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sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M. Leo...

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sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M. Leo (concl. diff.); Banca popolare di Milano (Avv. Irti, Vanzetti) c. I.n.p.s. (Avv. Romoli, Fonzo). Dichiara inammissibile regolamento di competenza avverso Trib. Milano 31 marzo 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2843/2844-2849/2850 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180944 . Accessed: 28/06/2014 07:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.104.30 on Sat, 28 Jun 2014 07:57:55 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M. Leo (concl. diff.); Banca popolare di Milano (Avv. Irti, Vanzetti) c. I.n.p.s. (Avv.

sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M.Leo (concl. diff.); Banca popolare di Milano (Avv. Irti, Vanzetti) c. I.n.p.s. (Avv. Romoli, Fonzo).Dichiara inammissibile regolamento di competenza avverso Trib. Milano 31 marzo 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2843/2844-2849/2850Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180944 .

Accessed: 28/06/2014 07:57

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2843 PARTE PRIMA 2844

trasmesso dall'altro ramo del parlamento (disegni di legge e

relazioni — V legislatura — n. 2133-70-A) non fu fatto

neppure cenno della sua ratio a conferma della chiara intelligibi lità della sua formulazione e della sua ovvia giustificazione normativa.

Dev'essere tenuto conto, inoltre, ad colorandam decisionem che,

ormai, il metodo di assumere informazioni per l'instaurazione di

rapporti di lavoro è stato abbandonato anche nel settore del

pubblico impiego, in cui aveva resistito tenacemente a cagione della particolarità di quei compiti, senza contribuire affatto, però, a migliorare la selezione dei candidati; anzi concorrendo non

poco a confondere le cose ed a rendere i rapporti meno limpidi a

causa dell'opinabilità delle circostanze valutate, della potenziale faziosità o malevolenza di chi lo assumeva, ovvero di chi le

rendeva, e dell'enorme disparità di valutazione che di esse veniva

fatta dalle singole autorità chiamate a fornirle.

Il recentissimo art. unico 1. 29 ottobre 1984 n. 732 dispone,

infatti, che « ai fini dell'accesso agli impieghi pubblici non può essere richiesto, o, comunque, accertato, il possesso del requisito della buona condotta » (che è molto di più della semplice esibizione del certificato relativo).

Dai lavori preparatori di tale norma (camera dei deputati — IX

legislatura — proposta di legge n. 789, ed inoltre: senato — IX

legislatura — disegno di legge n. 870) si trae conferma di quanto

detto, al punto che, in ordine all'eventuale perpetuazione del

vecchio sistema, si pose esplicitamente la questione di costituzio

nalità delle norme abrogande sotto il profilo dell'evidente quanto

ingiustificata disparità di trattamento che si faceva ai diversi

candidati, od impiegati già in servizio, ex art. 3 Cost.

È, quindi, ormai la p.a. a valutare discrezionalmente la senten

za di Gondanna riportata dal dipendente, attuale o potenziale, con

riferimento esclusivo alle mansioni che svolge o che sarebbe

chiamato a svolgere, onde essa, oggi, fa al cittadino, pur nella

delicatezza delle funzioni che si svolgono al suo interno, un

trattamento qualitativamente più favorevole e garantista rispetto a

quello riservato dal c.c.n.l. in esame agli operai ed agli impiegati delle società di navigazione aerea a partecipazione statale, pur considerando la delicatezza estrema di tale attività e le conse

guenze nefaste cui una inadeguata selezione del personale, in tale

settore, potrebbe condurre.

Deve rilevarsi, infine, che la ratio specifica già esposta, in base

alla quale il legislatore, con l'art. 8 dello statuto, ha voluto

correlare, pur con tutte le cautele del caso, le mansioni svolte

alle informazioni acquisende sul lavoratore, è in armonia perfetta,

per la questione particolare che ne concerne, coi principi generali che hanno ispirato la 1. 20 maggio 1970 n. 300, cosi come sono

stati manifestati nella relazione estesa dalla commissione del

senato per la discussione in aula del disegno di legge (V

legislatura —- disegni di legge e relazioni — n. 738, 8, 56, 240 e

700-A). Da una lettura ordinata da tale elaborato si trae là prova che

la locuzione « statuto dei lavoratori », che viene usata solitamente

per comodità di una più sintetica indicazione di una normativa

dal titolo, si, prolisso, ma esemplarmente esplicativo dei nuovi

diritti che vengono riconosciuti ai lavoratori, non ne rende

pienamente la ratio che è volta esplicitamente all'introduzione di

norme molteplici e specifiche sulla tutela della libertà e della

dignità dei lavoratori, sulla libertà sindacale e sull'attività sinda

cale nei luoghi di lavoro, oltre che sulle procedure per il

collocamento.

Le ragioni di tali obiettivi sono state cosi indicate: 1) il

preciso dovere costituzionale che incombe sullo Stato di rimuove

re gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di

fatto l'eguaglianza e la libertà dei cittadini, impediscono il pieno

sviluppo della persona umana, per cui esso non può rimanere

indifferente di fronte alle modalità con le quali si svolge il

lavoro, condizioni ritenute affatto giuste e favorevoli, tanto da far

concludere che « le libertà costituzionali si fermano ai cancelli

delle fabbriche »; 2) che in tale stato di cose è inevitabile che si

determini la sola supremazia dell'imprenditore a sfida della so

vranità dello Stato; 3) che deve aversi piena consapevolezza che i

rapporti aziendali devono considerarsi, soprattutto, rapporti tra

uomini, onde smentire « la fredda logica industriale, in cui il

lavoro continua ad essere considerato alla stregua degli altri

fattori di produzione in termini di costi e, quindi, di merce, senza alcun margine di difesa per il lavoratore in quanto persona

umana, che rimane assoggettato, di conseguenza, ad un ordina

mento di tipo autoritario, regolato soltanto dalla legge di proprie tà e condizionato esclusivamente dall'interesse del profitto »; 4)

che, per contro, dev'essere affermato un principio nuovo ed

Il Foro Italiano — 1986.

opposto, che riporti a misura d'uomo il mondo della produzione e del lavoro, in generale; 5) che, ormai, l'obiettivo delle organiz zazioni sindacali è quello di far si che « negli ambienti di lavoro, i

rapporti umani corrispondano ai principi etici stabiliti dalla

Costituzione, soprattutto nei riguardi della libertà e della cittadi

nanza aziendale, e che la loro impostazione si ispiri ad orienta

menti di sviluppo autonomo della personalità del lavoratore

mediante la rimozione di tutte le limitazioni, ostruzioni ed

impostazioni che vi sono state di ostacolo, « onde ridare a

chiunque presti lavoro la sua soddisfazione, e farlo trasmutare,

infine, dalla posizione psicologica di suddito dell'azienda a quella di cittadino dell'azienda »; 6) « che dev'essere tenuto presente che, oltre agli elementi contemplati comunemente dagli accordi

contrattuali e nelle leggi, esiste una gamma assai vasta di

aspettative e di interessi, di diritti che spesso hanno importanza determinante nel conferire significato positivo o negativo al

rapporto di lavoro, e che sono connessi sia all'atteggiamento individuale o collettivo dei lavoratori, sia all'operato delle dire

zioni aziendali »; 7) che, infine, affermare contemporaneamente la

necessità di rispettare e salvaguardare la libertà dell'iniziativa

privata e la capacità autonoma di negoziazione delle organizza zioni sindacali non è certo una contraddizione, « bensì un modo di fissare limiti precisi entro i quali deve muoversi l'intervento

legislativo per approntare strumenti di difesa fondamentali dei

lavoratori, ed essere anche un sostegno dell'azione sindacale della

quale si deve garantire lo svolgimento e l'esercizio ». Tutte le osservazioni finora fatte portano, quindi, direttamente

o indirettamente, alla conclusione univoca dell'illegittimità della clausola contrattuale in esame nella parte in cui prevede che il datore di lavoro possa recedere unilateralmente dal contratto nel caso in cui il dipendente sia stato condannato con sentenza

penale irrevocabile per un'azione non connessa con lo svolgimen to del rapporto di lavoro.

Il giudice di rinvio, infine, dovrà valutare l'eventuale irrilevan za della considerazione fatta dal tribunale circa la constatazione della condizione in cui si trova l'attore di lavorare in un ambiente in cui prestano la loro opera anche le donne, tenuto conto che

oggi, il mondo del lavoro è stato aperto anche ad esse, che l'uma

nità stessa è composta da uomini e da donne, e che il delitto per il

quale l'autore è stato condannato non è stato commesso nel luogo di lavoro o in danno di sue compagne o di loro congiunte più o

meno prossime. Da quanto sin qui esposto consegue che il ricorso è fondato e

deve essere accolto, anche la sentenza impugnata deve essere

cassata, e la causa rinviata ad altro giudice di merito che si

adeguerà al principio di diritto sopra enunciato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 novem

bre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M.

Leo (conci, diff.); Banca popolare di Milano (Aw. Irti, Van

zetti) c. i.n.p.s. (Aw. Romoli, Fonzo). Dichiara inammissi

bile regolamento di competenza avverso Trib. Milano 31

marzo 1982.

Previdenza sociale — Assegni familiari — Contributi — Aliquota ridotta del cinque per cento — Iscrizione nello schedario

generale della cooperazione — Legittimità — Accertamento —

Poteri del giudice ordinario (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E,

sul contenzioso amministrativo, art. 5; d.l. 2 marzo 1974 n. 30,

norme per il miglioramento di alcuni trattamenti previdenziali ed assistenziali, art. 20).

Banca — Banche popolari — Iscrizione nello schedario generale della cooperazione — Esclusione — Conseguenze (D.l. 10

febbraio 1948 n. 105, disposizioni sull'ordinamento delle ban

che popolari; d.leg. 16 aprile 1948 n. 569, disposizioni sul

l'ordinamento delle banche popolari; d.l.c.p.s. 14 dicembre

1947 n. 1577, provvedimenti per la cooperazione, art. 1, 16,

26; 1. 17 febbraio 1971 n. 127, modifiche al d.leg. 14 dicembre

1947 n. 1577). Banca — Imprese cooperative esercenti il credito — Banche

popolari — Casse rurali ed artigiane — Differenze — Tratta

mento contributivo in materia di assegni familiari — Disparità — Esclusione (R.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, disposizioni per la

difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia,

art. 5; r.d. 26 agosto 1937 n. 1706, t.u. delle disposizioni sull'ordinamento delle casse rurali ed artigiane).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Nella controversia per l'accertamento del diritto a fruire della

riduzione al cinque per cento dell'aliquota contributiva alla

cassa unica assegni familiari, l'autorità giudiziaria ordinaria

deve accertare, ai sensi dell'art. 5 della legge sul contenzioso

amministrativo, la legittimità dell'atto amministrativo di iscri

zione della cooperativa nello schedario generale della coopera zione. (1)

L'art. 1 d. leg. n. 569 del 1948 prevede l'inapplicabilità alle ban

che popolari di tutte le disposizioni sulla cooperazione di cui al

d.l.c.p.s. n. 1577 del 1947, ivi comprese quelle relative alla

iscrizione nello schedario generale della cooperazione, che costi

tuisce il presupposto per il godimento dei benefici contributivi, con conseguente inapplicabilità degli stessi alle banche popola ri. (2)

(1) Non constano precedenti specifici in tema di trattamento previ denziale delle cooperative. In materia tributaria (imposta delle società), la Corte di cassazione aveva affermato (sent. 13 gennaio 1981, n. 271, Foro it., Rep. 1981, voce Società (imposta), n. 3) il potere del giudice ordinario di disapplicare, in via incidentale, ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, l'atto illegittimo della p.a. che avesse consentito l'iscrizione nell'apposito registro di una cooperativa non avente i requisiti di cui all'art. 26 d.l.c.p.s. n. 1577 del 1947 (c.d. legge Basevi sulle agevolazioni alla cooperazione). Nell'occasione, la

Suprema corte aveva incidentalmente osservato che detta legge aveva introdotto un'autonoma regolamentazione in materia di cooperazione, con esclusivo riferimento alle agevolazioni tributarie ed alle misure di

sostegno di carattere pubblicistico, senza nulla innovare in ordine al

regime di diritto privato previsto dal codice civile. Aveva, altresì', precisato che taluni benefici fiscali non possono essere « perseguiti da

organismi societari che, soltanto nominalmente perseguano finalità mutualistiche e di cooperazione, ma nella sostanza si servano dello strumento cooperativo per perseguire intenti speculativi ». Sulla qua lificazione dell'iscrizione nei registri della cooperazione come atto dovuto, nel concorso dei requisiti e degli adempimenti fissati dalla

legge, e non quale espressione di potestà amministrativa discreziona

le, cfr. Cass. 6 gennaio 1981, n. 44, id., 1981, I, 2247, con nota di Martinelli.

(2) La sentenza sopra riportata è stata criticata, poiché il Tribunale di Milano e la Cassazione si sarebbero « lasciati prendere la mano

nella loro decisione dalle dimensioni dal soggetto richiedente, per negare al grosso quello che si riconosce ai piccoli » (Toscano, C.u.a.f aliquota ridotta o... riduzione ragionata?, in Giust. civ., 1986, I, 728). Eppure, l'allontanamento delle banche popolari dal paradigma della

cooperazione, a causa dell'incremento dimensionale e dell'attività delle stesse con i non soci, aveva indotto la dottrina, già nel 1959, a ritenere che alcune popolari « delle cooperative conservano la forma, ma non riproducono la sostanza » (Ferri, Banca popolare, voce dell'Erc

ciclopedia del diritto, Milano, V, 13). Al di là delle considerazioni d'ordine ermeneutico, circa il valore

letterale e logico-sistematico dell'art. 1 d.leg. n. 569 del 1948, la scelta

operata nella sentenza in epigrafe ripropone il problema dell'individua zione del concetto di mutualità (in assenza di definizioni espresse del costituente e del legislatore ordinario): da un lato, si sostiene che il codice civile fornisca uno schema causale della cooperativa, poiché lo

scopo mutualistico è la causa delle cooperative (Oppo, L'essenza della società cooperativa, in Riv. dir. civ., 1979, 290; Ferri, Le società, Torino, 1985, 988); dall'altro, che l'art. 45 Cost, abbia prescritto i connotati necessari della cooperazione, alla cui presenza è ricondotta la « funzione sociale » della stessa: in difetto di tali connotati, non si ha una cooperazione « non protetta » o « non agevolata », ma, semplice mente, non si ha cooperazione (Nigro, in Commentario della Costituzio

ne, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1980, 27, sub art. 45; Romboli, Problemi costituzionali della cooperazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1977, 117).

Più idonea alla individuazione dello scarto esistente tra modello costituzionale della cooperazione e profilo della società cooperativa, delineato dalla legislazione ordinaria (generale e speciale), appare l'opinione secondo cui il costituente ha presupposto l'ammissibilità di forme di cooperazione prive degli elementi enunciati nell'art. 45 Cost,

(mutualità ed assenza di fini di speculazione privata), non riconoscen do a queste ultime ulteriore funzione sociale, senza precludere al

legislatore ordinario di ammetterne la legittimità propter aliquam utilitatem (Minervini, La cooperazione e lo Stato, in Riv. dir. civ., 1969, I, 621; Carboni, in Trattato di diritto privato, diretto da Resci

gno, Torino, 1985, XVII, 413). Resterebbe affidato agli organi dello Sta to (legislativi, amministrativi e giudiziari) il compito d'individuare quali attività cooperative meglio realizzino la funzione di diffusione demo cratica delle strutture economiche, esplicitata dall'art. 45 Cost.

Vi è spazio, quindi, per una valutazione del fondamento teorico del decisum della sentenza riportata. Il concetto di « accentuazione della funzione precipuamente bancaria, a scapito di quella mutualistica » —

pur espresso dalla Cassazione in una forma che sembra confondere il

piano dell'oggetto dell'attività imprenditoriale con quello dello scopo della stessa — risulta quasi coincidente con quello che una recente

opinione definisce « processo di assimilazione di talune popolari alle altre aziende di credito e, al contempo, di differenziazione delle stesse dalle casse rurali » (Capriglione, Imprenditorialità bancaria e coope

II Foro Italiano — 1986.

Nelle banche popolari la funzione precipuamente bancaria è

accentuata, a scapito di quella mutualistica, sicché non vi è

ingiustificata diversità nel trattamento contributivo previden ziale delle stesse, rispetto ad altre cooperative e, in particolare, alle casse rurali ed artigiane. (3)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 25 marzo 1981, la

Banca popolare di Milano, soc. coop a r.l. conveniva in giudizio, davanti al Pretore del lavoro di Milano, l'I.n.p.s., chiedendo di

accertare e dichiarare il suo diritto di applicare nel calcolo e

nel versamento dei contributi alla C.u.a.f. l'aliquota ridotta di

cui al n. 4 dell'art. 20 1. n. 114/74, modificato dall'art. 11 1. n.

160/75 e, conseguentemente, condannare l'I.n.p.s. a restituire alla

ricorrente l'importo di lire 5.457.129.416 versategli in eccedenza,

maggiorato della rivalutazione e degli interessi legali dai sin

goli versamenti fino al saldo o, in subordine, maggiorato degli interessi al tasso ulficiale di sconto delle medesime date di cui dianzi si è detto. In via subordinata chiedeva si dichiarasse che, in conseguenza del versamento effettuato il 28 novembre 1980, essa banca aveva assolto a tutti gli oneri contributivi incomben tile in relazione ai contributi C.u.a.f. per il periodo 1° aprile 1977/ 31 dicembre 1979 e che essa non era, pertanto, tenuta al pa gamento di alcuna sanzione amministrativa od altra somma o onere accessorio all'I.n.p.s. per il titolo ed in relazione al pe riodo dianzi detto, ai sensi dell'art. 23 quater 1. n. 33/80; il tutto col beneficio delle spese di giudizio.

Premetteva che le sue domande erano fondate sul presupposto che essa banca popolare era iscritta nello schedario generale delle

cooperative e come tale aveva diritto ai benefici richiesti.

Si costituiva in giudizio l'I.n.p.s. e chiedeva la reiezione delle

domande avversarie assumendo l'illegittimità dell'iscrizione della

Banca popolare di Milano nello schedario generale delle coopera tive, e la inidoneità del versamento dalla stessa effettuato, in data

28 novembre 1980, a concretare la fattispecie del cosiddetto

razione di credito, in Banca, borsa, ecc., 1982, I, 526, ove vengono analizzate le cause di detto processo). In tale quadro, le banche

popolari, che, per espresso dettato normativo, devono costituirsi sotto forma di società cooperative a r.l. (art. 1 d.I. n. 105 del 1948), risulterebbero unicamente annoverabili tra le forme di cooperazione disciplinate dal legislatore ordinario e che, essendo prive di taluni dei

connotati di cui all'art. 45, '1° comma, Cost., non godono del

riconoscimento di ulteriore funzione sociale (Giacalone, Cosa c'è di

cooperativo nelle banche popolari del 2000?, in Corriere giuridico,

1986, 522). (3) La sentenza ritiene infondata la questione di legittimità costitu

zionale, prospettata dalla ricorrente, secondo cui, escludendo le banche

popolari dalle agevolazioni previdenziali, si riconoscerebbe alle stesse

un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto alle casse rurali ed

artigiane, altre cooperative di credito iscritte nello schedario generale

(le differenze tra banche popolari e casse rurali, rilevabili dallo

sviluppo storico, dagli statuti e dall'attuale realtà operativa dei due

tipi di imprese bancarie, sono analiticamente esposte in Castiello,

Tutela costituzionale della cooperazione e cooperative di credito,

Padova, 1984). La specificità delle casse emerge anche dalla disciplina del settore

creditizio: durante il periodo del c.d. « blocco » alla costituzione di

nuove banche (dal 23 giugno 1966 al 31 ottobre 1985), le casse rurali

sono state, dapprima, sottratte al blocco (delibera del comitato inter

min. credito e risparmio del 14 marzo 1971) e, poi, è stata liberalizza

ta totalmente l'assegnazione di sportelli alle stesse (delibera C.i.c.r. del 12

settembre 1980). Dimensioni ed operatività discriminano le popolari dalle casse anche in sede di attuazione della direttiva CEE n. 77/780: nel determinare i fondi propri minimi richiesti per la costituzione di

nuove banche '(art. 1, § 2, dir. cit. e art. 1, lett. a, d.p.r. 27 giugno 1985 n. 350), la Banca d'Italia ha fissato, per le costituende banche

popolari, il limite minimo di 6 miliardi di lire e quelli di 1,5 miliardi

e 3 miliardi per le casse rurali e/o artigiane costituende in comuni

con popolazione, rispettivamente, inferiore o superiore a 20.000 abitanti.

Una non recente giurisprudenza di merito non rilevò differenze

strutturali e funzionali tra i due tipi di banche (App. Brescia 8

novembre 1967, Foro it., Rep. 1968, voce Casse rurali, n. 2), ritenendo

ammissibile la fusione tra casse rurali e banche popolari, non conside

rando estensibile alle seconde, per la loro struttura cooperativa, con

fine mutualistico, il divieto d'incorporazione delle « casse » in aziende

di credito di diversa natura, di cui all'art. 30, 2° comma, r.d. n. 1706

del 1937. La decisione raccolse l'eco contrario della dottrina (Jemolo e

Nicolò, in Cooperazione di credito, 1969, 67) e comportò una presa di

posizione della Banca d'Italia (circ. 26 maggio 1970), secondo cui non

poteva sostenersi che casse rurali e banche popolari fossero enti della

stessa natura, perché all'art. 5 1. bancaria, che menziona distintamente

l'una e l'altra categoria di banche, deve riconoscersi « valore organizza tivo nell'ordinamento sezionale del credito, con la conseguenza che la

differenziazione degli operatori bancari, ivi contenuta, è organizzativa mente rilevante ». [G. Giacalone]

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2647 PARTE PRIMA 2848

condono contributivo ex art. 23 quater 1. n. 23/80 in considera

zione delle riserve espresse dal contribuente e che accompagna vano il versamento predetto. Il pretore con sentenza del 30

giugno 1981 accoglieva la domanda proposta dall'istante in via

principale. Tale decisione, appellata in via principale dall'I .n.p.s. ed, in via

incidentale, dalla Banca popolare di Milano, era riformata dal

Tribunale di Milano con la pronuncia indicata in epigrafe. Il giudice di secondo grado, premesso che il giudice ordinario,

ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, può conoscere, in via incidentale, della legittimazione dell'atto amministrativo al

fine di disapplicarlo, osservava che le banche popolari, costituite

come società cooperative di credito a responsabilità limitata, a

differenza delle casse rurali ed artigiane, esercitano il credito in

generale, cioè, nei confronti di chiunque abbia bisogno di capitali e che, per tale ragione, il principio della mutualità, che era alla

base della cooperazione, si è molto attenuato per tali banche. Da

ciò è scaturita, secondo il tribunale, la norma dell'art. 26 d.l.

14 dicembre 1947 n. 1577, che elenca i requisiti tassativi

cui devono conformarsi gli statuti o gli atti costitutivi delle so

cietà cooperative per poter essere incluso nello schedario gene rale della cooperazione.

Dall'esame dello statuto della Banca popolare di Milano si

desume che esso non corrisponde alle norme, dettate dalla legge

per assicurare il carattere autenticamente mutualistico delle socie

tà iscritte nello schedario, in quanto la banca appellata, pur avendo nominalmente finalità mutualistiche e di cooperazione,

persegue intenti speculativi, che non le consentono di giovarsi dei

benefici contributivi di cui all'art. 26 cit. Di qui l'infondatezza,

aggiunge il giudice dell'appello, anche dell'eccezione di illegitti mità costituzionale sollevata dalla stessa appellata.

Quale ulteriore motivo di rigetto della domanda rilevava poi che il d. leg. 10 febbraio 1948 n. 105 stabilisce quali sono le

società che possono denominarsi banche popolari ed i compiti ad

esse attribuite; che il d. leg. 16 aprile 1948 n. 569 stabilisce

all'art. 1 con chiaro dettato letterale che le disposizioni del d. leg. 14 dicembre 1947 n. 1577 non si applicano alle società di cui al

d. leg. 10 febbraio 1948 n. 105 (cioè alle banche popolari); che, contrariamente a quanto ritenuto dal pretore, non sono applicabi li a tali banche alcune norme del citato decreto n. 1577/47 come

quella relativa all'inclusione nello schedario generale della coope razione.

L'inclusione, a tutto concedere, potrebbe rispondere ad esigenze di ordine anagrafico-statistico del movimento cooperativo, senza

produrre effetti riservati alle cooperative che perseguono fini

esclusivamente mutualistici. Ne discende, conclude la sentenza,

che la Banca popolare di Milano non può fruire del beneficio

richiesto in giudizio e riconosciuto dal pretore, rimanendo esenta

to il tribunale dal prendere in esame le altre domande, che

discendono da quella principale, per le esposte ragioni, da respin

gere. Il ricorso è affidato a cinque motivi, ai quali resiste l'I.n.p.s.

con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — Con i primi quattro motivi la

ricorrente muove, nell'ordine, le seguenti censure alla sentenza

impugnata, adducendo le ragioni appresso specificate:

1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, n. 4, d.l. 2

marzo 1974 n. 30, convertito nella 1. 14 aprile 1974 n. 114 nel

testo risultante dalla legge di conversione modificato dall'art. 111.

3 giugno 1965 n. 160, per non avere ritenuto che è il mero dato

formale della iscrizione nello schedario generale delle cooperative

la sola condizione cui la 1. n. 114/74 subordina l'applicazione

dell'aliquota ridotta e che, una volta provata l'iscrizione, nessuna

indagine dovesse compiersi sulla legittimità della medesima.

2) Violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 5 1. 20 marzo

1865 n. 2248, ali. E. La possibilità per il giudice ordinario di

disapplicare l'atto amministrativo illegittimo presuppone che quel

l'atto non costituisca di per sé il titolo del sacrifìcio imposto a

colui (nel caso H.n.p.s.) che invoca la disapplicazione; sicché,

attenendo l'allegata illegittimità alla causa petendi immediata

della domanda, non vi sarebbe valutazione di essa in via inciden

tale, ma in via principale. Dalla disapplicazione del provvedimen to d'iscrizione nello schedario deriverebbe direttamente la defini

zione della presente lite, con un giudizio in via principale sulla

legittimità dell'atto amministrativo.

3) Falsa applicazione dell'art. 26 d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947 n.

1577, perché tale norma non riguarda l'iscrizione nello schedario,

essendo dettata ai soli effetti tributari, tento che la legge che

dispone le agevolazioni tributarie (d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601, art. 14) esige per l'ottenimento delle medesime il concorso di due

Il Foro Italiano — 1986.

distinti e contrapposti requisiti e precisamente quello della iscri

zione nei registri prefettizi e nello schedario generale della

cooperazione e quello della persona negli statuti delle clausole

elencate nell'art. 26 cit. In conseguenza non potrebbe essere causa

di illegittimità dell'iscrizione della ricorrente nello schedario il

fatto che non compaiono nel suo statuto le clausole elencate nel

ripetuto articolo.

4) Violazione e falsa applicazione degli art. 1 d. leg. 16 aprile 1948 n. 569, 1 e 15 d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947 n. 1577.

Premessa la disamina dell'evoluzione della disciplina delle ban

che popolari, a partire dalla c.d. legge bancaria (r.d.l. 12 marzo

1936 n. 357) la ricorrente sostiene che la norma dell'art. 1 del

citato decreto n. 569/48, con il quale solo due mesi dopo l'emanazione del d. leg. 10 febbraio 1948 n. 105 il legislatore senti il bisogno di apportare modifiche a quest'ultimo, nel dispor re la inapplicabilità alle banche popolari delle disposizioni del d.

leg. 14 dicembre 1947 n. 1577 non ha inteso esorbitare dalla

materia disciplinata e va, pertanto, interpretato nel senso che alle

banche popolari non si applicavano soltanto alcune disposizioni tra cui quelle del capo IV di detto decreto n. 1577/47, che

concernono la struttura societaria delle cooperative, cosf come

ritenuto dal pretore, e che la dichiarazione di inapplicabilità ne

potesse coinvolgere anche l'art. 1, 2° e 3° comma, d. leg. n.

1577/47, vale a dire la norma che disponeva l'iscrizione nello

schedario della cooperazione anche delle banche popolari.

Soggiunge che; anche ammettendo che la esclusione dovesse

riferirsi ai detti 2° e 3° comma, l'iscrizione nello schedario sarebbe

nel caso egualmente legittima, in quanto con la 1. 17 febbraio

1971 n. 127, modificatrice dell'art. 15. lett. b) d. leg. n. 1577/47, ma non della lettera a) dello stesso articolo, l'obbligo di iscrizio

ne nello schedario, previsto in tale ultima lettera, sarebbe stato, in ogni caso, reintrodotto.

Illustra infine l'eccezione d'illegittimità costituzionale già pro spettata al tribunale, osservando che non trova logica giustifica zione il deteriore trattamento che, se si segue la tesi della

sentenza impugnata, risulta riservato alle banche popolari, che

pur perseguono scopo mutualistico e debbono essere costituite in

forma di cooperativa, rispetto a quello spettante alle casse rurali

ed artigiane e ad altre cooperative esercenti il credito, che pur

godono, in virtù dell'iscrizione nello schedario, delle agevolazioni

impositive. I mezzi esposti, che, sotto distinti profili, censurano un unico

punto della decisione e che per tale motivo vanno trattati

congiuntamente, non sono fondati.

L'art. 20 d. leg. 2 marzo 1974 n. 30, come modificato dalla

legge di conversione 16 aprile 1974 n. 114, stabilisce che «a

decorrere dal periodo di paga in corso al 1" gennaio 1974, l'aliauo

ta di contributo dovuto alla cassa unica per gli assegni familiari

dei datori di lavoro alle tabelle A, B), C), allegate al testo unico

delle norme sugli assegni familiari approvato con d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797, è fissata nelle seguenti misure della retribuzione

lorda calcolata ai sensi dell'art. 12 1. 30 aprile 1969 n. 153: ... 4) 5 % per le rimanenti cooperative, qualunque sia l'attività esercita

ta, allorché le stesse risultino iscritte nei registri prefettizi e nello

schedario generale delle cooperative ai sensi del d.l.c.p.s. 14

dicembre 1947 n. 1577 e successive modifiche ed integrazioni ».

L'iscrizione, disciplinata da specifiche disposizioni di legge, che

la norma ora trascritta pone come condizione per il godimento della aliquota contributiva più favorevole, non è, di certo, intesa

come mero dato di fatto, escludente, una volta accertata la forma

lità, ogni altra indagine sulla sua conformità a legge, bensì come

iscrizione ottenuta nel rispetto delle norme che la prevedono. Non potendo desumersi dalla formulazione letterale della nor

ma un richiamo dell'iscrizione come mero fatto storico (l'espres sione « ai sensi », più che l'evento giuridico, valorizza la sua

disciplina legislativa), è da ritenersi che fosse intento del legisla tore favorire le cooperative, in possesso dei requisiti necessati per conseguire l'iscrizione ed idonei a dimostrare l'appartenenza a

categorie, alle quali giudicava opportuno far pagare contributi meno gravosi.

Una tale ratio sarebbe frustrata se si potesse prescindere, nella

concessione del beneficio, dalla verifica della legittimità dell'iscri

zione. Ne deriva che in senso di contestazione da parte dell'ente

previdenziale e di instaurazione di un giudizio per l'accertamento del diritto alla aliquota contributiva del cinque per cento in

luogo di quella ordinaria, il giudice ordinario, competente a dirimere la controversia relativa al suddetto diritto soggettivo, deve accertare, in via incidentale e con efficacia limitata al

rapporto controverso, la legittimità dell'atto amministrativo d'i

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M. Leo (concl. diff.); Banca popolare di Milano (Avv. Irti, Vanzetti) c. I.n.p.s. (Avv.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

scrizione della cooperativa nello schedario a norma dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E.

Il giudizio in tale caso non tende infatti all'annullamento dell'atto amministrativo, ma soltanto alla sua disapplicazione in un giudizio in cui la sua legittimità non è in discussione in modo immediato e diretto.

Di tale giudizio l'accertamento relativo alla legittimità dell'iscri zione nello schedario non costituisce, di certo, il petition, che va

individuato nell'affermazione del diritto a corrispondere il contri buto C.u.a.f. in base ad aliquota ridotta.

Non ne costituisce nemmeno la causa petendi immediata ed

esclusiva, « cosicché il giudicarne non equivarrebbe più ad una

valutazione in via incidentale », come sostiene la ricorrente.

L'iscrizione nello schedario rappresenta infatti solo una delle ra

gioni che sostengono la domanda (quella contestata specificamente da parte resistente), che non è nemmeno la più rilevante ed im

mediata. Tali requisiti vanno infatti assegnati all'allegazione del

presupposto normativo (art. 20, n. 4), mentre le altre ragioni

(qualità di cooperativa, legittima iscrizione nello schedario, per sonale, assicurato, ecc.) costituiscono ulteriori premesse, ma non

oggetto, della pronunzia che il giudice è chiamato ad emettere con efficacia di giudicato.

Accertata la sussistenza del potere di sindacare la legittimità dell'iscrizione, va presa in esame, delle due ragioni illustrate dal

tribunale a sostegno del giudizio sfavorevole alla parte istante, soltanto quella censurata con il quarto mezzo, dato il suo carattere prioritario ed assorbente.

Il quesito a cui occorre dare risposta è se l'art. 1 d. leg. 16

aprile 1948 n. 569, il quale stabilisce che « le disposizioni del d.

leg. 14 dicembre 1947 n. 1577 non si applicano alle società

cooperative a responsabilità limitata di cui al d. leg. 10 febbraio

1948 n. 105 », contenente disposizioni sull'ordinamento delle ban

che popolari, prevede l'inapplicabilità a tali banche di tutte le

disposizioni del decreto n. 1577, ivi comprese quelle relative

all'iscrizione nello schedario generale della cooperazione (art. 15, lett. a, e 1, 3° comma), ovvero soltanto alcune di esse.

Il significato proprio delle parole usate (art. 12 disp. sulla legge in generale), già milita a favore della prima soluzione, giacché il

termine « disposizioni », usato senza specificazioni ed equivalenze a quello di « norme » (la conclusione non sarebbe diversa se

fosse stato usato quest'ultimo vocabolo) sta ad indicare, letteral

mente, tutte le disposizioni o norme dettate dal provvedimento

legislativo, richiamato.

La lessicale formulazione della norma, che non è tale tuttavia

da precludere ogni altra indagine ermeneutica, trova conferma

nella ratio della legge e nell'assenza di norme o principi non

conciliabili con detto significato letterale.

Il d. leg. n. 569/48, emanato poco più di un mese dopo la

pubblicazione sulla G. U. dell'8 marzo 1949, n. 57 del d.l. n.

105/48 e quando quest'ultimo non aveva potuto avere alcuna

pratica attuazione, data anche la vacatio legis di trenta giorni

(art. 16), dimostra l'intento legislativo di emendare ed integrare alcune disposizioni sull'ordinamento delle « banche popolari »,

appena entrate in vigore, alimentando carenze di collegamento del

decreto n. 105 con altre norme vigenti nell'ordinamento giuridico statale (v. art. 1 qui in discussione) e sue lacune (ad es. art. 3

in tema di sostituzione di amministratori).

Per quanto riguarda in particolare l'art. 1 ora citato va subito

osservato che non avrebbe significato concreto una disapplicazio ne limitata, come ritenuto dal primo giudice, al capo IV del

decreto n. 1577/47, in quanto la maggior parte delle disposizioni

comprese in tale capo sono implicitamente abrogate per la

diversa espressa disciplina fornita dal decreto n. 105/48 (proprio in tema di struttura societaria) o già non operanti per le banche

popolari ai sensi del 2° comma dell'art. 1 d.l.c.p.s. n. 1577, mentre norme del capo I (art. 2 ss.) ed il capo ILI, non sono, di sicuro, applicabili a tali banche.

La inapplicabilità generalizzata del decreto risponde invece sia

ad esigenze di ordine sistematico, ribadendo la esclusione di

autorizzazioni e controlli, diversi da quelli previsti da r.d.l. 12

marzo 1936 n. 375 (contenente disposizioni per la difesa del

risparmio e per la disciplina della funzione creditizia), e successi

ve modificazioni ed integrazioni, esclusione che, in parte, si

desume dall'art. 3 decreto n. 105/48, sia alla natura ed ai compiti

propri delle banche popolari, « autorizzate alla raccolta del ri

sparmio ed all'esercizio del credito » (art. 1).

Accentuata cosi la funzione precipuamente bancaria, a scapito di quella mutualistica, è da ritenersi logico e conseguenziale che

il decrero n. 569/48, integrando il d. leg. n. 105/48, abbia

Il Foro Italiano — 1986.

considerato inopportuno che si applicassero alle banche popolari i « provvedimenti per la cooperazione » contenuti nel d. leg. n.

1577/47, primo fra tutti quello che, con la previsione dell'iscri

zione nello schedario, avrebbe dovuto costituire il presupposto

per il godimento dei benefici ed agevolazioni (art. 16 e 26)

riservati agli enti tipicamente mutualistici.

Alla stregua del combinato disposto delle norme innanzi esami

nate deve condividersi la pronunzia impugnata che ha ritenuto

illegittimo e, quindi, non applicabile nella fattispecie in esame, l'atto amministrativo dell'iscrizione della banca ricorrente nello

schedario generale della cooperazione. A diversa decisione non porta l'esame della 1. 17 febbraio 1971

n. 127, in quanto essa ha modificato in parte alcune disposizioni del d. leg. 1577/47, senza porre in essere integrali sostituzioni

delle medesime (ed in particolare dell'art. 15) e senza richiamare

in vita norme abrogate, e non fa esplicito riferimento né all'art. 1

d. leg., né alle banche popolari.

Le osservazioni sulla speciale natura e funzione delle stesse

banche esclude che vi sia ingiustificata diversità di trattamento

con altri enti a struttura cooperativistica ed in modo specifico con le casse rurali ed artigiane, diversamente strutturate per

legge; mentre, ai fini della verifica di costituzionalità proposta, non possono assumere rilievo eventuali deviazioni di queste dai

compiti istituzionali.

Da quanto innanzi deriva, il rigetto dei primi quattro motivi

del ricorso. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 27 set

tembre 1985, n. 454; Pres. Nocella, Rei. Buccarelli, P. M.

Nicita (conci, conf.); Geraci (Aw. Margiotta) c. U.s.1. Taran

to/3 (Avv. Casavola). Dichiara inammissibile regolamento di

competenza avverso Pret. Martina Franca 16 giugno 1984.

Competenza civile — Regolamento proposto dall'attore dopo l'ap

pello con riserva dei motivi del convenuto soccombente sulla

competenza e sul merito — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 43, 433).

E inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare, il regola mento di competenza proposto dall'attore vincitore sulla com

petenza e sul merito avverso il dispositivo della sentenza

pronunciata nel processo del lavoro e appellata dal convenuto

con riserva dei motivi. (1)

(1) Nulla in termini. Peraltro, in senso conforme circa la natura di mezzo di impugnazione del regolamento di competenza, l'essenzialità della soccombenza e il difetto di legittimazione della parte vincitrice sul merito, Cass. 16 dicembre 1971, n. 3685, Foro it., Rep. 1971, voce

Competenza civile, n. 378. In senso conforme nel decisum, ma difforme nella motivazione, e

precisamente nel senso che il regolamento di competenza, nel processo del lavoro, dovendo pur sempre contenere l'esposizione dei motivi di

censura, non può essere proposto contro il dispositivo letto in udienza, ma dev'essere proposto contro la sentenza e che perciò il termine decorre dalla comunicazione della stessa: Cass. 17 maggio 1985, n.

3021, id., Rep. 1985, voce cit., n. 163; 13 febbraio 1985, n. 1223, ibid., n. 162; ord. 20 dicembre 1983, n. 1005, id., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 445; 22 ottobre 1983, n. 6216, ibid., voce Competenza civile, n. 208; 16 giugno 1983, n. 4147, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 446; 19 marzo 1983, n.

1965, ibid., voce Competenza civile, n. 209. In senso opposto, ma in motivazione, a livello di obiter dictum e

riferendosi all'appello e non a quello con riserva dei motivi, Cass. 16 settembre 1983, n. 5586, id., 1984, il, 2816 (con annotazione di Pioli), per la quale « la parte totalmente vittoriosa può trasferire davanti alla Corte di cassazione, quanto alla questione di competenza, l'impugna zione già proposta (anche su tale questione) dall'altra parte ».

Sempre riferendosi all'appello e non a quello con riserva dei motivi, in senso sostanzialmente contrario, e precisamente nel senso che la

parte soccombente sulla competenza e vittoriosa sul merito può chiedere il regolamento di competenza anche prima dell'avversa impugna zione ordinaria, Cass. 7 dicembre 1984, n. 6457, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 157 (e in Giur. it., 1986, 1, 1, 1081, con nota critica di

Attardi, Regolamento di competenza del convenuto vittorioso nel

merito?); 13 ottobre 1975, n. 3272, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 258; 9 novembre 1973, n. 2943, id., 1974, I, 3133, e in Giur. it., 1975, I, 1, 1355, con nota critica di Attardi, Sulla legittimazione a proporre regolamento di competenza.

Sul tema, in dottrina, v. la monografia di Bongiorno, Il regolamento

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