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sezione lavoro; sentenza 26 ottobre 1995, n. 11123; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Iannelli...

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sezione lavoro; sentenza 26 ottobre 1995, n. 11123; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Iannelli (concl. conf.); Sistilli (Avv. Morichi, Teresi) c. Ferrovie dello Stato (Avv. Ozzola). Cassa Trib. Roma 29 aprile 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 10 (OTTOBRE 1996), pp. 3183/3184-3185/3186 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191135 . Accessed: 28/06/2014 17:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 17:56:58 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 26 ottobre 1995, n. 11123; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Iannelli(concl. conf.); Sistilli (Avv. Morichi, Teresi) c. Ferrovie dello Stato (Avv. Ozzola). Cassa Trib.Roma 29 aprile 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 10 (OTTOBRE 1996), pp. 3183/3184-3185/3186Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191135 .

Accessed: 28/06/2014 17:56

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3183 PARTE PRIMA 3184

per la loro stretta connessione, si possono esaminare congiunta

mente, i ricorrenti sostanzialmente deducono che la volontà di

dare vita ad un solo condominio da parte dei condomini di più

fabbricati, poiché comporta una modificazione in ordine alla

comproprietà delle parti che, ex art. 1117 c.c., si devono consi

derare comuni ai soli partecipanti ai proprietari dei singoli edi

fici, richiede il consenso unanime dei condomini, da manifesta

re per iscritto, ma non può essere deliberato a maggioranza, non potendosi applicare analogicamente l'art. 61 disp. att. c.c.,

per la sua natura eccezionale.

Il ricorso è fondato, anche se non tutte le argomentazioni addotte a suo sostegno possono essere condivise.

In particolare, non sembra corretta la censura relativa alla

necessità della forma scritta.

Nessuna modifica relativa al regime delle cose comuni, infat

ti, deriverebbe da una delibera di istituzione di un supercondo minio tra più fabbricati.

Poiché, infatti, è ormai pacifica la configurabilità del c.d.

condominio parziale, i condomini dei singoli edifici continue

rebbero ed essere gli unici comproprietari delle parti comuni

degli edifici stessi (e come tali gli unici legittimati a decidere

in ordine alla loro gestione).

È, invece, fondata la doglianza relativa alla impossibilità di

applicare analogicamente l'art. 61 disp. att. c.c., per un duplice ordine di considerazioni.

La norma in questione, la quale prevede la possibilità della

scissione, in base a delibera adottata a maggioranza, di un uni

co condominio originario in più condomini, ha natura eccezio

nale, in quanto deroga al principio secondo il quale la divisione

può essere attuata solo con il consenso unanime dei partecipan ti alla comunione, e quindi non può essere applicata analogi camente.

A tale applicazione analogica, d'altra parte, sarebbe comun

que di ostacolo la mancanza della identità di ratio.

Poiché, infatti, l'art. 61 disp. att. c.c. favorisce la trasforma

zione di un condominio complesso in condomini autonomi, è

impossibile utilizzare analogicamente tale norma per giustifica re l'ipotesi inversa, e cioè la fusione in un unico condominio

di più edifici autonomi. Il ricorso va, pertanto, accolto, con cassazione della sentenza

impugnata e rinvio della causa, per un nuovo esame, ad altra

sezione della Corte di appello di Milano.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 otto

bre 1995, n. 11123; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Ian

nelli (conci, conf.); Sistilli (Avv. Morichi, Teresi) c. Ferro

vie dello Stato (Avv. Ozzola). Cassa Trib. Roma 29 aprile 1992.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —

Mancata comparizione delle parti — Disciplina (Cod. proc.

civ., art. 181, 348, 359, 420, 437).

Nel rito speciale del lavoro in ipotesi di mancata comparizione di entrambe le parti alla prima udienza del giudizio d'appello si applica la disciplina prevista dall'art. 181, 1° comma, c.p.c. con rinvio della causa ad una nuova udienza, da comunicarsi

nei modi previsti dal medesimo articolo; se nessuno compare alla nuova udienza il giudice deve ordinare la cancellazione della causa dal ruolo (mentre — si precisa in motivazione — se è assente il solo appellante deve essere dichiarata l'im

procedibilità dell'impugnazione). (1)

(1) Con questa decisione la sezione lavoro si uniforma all'orienta mento espresso dalle sezioni unite con la sentenza 25 maggio 1993, n. 5839 (Foro it., 1993, I, 2161) pronunciata al fine di dirimere il contra

il Foro Italiano — 1996.

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 14 aprile 1989 Rosina Sistilli proponeva appello avverso la sentenza del

19 aprile 1988 con la quale il Pretore del lavoro di Roma aveva

in parte accolto e in parte rigettato la domanda dalla stessa

proposta contro l'ente Ferrovie dello Stato.

All'udienza di discussione del 29 aprile 1992, fissata dal pre sidente del Tribunale di Roma con decreto del 18 aprile 1989, non compariva alcuna delle parti e il tribunale, riservata la de

cisione, con sentenza letta in udienza e pubblicata il 16 luglio 1992 dichiarava l'appello improcedibile, rilevando che «agli atti

non risultava la prova della notificazione dell'atto di gravame». Contro questa sentenza ricorre per cassazione la Sistilli sulla

base di un unico motivo. Resiste con controricorso e con suc

cessiva memoria la società Ferrovie dello Stato.

sto interpretativo sorto tra l'orientamento consolidato, risalente a Cass., sez. un., 26 marzo 1982, n. 1884 (id., 1982, I, 1280; peraltro, di recente ribadito dalla sezione lavoro con la sentenza 1° aprile 1994, n. 3187, id., 1995, I, 915, con nota di G. Balena, e Giust. civ., 1995, I, 799, con nota di R. Nespeca) circa la inapplicabilità al rito lavoro della

disciplina prevista in caso di inattività delle parti per il rito ordinario con conseguente necessità che, in ipotesi di assenza delle parti alla pri ma udienza del giudice di appello, il giudice del lavoro debba decidere la controversia nel merito, e la diversa posizione circa la applicabilità al rito lavoro di detta disciplina, espressa da Cass. 7 marzo 1991, n. 2366 (Foro it., 1991, I, 1094, con nota di R. Oriani, La sezione lavoro della Corte di cassazione abbandona indirizzi consolidati sull'inattività delle parti nel processo del lavoro).

Le sezioni unite hanno addotto a fondamento del nuovo orientamen to le considerazioni che:

a) nella relazione preliminare al testo originario della 1. n. 533 del 1973 non è stato accolto integralmente il principio inquisitorio in quan to essa «ha distribuito equamente tra le parti ed il giudice il potere di dare impulso al processo», quindi «si è ben lontani dalla situazione nella quale . . . l'impulso processuale sia affidato esclusivamente all'uf ficio e sottratto completamente all'iniziativa di parte»;

b) la situazione che si verifica nel processo lavoro, anche se l'art. 437 sembra ricalcare la lettera dell'art. 379 c.p.c. del giudizio di cassa

zione, è ben diversa da quella che si verifica nel procedimento di cassa zione ove «l'organo giudicante è in grado di giungere d'ufficio alla com

pleta definizione della controversia», mentre nell'appello la parte può sempre deferire il giuramento decisorio e in caso di morte o perdita della capacità di stare in giudizio della parte o del suo difensore si determina (a differenza del giudizio di cassazione) la interruzione del

processo; c) il fatto che il processo del lavoro «sia caratterizzato dalla massima

concentrazione possibile delle attività e sia strutturato per soddisfare

l'esigenza fondamentale della sollecita definizione delle liti non vuol dire che ogni processo debba necessariamente concludersi con una deci sione di merito»;

d) prima di decidere la controversia nel merito il giudice deve neces sariamente verificare che il contraddittorio sia stato regolarmente in

staurato, verifica impedita nel caso dell'appello, ove la prova di tale instaurazione è data dall'appellante alla prima udienza o dall'appellato che si costituisca, per cui tale accertamento è precluso al giudice in caso di assenza di entrambe le parti;

e) il processo ordinario, pur essendo stato avvicinato a quello del

lavoro, ha conservato gli art. 181, 309 e 348 c.p.c. per il caso di inatti vità delle parti;

f-g) il divieto di udienza di mero rinvio di cui all'art. 420, ultimo comma, c.p.c., tenuto conto della pronuncia della Corte costituzionale 31 dicembre 1986, n. 302 (id., 1987, I, 2590), non opera quando tale attività è imposta al giudice nella progressione procedimentale richiesta dalla legge per l'adozione della sanzione processuale, inoltre non si può ritenere che la disciplina delle inattività delle parti possa trovare appli cazione solo se la sanzione è applicabile immediatamente nella stessa udienza in cui si verifica l'assenza delle parti medesime;

h) la differente struttura rispetto al rito ordinario dell'organo che rileva l'inattività, non giudice istruttore bensì collegio, non incide sulla

applicabilità delle norme sulla inattività, poiché in entrambi i casi essa è dichiarata con sentenza (nel rito ordinario il g.i. la rileva con ordinan za reclamabile al collegio che, se conferma, pronuncia sentenza ricorri bile in Cassazione);

i) se la ragione della inattività delle parti è costituita da intenti defa

tigatori, al fine di ottenere la cancellazione della causa dal ruolo e la perenzione di un anno, ciò non può indurre i giudici ad escludere la

applicazione degli istituti ad essa relativi, tenuto conto che in appello opera la provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado e che

comunque il giudicante può sempre condannare le parti in mala fede al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata di cui all'art. 96

c.p.c. Al fine di negare l'obbligo del giudice di decidere immediatamente

in caso di assenza di entrambe le parti, Cass. 7 marzo 1991, n. 2366,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo dell'impugna zione la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione de

gli art. 348, 420 e 437 c.p.c., in relazione all'art. 360, 1° com

ma, n. 3, stesso codice, e sostiene che il tribunale, stante la

mancata comparizione di entrambe le parti nell'udienza di di

scussione, avrebbe dovuto rinviare la causa a una udienza suc

cessiva, per poi provvedere, in caso di reiterata assenza dell'ap

pellante, alla dichiarazione di improcedibilità dell'appello o, nel

caso contrario, alla decisione del merito della causa, tenuto conto

oltre tutto del fatto che l'atto di impugnazione era stato rego larmente notificato alla controparte il 20 luglio 1989.

Il motivo è fondato. Si deve premettere che ai fini della deci

sione deve farsi riferimento al vecchio testo degli art. 181 e 348

c.p.c., dato che l'impugnazione proposta dalla Sistilli involge

l'interpretazione di tali articoli di legge nel suddetto vecchio te

sto e considerato che il presente giudizio ha avuto inizio nel

l'anno 1987 (e la sentenza impugnata è stata emanata il 16 lu

glio 1992), vale a dire prima dell'entrata in vigore degli art.

16 e 54 1. 26 novembre 1990 n. 353 (v. l'art. 90 di tale legge, come modificato, da ultimo, dall'art. 9 d.l. 21 giugno 1995 n.

238). Ciò premesso, va rilevato che fino all'inizio degli anni novan

ta era dominante nella giurisprudenza di legittimità — a parte

qualche isolato dissenso (v., ad esempio, Cass. 25 novembre

1981, n. 6267, Foro it., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza

(controversie), n. 479) — quell'orientamento giurisprudenziale in base al quale si sosteneva, in forza della disposizione conte

nuta nell'art. 420, ultimo comma, c.p.c. (che vieta le udienze

di mero rinvio), l'inapplicabilità al rito del lavoro dell'art. 348

c.p.c. e si riteneva, quindi, che la mancata comparizione del

l'appellante nell'udienza di discussione integrasse una ipotesi di

inattività processuale propria del rito speciale, dalla quale deri

vava l'obbligo per il giudice di decidere il merito dell'impugna zione (v., per tutte, Cass., sez. un., 26 marzo 1982, n. 1884,

id., 1982, I, 1280; 5 aprile 1990 n. 2845, id., Rep. 1990, voce

cit., n. 279); argomenti, codesti, dai quali si traeva la conse

guenza che la mancata comparizione di entrambe le parti nel

l'udienza in questione fosse di per sé idonea a determinare l'im

mediata pronuncia di improcedibilità dell'appello a causa della

mancata prova da parte dell'appellante della avvenuta notifica

all'appellato dell'atto di impugnazione e del decreto di fissazio

cit-, ha affermato che «non sembra . . . che nel rigoroso sistema di

preclusioni e nei poteri del giudice in tema di acqusizione e valutazione

delle prove possa leggersi più di quanto i dati stessi esprimono . . . sino

a negare ogni rilevanza di disinteresse delle parti alla continuazione del

processo che non sia manifestato nelle forme di cui all'art. 306 c.p.c.». Sulla validità di opinioni prospettate sia in dottrina che in giurispru

denza circa le conseguenze derivanti in caso di ipotesi di mancata com

parizione delle parti all'udienza di discussione nel rito lavoro, v. L.

de Angelis, in Commentario breve al c.p.c. a cura di Carpi-Colesanti

Taruffo, 1994, III, 10, ove riferimenti. In particolare, A. Proto Pisa

ni ha sostenuto che le peculiarità strutturali e funzionali del rito specia le del lavoro, ed in particolare l'esigenza di concentrazione e la lettera

dell'ultimo comma dell'art. 420 c.p.c., non avrebbero consentito di ri tenere applicabile al rito speciale la disciplina prevista nel rito ordinario

dal testo degli art. 181 e 309 anteriore alla riforma del codice di rito

e che pertanto il giudice, in caso di inattività di entrambe le parti avreb

be dovuto disporre d'ufficio l'estinzione del giudizio e la sua archivia

zione (Problemi di coordinamento posti dal rito speciale del lavoro, in Riv. giur. lav., 1974, I, 385 e Controversie individuali di lavoro,

monografia estratta dal Digesto civ., 1993, spec. 35, 98). Il testo dell'art. 181, 1° comma, c.p.c., introdotto con l'art. 16 1.

26 novembre 1990 n. 353, avrebbe senz'altro consentito di colmare que sta lacuna del rito del lavoro nella sua applicazione coordinata con quella dell'art. 309 (F. P. Luiso, 7/ processo del lavoro, Torino, 1992, 220; Proto Pisani, Controversie, cit.; B. Capponi, in R. Vaccarella, B.

Capponi, C. Cecchella, Gli interventi sulla riforma del processo civi

le, Torino, 1992, 81), in quanto sarebbe venuto meno l'ostacolo costi

tuito dall'art. 420, ultimo comma, c.p.c. Tuttavia, seppur appartenente al gruppo delle disposizioni processuali novellate entrate in vigore il

1° gennaio 1993 e applicabili a tutti i processi civili, sia già pendenti che instaurati successivamente (G. Costantino, Il processo incivile nel

1995 (note sulla applicazione dimezzata della riforma), in Foro it., 1995,

V, 234), il testo originario di quella disposizione è stato reintrodotto

con piccoli ritocchi meramente formali, con la 1. 20 dicembre 1995 n.

534 (Le leggi, 1995, I, 4077; testo coordinato, ibid., II, 442), di conver

sione del d.l. 18 ottobre 1995 n. 432 (ibid., I, 3417) restituendo così

piena attualità all'orientamento fatto proprio dalla sentenza riportata.

Il Foro Italiano — 1996.

ne dell'udienza (Cass. 19 gennaio 1988, n. 385, id., Rep. 1988, voce cit., n. 305).

A questo orientamento, fatto oggetto di giusta critica da par te della dottrina, è stato però contrapposto un contrario indiriz

zo, che è stato basato sul rilievo secondo cui il suddetto art.

420, ultimo comma, c.p.c. non impedisce il rinvio dell'udienza

di discussione determinato da ragioni di natura processuale; sic

ché, eliminato l'ostacolo di carattere formale, in senso opposto è stato affermato che, ben potendo le lacune proprie del rito

del lavoro essere colmate, se compatibili, con le disposizioni dettate per il rito ordinario, al rito speciale è pure applicabile la norma di cui all'art. 348 c.p.c., con la conseguenza che, in

caso di mancata comparizione dell'appellante nell'udienza di di

scussione, il giudice di appello deve rinviare la causa ad altra

udienza senza possibilità di emanare una (immediata) decisione

di improcedibilità del gravame (v., in argomento, Cass. 7 mar

zo 1991, n. 2366, id., 1991, I, 1094, e nello stesso senso Cass.

14 aprile 1993, n. 4424, id., 1993, I, 2161). Questo secondo indirizzo ha poi ricevuto l'avallo delle sezioni

unite di questa corte, le quali, chiamate a pronunciarsi sul con

trasto giurisprudenziale che si era determinato, nella sentenza

n. 5839 del 25 maggio 1993 (id., 1993, I, 2161) hanno afferma

to il principio secondo cui la disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudi zio di primo grado che a quello di appello, si applica anche

alle controversie individuali di lavoro regolate dalla 1.11 agosto 1973 n. 533, non ostandovi la specialità del rito da questa intro

dotto. Secondo le sezioni unite, infatti, poiché l'ultimo comma

dell'art. 420 c.p.c. vieta solamente il «mero rinvio» dell'udienza

di discussione, ma non il rinvio dettato da ragioni processuali o da altro valido motivo (v., al riguardo, la sentenza interpreta tiva di rigetto della Corte costituzionale n. 302 del 31 dicembre

1986, id., 1987, I, 2590, che ha affermato che la pendenza di

trattative di bonario componimento è un motivo che giustifica il rinvio non mero dell'udienza di che trattasi), il regime dettato

nel rito ordinario per l'inattività delle parti deve ritenersi appli cabile anche al rito del lavoro e, ove tale inattività si verifichi

nell'udienza prevista dall'art. 437 c.p.c., si deve fare riferimen

to, rispettivamente, agli art. 181 (richiamato nel giudizio di se

condo grado dal successivo art. 359) e 348 c.p.c. a seconda che

nell'udienza in questione non siano presenti entrambe le parti o sia presente il solo appellato: fermo restando che in entrambe

le ipotesi non può essere consentita l'immediata decisione della

causa, dato che questa deve essere rinviata a una nuova udienza

da comunicarsi nei modi previsti, il ripetersi di tale difetto di

comparizione comporta conseguenze diverse nelle due suddette

ipotesi, giacché nella prima deve essere ordinata la cancellazio

ne della causa dal ruolo, mentre nella seconda deve essere di

chiarata l'improcedibilità dell'impugnazione (alternativa conclu

sione, codesta, alla quale, per la verità, non aderisce quella par te della dottrina che non ritiene applicabile al rito del lavoro

anche l'art. 181). Sulla base di tali argomentazioni, quindi, le

sezioni unite hanno cassato la sentenza del giudice di appello, il quale, proprio in una situazione in tutto e per tutto identica

a quella in esame (mancata costituzione dell'appellato e assenza

dell'appellante nell'udienza di discussione), aveva emanato una

pronuncia uguale a quella ora qui impugnata, dal momento che

era stata dichiarata l'improcedibilità dell'impugnazione per l'im

possibilità di accertare se il ricorso introduttivo del giudizio di

secondo grado fosse stato ritualmente notificato alla contropar

te, senza che fosse stato affrontato il problema dell'applicabili tà al rito del lavoro della disciplina dettata per l'inattività delle

parti nel rito ordinario.

Pertanto, poiché la corte ritiene di doversi adeguare all'indi

rizzo fatto proprio dalla più recente giurisprudenza di legittimi

tà, il ricorso proposto dalla Sistilli deve essere accolto e la sen

tenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa, per nuovo esame, ad altro giudice. Quest'ultimo, che si designa nel

Tribunale di Civitavecchia, dovrà uniformarsi ai principi enun

ciati nella suddetta sentenza n. 5839 del 1993 delle sezioni unite

della Corte di cassazione.

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