sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M.Leo (concl. diff.); Banca popolare di Milano (Avv. Irti, Vanzetti) c. I.n.p.s. (Avv. Romoli, Fonzo).Dichiara inammissibile regolamento di competenza avverso Trib. Milano 31 marzo 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2843/2844-2849/2850Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180944 .
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2843 PARTE PRIMA 2844
trasmesso dall'altro ramo del parlamento (disegni di legge e
relazioni — V legislatura — n. 2133-70-A) non fu fatto
neppure cenno della sua ratio a conferma della chiara intelligibi lità della sua formulazione e della sua ovvia giustificazione normativa.
Dev'essere tenuto conto, inoltre, ad colorandam decisionem che,
ormai, il metodo di assumere informazioni per l'instaurazione di
rapporti di lavoro è stato abbandonato anche nel settore del
pubblico impiego, in cui aveva resistito tenacemente a cagione della particolarità di quei compiti, senza contribuire affatto, però, a migliorare la selezione dei candidati; anzi concorrendo non
poco a confondere le cose ed a rendere i rapporti meno limpidi a
causa dell'opinabilità delle circostanze valutate, della potenziale faziosità o malevolenza di chi lo assumeva, ovvero di chi le
rendeva, e dell'enorme disparità di valutazione che di esse veniva
fatta dalle singole autorità chiamate a fornirle.
Il recentissimo art. unico 1. 29 ottobre 1984 n. 732 dispone,
infatti, che « ai fini dell'accesso agli impieghi pubblici non può essere richiesto, o, comunque, accertato, il possesso del requisito della buona condotta » (che è molto di più della semplice esibizione del certificato relativo).
Dai lavori preparatori di tale norma (camera dei deputati — IX
legislatura — proposta di legge n. 789, ed inoltre: senato — IX
legislatura — disegno di legge n. 870) si trae conferma di quanto
detto, al punto che, in ordine all'eventuale perpetuazione del
vecchio sistema, si pose esplicitamente la questione di costituzio
nalità delle norme abrogande sotto il profilo dell'evidente quanto
ingiustificata disparità di trattamento che si faceva ai diversi
candidati, od impiegati già in servizio, ex art. 3 Cost.
È, quindi, ormai la p.a. a valutare discrezionalmente la senten
za di Gondanna riportata dal dipendente, attuale o potenziale, con
riferimento esclusivo alle mansioni che svolge o che sarebbe
chiamato a svolgere, onde essa, oggi, fa al cittadino, pur nella
delicatezza delle funzioni che si svolgono al suo interno, un
trattamento qualitativamente più favorevole e garantista rispetto a
quello riservato dal c.c.n.l. in esame agli operai ed agli impiegati delle società di navigazione aerea a partecipazione statale, pur considerando la delicatezza estrema di tale attività e le conse
guenze nefaste cui una inadeguata selezione del personale, in tale
settore, potrebbe condurre.
Deve rilevarsi, infine, che la ratio specifica già esposta, in base
alla quale il legislatore, con l'art. 8 dello statuto, ha voluto
correlare, pur con tutte le cautele del caso, le mansioni svolte
alle informazioni acquisende sul lavoratore, è in armonia perfetta,
per la questione particolare che ne concerne, coi principi generali che hanno ispirato la 1. 20 maggio 1970 n. 300, cosi come sono
stati manifestati nella relazione estesa dalla commissione del
senato per la discussione in aula del disegno di legge (V
legislatura —- disegni di legge e relazioni — n. 738, 8, 56, 240 e
700-A). Da una lettura ordinata da tale elaborato si trae là prova che
la locuzione « statuto dei lavoratori », che viene usata solitamente
per comodità di una più sintetica indicazione di una normativa
dal titolo, si, prolisso, ma esemplarmente esplicativo dei nuovi
diritti che vengono riconosciuti ai lavoratori, non ne rende
pienamente la ratio che è volta esplicitamente all'introduzione di
norme molteplici e specifiche sulla tutela della libertà e della
dignità dei lavoratori, sulla libertà sindacale e sull'attività sinda
cale nei luoghi di lavoro, oltre che sulle procedure per il
collocamento.
Le ragioni di tali obiettivi sono state cosi indicate: 1) il
preciso dovere costituzionale che incombe sullo Stato di rimuove
re gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di
fatto l'eguaglianza e la libertà dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana, per cui esso non può rimanere
indifferente di fronte alle modalità con le quali si svolge il
lavoro, condizioni ritenute affatto giuste e favorevoli, tanto da far
concludere che « le libertà costituzionali si fermano ai cancelli
delle fabbriche »; 2) che in tale stato di cose è inevitabile che si
determini la sola supremazia dell'imprenditore a sfida della so
vranità dello Stato; 3) che deve aversi piena consapevolezza che i
rapporti aziendali devono considerarsi, soprattutto, rapporti tra
uomini, onde smentire « la fredda logica industriale, in cui il
lavoro continua ad essere considerato alla stregua degli altri
fattori di produzione in termini di costi e, quindi, di merce, senza alcun margine di difesa per il lavoratore in quanto persona
umana, che rimane assoggettato, di conseguenza, ad un ordina
mento di tipo autoritario, regolato soltanto dalla legge di proprie tà e condizionato esclusivamente dall'interesse del profitto »; 4)
che, per contro, dev'essere affermato un principio nuovo ed
Il Foro Italiano — 1986.
opposto, che riporti a misura d'uomo il mondo della produzione e del lavoro, in generale; 5) che, ormai, l'obiettivo delle organiz zazioni sindacali è quello di far si che « negli ambienti di lavoro, i
rapporti umani corrispondano ai principi etici stabiliti dalla
Costituzione, soprattutto nei riguardi della libertà e della cittadi
nanza aziendale, e che la loro impostazione si ispiri ad orienta
menti di sviluppo autonomo della personalità del lavoratore
mediante la rimozione di tutte le limitazioni, ostruzioni ed
impostazioni che vi sono state di ostacolo, « onde ridare a
chiunque presti lavoro la sua soddisfazione, e farlo trasmutare,
infine, dalla posizione psicologica di suddito dell'azienda a quella di cittadino dell'azienda »; 6) « che dev'essere tenuto presente che, oltre agli elementi contemplati comunemente dagli accordi
contrattuali e nelle leggi, esiste una gamma assai vasta di
aspettative e di interessi, di diritti che spesso hanno importanza determinante nel conferire significato positivo o negativo al
rapporto di lavoro, e che sono connessi sia all'atteggiamento individuale o collettivo dei lavoratori, sia all'operato delle dire
zioni aziendali »; 7) che, infine, affermare contemporaneamente la
necessità di rispettare e salvaguardare la libertà dell'iniziativa
privata e la capacità autonoma di negoziazione delle organizza zioni sindacali non è certo una contraddizione, « bensì un modo di fissare limiti precisi entro i quali deve muoversi l'intervento
legislativo per approntare strumenti di difesa fondamentali dei
lavoratori, ed essere anche un sostegno dell'azione sindacale della
quale si deve garantire lo svolgimento e l'esercizio ». Tutte le osservazioni finora fatte portano, quindi, direttamente
o indirettamente, alla conclusione univoca dell'illegittimità della clausola contrattuale in esame nella parte in cui prevede che il datore di lavoro possa recedere unilateralmente dal contratto nel caso in cui il dipendente sia stato condannato con sentenza
penale irrevocabile per un'azione non connessa con lo svolgimen to del rapporto di lavoro.
Il giudice di rinvio, infine, dovrà valutare l'eventuale irrilevan za della considerazione fatta dal tribunale circa la constatazione della condizione in cui si trova l'attore di lavorare in un ambiente in cui prestano la loro opera anche le donne, tenuto conto che
oggi, il mondo del lavoro è stato aperto anche ad esse, che l'uma
nità stessa è composta da uomini e da donne, e che il delitto per il
quale l'autore è stato condannato non è stato commesso nel luogo di lavoro o in danno di sue compagne o di loro congiunte più o
meno prossime. Da quanto sin qui esposto consegue che il ricorso è fondato e
deve essere accolto, anche la sentenza impugnata deve essere
cassata, e la causa rinviata ad altro giudice di merito che si
adeguerà al principio di diritto sopra enunciato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 novem
bre 1985, n. 5887; Pres. Franceschelli, Est. Baldassarre, P.M.
Leo (conci, diff.); Banca popolare di Milano (Aw. Irti, Van
zetti) c. i.n.p.s. (Aw. Romoli, Fonzo). Dichiara inammissi
bile regolamento di competenza avverso Trib. Milano 31
marzo 1982.
Previdenza sociale — Assegni familiari — Contributi — Aliquota ridotta del cinque per cento — Iscrizione nello schedario
generale della cooperazione — Legittimità — Accertamento —
Poteri del giudice ordinario (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E,
sul contenzioso amministrativo, art. 5; d.l. 2 marzo 1974 n. 30,
norme per il miglioramento di alcuni trattamenti previdenziali ed assistenziali, art. 20).
Banca — Banche popolari — Iscrizione nello schedario generale della cooperazione — Esclusione — Conseguenze (D.l. 10
febbraio 1948 n. 105, disposizioni sull'ordinamento delle ban
che popolari; d.leg. 16 aprile 1948 n. 569, disposizioni sul
l'ordinamento delle banche popolari; d.l.c.p.s. 14 dicembre
1947 n. 1577, provvedimenti per la cooperazione, art. 1, 16,
26; 1. 17 febbraio 1971 n. 127, modifiche al d.leg. 14 dicembre
1947 n. 1577). Banca — Imprese cooperative esercenti il credito — Banche
popolari — Casse rurali ed artigiane — Differenze — Tratta
mento contributivo in materia di assegni familiari — Disparità — Esclusione (R.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, disposizioni per la
difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia,
art. 5; r.d. 26 agosto 1937 n. 1706, t.u. delle disposizioni sull'ordinamento delle casse rurali ed artigiane).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Nella controversia per l'accertamento del diritto a fruire della
riduzione al cinque per cento dell'aliquota contributiva alla
cassa unica assegni familiari, l'autorità giudiziaria ordinaria
deve accertare, ai sensi dell'art. 5 della legge sul contenzioso
amministrativo, la legittimità dell'atto amministrativo di iscri
zione della cooperativa nello schedario generale della coopera zione. (1)
L'art. 1 d. leg. n. 569 del 1948 prevede l'inapplicabilità alle ban
che popolari di tutte le disposizioni sulla cooperazione di cui al
d.l.c.p.s. n. 1577 del 1947, ivi comprese quelle relative alla
iscrizione nello schedario generale della cooperazione, che costi
tuisce il presupposto per il godimento dei benefici contributivi, con conseguente inapplicabilità degli stessi alle banche popola ri. (2)
(1) Non constano precedenti specifici in tema di trattamento previ denziale delle cooperative. In materia tributaria (imposta delle società), la Corte di cassazione aveva affermato (sent. 13 gennaio 1981, n. 271, Foro it., Rep. 1981, voce Società (imposta), n. 3) il potere del giudice ordinario di disapplicare, in via incidentale, ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, l'atto illegittimo della p.a. che avesse consentito l'iscrizione nell'apposito registro di una cooperativa non avente i requisiti di cui all'art. 26 d.l.c.p.s. n. 1577 del 1947 (c.d. legge Basevi sulle agevolazioni alla cooperazione). Nell'occasione, la
Suprema corte aveva incidentalmente osservato che detta legge aveva introdotto un'autonoma regolamentazione in materia di cooperazione, con esclusivo riferimento alle agevolazioni tributarie ed alle misure di
sostegno di carattere pubblicistico, senza nulla innovare in ordine al
regime di diritto privato previsto dal codice civile. Aveva, altresì', precisato che taluni benefici fiscali non possono essere « perseguiti da
organismi societari che, soltanto nominalmente perseguano finalità mutualistiche e di cooperazione, ma nella sostanza si servano dello strumento cooperativo per perseguire intenti speculativi ». Sulla qua lificazione dell'iscrizione nei registri della cooperazione come atto dovuto, nel concorso dei requisiti e degli adempimenti fissati dalla
legge, e non quale espressione di potestà amministrativa discreziona
le, cfr. Cass. 6 gennaio 1981, n. 44, id., 1981, I, 2247, con nota di Martinelli.
(2) La sentenza sopra riportata è stata criticata, poiché il Tribunale di Milano e la Cassazione si sarebbero « lasciati prendere la mano
nella loro decisione dalle dimensioni dal soggetto richiedente, per negare al grosso quello che si riconosce ai piccoli » (Toscano, C.u.a.f aliquota ridotta o... riduzione ragionata?, in Giust. civ., 1986, I, 728). Eppure, l'allontanamento delle banche popolari dal paradigma della
cooperazione, a causa dell'incremento dimensionale e dell'attività delle stesse con i non soci, aveva indotto la dottrina, già nel 1959, a ritenere che alcune popolari « delle cooperative conservano la forma, ma non riproducono la sostanza » (Ferri, Banca popolare, voce dell'Erc
ciclopedia del diritto, Milano, V, 13). Al di là delle considerazioni d'ordine ermeneutico, circa il valore
letterale e logico-sistematico dell'art. 1 d.leg. n. 569 del 1948, la scelta
operata nella sentenza in epigrafe ripropone il problema dell'individua zione del concetto di mutualità (in assenza di definizioni espresse del costituente e del legislatore ordinario): da un lato, si sostiene che il codice civile fornisca uno schema causale della cooperativa, poiché lo
scopo mutualistico è la causa delle cooperative (Oppo, L'essenza della società cooperativa, in Riv. dir. civ., 1979, 290; Ferri, Le società, Torino, 1985, 988); dall'altro, che l'art. 45 Cost, abbia prescritto i connotati necessari della cooperazione, alla cui presenza è ricondotta la « funzione sociale » della stessa: in difetto di tali connotati, non si ha una cooperazione « non protetta » o « non agevolata », ma, semplice mente, non si ha cooperazione (Nigro, in Commentario della Costituzio
ne, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1980, 27, sub art. 45; Romboli, Problemi costituzionali della cooperazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1977, 117).
Più idonea alla individuazione dello scarto esistente tra modello costituzionale della cooperazione e profilo della società cooperativa, delineato dalla legislazione ordinaria (generale e speciale), appare l'opinione secondo cui il costituente ha presupposto l'ammissibilità di forme di cooperazione prive degli elementi enunciati nell'art. 45 Cost,
(mutualità ed assenza di fini di speculazione privata), non riconoscen do a queste ultime ulteriore funzione sociale, senza precludere al
legislatore ordinario di ammetterne la legittimità propter aliquam utilitatem (Minervini, La cooperazione e lo Stato, in Riv. dir. civ., 1969, I, 621; Carboni, in Trattato di diritto privato, diretto da Resci
gno, Torino, 1985, XVII, 413). Resterebbe affidato agli organi dello Sta to (legislativi, amministrativi e giudiziari) il compito d'individuare quali attività cooperative meglio realizzino la funzione di diffusione demo cratica delle strutture economiche, esplicitata dall'art. 45 Cost.
Vi è spazio, quindi, per una valutazione del fondamento teorico del decisum della sentenza riportata. Il concetto di « accentuazione della funzione precipuamente bancaria, a scapito di quella mutualistica » —
pur espresso dalla Cassazione in una forma che sembra confondere il
piano dell'oggetto dell'attività imprenditoriale con quello dello scopo della stessa — risulta quasi coincidente con quello che una recente
opinione definisce « processo di assimilazione di talune popolari alle altre aziende di credito e, al contempo, di differenziazione delle stesse dalle casse rurali » (Capriglione, Imprenditorialità bancaria e coope
II Foro Italiano — 1986.
Nelle banche popolari la funzione precipuamente bancaria è
accentuata, a scapito di quella mutualistica, sicché non vi è
ingiustificata diversità nel trattamento contributivo previden ziale delle stesse, rispetto ad altre cooperative e, in particolare, alle casse rurali ed artigiane. (3)
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 25 marzo 1981, la
Banca popolare di Milano, soc. coop a r.l. conveniva in giudizio, davanti al Pretore del lavoro di Milano, l'I.n.p.s., chiedendo di
accertare e dichiarare il suo diritto di applicare nel calcolo e
nel versamento dei contributi alla C.u.a.f. l'aliquota ridotta di
cui al n. 4 dell'art. 20 1. n. 114/74, modificato dall'art. 11 1. n.
160/75 e, conseguentemente, condannare l'I.n.p.s. a restituire alla
ricorrente l'importo di lire 5.457.129.416 versategli in eccedenza,
maggiorato della rivalutazione e degli interessi legali dai sin
goli versamenti fino al saldo o, in subordine, maggiorato degli interessi al tasso ulficiale di sconto delle medesime date di cui dianzi si è detto. In via subordinata chiedeva si dichiarasse che, in conseguenza del versamento effettuato il 28 novembre 1980, essa banca aveva assolto a tutti gli oneri contributivi incomben tile in relazione ai contributi C.u.a.f. per il periodo 1° aprile 1977/ 31 dicembre 1979 e che essa non era, pertanto, tenuta al pa gamento di alcuna sanzione amministrativa od altra somma o onere accessorio all'I.n.p.s. per il titolo ed in relazione al pe riodo dianzi detto, ai sensi dell'art. 23 quater 1. n. 33/80; il tutto col beneficio delle spese di giudizio.
Premetteva che le sue domande erano fondate sul presupposto che essa banca popolare era iscritta nello schedario generale delle
cooperative e come tale aveva diritto ai benefici richiesti.
Si costituiva in giudizio l'I.n.p.s. e chiedeva la reiezione delle
domande avversarie assumendo l'illegittimità dell'iscrizione della
Banca popolare di Milano nello schedario generale delle coopera tive, e la inidoneità del versamento dalla stessa effettuato, in data
28 novembre 1980, a concretare la fattispecie del cosiddetto
razione di credito, in Banca, borsa, ecc., 1982, I, 526, ove vengono analizzate le cause di detto processo). In tale quadro, le banche
popolari, che, per espresso dettato normativo, devono costituirsi sotto forma di società cooperative a r.l. (art. 1 d.I. n. 105 del 1948), risulterebbero unicamente annoverabili tra le forme di cooperazione disciplinate dal legislatore ordinario e che, essendo prive di taluni dei
connotati di cui all'art. 45, '1° comma, Cost., non godono del
riconoscimento di ulteriore funzione sociale (Giacalone, Cosa c'è di
cooperativo nelle banche popolari del 2000?, in Corriere giuridico,
1986, 522). (3) La sentenza ritiene infondata la questione di legittimità costitu
zionale, prospettata dalla ricorrente, secondo cui, escludendo le banche
popolari dalle agevolazioni previdenziali, si riconoscerebbe alle stesse
un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto alle casse rurali ed
artigiane, altre cooperative di credito iscritte nello schedario generale
(le differenze tra banche popolari e casse rurali, rilevabili dallo
sviluppo storico, dagli statuti e dall'attuale realtà operativa dei due
tipi di imprese bancarie, sono analiticamente esposte in Castiello,
Tutela costituzionale della cooperazione e cooperative di credito,
Padova, 1984). La specificità delle casse emerge anche dalla disciplina del settore
creditizio: durante il periodo del c.d. « blocco » alla costituzione di
nuove banche (dal 23 giugno 1966 al 31 ottobre 1985), le casse rurali
sono state, dapprima, sottratte al blocco (delibera del comitato inter
min. credito e risparmio del 14 marzo 1971) e, poi, è stata liberalizza
ta totalmente l'assegnazione di sportelli alle stesse (delibera C.i.c.r. del 12
settembre 1980). Dimensioni ed operatività discriminano le popolari dalle casse anche in sede di attuazione della direttiva CEE n. 77/780: nel determinare i fondi propri minimi richiesti per la costituzione di
nuove banche '(art. 1, § 2, dir. cit. e art. 1, lett. a, d.p.r. 27 giugno 1985 n. 350), la Banca d'Italia ha fissato, per le costituende banche
popolari, il limite minimo di 6 miliardi di lire e quelli di 1,5 miliardi
e 3 miliardi per le casse rurali e/o artigiane costituende in comuni
con popolazione, rispettivamente, inferiore o superiore a 20.000 abitanti.
Una non recente giurisprudenza di merito non rilevò differenze
strutturali e funzionali tra i due tipi di banche (App. Brescia 8
novembre 1967, Foro it., Rep. 1968, voce Casse rurali, n. 2), ritenendo
ammissibile la fusione tra casse rurali e banche popolari, non conside
rando estensibile alle seconde, per la loro struttura cooperativa, con
fine mutualistico, il divieto d'incorporazione delle « casse » in aziende
di credito di diversa natura, di cui all'art. 30, 2° comma, r.d. n. 1706
del 1937. La decisione raccolse l'eco contrario della dottrina (Jemolo e
Nicolò, in Cooperazione di credito, 1969, 67) e comportò una presa di
posizione della Banca d'Italia (circ. 26 maggio 1970), secondo cui non
poteva sostenersi che casse rurali e banche popolari fossero enti della
stessa natura, perché all'art. 5 1. bancaria, che menziona distintamente
l'una e l'altra categoria di banche, deve riconoscersi « valore organizza tivo nell'ordinamento sezionale del credito, con la conseguenza che la
differenziazione degli operatori bancari, ivi contenuta, è organizzativa mente rilevante ». [G. Giacalone]
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2647 PARTE PRIMA 2848
condono contributivo ex art. 23 quater 1. n. 23/80 in considera
zione delle riserve espresse dal contribuente e che accompagna vano il versamento predetto. Il pretore con sentenza del 30
giugno 1981 accoglieva la domanda proposta dall'istante in via
principale. Tale decisione, appellata in via principale dall'I .n.p.s. ed, in via
incidentale, dalla Banca popolare di Milano, era riformata dal
Tribunale di Milano con la pronuncia indicata in epigrafe. Il giudice di secondo grado, premesso che il giudice ordinario,
ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, può conoscere, in via incidentale, della legittimazione dell'atto amministrativo al
fine di disapplicarlo, osservava che le banche popolari, costituite
come società cooperative di credito a responsabilità limitata, a
differenza delle casse rurali ed artigiane, esercitano il credito in
generale, cioè, nei confronti di chiunque abbia bisogno di capitali e che, per tale ragione, il principio della mutualità, che era alla
base della cooperazione, si è molto attenuato per tali banche. Da
ciò è scaturita, secondo il tribunale, la norma dell'art. 26 d.l.
14 dicembre 1947 n. 1577, che elenca i requisiti tassativi
cui devono conformarsi gli statuti o gli atti costitutivi delle so
cietà cooperative per poter essere incluso nello schedario gene rale della cooperazione.
Dall'esame dello statuto della Banca popolare di Milano si
desume che esso non corrisponde alle norme, dettate dalla legge
per assicurare il carattere autenticamente mutualistico delle socie
tà iscritte nello schedario, in quanto la banca appellata, pur avendo nominalmente finalità mutualistiche e di cooperazione,
persegue intenti speculativi, che non le consentono di giovarsi dei
benefici contributivi di cui all'art. 26 cit. Di qui l'infondatezza,
aggiunge il giudice dell'appello, anche dell'eccezione di illegitti mità costituzionale sollevata dalla stessa appellata.
Quale ulteriore motivo di rigetto della domanda rilevava poi che il d. leg. 10 febbraio 1948 n. 105 stabilisce quali sono le
società che possono denominarsi banche popolari ed i compiti ad
esse attribuite; che il d. leg. 16 aprile 1948 n. 569 stabilisce
all'art. 1 con chiaro dettato letterale che le disposizioni del d. leg. 14 dicembre 1947 n. 1577 non si applicano alle società di cui al
d. leg. 10 febbraio 1948 n. 105 (cioè alle banche popolari); che, contrariamente a quanto ritenuto dal pretore, non sono applicabi li a tali banche alcune norme del citato decreto n. 1577/47 come
quella relativa all'inclusione nello schedario generale della coope razione.
L'inclusione, a tutto concedere, potrebbe rispondere ad esigenze di ordine anagrafico-statistico del movimento cooperativo, senza
produrre effetti riservati alle cooperative che perseguono fini
esclusivamente mutualistici. Ne discende, conclude la sentenza,
che la Banca popolare di Milano non può fruire del beneficio
richiesto in giudizio e riconosciuto dal pretore, rimanendo esenta
to il tribunale dal prendere in esame le altre domande, che
discendono da quella principale, per le esposte ragioni, da respin
gere. Il ricorso è affidato a cinque motivi, ai quali resiste l'I.n.p.s.
con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione. — Con i primi quattro motivi la
ricorrente muove, nell'ordine, le seguenti censure alla sentenza
impugnata, adducendo le ragioni appresso specificate:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, n. 4, d.l. 2
marzo 1974 n. 30, convertito nella 1. 14 aprile 1974 n. 114 nel
testo risultante dalla legge di conversione modificato dall'art. 111.
3 giugno 1965 n. 160, per non avere ritenuto che è il mero dato
formale della iscrizione nello schedario generale delle cooperative
la sola condizione cui la 1. n. 114/74 subordina l'applicazione
dell'aliquota ridotta e che, una volta provata l'iscrizione, nessuna
indagine dovesse compiersi sulla legittimità della medesima.
2) Violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 5 1. 20 marzo
1865 n. 2248, ali. E. La possibilità per il giudice ordinario di
disapplicare l'atto amministrativo illegittimo presuppone che quel
l'atto non costituisca di per sé il titolo del sacrifìcio imposto a
colui (nel caso H.n.p.s.) che invoca la disapplicazione; sicché,
attenendo l'allegata illegittimità alla causa petendi immediata
della domanda, non vi sarebbe valutazione di essa in via inciden
tale, ma in via principale. Dalla disapplicazione del provvedimen to d'iscrizione nello schedario deriverebbe direttamente la defini
zione della presente lite, con un giudizio in via principale sulla
legittimità dell'atto amministrativo.
3) Falsa applicazione dell'art. 26 d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947 n.
1577, perché tale norma non riguarda l'iscrizione nello schedario,
essendo dettata ai soli effetti tributari, tento che la legge che
dispone le agevolazioni tributarie (d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601, art. 14) esige per l'ottenimento delle medesime il concorso di due
Il Foro Italiano — 1986.
distinti e contrapposti requisiti e precisamente quello della iscri
zione nei registri prefettizi e nello schedario generale della
cooperazione e quello della persona negli statuti delle clausole
elencate nell'art. 26 cit. In conseguenza non potrebbe essere causa
di illegittimità dell'iscrizione della ricorrente nello schedario il
fatto che non compaiono nel suo statuto le clausole elencate nel
ripetuto articolo.
4) Violazione e falsa applicazione degli art. 1 d. leg. 16 aprile 1948 n. 569, 1 e 15 d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947 n. 1577.
Premessa la disamina dell'evoluzione della disciplina delle ban
che popolari, a partire dalla c.d. legge bancaria (r.d.l. 12 marzo
1936 n. 357) la ricorrente sostiene che la norma dell'art. 1 del
citato decreto n. 569/48, con il quale solo due mesi dopo l'emanazione del d. leg. 10 febbraio 1948 n. 105 il legislatore senti il bisogno di apportare modifiche a quest'ultimo, nel dispor re la inapplicabilità alle banche popolari delle disposizioni del d.
leg. 14 dicembre 1947 n. 1577 non ha inteso esorbitare dalla
materia disciplinata e va, pertanto, interpretato nel senso che alle
banche popolari non si applicavano soltanto alcune disposizioni tra cui quelle del capo IV di detto decreto n. 1577/47, che
concernono la struttura societaria delle cooperative, cosf come
ritenuto dal pretore, e che la dichiarazione di inapplicabilità ne
potesse coinvolgere anche l'art. 1, 2° e 3° comma, d. leg. n.
1577/47, vale a dire la norma che disponeva l'iscrizione nello
schedario della cooperazione anche delle banche popolari.
Soggiunge che; anche ammettendo che la esclusione dovesse
riferirsi ai detti 2° e 3° comma, l'iscrizione nello schedario sarebbe
nel caso egualmente legittima, in quanto con la 1. 17 febbraio
1971 n. 127, modificatrice dell'art. 15. lett. b) d. leg. n. 1577/47, ma non della lettera a) dello stesso articolo, l'obbligo di iscrizio
ne nello schedario, previsto in tale ultima lettera, sarebbe stato, in ogni caso, reintrodotto.
Illustra infine l'eccezione d'illegittimità costituzionale già pro spettata al tribunale, osservando che non trova logica giustifica zione il deteriore trattamento che, se si segue la tesi della
sentenza impugnata, risulta riservato alle banche popolari, che
pur perseguono scopo mutualistico e debbono essere costituite in
forma di cooperativa, rispetto a quello spettante alle casse rurali
ed artigiane e ad altre cooperative esercenti il credito, che pur
godono, in virtù dell'iscrizione nello schedario, delle agevolazioni
impositive. I mezzi esposti, che, sotto distinti profili, censurano un unico
punto della decisione e che per tale motivo vanno trattati
congiuntamente, non sono fondati.
L'art. 20 d. leg. 2 marzo 1974 n. 30, come modificato dalla
legge di conversione 16 aprile 1974 n. 114, stabilisce che «a
decorrere dal periodo di paga in corso al 1" gennaio 1974, l'aliauo
ta di contributo dovuto alla cassa unica per gli assegni familiari
dei datori di lavoro alle tabelle A, B), C), allegate al testo unico
delle norme sugli assegni familiari approvato con d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797, è fissata nelle seguenti misure della retribuzione
lorda calcolata ai sensi dell'art. 12 1. 30 aprile 1969 n. 153: ... 4) 5 % per le rimanenti cooperative, qualunque sia l'attività esercita
ta, allorché le stesse risultino iscritte nei registri prefettizi e nello
schedario generale delle cooperative ai sensi del d.l.c.p.s. 14
dicembre 1947 n. 1577 e successive modifiche ed integrazioni ».
L'iscrizione, disciplinata da specifiche disposizioni di legge, che
la norma ora trascritta pone come condizione per il godimento della aliquota contributiva più favorevole, non è, di certo, intesa
come mero dato di fatto, escludente, una volta accertata la forma
lità, ogni altra indagine sulla sua conformità a legge, bensì come
iscrizione ottenuta nel rispetto delle norme che la prevedono. Non potendo desumersi dalla formulazione letterale della nor
ma un richiamo dell'iscrizione come mero fatto storico (l'espres sione « ai sensi », più che l'evento giuridico, valorizza la sua
disciplina legislativa), è da ritenersi che fosse intento del legisla tore favorire le cooperative, in possesso dei requisiti necessati per conseguire l'iscrizione ed idonei a dimostrare l'appartenenza a
categorie, alle quali giudicava opportuno far pagare contributi meno gravosi.
Una tale ratio sarebbe frustrata se si potesse prescindere, nella
concessione del beneficio, dalla verifica della legittimità dell'iscri
zione. Ne deriva che in senso di contestazione da parte dell'ente
previdenziale e di instaurazione di un giudizio per l'accertamento del diritto alla aliquota contributiva del cinque per cento in
luogo di quella ordinaria, il giudice ordinario, competente a dirimere la controversia relativa al suddetto diritto soggettivo, deve accertare, in via incidentale e con efficacia limitata al
rapporto controverso, la legittimità dell'atto amministrativo d'i
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
scrizione della cooperativa nello schedario a norma dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E.
Il giudizio in tale caso non tende infatti all'annullamento dell'atto amministrativo, ma soltanto alla sua disapplicazione in un giudizio in cui la sua legittimità non è in discussione in modo immediato e diretto.
Di tale giudizio l'accertamento relativo alla legittimità dell'iscri zione nello schedario non costituisce, di certo, il petition, che va
individuato nell'affermazione del diritto a corrispondere il contri buto C.u.a.f. in base ad aliquota ridotta.
Non ne costituisce nemmeno la causa petendi immediata ed
esclusiva, « cosicché il giudicarne non equivarrebbe più ad una
valutazione in via incidentale », come sostiene la ricorrente.
L'iscrizione nello schedario rappresenta infatti solo una delle ra
gioni che sostengono la domanda (quella contestata specificamente da parte resistente), che non è nemmeno la più rilevante ed im
mediata. Tali requisiti vanno infatti assegnati all'allegazione del
presupposto normativo (art. 20, n. 4), mentre le altre ragioni
(qualità di cooperativa, legittima iscrizione nello schedario, per sonale, assicurato, ecc.) costituiscono ulteriori premesse, ma non
oggetto, della pronunzia che il giudice è chiamato ad emettere con efficacia di giudicato.
Accertata la sussistenza del potere di sindacare la legittimità dell'iscrizione, va presa in esame, delle due ragioni illustrate dal
tribunale a sostegno del giudizio sfavorevole alla parte istante, soltanto quella censurata con il quarto mezzo, dato il suo carattere prioritario ed assorbente.
Il quesito a cui occorre dare risposta è se l'art. 1 d. leg. 16
aprile 1948 n. 569, il quale stabilisce che « le disposizioni del d.
leg. 14 dicembre 1947 n. 1577 non si applicano alle società
cooperative a responsabilità limitata di cui al d. leg. 10 febbraio
1948 n. 105 », contenente disposizioni sull'ordinamento delle ban
che popolari, prevede l'inapplicabilità a tali banche di tutte le
disposizioni del decreto n. 1577, ivi comprese quelle relative
all'iscrizione nello schedario generale della cooperazione (art. 15, lett. a, e 1, 3° comma), ovvero soltanto alcune di esse.
Il significato proprio delle parole usate (art. 12 disp. sulla legge in generale), già milita a favore della prima soluzione, giacché il
termine « disposizioni », usato senza specificazioni ed equivalenze a quello di « norme » (la conclusione non sarebbe diversa se
fosse stato usato quest'ultimo vocabolo) sta ad indicare, letteral
mente, tutte le disposizioni o norme dettate dal provvedimento
legislativo, richiamato.
La lessicale formulazione della norma, che non è tale tuttavia
da precludere ogni altra indagine ermeneutica, trova conferma
nella ratio della legge e nell'assenza di norme o principi non
conciliabili con detto significato letterale.
Il d. leg. n. 569/48, emanato poco più di un mese dopo la
pubblicazione sulla G. U. dell'8 marzo 1949, n. 57 del d.l. n.
105/48 e quando quest'ultimo non aveva potuto avere alcuna
pratica attuazione, data anche la vacatio legis di trenta giorni
(art. 16), dimostra l'intento legislativo di emendare ed integrare alcune disposizioni sull'ordinamento delle « banche popolari »,
appena entrate in vigore, alimentando carenze di collegamento del
decreto n. 105 con altre norme vigenti nell'ordinamento giuridico statale (v. art. 1 qui in discussione) e sue lacune (ad es. art. 3
in tema di sostituzione di amministratori).
Per quanto riguarda in particolare l'art. 1 ora citato va subito
osservato che non avrebbe significato concreto una disapplicazio ne limitata, come ritenuto dal primo giudice, al capo IV del
decreto n. 1577/47, in quanto la maggior parte delle disposizioni
comprese in tale capo sono implicitamente abrogate per la
diversa espressa disciplina fornita dal decreto n. 105/48 (proprio in tema di struttura societaria) o già non operanti per le banche
popolari ai sensi del 2° comma dell'art. 1 d.l.c.p.s. n. 1577, mentre norme del capo I (art. 2 ss.) ed il capo ILI, non sono, di sicuro, applicabili a tali banche.
La inapplicabilità generalizzata del decreto risponde invece sia
ad esigenze di ordine sistematico, ribadendo la esclusione di
autorizzazioni e controlli, diversi da quelli previsti da r.d.l. 12
marzo 1936 n. 375 (contenente disposizioni per la difesa del
risparmio e per la disciplina della funzione creditizia), e successi
ve modificazioni ed integrazioni, esclusione che, in parte, si
desume dall'art. 3 decreto n. 105/48, sia alla natura ed ai compiti
propri delle banche popolari, « autorizzate alla raccolta del ri
sparmio ed all'esercizio del credito » (art. 1).
Accentuata cosi la funzione precipuamente bancaria, a scapito di quella mutualistica, è da ritenersi logico e conseguenziale che
il decrero n. 569/48, integrando il d. leg. n. 105/48, abbia
Il Foro Italiano — 1986.
considerato inopportuno che si applicassero alle banche popolari i « provvedimenti per la cooperazione » contenuti nel d. leg. n.
1577/47, primo fra tutti quello che, con la previsione dell'iscri
zione nello schedario, avrebbe dovuto costituire il presupposto
per il godimento dei benefici ed agevolazioni (art. 16 e 26)
riservati agli enti tipicamente mutualistici.
Alla stregua del combinato disposto delle norme innanzi esami
nate deve condividersi la pronunzia impugnata che ha ritenuto
illegittimo e, quindi, non applicabile nella fattispecie in esame, l'atto amministrativo dell'iscrizione della banca ricorrente nello
schedario generale della cooperazione. A diversa decisione non porta l'esame della 1. 17 febbraio 1971
n. 127, in quanto essa ha modificato in parte alcune disposizioni del d. leg. 1577/47, senza porre in essere integrali sostituzioni
delle medesime (ed in particolare dell'art. 15) e senza richiamare
in vita norme abrogate, e non fa esplicito riferimento né all'art. 1
d. leg., né alle banche popolari.
Le osservazioni sulla speciale natura e funzione delle stesse
banche esclude che vi sia ingiustificata diversità di trattamento
con altri enti a struttura cooperativistica ed in modo specifico con le casse rurali ed artigiane, diversamente strutturate per
legge; mentre, ai fini della verifica di costituzionalità proposta, non possono assumere rilievo eventuali deviazioni di queste dai
compiti istituzionali.
Da quanto innanzi deriva, il rigetto dei primi quattro motivi
del ricorso. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 27 set
tembre 1985, n. 454; Pres. Nocella, Rei. Buccarelli, P. M.
Nicita (conci, conf.); Geraci (Aw. Margiotta) c. U.s.1. Taran
to/3 (Avv. Casavola). Dichiara inammissibile regolamento di
competenza avverso Pret. Martina Franca 16 giugno 1984.
Competenza civile — Regolamento proposto dall'attore dopo l'ap
pello con riserva dei motivi del convenuto soccombente sulla
competenza e sul merito — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 43, 433).
E inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare, il regola mento di competenza proposto dall'attore vincitore sulla com
petenza e sul merito avverso il dispositivo della sentenza
pronunciata nel processo del lavoro e appellata dal convenuto
con riserva dei motivi. (1)
(1) Nulla in termini. Peraltro, in senso conforme circa la natura di mezzo di impugnazione del regolamento di competenza, l'essenzialità della soccombenza e il difetto di legittimazione della parte vincitrice sul merito, Cass. 16 dicembre 1971, n. 3685, Foro it., Rep. 1971, voce
Competenza civile, n. 378. In senso conforme nel decisum, ma difforme nella motivazione, e
precisamente nel senso che il regolamento di competenza, nel processo del lavoro, dovendo pur sempre contenere l'esposizione dei motivi di
censura, non può essere proposto contro il dispositivo letto in udienza, ma dev'essere proposto contro la sentenza e che perciò il termine decorre dalla comunicazione della stessa: Cass. 17 maggio 1985, n.
3021, id., Rep. 1985, voce cit., n. 163; 13 febbraio 1985, n. 1223, ibid., n. 162; ord. 20 dicembre 1983, n. 1005, id., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 445; 22 ottobre 1983, n. 6216, ibid., voce Competenza civile, n. 208; 16 giugno 1983, n. 4147, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 446; 19 marzo 1983, n.
1965, ibid., voce Competenza civile, n. 209. In senso opposto, ma in motivazione, a livello di obiter dictum e
riferendosi all'appello e non a quello con riserva dei motivi, Cass. 16 settembre 1983, n. 5586, id., 1984, il, 2816 (con annotazione di Pioli), per la quale « la parte totalmente vittoriosa può trasferire davanti alla Corte di cassazione, quanto alla questione di competenza, l'impugna zione già proposta (anche su tale questione) dall'altra parte ».
Sempre riferendosi all'appello e non a quello con riserva dei motivi, in senso sostanzialmente contrario, e precisamente nel senso che la
parte soccombente sulla competenza e vittoriosa sul merito può chiedere il regolamento di competenza anche prima dell'avversa impugna zione ordinaria, Cass. 7 dicembre 1984, n. 6457, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 157 (e in Giur. it., 1986, 1, 1, 1081, con nota critica di
Attardi, Regolamento di competenza del convenuto vittorioso nel
merito?); 13 ottobre 1975, n. 3272, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 258; 9 novembre 1973, n. 2943, id., 1974, I, 3133, e in Giur. it., 1975, I, 1, 1355, con nota critica di Attardi, Sulla legittimazione a proporre regolamento di competenza.
Sul tema, in dottrina, v. la monografia di Bongiorno, Il regolamento
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