marzo
2000, n. 3749, cit.), dai quali il giudice del merito non può di scostarsi senza dare specifica indicazione delle ragioni che so
stengono la diversa misura da lui ritenuta conforme ai criteri di
proporzionalità e sufficienza posti dalla norma costituzionale
(Cass. 25 febbraio 1994, n. 1903, cit.; contra, 3218/98, cit., se condo la quale anche l'automatica estensione dei minimi sala riali costituirebbe un'illegittima attribuzione di efficacia erga omnes, principio affermato quale premessa per dedurne la legit timità dell'assunzione di minimi contrattuali previsti da con tratti aziendali); c) la tredicesima mensilità, atteso il carattere
generalizzato di tale istituto quale retribuzione differita (Cass. 16 luglio 1987, n. 6273, cit.; 18 marzo 1992, n. 3362, cit.).
Sono invece normalmente esclusi: gli integrativi dei minimi
salariali, la quattordicesima mensilità, i compensi aggiuntivi, le indennità accessorie, quali poste tipicamente contrattuali (Cass. 12 dicembre 1998, n. 12528, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1442),
maggiorazioni per lavoro straordinario superiori a quella legale, la durata delle ferie (Cass. 6273/87, cit.); tuttavia l'esame di tali istituti è possibile quale mezzo al fine della determinazione della giusta retribuzione ai sensi della norma costituzionale
(Cass. 12528/98, cit.). 11 giudice del merito (che nella specie ha attribuito, con la
sentenza impugnata, il settanta per cento non della retribuzione
globale, bensì dei minimi retributivi, e quindi conclusivamente molto meno del settanta per cento della retribuzione di un pari lavoratore contrattualizzato della stessa zona) deve quindi evita re che gli effetti cumulati delle riduzioni di cui al primo punto, e
quelle di cui al secondo punto, portino a risultati di sfruttamen
to, che questa corte ha sempre, ed in particolare con le citate sentenze 1903/94 e 4224/97, inteso evitare.
In terzo luogo il giudice del merito deve fare attenzione che il calcolo da lui effettuato non incida sulla misura legale della
contingenza, quale determinata dalla 1. 26 febbraio 1986 n. 38. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo omes
sa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) censura la sentenza im
pugnata in relazione alla determinazione della durata del rap porto, la cui cessazione il tribunale ha fissato al luglio 1988, de sumendola dalla lettera 22 luglio 1988, mentre il ricorrente ave va dedotto il licenziamento in tronco il 14 settembre 1990, e
quindi decurtata senza che vi fosse contestazione dalla contro
parte. Il motivo non è fondato, perché il ricorrente non deduce quale
prova il tribunale abbia omesso di valutare nel determinare il termine finale del rapporto, ma si duole solo che il tribunale non abbia tenuto conto della mancata contestazione da parte dei convenuti. Ma, nella fattispecie odierna, nella quale i convenuti avevano contestato la sussistenza di un rapporto di lavoro su
bordinato, il principio di non contestazione, implicitamente in vocato dal ricorrente, non comporta che fosse incontestata, e
quindi non bisognevole di prova, la data di cessazione del rap porto allegata, ma non provata, dal ricorrente.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai
primi due motivi del ricorso incidentale accolti, e gli atti vanno trasmessi al giudice del rinvio, che si designa nella Corte d'ap pello di Catania, il quale deciderà la controversia attenendosi al
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
seguente principio di diritto: «Ai fini della determinazione della
giusta retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost, nei confronti di la
voratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organiz zazione sindacale firmataria di contratto collettivo nazionale di
lavoro, residente in zona depressa, con potere di acquisto della
moneta accertato come superiore alla media nazionale, il giudi ce del merito può discostarsi dai minimi salariali stabiliti dal
contratto collettivo, non direttamente applicabile al rapporto, ma
assunto con valore parametrico, ad una triplice condizione: che
utilizzi dati statistici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul
potere di acquisto della moneta e non la propria scienza privata; che consideri l'effetto già di per sé riduttivo della retribuzione
contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; che
l'eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della
contingenza stabilita dalla 1. 26 febbraio 1986 n. 38».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2001, n. 9722; Pres. Santojanni, Est. Piccine, P.M. Buonaju
to (conci, conf.); Filcams-Cgil (Avv. Alleva, Andreoni,
Durante) c. Soc. coop, facchini Nigra (Avv. Ferzi). Confer ma Trib. Milano 10 ottobre 1998.
Sindacati, libertà e attività sindacale — Condotta antisinda
cale — Cooperativa di lavoro — Esclusione (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavo
ratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luo
ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).
La disposizione dell'art. 28 l. n. 300 del 1970, essendo volta
alla repressione di comportamenti antisindacali del datore di
lavoro, è inapplicabile con riguardo ad una cooperativa di
lavoro, allorché la prestazione lavorativa dei soci sia ricon
ducibile al rapporto societario e non già ad un rapporto di
lavoro subordinato. (1)
(1) I. - Con la sentenza in epigrafe, la giurisprudenza di legittimità
riscopre il tradizionale orientamento in materia d'inapplicabilità del
l'art. 28 statuto dei lavoratori ai rapporti fra cooperative di produzione e lavoro e soci lavoratori, consacrato da Cass. 30 agosto 1991, n. 9238, Foro it.. Rep. 1991. voce Sindacati, n. 94. Assai più controversa, sul
punto, è stata la posizione della giurisprudenza di merito, nel corso de
gli ultimi anni. In senso conforme alle due pronunce della Suprema corte, v. Pret. Milano 19 febbraio 1998, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 91: 4 luglio 1997, ibid., n. 92; 22 aprile 1997, ibid., n. 93; 1° aprile 1996, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 152; contra, Pret. Caltagirone-Mineo 25
marzo 1995. id.. Rep. 1995, voce cit., n. 207; Pret. Milano 3 aprile 1997, id., Rep. 1998, voce cit., nn. 94, 172; Trib. Milano 7 maggio 1999, Guida al law, 1999, fase. 48, 25.
II. - Il dato più significativo della pronuncia è peraltro l'espresso ri
chiamo alla recente 1. 3 aprile 2001 n. 142 (Le leggi, 2001, I, 2020), di
riforma della disciplina del socio lavoratore (ovviamente, a fini di mero
supporto sistematico, posto che la controversia si colloca nella fase an
tecedente l'approvazione di quella normativa). Secondo la corte, nel
nuovo assetto legislativo «risulta nettamente distinto il rapporto sociale
da quello di lavoro (subordinato o autonomo in qualsiasi forma), obbli
gando le società cooperative alla stipulazione di distinti contratti di la
voro (art. 1, 2° comma), con la previsione specifica dell'applicabilità della 1. n. 300 del 1970 nella sua interezza ai soli soci che stipulano un
contratto di lavoro subordinato (art. 2, 1° comma)». In dottrina, numerosi sono i commenti sulla nuova normativa: in
particolare, v. M. De Luca, Il socio lavoratore di cooperativa: la nuova
normativa (1. 3 aprile 2001 n. 142), in Foro it., 2001, V, 233, nonché
A. Andreoni, La riforma della disciplina del socio lavoratore di coope rativa. in Lavoro giur., 2001, 205; G. Furfari, Socio lavoratore: l'in
1l Foro Italiano — 2001
Svolgimento del processo. — Ricorre per due motivi l'asso
ciazione sindacale Filcams-Cgil per la cassazione della sentenza
con la quale il Tribunale di Milano ha rigettato l'appello e con
fermato la sentenza del pretore della stessa sede, che, in sede di
opposizione a decreto emanato ai sensi dell'art. 28 1. n. 300 del
1970 su ricorso dell'associazione sindacale nei confronti della
cooperativa facchini Nigra a responsabilità limitata, aveva revo
cato il decreto.
Il tribunale ha rilevato che il rapporto società cooperativa socio non è di lavoro subordinato, ancorché numerosi istituti di
tutela del lavoro dipendente siano estesi, in forza di specifiche
disposizioni legislative, anche a tale rapporto. Ne ha desunto
che la società cooperativa non può essere equiparata al «datore
di lavoro», contro il quale soltanto è ammissibile la tutela di cui
all'art. 28 1. n. 300 del 1970.
Resiste con controricorso la società cooperativa. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378
c.p.c. Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente,
denunciando violazione e falsa applicazione del combinato di
sposto degli art. 40 Cost., 2094 c.c., 28 e 35 1. 300/70, contesta
la correttezza della soluzione in diritto data dal tribunale alla
questione. Premette di non ignorare che la giurisprudenza della corte,
esaminando la stessa questione, ha ritenuto che la disposizione dell'art. 28 1. n. 300 del 1970, essendo volta alla repressione di
comportamenti antisindacali del datore di lavoro, è inapplicabile con riguardo ad una cooperativa di lavoro, ancorché all'interno
di questa possano in concreto ravvisarsi situazioni di conflittua
lità, atteso che la prestazione lavorativa dei soci, in quanto inse
rita nell'esercizio in comune dell'attività economica, è ricondu
cibile al rapporto societario e non già ad un rapporto di lavoro
subordinato (Cass. 30 agosto 1991, n. 9238, Foro it., Rep. 1991, voce Sindacati, n. 94). Osserva, tuttavia, che non può essere
condiviso il presupposto della «mancanza di antagonismo degli interessi» e, soprattutto, si è in presenza di un diritto proprio del
sindacato, per il quale la tutela deve essere garantita prescin dendo dalla natura del rapporto tra socio e cooperativa, discen
dendo tale principio direttamente dall'art. 40 Cost. Sarebbe del
tutto incongruo, a giudizio della ricorrente, che il diritto di aste
nersi collettivamente dal lavoro, riconosciuto anche ai lavoratori
autonomi, compresi coloro che sono qualificati imprenditori, nonché al fine di perseguire fini non contrattuali, subisse una
limitazione di tutela solo per i soci di cooperative. D'altra parte, argomenta ancora la ricorrente, non è più pos
sibile continuare a sostenere l'inapplicabilità dell'art. 28 1.
300/70 ai comportamenti antisindacali posti in essere dalle so
cietà cooperative, dopo che le sezioni unite della corte (sentenza n. 10906 del 1998, id., 2000, I, 912) hanno sancito l'assogget tamento delle controversie tra socio e cooperativa al rito del la
voro, sul rilievo che anche quello del socio è «lavoro» ed il di
ritto positivo ha sancito l'estensione ad esso di una serie di isti
tuti tipici del lavoro subordinato.
tervento del legislatore, in Riv. crìtica dir. lav., 2001, 303; M. Miscio
ne, Il socio lavoratore di cooperativa, in Dir. e pratica lav., 2001, in
serto n. 34; F. Rotondi-F. Collia. Soci e cooperative dopo la l. 142/01, ibid., 1619; L. Riciputi. Appunti per un contributo interpretativo sul
nuovo «socio lavoratore», in Lavoro e prev. oggi. 2001. 673. Con spe cifico riferimento alle ricadute della normativa sulla disciplina proces suale e, segnatamente, sull'applicabilità del procedimento ex art. 28
statuto dei lavoratori, v., inoltre. L. de Angelis. Il lavoro nelle coope rative dopo la I. 142/01: riflessioni a caldo su alcuni aspetti proces suali, in Lavoro giur., 2001, 813. Per un'organica ricostruzione del di
battito teorico e giurisprudenziale che fa da sfondo alla riforma, v. G.
Meliadò, Il lavoro nelle cooperative: tempo di svolte, in Riv. it. dir.
lav., 2001,1, 25. Infine, anche per qualche cenno ricostruttivo sui lavori
parlamentari, cfr. N. Crisci, La nuova normativa del socio lavoratore di
cooperativa: profili teorici e soluzioni operative, in Lavoro giur., 2001,
516, con ampia nota bibliografica. 111. - Per un quadro giurisprudenziale in materia di lavoro nelle co
operative, v. G. Ricci, Tendenze giurisprudenziali in materia di lavoro
nelle cooperative: qualificazione del rapporto, competenza giurisdizio nale. trattamento retributivo, diritti sindacali, in Foro it., 2000, I, 913;
Id., Ancora sulla giurisprudenza in materia di lavoro nelle cooperati ve: garanzie dei crediti, licenziamenti e mobilità, tutela previdenziale,
fiscalizzazione degli oneri sociali. Le prospettive «de iure condendo»,
ibid., 1095.
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