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sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Giacalone...

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sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Giacalone (concl. parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Iacona (Avv. Damigella) e altra. Cassa Trib. Catania 28 gennaio 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3087/3088-3093/3094 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197621 . Accessed: 25/06/2014 02:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.60 on Wed, 25 Jun 2014 02:06:13 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Giacalone (concl. parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Iacona (Avv. Damigella) e altra.

sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Giacalone(concl. parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Iacona (Avv. Damigella) e altra. Cassa Trib.Catania 28 gennaio 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3087/3088-3093/3094Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197621 .

Accessed: 25/06/2014 02:06

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3087 PARTE PRIMA 3088

cessata. Nega, pertanto, d'essere subentrata nel rapporto locati

vo e d'essere, conseguentemente, obbligata al pagamento della

indennità di avviamento. Lamenta, quindi, che il tribunale abbia

ritenuto sussistente la sua legittimazione a contraddire la do

manda della Odoroso, intesa alla determinazione dell'indennità.

La doglianza è fondata.

Il tribunale, sul rilievo che, ai sensi dell'art. 69 1. 392/78, l'esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata dalla

previa corresponsione dell'indennità di avviamento, ha ritenuto

che legittimato passivo rispetto all'azione di determinazione

della indennità promossa dal conduttore debba considerarsi

chiunque sia abilitato a promuovere l'azione esecutiva per con

seguire il rilascio dell'immobile e, quindi, anche il soggetto che — al pari dell'odierna ricorrente — abbia acquistato, dopo la

cessazione del rapporto locativo, l'immobile ancora occupato di

fatto dall'ex conduttore. Questa tesi non può condividersi. L'in

dennità di avviamento è intesa a ristabilire l'equilibrio tra loca

tore e conduttore, evitando che il primo possa trarre un ingiusti ficato arricchimento dall'avviamento commerciale acquisito

dall'impresa del secondo (Corte cost. 25 marzo 1980, n. 36, Fo

ro it., 1980, I, 1830). Questa considerazione potrebbe conside

rarsi di per sé sufficiente a rendere evidente che la correspon sione dell'indennità di avviamento non può farsi gravare se non

a carico del locatore. Non sembra, peraltro, inutile aggiungere che l'indennità consegue automaticamente e immediatamente

alla cessazione della locazione (Cass. 26 aprile 1985, n. 2734,

id., Rep. 1985, voce Locazione, n. 793) e che il suo importo va

determinato solo con riferimento a quel momento e non a quello del rilascio (Cass. 11 dicembre 1990, n. 11766, id., Rep. 1990, voce cit., n. 546), onde non può ritenersi che obbligato a corri

sponderla possa essere un soggetto diverso da quello che fino al

termine del rapporto ha rivestito la qualità di locatore. Del resto

l'art. 4 dell'abrogata 1. 27 novembre 1963 n. 19 (sull'avvia mento commerciale), prevedeva espressamente che il compenso

per la perdita dell'avviamento fosse dovuto al conduttore dal lo

catore, né vi sono elementi testuali o sistematici dai quali sia

possibile desumere che gli art. 34 e 69 1. n. 392 del 1978 (che trattano la stessa materia) abbiano introdotto una diversa rego lamentazione, nel senso che, quanto alla corresponsione dell'in

dennità in discorso, al locatore possa sostituirsi un altro sog

getto. Ché anzi l'art. 69 (che viene in applicazione proprio nel

caso di specie) prevede che, nell'ipotesi in cui il conduttore non

accetti le condizioni offertegli dal locatore per la prosecuzione della locazione, gli sia dovuta un'indennità ragguagliata al ca

none richiesto dal locatore, il che, costituendo criterio di garan zia e di contemperamento dei contrapposti interessi delle parti del rapporto locativo, conferma ulteriormente l'asserto che solo

al locatore incombe l'obbligo di corresponsione dell'indennità

per la perdita dell'avviamento commerciale.

La Nuzzi, avendo acquistato l'immobile dopo la cessazione del rapporto locativo intercorso tra la precedente proprietaria e la Odoroso, non ha acquisito la qualità di locatrice e non può,

quindi, ritenersi obbligata al pagamento dell'indennità di av

viamento, né legittimata a contraddire la domanda della Odoro

so, intesa alla determinazione giudiziale di tale indennità.

L'accoglimento del motivo testé esaminato rende superfluo l'esame del secondo motivo del ricorso (con cui la ricorrente

sostiene che l'indennità non spetterebbe al conduttore che con

tinui ad occupare l'immobile anche dopo la cessazione del rap

porto), del quarto motivo (con cui la ricorrente insiste nel soste

nere che la Odoroso non sarebbe in possesso dei requisiti di

legge per fruire dell'indennità), del quinto motivo (con cui la ri

corrente si duole della reiezione della sua eccezione di compen sazione), del sesto motivo (con cui la ricorrente si duole del ri

getto della sua istanza di sequestro conservativo) e del settimo

motivo (con cui la ricorrente lamenta la mancata compensazione delle spese del primo grado di giudizio), motivi tutti che ap paiono assorbiti.

L'impugnata sentenza va, dunque, cassata e. non essendo ne cessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel me rito in termini di accoglimento della domanda proposta dalla Nuzzi (per sentirsi dichiarare non tenuta al pagamento della in

dennità) e di rigetto della domanda riconvenzionale proposta dalla Odoroso (per la determinazione dell'indennità di av

viamento).

Il Foro Italiano — 2001.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Gia

calone (conci, parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Ia

cona (Avv. Damigella) e altra. Cassa Trib. Catania 28 gen naio 1998.

Lavoro (rapporto di) — Attività aziendale — Successione

ereditaria — Trasferimento d'azienda — Configurabilità

(Cod. civ., art. 2112). Lavoro (rapporto di) — Retribuzione sufficiente — Deter

minazione (Cost., art. 36; cod. civ., art. 2099; 1. 26 febbraio

1986 n. 38, disposizioni in materia di indennità di contingen

za).

L'ipotesi della continuazione dell'attività aziendale a seguito di

successione ereditaria rientra nella nozione di trasferimento d'azienda, inteso come sostituzione nella titolarità dell'im

presa, che rimanga immutata nella sua destinazione e nella

sua entità economica. ( 1 ) Ai fini della determinazione della «giusta retribuzione», ai sensi

dell'art. 36 Cost., nei confronti di lavoratore dipendente da

datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale fir mataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, residente

in zona depressa, con potere di acquisto monetario superiore alla media nazionale, il giudice del merito può discostarsi dai

minimi salariali stabiliti dal contratto collettivo, non diretta

mente applicabile al rapporto, ma assunto con valore para metrico, ad una triplice condizione: 1 ) che utilizzi dati stati

stici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul potere di ac

quisto della moneta e non la propria scienza privata: 2) che

consideri l'effetto già di per sé riduttivo della retribuzione

contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; 3) che l'eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della contingenza stabilita dalla I. n. 38 del 1986. (2)

(1-2) I. - In senso conforme alla prima massima, v. Cass. 1° agosto 1984, n. 4585, Foro it.. Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1804,

nonché, sostanzialmente, Cass. 7 giugno 2000. n. 7743, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 1429.

II. - Con la seconda massima, la corte ritorna sull'annosa questione dell'adeguamento della retribuzione insufficiente ai sensi dell'art. 36, 1° comma, Cost., a beneficio del prestatore di lavoro residente in aree economicamente depresse. L'interesse della pronuncia risiede nel ca rattere discretamente originale della soluzione. La corte, da un lato, ri badisce i principi, ampiamente affermati in precedenti pronunce, se condo cui l'adeguamento retributivo, mediante l'estensione dei minimi salariali contrattuali, deve avvenire con modalità tali da evitare lo sfruttamento del lavoratore operante nelle zone del paese con una situa zione socio-economica depressa e con un mercato del lavoro caratteriz zato da forte offerta di manodopera (in tal senso, Cass. 14 maggio 1997, n. 4224, Foro it.. 1998, I, 3227; 25 febbraio 1994, n. 1903, id., 1994, I, 3079); dall'altro, però, non nega la possibilità che il giudice di merito possa procedere ad una revisione verso il basso delle tariffe della contrattazione collettiva — utilizzate come indice parametrico della retribuzione equa e sufficiente giudizialmente determinata —

sulla base del differente potere d'acquisto nelle diverse zone del paese, al fine di «garantire a tutti i lavoratori di godere di una retribuzione monetaria che assicuri un eguale livello quantitativo e qualitativo di beni e di servizi, individuali e collettivi». Quel che, secondo la senten za, va evitato è il soggettivismo giudiziale, operazioni affidate alla «scienza privata del giudice, con l'effetto di riduzioni tranchantes e non motivate, che potrebbero risolversi, per la loro entità, in una viola zione dell'art. 36 Cost.». Per questo, la Cassazione individua alcuni

criteri-guida cui il giudice di merito deve attenersi in sede di determi nazione «in concreto» della retribuzione equa e sufficiente nei diversi ambiti territoriali, in particolare, oltre a fare utilizzo di dati statistici se ri ed affidabili relativi al costo della vita, elaborati da istituti nazionali

(quale l'Istat) incrociando indici di diverso tipo e «peso» specifico (per esempio non si può ignorare il maggior costo per alcuni servizi pubbli ci. quali sanità ed istruzione, che le famiglie del Mezzogiorno d'Italia debbono sopportare rispetto a quelle del centro-nord), il giudice dovrà tenere conto di due fondamentali parametri di natura salariale: a) l'e ventuale operazione di riduzione del trattamento retributivo dovrà tene re conto del fatto che il parametro assunto ai fini dell'applicazione del l'art. 36 Cost, è quello contrattuale (c.d. «minimo costituzionale», for mato da paga base, indennità di contingenza e tredicesima mensilità) e non l'intero monte retributivo (comprensivo anche di quattordicesima, premi di produzione, indennità, ecc.); b) in ogni caso, non può ammet tersi che il calcolo effettuato produca effetti di riduzione della misura

legale dell'indennità di contingenza, al di sotto dei livelli stabiliti dalla

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Il Pretore di Catania, giudice del lavoro, ha respinto la domanda di differenze retributive pro

posta da Iacona Domenico contro Cacciola Stefano Roberto e

Cacciola Patrizia Lucia, quali contitolari della Cacciola Stefano

Roberto e c. s.n.c., in relazione ad un rapporto di lavoro subor

dinato intercorso prima con il dante causa della società Cacciola

Salvatore e poi con la società stessa.

Il Tribunale di Catania, in accoglimento dell'appello dello Ia

cona ed in riforma della sentenza impugnata, ha condannato in

solido la società convenuta, nonché i soci in proprio, a pagare al

ricorrente la somma di lire 12.824.848, oltre rivalutazione mo

netaria ed interessi legali, calcolati sul capitale non rivalutato, oltre le spese processuali dei due gradi.

Il tribunale ha ritenuto che l'istruttoria compiuta in primo

grado ha consentito di accertare che il ricorrente aveva lavorato

continuativamente e con vincolo di subordinazione, nell'ambito

di un unico rapporto di lavoro corrente dal 1° maggio 1976,

prima alle dipendenze di Salvatore Cacciola, e poi proseguito,

dopo il decesso di questi, alle dipendenze della società conve

nuta fino al luglio del 1988, in fattispecie rientrante nell'ipotesi di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c.

Basava tale suo convincimento su: —- contenuto della lettera 22 luglio 1988 in atti; — sui testi escussi, ed in particolare, il teste Filippo Sciuto, i

quali hanno riferito che l'attività imprenditoriale prima svolta

da Salvatore Cacciola, alla morte di questi era proseguita negli stessi locali e con l'utilizzazione degli stessi beni aziendali, dai

figli Stefano Roberto e Patrizia Lucia Cacciola, che avevano al

l'uopo costituita apposita società in nome collettivo; — dall'atto costitutivo della società predetta; — dal certificato d'iscrizione in atti, rilasciato dalla camera

di commercio di Catania; — dalla dichiarazione di successione pure in atti, da cui si

evince che, sia il magazzino sito al viale Libertà di Catania, che

la ditta individuale Salvatore Cacciola erano in effetti devoluti

ai figli eredi, odierni appellati; — dalla bolla di accompagnamento del 10 maggio 1988 fir

mata da Iacona Domenico, nella qualità di persona consegnata ria della merce pervenuta alla ditta Cacciola Stefano Roberto e

c. s.n.c.

Il tribunale riteneva parimenti provata la natura subordinata

del dedotto rapporto di lavoro, le mansioni svolte, consistite nel

trasportare e montare impianti di sollevamento idrico, nel ripa rare pompe idrauliche in avaria, oltre che nel trasformare cabine

elettriche, che il tribunale riteneva rientrare nella seconda cate

goria di classificazione del personale dipendente dell'invocato

c.c.n.l. di settore.

Su tali premesse, il tribunale riteneva che i compensi di fatto

corrisposti al lavoratore fossero inadeguati in relazione alla

quantità e qualità delle prestazioni lavorative disimpegnate. Per quantificare le differenze retributive dovute, il tribunale

riteneva non applicabile l'invocato c.c.n.l. di settore, stante il

difetto di prova dell'iscrizione delle parti alle organizzazioni sindacali di categoria stipulanti; ma ne assumeva i minimi retri

butivi ivi indicati, con valore parametrico, al fine della determi

nazione della retribuzione congrua ai sensi dell'art. 36 Cost., ri

dotti però al trenta per cento in ragione delle modeste dimensio

ni della ditta datoriale e del costo del lavoro mediamente sop

portato nel locale mercato del lavoro in casi analoghi. Con l'ausilio di c.t.u., il tribunale ha determinato un credito,

in favore del lavoratore, pari alla complessiva somma di lire

12.824.848, per differenze retributive, indennità sostitutiva del

preavviso e delle ferie, nonché per trattamento di fine rapporto. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione

Cacciola Stefano Roberto e Cacciola Patrizia Lucia, con unico

articolato motivo.

L'intimato si è costituito, resistendo, ed ha proposto ricorso

incidentale con tre motivi; ha depositato memoria ai sensi del

l'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione. — Vanno preliminarmente riuniti i

più recente normativa in materia (antecedente alla soppressione dell'i

stituto). In argomento, v. Cass. 26 marzo 1998, n. 3218, 14 maggio 1997, n.

4224, e 9 agosto 1996, n. 7383, id., 1998, I, 3227, con nota di richiami

di G. Ricci. [G. Ricci]

Il Foro Italiano — 2001.

due ricorsi principali ed il ricorso incidentale proposti avverso

la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Con unico articolato motivo di ricorso i ricorrenti, deducendo

violazione e falsa applicazione degli art. 2112, 2697 c.c.; 116

c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su

punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per erronea interpretazione dei

singoli elementi di fatto posti a base del ritenuto trasferimento

d'azienda, in particolare della mancata considerazione che la li

cenza commerciale intestata al dante causa non fu volturata agli eredi. Contestano altresì l'interpretazione data dalla sentenza

impugnata alla lettera 2 luglio 1988.

Il motivo, comune ad entrambi i ricorsi principali, è infonda

to, alla luce della costante giurisprudenza di questa corte, costi

tuente ius receptum, secondo cui la valutazione delle risultanze

della prova testimoniale e il giudizio sull'attendibilità dei testi e

sulla credibilità di alcuni invece che di altri — come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a

sorreggere la motivazione — involgono apprezzamenti di fatto

riservati al giudice del merito; il quale, nel porre a fondamento

della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non

incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto a discutere ogni

singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (ex

plurimis, Cass. 14 aprile 1994, n. 3498, Foro it., Rep. 1994, vo

ce Prova testimoniale, n. 29). Nel ragionamento del tribunale, esposto in parte narrativa,

non si rinvengono vizi di motivazione; né è sufficiente la man

cata voltura della licenza commerciale per negare la vicenda

traslativa, fondata dal tribunale sulla corretta interpretazione dell'art. 2112 c.c., coerente alla giurisprudenza di questa corte

sul punto, secondo cui l'ipotesi della continuazione dell'attività

aziendale a seguito di successione ereditaria rientra nella previ sione del 1° comma dell'art. 2112 c.c. e, quindi, nella lata no

zione di trasferimento d'azienda, inteso come sostituzione nella

titolarità dell'impresa, che sia rimasta immutata nella sua desti

nazione e nella sua entità economica (Cass. 1° agosto 1984, n.

4585, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1804). Con il primo motivo il ricorrente incidentale, deducendo vio

lazione e falsa applicazione degli art. 2077 e 2099 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo

della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) censura la sentenza

impugnata nella parte in cui ha applicato una riduzione del

trenta per cento dei minimi contrattuali, contro l'insegnamento di questa corte (la cui citazione implica la censura di violazione

dell'art. 36 Cost.), secondo la quale: «Ai fini della determina

zione della giusta retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost, il giu dice, ove non ritenga di adottare come parametro i minimi sala

riali stabiliti dalla contrattazione collettiva, può discostarsene,

ma deve fornire specifica indicazione delle ragioni che sosten

gono la diversa misura da lui ritenuta conforme ai criteri di pro

porzionalità e sufficienza posti dalla norma costituzionale;

d'altro canto, la determinazione della retribuzione spettante in

misura inferiore ai suddetti minimi non può comunque trovare

motivazione nel richiamo a condizioni ambientali e territoriali, ancorché peculiari del mercato del lavoro nel settore di riferi

mento, perché il precetto costituzionale è rivolto ad impedire

ogni forma di sfruttamento del dipendente, anche quando trovi

radice nella situazione socio-economica del mercato del lavoro»

(Cass. 25 febbraio 1994, n. 1903, id., 1994, I, 3079, che ha cas

sato la sentenza impugnata, la quale aveva utilizzato come pa rametro i minimi salariali della contrattazione collettiva, ridotti

del venticinque per cento in considerazione «dell'ambiente so

cio economico depresso e del costo della vita»). Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo

violazione e falsa applicazione della 1. 26 febbraio 1986 n. 38;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto de

cisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) censura la

sentenza impugnata perché, con la riduzione del trenta per cento

di cui al motivo che precede, ha inciso sulla misura legale della

contingenza. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro con

nessione, sono fondati, nei limiti che seguono. Come ricordato dal ricorrente, questa corte, con la sentenza

25 febbraio 1994, n. 1903, cit., ha enunciato i principi sopra ri

portati, che ha confermato con la successiva sent. 14 maggio 1997, n. 4224 (id., 1998,1, 3227).

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3091 PARTE PRIMA 3092

Tali principi vanno tenuti fermi, quanto alla funzione dei mi nimi salariali quale parametro della giusta retribuzione ai sensi

dell'art. 36 Cost., e quanto alla necessità di evitare lo sfrutta

mento del lavoratore anche nelle zone del paese con una situa

zione socio-economica depressa e con un mercato del lavoro ca

ratterizzato da forte offerta di manodopera. Tuttavia va meglio approfondita la nozione di giusta retribu

zione ai sensi dell'art. 36 Cost., in rapporto alla sua necessaria

espressione monetaria.

In una economia monetaristica, quali sono tutte le società

moderne, l'adeguatezza richiesta dall'art. 36 si misura con il

potere di acquisto della moneta corrisposta come retribuzione, e

cioè con la quantità e qualità di beni e servizi che il potere di

acquisto della retribuzione è in grado di assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia.

La rilevanza giuridica del potere di acquisto reale di una re

tribuzione nominale è stato espressamente riconosciuto nell'or

dinamento giuslavoristico dall'art. 429, 3° comma, c.p.c., e dal

coerente e costante insegnamento di questa corte, la quale ha af fermato la natura sostanziale della disposizione, afferente cioè alla natura del credito retributivo (Cass., sez. un., 25 marzo

1986, n. 2095, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (con

troversie), n. 345), e la sua funzione di mantenere inalterato il

potere di acquisto di beni reali insito nella retribuzione dovuta dal datore di lavoro al lavoratore (ex plurimis, Cass. 6 dicembre

1984, n. 6444, id., Rep. 1984, voce cit., n. 304; funzione riba dita anche all'esito delle successive vicende legislative da Corte cost. 2 novembre 2000, n. 459, id., 2001,1, 35).

Ove il potere di acquisto di una stessa quantità di moneta sia

differenziato nel paese (e domani nell'Unione), il precetto del l'art. 36 Cost, non preclude che la retribuzione possa essere dif ferenziata nelle varie zone del paese, al fine di garantire a tutti i

lavoratori di godere di una retribuzione monetaria che assicuri un eguale livello quantitativo e qualitativo di beni e di servizi, individuali e collettivi.

La sentenza impugnata coglie quindi un nocciolo di verità nella sua operazione riduttiva dei minimi contrattuali nazionali.

Ma tale operazione non può essere affidata alla scienza pri vata del giudice, con l'effetto di riduzioni tranchantes e non

motivate, che potrebbero risolversi, per la loro entità, in una violazione dell'art. 36 Cost.; né a diffuse percezioni che in al cune regioni, prevalentemente del sud, alle quali devono ag giungersi anche alcune enclaves del nord, il potere di acquisto della moneta è maggiore della media nazionale, sulla quale sono

parametrati i contratti collettivi nazionali di lavoro di diritto comune.

Perché il giudice del merito, nel determinare la giusta retribu zione per un lavoratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale firmataria di contratto col lettivo nazionale di lavoro, ed occupato in zona depressa del

paese, possa procedere ad una riduzione dei minimi contrattuali nazionali ivi previsti, deve procedere ad una triplice valutazio ne.

Occorre in primo luogo che il giudice del merito parta da dati

certi, rilevati ed elaborati da seri istituti di ricerca, preferibil mente pubblici, i quali, come l'Istat, misurano, provincia per provincia, il costo della vita calcolato su un paniere omogeneo, in tutto il territorio nazionale, di beni e servizi. Al riguardo do vrà valutare, se non già considerato da tali indici, che al minor costo di beni primari, quali gli alimentari in genere, o anche, nei centri minori, la casa, possono accompagnarsi maggiori costi

per alcuni servizi pubblici, quali ad esempio quelli sanitari e dell'istruzione superiore, dei quali i cittadini del sud debbano eventualmente approvvigionarsi a maggior costo fuori regione, data la carenza di alcuni servizi locali, maggiori costi che con corrono anch'essi a determinare il valore reale della retribuzio ne.

In secondo luogo il giudice del merito deve considerare che, all'interno della stessa zona o ambito di rilevazione statistica, vi è già una differenza di trattamento retributivo tra il lavoratore

dipendente da datore di lavoro iscritto ad organizzazione sinda cale firmataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, il

quale gode dell'intero trattamento contrattuale, e lavoratore di

pendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sin dacale firmataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, al

quale è assicurato solo il minimo costituzionale. Infatti la giurisprudenza di questa corte, in punto di valore pa

II Foro Italiano — 2001.

rametrico ai fini dell'art. 36 Cost, della retribuzione stabilita da

un contratto collettivo nei confronti delle parti non aderenti alle

organizzazioni firmatarie, ha elaborato la nozione di «minimo

costituzionale», nel senso che il giudice del merito, il quale as

suma come criterio orientativo un contratto collettivo di catego ria non vincolante per le parti, non può fare riferimento a tutti

gli elementi ed istituti che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma deve prendere in considerazione

solo quelli che costituiscono il c.d. minimo costituzionale (Cass. 16 luglio 1987, n. 6273, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 1290; 18 marzo 1992, n. 3362, id., Rep. 1992, voce cit., n.

1110; 28 marzo 2000, n. 3749, id., 2000,1, 2538). La motivazione è che, ove si assumesse il contratto collettivo

nella sua interezza, gli si attribuirebbe una efficacia erga omnes

che non gli appartiene (Cass. 26 marzo 1998, n. 3218, id., 1998,

I, 3227). Ciò posto, si può registrare un orientamento convergente, an

che se non univoco, circa le voci contrattuali che compongono il

minimo costituzionale, e quelle che le sono estranee.

Compongono il minimo costituzionale: a) i minimi salariali o

retribuzione base; b) l'indennità di contingenza (Cass. 28 marzo

2000, n. 3749, cit.), dai quali il giudice del merito non può di scostarsi senza dare specifica indicazione delle ragioni che so

stengono la diversa misura da lui ritenuta conforme ai criteri di

proporzionalità e sufficienza posti dalla norma costituzionale

(Cass. 25 febbraio 1994, n. 1903, cit.; contra, 3218/98, cit., se condo la quale anche l'automatica estensione dei minimi sala riali costituirebbe un'illegittima attribuzione di efficacia erga omnes, principio affermato quale premessa per dedurne la legit timità dell'assunzione di minimi contrattuali previsti da con tratti aziendali); c) la tredicesima mensilità, atteso il carattere

generalizzato di tale istituto quale retribuzione differita (Cass. 16 luglio 1987, n. 6273, cit.; 18 marzo 1992, n. 3362, cit.).

Sono invece normalmente esclusi: gli integrativi dei minimi

salariali, la quattordicesima mensilità, i compensi aggiuntivi, le indennità accessorie, quali poste tipicamente contrattuali (Cass. 12 dicembre 1998, n. 12528, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1442),

maggiorazioni per lavoro straordinario superiori a quella legale, la durata delle ferie (Cass. 6273/87, cit.); tuttavia l'esame di tali istituti è possibile quale mezzo al fine della determinazione della giusta retribuzione ai sensi della norma costituzionale

(Cass. 12528/98, cit.). 11 giudice del merito (che nella specie ha attribuito, con la

sentenza impugnata, il settanta per cento non della retribuzione

globale, bensì dei minimi retributivi, e quindi conclusivamente molto meno del settanta per cento della retribuzione di un pari lavoratore contrattualizzato della stessa zona) deve quindi evita re che gli effetti cumulati delle riduzioni di cui al primo punto, e

quelle di cui al secondo punto, portino a risultati di sfruttamen

to, che questa corte ha sempre, ed in particolare con le citate sentenze 1903/94 e 4224/97, inteso evitare.

In terzo luogo il giudice del merito deve fare attenzione che il calcolo da lui effettuato non incida sulla misura legale della

contingenza, quale determinata dalla 1. 26 febbraio 1986 n. 38. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo omes

sa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) censura la sentenza im

pugnata in relazione alla determinazione della durata del rap porto, la cui cessazione il tribunale ha fissato al luglio 1988, de sumendola dalla lettera 22 luglio 1988, mentre il ricorrente ave va dedotto il licenziamento in tronco il 14 settembre 1990, e

quindi decurtata senza che vi fosse contestazione dalla contro

parte. Il motivo non è fondato, perché il ricorrente non deduce quale

prova il tribunale abbia omesso di valutare nel determinare il termine finale del rapporto, ma si duole solo che il tribunale non abbia tenuto conto della mancata contestazione da parte dei convenuti. Ma, nella fattispecie odierna, nella quale i convenuti avevano contestato la sussistenza di un rapporto di lavoro su

bordinato, il principio di non contestazione, implicitamente in vocato dal ricorrente, non comporta che fosse incontestata, e

quindi non bisognevole di prova, la data di cessazione del rap porto allegata, ma non provata, dal ricorrente.

La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai

primi due motivi del ricorso incidentale accolti, e gli atti vanno trasmessi al giudice del rinvio, che si designa nella Corte d'ap pello di Catania, il quale deciderà la controversia attenendosi al

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 26 luglio 2001, n. 10260; Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, P.M. Giacalone (concl. parz. diff.); Cacciola (Avv. Leonardi) c. Iacona (Avv. Damigella) e altra.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

seguente principio di diritto: «Ai fini della determinazione della

giusta retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost, nei confronti di la

voratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organiz zazione sindacale firmataria di contratto collettivo nazionale di

lavoro, residente in zona depressa, con potere di acquisto della

moneta accertato come superiore alla media nazionale, il giudi ce del merito può discostarsi dai minimi salariali stabiliti dal

contratto collettivo, non direttamente applicabile al rapporto, ma

assunto con valore parametrico, ad una triplice condizione: che

utilizzi dati statistici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul

potere di acquisto della moneta e non la propria scienza privata; che consideri l'effetto già di per sé riduttivo della retribuzione

contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; che

l'eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della

contingenza stabilita dalla 1. 26 febbraio 1986 n. 38».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2001, n. 9722; Pres. Santojanni, Est. Piccine, P.M. Buonaju

to (conci, conf.); Filcams-Cgil (Avv. Alleva, Andreoni,

Durante) c. Soc. coop, facchini Nigra (Avv. Ferzi). Confer ma Trib. Milano 10 ottobre 1998.

Sindacati, libertà e attività sindacale — Condotta antisinda

cale — Cooperativa di lavoro — Esclusione (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavo

ratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luo

ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).

La disposizione dell'art. 28 l. n. 300 del 1970, essendo volta

alla repressione di comportamenti antisindacali del datore di

lavoro, è inapplicabile con riguardo ad una cooperativa di

lavoro, allorché la prestazione lavorativa dei soci sia ricon

ducibile al rapporto societario e non già ad un rapporto di

lavoro subordinato. (1)

(1) I. - Con la sentenza in epigrafe, la giurisprudenza di legittimità

riscopre il tradizionale orientamento in materia d'inapplicabilità del

l'art. 28 statuto dei lavoratori ai rapporti fra cooperative di produzione e lavoro e soci lavoratori, consacrato da Cass. 30 agosto 1991, n. 9238, Foro it.. Rep. 1991. voce Sindacati, n. 94. Assai più controversa, sul

punto, è stata la posizione della giurisprudenza di merito, nel corso de

gli ultimi anni. In senso conforme alle due pronunce della Suprema corte, v. Pret. Milano 19 febbraio 1998, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 91: 4 luglio 1997, ibid., n. 92; 22 aprile 1997, ibid., n. 93; 1° aprile 1996, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 152; contra, Pret. Caltagirone-Mineo 25

marzo 1995. id.. Rep. 1995, voce cit., n. 207; Pret. Milano 3 aprile 1997, id., Rep. 1998, voce cit., nn. 94, 172; Trib. Milano 7 maggio 1999, Guida al law, 1999, fase. 48, 25.

II. - Il dato più significativo della pronuncia è peraltro l'espresso ri

chiamo alla recente 1. 3 aprile 2001 n. 142 (Le leggi, 2001, I, 2020), di

riforma della disciplina del socio lavoratore (ovviamente, a fini di mero

supporto sistematico, posto che la controversia si colloca nella fase an

tecedente l'approvazione di quella normativa). Secondo la corte, nel

nuovo assetto legislativo «risulta nettamente distinto il rapporto sociale

da quello di lavoro (subordinato o autonomo in qualsiasi forma), obbli

gando le società cooperative alla stipulazione di distinti contratti di la

voro (art. 1, 2° comma), con la previsione specifica dell'applicabilità della 1. n. 300 del 1970 nella sua interezza ai soli soci che stipulano un

contratto di lavoro subordinato (art. 2, 1° comma)». In dottrina, numerosi sono i commenti sulla nuova normativa: in

particolare, v. M. De Luca, Il socio lavoratore di cooperativa: la nuova

normativa (1. 3 aprile 2001 n. 142), in Foro it., 2001, V, 233, nonché

A. Andreoni, La riforma della disciplina del socio lavoratore di coope rativa. in Lavoro giur., 2001, 205; G. Furfari, Socio lavoratore: l'in

1l Foro Italiano — 2001

Svolgimento del processo. — Ricorre per due motivi l'asso

ciazione sindacale Filcams-Cgil per la cassazione della sentenza

con la quale il Tribunale di Milano ha rigettato l'appello e con

fermato la sentenza del pretore della stessa sede, che, in sede di

opposizione a decreto emanato ai sensi dell'art. 28 1. n. 300 del

1970 su ricorso dell'associazione sindacale nei confronti della

cooperativa facchini Nigra a responsabilità limitata, aveva revo

cato il decreto.

Il tribunale ha rilevato che il rapporto società cooperativa socio non è di lavoro subordinato, ancorché numerosi istituti di

tutela del lavoro dipendente siano estesi, in forza di specifiche

disposizioni legislative, anche a tale rapporto. Ne ha desunto

che la società cooperativa non può essere equiparata al «datore

di lavoro», contro il quale soltanto è ammissibile la tutela di cui

all'art. 28 1. n. 300 del 1970.

Resiste con controricorso la società cooperativa. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378

c.p.c. Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente,

denunciando violazione e falsa applicazione del combinato di

sposto degli art. 40 Cost., 2094 c.c., 28 e 35 1. 300/70, contesta

la correttezza della soluzione in diritto data dal tribunale alla

questione. Premette di non ignorare che la giurisprudenza della corte,

esaminando la stessa questione, ha ritenuto che la disposizione dell'art. 28 1. n. 300 del 1970, essendo volta alla repressione di

comportamenti antisindacali del datore di lavoro, è inapplicabile con riguardo ad una cooperativa di lavoro, ancorché all'interno

di questa possano in concreto ravvisarsi situazioni di conflittua

lità, atteso che la prestazione lavorativa dei soci, in quanto inse

rita nell'esercizio in comune dell'attività economica, è ricondu

cibile al rapporto societario e non già ad un rapporto di lavoro

subordinato (Cass. 30 agosto 1991, n. 9238, Foro it., Rep. 1991, voce Sindacati, n. 94). Osserva, tuttavia, che non può essere

condiviso il presupposto della «mancanza di antagonismo degli interessi» e, soprattutto, si è in presenza di un diritto proprio del

sindacato, per il quale la tutela deve essere garantita prescin dendo dalla natura del rapporto tra socio e cooperativa, discen

dendo tale principio direttamente dall'art. 40 Cost. Sarebbe del

tutto incongruo, a giudizio della ricorrente, che il diritto di aste

nersi collettivamente dal lavoro, riconosciuto anche ai lavoratori

autonomi, compresi coloro che sono qualificati imprenditori, nonché al fine di perseguire fini non contrattuali, subisse una

limitazione di tutela solo per i soci di cooperative. D'altra parte, argomenta ancora la ricorrente, non è più pos

sibile continuare a sostenere l'inapplicabilità dell'art. 28 1.

300/70 ai comportamenti antisindacali posti in essere dalle so

cietà cooperative, dopo che le sezioni unite della corte (sentenza n. 10906 del 1998, id., 2000, I, 912) hanno sancito l'assogget tamento delle controversie tra socio e cooperativa al rito del la

voro, sul rilievo che anche quello del socio è «lavoro» ed il di

ritto positivo ha sancito l'estensione ad esso di una serie di isti

tuti tipici del lavoro subordinato.

tervento del legislatore, in Riv. crìtica dir. lav., 2001, 303; M. Miscio

ne, Il socio lavoratore di cooperativa, in Dir. e pratica lav., 2001, in

serto n. 34; F. Rotondi-F. Collia. Soci e cooperative dopo la l. 142/01, ibid., 1619; L. Riciputi. Appunti per un contributo interpretativo sul

nuovo «socio lavoratore», in Lavoro e prev. oggi. 2001. 673. Con spe cifico riferimento alle ricadute della normativa sulla disciplina proces suale e, segnatamente, sull'applicabilità del procedimento ex art. 28

statuto dei lavoratori, v., inoltre. L. de Angelis. Il lavoro nelle coope rative dopo la I. 142/01: riflessioni a caldo su alcuni aspetti proces suali, in Lavoro giur., 2001, 813. Per un'organica ricostruzione del di

battito teorico e giurisprudenziale che fa da sfondo alla riforma, v. G.

Meliadò, Il lavoro nelle cooperative: tempo di svolte, in Riv. it. dir.

lav., 2001,1, 25. Infine, anche per qualche cenno ricostruttivo sui lavori

parlamentari, cfr. N. Crisci, La nuova normativa del socio lavoratore di

cooperativa: profili teorici e soluzioni operative, in Lavoro giur., 2001,

516, con ampia nota bibliografica. 111. - Per un quadro giurisprudenziale in materia di lavoro nelle co

operative, v. G. Ricci, Tendenze giurisprudenziali in materia di lavoro

nelle cooperative: qualificazione del rapporto, competenza giurisdizio nale. trattamento retributivo, diritti sindacali, in Foro it., 2000, I, 913;

Id., Ancora sulla giurisprudenza in materia di lavoro nelle cooperati ve: garanzie dei crediti, licenziamenti e mobilità, tutela previdenziale,

fiscalizzazione degli oneri sociali. Le prospettive «de iure condendo»,

ibid., 1095.

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