Sezione lavoro; sentenza 29 ottobre 1983, n. 6468; Pres. Rubinacci, Est. Ravagnani, P.M.Martinelli (concl. parz. diff.); Signori ed altri (Avv. Viola, Berti) c. I.n.a.d.e.l. (Avv. Capobianco)e Min. tesoro; I.n.a.d.e.l. c. Chiereghin e altri; Chiereghin c. I.n.a.d.e.l. e Min. tesoro; Bellemo c.I.n.a.d.e.l. e Min. tesoro. Cassa Trib. Venezia 22 marzo 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1984), pp. 1941/1942-1945/1946Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177231 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cessuale, per cui essa non annulla ila capacità processuale della
parte non colpita da incapacità legale (Cass. 11 giugno 1964, ti.
1467, id., Rep. 1964, voce Divisione, n. 37, in motivazione); ritenuto che l'ipotesi considerata non equivale ai casi in cui già
dall'inizio la parte agisce in giudizio a mezzo di procuratore (mandatario), pacificamente ammessi (v. Cass. 11 novembre 1981, n. 5973, id., Rep. 1981, voce Separazione di coniugi, n. 37, in
tema di separazione tra coniugi), non potendosi peraltro escludere che il mandatario, se munito di poteri, può intervenire nel
giudizio per determinati atti, come la transanzione, nei quali si
compie attività negoziale, sia pure nell'ambito del processo (onde non può esservi contraddizione con le osservazioni che precedo no); considerato ohe, prima di prendere ogni altro provvedimen to, è il caso dii sentire le parti;
per questi motivi, sciogliendo ila riserva, cosi provvede: 1) ordi na la comparizione delle partì davanti a sé; (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 29 ottobre
1983, n. 6468; Pres. Rubinacci, Est. Ravagnani, P. M. Mar tinelli (conci, parz. diff.); Signori ed altri (Avv. Viola, Berti) c. I.n.a.d.e.1. (Avv. Capobianco) e Min. tesoro; I.n.a.d.e.l. c.
Chiereghin e altri; Chiereghin c. I.n.a.d.e.1. e Min. tesoro; Bellemo c. I.n.a.d.e.l. e Min. tesoro. Cassa Trib. Venezia 22 marzo 1982.
Impiegato degli enti locali — Successione tra enti pubblici —
Dipendente della soppressa O.n.m.i. — Continuità del rapporto alle dipendenze di enti locali — Indennità di anzianità —
Liquidazione (L. 23 dicembre 1975 n. 698, scioglimento e tra sferimento delle funzioni dell'Opera nazionale per la prote zione della maternità e dell'infanzia, art. 6, 9; 1. 1° agosto 1977 n. 563, modifiche ed integrazioni alla 1. 23 dicembre 1975 n.
698, art. 5).
Impiegato dello Stato e pubblico — Crediti per prestazioni pre videnziali — Rivalutazione automatica — Esclusione — Fat
tispecie (Cod. proc. civ., art. 429; cod. civ., art. 1224). Impiegato degli enti locali — Indennità integrativa speciale —
Computabilità ai fini del trattamento di quiescenza — Esclusio ne — Fattispecie (L. 27 maggio 1959 n. 324, miglioramenti economici al personale statale in attività e in quiescenza, art.
1; 1. 3 marzo 1960 n. 185, modifica della 1. 27 maggio 1959 n.
324, art. 1; 1. 7 luglio 1980 n. 299, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 7 maggio 1980 n. 153, art. 3).
A seguito dell'intervenuto scioglimento dell'O.n.m.i. e del trasfe rimento delle funzioni ai comuni ed alle province, il rapporto di pubblico impiego presso l'O.n.m.i. si ricongiunge a quello
presso gli enti locali e pertanto, non sussistendo soluzione di
continuità nel rapporto di impiego, la liquidazione dell'inden
nità di fine servizio deve avvenire in unica soluzione, al
termine del rapporto, presso l'ente locale ricevente. (1) In materia di crediti previdenziali, esclusa l'applicabilità della riva
lutazione automatica di cui all'art. 429, 3" comma, c.p.c. la
reintegrazione del maggior danno conseguente alla svalutazione
monetaria comporta conseguentemente ai sensi dell'art. 1224, 2°
comma, c.c. l'onere di proposizione di una specifica domanda, il
cui contenuto non può esaurirsi sic et simpliciter nella domanda
(1) La sentenza conferma, sul punto, l'orientamento espresso da Trib. Venezia, che aveva riformato, fra le altre, Pret. Venezia 27 giugno 1981, Foro it., 1982, I, 305, con nota di richiami.
È interessante rilevare come da una convergente valutazione circa il carattere di unitarietà del rapporto di impiego presso l'O.n.m.i. e gli enti riceventi, il Pretore di Venezia giungesse a conclusioni opposte a
quelle ora ritenute dalla Cassazione. In particolare, non trova riscontro nella sentenza qui riportata la distinzione, operata da iPret. Venezia, fra i presupposti dell'indennità di anzianità prevista dal regolamento per il trattamento di quiescenza del personale O.n.m.i. ed i presupposti della indennità premio di servizio corrisposta dall'I.n.a.d.e.l.: distinzio ne da cui si faceva derivare, alla data dello scioglimento dell'O.n.m.i., la esigibilità del credito di corresponsione dell'indennità di anzianità, ormai definitivamente consolidata ed insuscettibile di riliquidazione.
La Cassazione, invece, con minore attenzione alla peculiare natura dell'indennità di anzianità e del rapporto esaurito corrispondente, fa leva sul dato dell'omessa previsione di distinte modalità di liquidazione delle due indennità e sul carattere unitario del trattamento di fine servizio in relazione alla « inalterata continuità oggettiva » del rapporto di servizio.
Sul difetto di soluzione di continuità fra il rapporto alle dipendenze dell'O.n.m.i. e quello intervenuto con gli enti riceventi, v., del resto, già Cass., sez. un., 22 ottobre 1979, n. 5470, id., Rep. 1979, voce Giurisdizione civile, n. 108.
di rivalutazione monetaria, ma deve articolarsi nella specifica richiesta di risarcimento del maggior danno derivato al credito
re dalla svalutazione o, quantomeno, nella prospettazione della
colpa del debitore. (2) L'indennità integrativa speciale deve essere esclusa dal calcolo
della retribuzione, agli effetti della liquidazione delle indennità
di fine servizio, anche relativamente al periodo di impiego successivo al 1° gennaio 1974, per il personale che non fosse a
quella data già iscritto all'I.n.a.d.e.l. e ciò fino al momento
dell'iscrizione (nella specie l'iscrizione all'I.n.a.d.e.l. dei dipen denti era avvenuta solo a seguito dello scioglimento del
l'O.n.m.i. e del trasferimento del personale agli enti locali
operato con l. 698/75). {3)
Motivi della decisione. — I ricorsi principali delle parti con
trapposte ed i rispettivi ricorsi incidentali vanno riuniti essendo
proposti avverso sentenze di identico contenuto.
I ricorrenti ex dipendenti 0..n.m.i., deducendo violazione e
falsa applicazione degli art. 9 e 6 1. 23 dicembre 1975 n. 698, modif. dall'art. 5 1. 1° agosto 1977 n. 563 e 277 c.p.c., assumono,
anzitutto, che dalla unitarietà del rapporto di lavoro non discen da la unicità del trattamento di fine servizio e la sua ineseguibili tà sino al collocamento in quiescenza. Invero, l'art. 9 citato
dovrebbe essere interpretato nel senso che sia doverosa e non
meramente facoltativa la liquidazione dell'indennità di anzianità
maturata presso l'O.n.m.i. alla data di cessazione del rapporto con -l'opera, essendovi sotto tale profilo una netto soluzione di
continuità nella posizione dei lavoratori alla data del 31 dicembre
1975, tanto più che, al contrario, secondo i principi generali, sarebbero applicabili solo le norme vigenti al momento della
conclusione definitiva del rapporto, mentre non sarebbe previsto alcun meccanismo di -riliqu'idatfiane del trattamento O.n.mi., sic
ché la liquidazione posticipata dell'indennità di anzianità matura
ta fino alla cessazione del rapporto con l'opera comporterebbe un
sicuro deterioramento della posizione economica dei lavoratori.
Questi, assumono, poi, che l'indennità integrativa speciale a
vrebbe dovuto essere computata nel calcolo del trattamento di
fine servizio in quanto parte integrante della retribuzione e
rilevante quindi ai fini della determinazione sia dell'indennità di
anzianità sia di quella di buonuscita, costituenti il trattamento di
quiescenza del personale dell'O.n.mi. secondo Al relativo -regola mento.
I ricorrenti assumono altresì che l'omesso versamento al
l'Ln.ad.e.l., da parte dell'ufficio liquidazione, delle indennità ma
turate durante il rapporto con l'O.n.m.i. abbila pregiudicato la
posizione dei dipendenti e questi quindi correttamente avrebbero
evocato in giudizio sia l'I.n.a.d.e.1. sia il predetto ufficio.
I ricorrenti lamentano infine che per la quantificazione del
danno da parte del Tribunale di Venezia siano stati adottati
criteri illogici ed irrazionali.
II ricorso degli ex dipendenti è in ogni sua articolazione
infondato.
Per quanto attiene al controverso punto della continuità o non
del rapporto di impiego a 'seguito della -soppressione dell'O.n.m.i.
(2) La sentenza si iscrive nell'indirizzo giurisprudenziale su cui, da
ultimo, Cass. 28 aprile 1984, n. 2674, Foro it., 1984, I, 1521, con nota di richiami di Casamassima ed esclude la rilevanza automatica del fatto notorio della svalutazione monetaria, postulando vice versa l'onere di allegazione e di prova degli elementi costitutivi del
maggior danno ex art. 1224, con riferimento alle condizioni personali del creditore (oltre alla prospettazione della domanda in coerenza con i presupposti fondativi della responsabilità civile).
(3) Anche sul punto la Cassazione non ha ritenuto di accogliere le conclusioni a cui era giunta Pret. Venezia 27 giugno 1981, cit. (la cui motivazione era riproduttiva, nella parte de qua, di Pret. Venezia 11 febbraio 1980, Foro it., 1980, I, 1197, con nota di Genoviva).
A sua volta la decisione di Pret. Venezia si discostava da Pret. Parma 20 giugno 1981, id., 1982, I, 307, con nota di richiami, la
quale, procedendo ad interpretazione estensiva dell'art. 22, 2° comma, 1. 3 giugno 1975 n. 160 perveniva alla conclusione della computabilità dell'indennità integrativa speciale nella base contributiva per il calcolo della indennità premio di servizio corrisposta dall'l.n.a.d.e.l. (laddove Pret. Venezia aveva ritenuto di doverla ammettere limitatamente al
periodo di servizio prestato dai dipendenti presso l'O.n.m.i. e, successi
vamente, a seguito dell'intervento del d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032). La sentenza in epigrafe censura l'argomentazione di Pret. Venezia,
fondata sull'interpretazine degli art. 37 e 38 d.p.r. 1032/73, senza esami nare i possibili riflessi sulla fattispecie della norma della 1. 160/75.
Nel senso della non computabilità dell'indennità integrativa speciale ai fini del calcolo della indennità di fine rapporto, è del resto orientata da tempo la giurisprudenza amministrativa (oltre ai precedenti citati in
motivazione, v., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 1981, n.
25, id., Rep. 1981, voce Impiegato dello Stato, n. 1146; T.A.R. Piemonte 31 gennaio 1979, n. 61, id., Rep. 1979, voce cit., n. 963).
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1943 PARTE PRIMA 1944
ed alla conseguente individuazione della data di maturazione del
diritto al trattamento di fine servizio per il periodo anteriore a
detta soppressione, devesi rilevare ohe non sussistono né nell'or
dinamento generale né nella disciplina positiva del particolare
rapporto di impiego della ricorrente Cevolani principi o norme in
qualche modo idonei a suffragare la tesi del frazionamento del
rapporto del lavoro al momento della soppressione dell'0.n.m.i.
È invero princìpio generale dell'ordinamento, enucleatile dalla
disciplina del rapporto di lavoro privatistico (art. 2112, 2120,
2121 c.c.) quello per il quale devesi ravvisare un fenomeno
successorio in ogni ipotesi in cui, pur mutando uno dei soggetti, restì oggettivamente identico il rapporto, di modo che, a seguito di tale fenomeno, possa configurarsi non la nascita di un nuovo
rapporto, ma la prosecuzione del medesimo. Permanendo, quindi,
l'identica fattispecie pur nel mutare dei soggetti, può e deve farsi
luogo ad una sola liquidazione del trattamento di fine servizio,
restando indifferente la continuità del rapporto alla sue vicende
soggettive ed anche alle eventuali modifiche di contenuto attinenti
al normale svolgimento del rapporto medesimo.
Orbene, non diversi principi devesi ritenere che regolino il
settore del pubblico impiego, posto che ogni ipotesi di successio
ne tra enti pubblici, pur con le cautele imposte dalla necessità di
adeguamento dei rapporti trasferiti alle esigenze organizzative ed ai fini dell'ente successore, comporta un trapasso di funzioni e
di strutture organizzative cui sono inscindibilmente connessi i
rapporti di lavoro costituiti per la realizzazione di quei fini. Ne
consegue che, se inalterati rimangono quei presupposti cui la
legge collega la costituzione originaria dei rapporti, e, dopo
l'estinzione dell'ente, la loro prosecuzione presso l'amministrazio
ne ricevente, non sussistono motivi per ravvisare in tale vicenda
una novazione oggettiva, che non trova riscontro né nella volontà
delle iparti (art. 1230 c.c.) né nella stessa legge attuativa della
successione.
È questo il caso delle particolari norme che regolano il
passaggio dei dipendenti dell'O.n.m.i. allo Stato o agli enti locali,
atteso che, dovendo le funzioni originarie dell'opera continuare
ad essere sia dello Stato sia degli enti locali, la volontà legislativa di considerare sostanzialmente unico il rapporto di servizio di tali
dipendenti si evince inequivocabilmente dalla 1. n. 698/75, che
prevede la liquidazione del trattamento di quiescenza sulla base
del ricongiungimento di tutti i servizi, evidentemente sul presup
posto della inalterata continuità oggettiva dei rapporti medesimi. In particolare, la indicata 1. n. 698/75, recante scioglimento e
trasferimento delle funzioni dell'O.n.m.i., dopo aver disposto la
soppressione dell'ente, precisando le modalità delle operazioni di
liquidazione (art. 1) ed il trasferimento sìa delle funzioni ammi
nistrative sia dei poteri di vigilanza e di controllo, sia delle
funzioni di carattere internazionale, ripartendole fra lo Stato e le
regioni a statuto ordinario e speciale (art. 2), stabilisce testual
mente, nel successivo art. 6, 1° comma, che « il personale è
trasferito con decreto del ministro della sanità entro sei mesi
dalla data di scioglimento e con effetto dal 1° gennaio 1976 alle
province ed ai comuni, in corrispondenza delle funzioni loro
attribuite ». Con effetto dalla stessa data e fino all'inquadramento nei rispettivi ruoli le province ed i comuni provvederanno a
corrispondere al personale medesimo il trattamento economico già in godimento alle dipendenze dell'O.n.m.i.
Da ciò si evince che nel sistema di trasferimento disciplinato dall'art. 6 il rapporto di pubblico impiego presso l'O.n.m.i. si
ricongiunge a quello presso le province ed i comuni, senza che il
passaggio del pubblico dipendente da un ente ad un altro dia
luogo ad alcuna soluzione di continuità. Pertanto, neppure è
ipotizzabile la sussistenza di un rapporto, sia pure transitorio, che
si inserisce con caratteri privatistici fra la cessazione di quello di pubblico impiego presso l'O.n.m.i. e quello di uguale natura
presso te province e d comuni (cfr. ®ez. un. 22 ottobre 1979, n. 5470
Foro it., Rep. 1979, voce Giurisdizione civile, n. 108).
D'altra parte, che la liquidazione delle indennità di fine servi
zio debba avvenire in una unica soluzione ed al termine del
rapporto è comprovato dal fatto che, se diversa fosse stata la
intenzione del legislatore, sarebbe stato necessario prevedere e
espressamente due tempi e due modalità di liquidazione, anziché
non il pagamento diretto dell'indennità ai dipendenti ma il
trasferimento dei fondi relativi dall'ufficio liquidazione dell'O.n.m.i.
all'I.n.a.d.e.l. (Omissis) Il ricorso principale dei dipendenti della disciolta O.n.m.i. deve
quindi essere rigettato. Quanto invece al ricorso principale proposto dall'I.n.a.d.el.
devesi osservare quanto segue. L'istituto ricorrente denuncia: a) violazione e falsa applicazione
dell'art. 9 1. 23 dicembre 1975 n. 698, (dell'art. 5 1. 1° agosto 1977 n.
563 con riferimento al regolamento per lil trattamento di quiescenza
del personale dell'O.n.m.i., approvato con decreto interministeriale
del 5 agosto 1969; b) violazione e falsa applicazione dell'art. 437
c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; d) falsa
applicazione dell'art. 1224 c.c.
Premesso che il trattamento di fine servizio deve essere erogato
agli ex dipendenti deH'O.n.m.i. trasferiti agli enti locali, per
quanto riguarda il servizio previsto dal regolamento per il tratta
mento di quiescenza, secondo il quale l'indennità di buonuscita
spetta solo ai dipendenti ancora iscritti all'Ln.p.s. per non avere
optato entro il 31 dicembre 1975 alla C.pjd.e.l. (Cassa previdenza
dipendenti enti locali), assume l'istituto ricorrente che l'eccezione
sollevata in appello circa l'esercizio dell'opzione da parte delle
dipendenti e circa la conseguente insussistenza del diritto all'in
dennità di buonuscita abbia soltanto sviluppato la contestazione
in toto delle domande proposte in primo grado e non avrebbe
quindi dovuto essere dichiarata inammissibile, attenendo, oltre a
tutto, al merito della causa suscettibile di esame d'ufficio.
Lamenta poi l'I.n.a.d.e.1. che il Tribunale di Venezia non abbia
esaminato la difesa dell'istituto secondo cui non avrebbe dovuto
essere liquidate somme maggiori di quelle dovutegli dall'ufficio
liquidazione e non avrebbe dovuto computarsi nella retribuzione
posta a fondamento del calcolo del trattamento di fine servizio
l'indennità integrativa speciale. Assume infine l'istituto ricorrente che il tribunale non avrebbe
dovuto procedere alla liquidazione del danno lamentato a norma
dell'art. 1224 c.c., per totale mancanza dei relativi presupposti e
per difetto di automatismo della sua applicazione per il solo fatto
della diminuzione del potere di acquisto della moneta.
Il ricorso merita accoglimento soltanto per quanto attiene al
computo dell'indennità integrativa speciale ed all'applicabilità del
la norma di cui all'art. 1224 ex;. (Omissis)
Infine, va accolta altresì' la deduzione (2° motivo) relativa al
risarcimento del maggior danno di cui all'art. 1224, 2° comma,
ex. Devesi in proposito premettere che i giudici di secondo grado
hanno dichiarato sussistente la giurisdizione del giudice ordinario
nella controversia in atto, in quanto hanno qualificato di natura
previdenziale, non di lavoro — poiché in tal caso la controversia
avrebbe dovuto essere devoluta alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, siccome relativa a rapporto di pubblico
impiego — i crediti dei quali le ex dipendenti dell'Ojn.m.i.
avevano chiesto l'accertamento, ponendosi il rapporto di impiego come il presupposto esterno, nettamente distinto, anche quanto al
momento costitutivo, da quello previdenziale.
Ora, tale capo della sentenza, non essendo stato impugnato dinanzi a questa Corte suprema, devesi necessariamente ritenere
passato in giudicato, in quanto il giudicato sulla giurisdizione si
forma appunto anche quando il giudice del merito abbia su di
essa espressamente pronunciato, decidendo contemporaneamente sul merito, e la sentenza avente tale contenuto non sia stata
impugnata (cfr. Cass. 4 gennaio 1980, n. 4, id., Rep. 1980, voce
Giurisdizione civile, n. 104). E in considerazione dell'estendersi
del giudicato ai presupposti della relativa decisione (cfr. Cass.,
Sez. un., 25 febbraio 1982, n. 1186, id., Rep. 1982, voce cit., n.
112; 6 giugno 1979, n. 3186, id., Rep. 1979, voce cit., n. 148) devesi ritenere altresì formato il giudicato sulla qualificazione
giuridica dei crediti in questione, essendovi un nesso inscindibile
tra la natura di essi e la dichiarazione della giurisdizione nella
relativa controversia, sicché come ogni questione sulla giurisdizio ne cosi ogni questione sulla natura previdenziale dei crediti
controversi devesi considerare ormai preolusa. Diversamente opi
nando, si ammetterebbe la scindibilità delle ragioni della riparti zione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice ammini
strativo dalla ripartizione stessa, in funzione della scelta operata dalle parti in ordine all'esercizio o non della facoltà di impugna zione del capo della sentenza concernente la giurisdizione, in
materia, quindi, sotratta alla disponibilità delle parti stesse.
La conseguenza tratta dai giudici del merito in ordine alla non
applicabilità dell'art. 429 c.p.c. è conforme alla giurisdizione di
questa Suprema corte, che ha costantemente negato la rivalutazione
automatica dei crediti previdenziali, in considerazione della qualità del soggetto debitore (cfr. sez. un. 14 luglio 1983, n. 4812, id.,
Rep. 1983, vooe Lavoro e previdenza (controversie), n. 402; sez.
lavoro 2 luglio 1981, n. 4674, id., Rep. 1981, voce Impiegato dello
Stato, n. 816; 11 dicembre 1979, n. 6453, id., Rep. 1979, voce cit.,
nn. 1014, 1053), e non merita quindi censura discendendo dal
presupposto, non più controvertibile, della natura previdenziale
dei crediti in questione. La sentenza impugnata merita invece censura, come si è detto,
sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'art. 1224, 2° comma,
c.c. Invero, in tema di crediti pecuniari non di lavoro, la
svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore,
pur potendo essere causa di danni maggiori di quelli suscettibili
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di ristoro con l'attribuzione dei soli interessi legali, non giusti fica in sé alcun risarcimento automatico. In tal caso, invero, il
creditore ha, ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, l'onere di allegare e dimostrare, sia pure valendosi, senza alcuna limitazione, di ogni
possibile mezzo di prova, il pregiudizio patrimoniale specifica mente risentito.
Ora, è bensì vero che, nell'ipotesi di crediti per prestazioni
previdenziali (esclusi come si è detto, dalla rivalutazione automa
tica di cui all'art. 429, 3° comma, c.p.c.) ai fini della valutazione
delle condizioni personali del creditore — rilevante in ordine alla
determinazione -del maggior danno di cui all'art. 1224, 2° comma, cit. — assume peculiare significato ex se la qualità di pensionato rivestita dal creditore medesimo ed è particolarmente giustificato il ricorso ai criteri equitativi, in considerazione sia della norma
dell'art. 432 c.p.c., sia dei maggiori poteri istruttori conferiti al
giudice del lavoro (conf. Cass. 22 ottobre 1981, n. 5555, id., Rep. 1981, voce Danni civili, n. 185), ma persiste pur sempre, oltre al
rilevato onere di allegazione e di prova, anche l'onere della
proposizione della relativa domanda, il cui contenuto non può esaurirsi — come è dato invece rilevare nella specie — nella
domanda di rivalutazione monetaria, ma deve invece articolarsi nella specifica richiesta di risarcimento del maggior danno deriva to al creditore dalla svalutazione e quanto meno nella prospetta zione della colpa del debitore.
Il ricorso dell'I.n.ad.eJ. va quindi rigettato per quanto attiene
alla prima parte e va invece accolto limitatamente alla seconda.
Con il ricoriso incidentale la Bellemo e la Chiereghin lamentano che il tribunale non abbia incluso nella retribuzione l'indennità
integrativa speciale ed abbia liquidato il danno subito per effetto della mancata corresponsione del trattamento di fine servizio con criteri illogici ed irrazionali.
Quest'ultimo profilo della censura è evidentemente assorbito da
quanto si è detto a proposito dell'esame della seconda parte del ricorso principale dall'I.n.a.d.e.1. in ordine all'applicazione dell'art. 1224 c.c.
Il primo profilo della censura è invece infondato e quindi rigettato.
Non è controverso che il diritto dei dipendenti dell'O.n.m.i. all'indennità integrativa speciale sia attribuito dal regolamento per il trattamento di quiescenza con riferimento alle fonti legislative del medesimo diritto in favore dei dipendenti statali.
Dovendosi quindi far riferimento in particolare alla 1. 27
-maggio 1959 n. 324, istitutiva di detta indennità, va rilevato come l'esclusione di questa dal calcolo -della retribuzione agli effetti del trattamento di fine servizio sia espressamente sancita dall'art. 1, 1° comma, lett. c), di detta legge, modificato dall'art. 1 1. 3 marzo 1960 n. 185, secondo cui essa appunto non è
computabile agli effetti del trattamento di quiescenza e di previ denza e dell'indennità di licenziamento.
L'interpretazione letterale della norma non dà adito a dubbi e, d'altra parte, in tal senso si è sempre espressa la giurisprudenza del Consiglio -di Stato (sez. VI 30 gennaio 1976, n. 18, id., Rep. 1-976, voce Impiegato dello Stato, nn. 1291, 1766; 29 gennaio 1974, n. 51, id., Rep. 1974, voce cit., nn. 560, 837).
Il Tribunale di Venezia ha quindi correttamente negato il diritto al computo dell'indennità integrativa speciale nella retribu zione ai fini dei trattamenti -di cessazione del servizio, ed ha
puntualmente precisato che tale diritto può essere fondato soltan to sull'art. 3 1. 7 luglio 1980 n. 299, per il quale esso è attribuito bensì con effetto retroattivo sin dal 1° gennaio 1974, ma al solo
personale iscritto aH'I.n.ad.e.1. e, quindi, con esclusione — per il
periodo di servizio prestato .presso l'O.n.m.i. — del personale di
questo ente che solo per effetto dell'art. 9 1. 23 dicembre 1975 n. 698 è stato iscritto a detto istituto a seguito del trasferimento agli enti locali e, quindi, dopo la cessazione del rapporto con l'O.njm.i.
Ned limiti dell'accoglimento delle censure via pertanto cassa ta Ila sentenza impugnata e ila causa va rinviata -per nuovo relativo esame ad un giudice di pari grado, che si designa nel Tribunale di Padova. <Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 26 ottobre
1983, n. 6315; Pres. Brancaccio, Est. Senofonte, P.M. Pan
dolfelli (conci, diff.); Istituto autonomo per le case popolari di Palermo (Avv. Di Stefano, Barbasso Gattuso) c. E.n.el.
(Aw. Gonnelli, Buffa). Cassa App. Palermo 2 marzo 1981.
Procedimento civile — Autorizzazione a stare in giudizio —
Irregolarità — Sanatoria — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
182; r.d. 25 maggio 1936 n. 1049, approvazione dello statuto tipo contenente le nonne fondamentali che dovranno essere riportate negli statuti organici dei singoli istituti autonomi provinciali per le case popolari, art. 10, 14).
L'autorizzazione di un ente pubblico a stare in giudizio (nella specie, istituto autonomo per le case popolari) da parte degli organi competenti può intervenire anche per la prima volta in Cassazione sanando cosi, retroattivamente, le irregolarità verifi catesi nelle pregresse fasi di merito. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, il ricorrente, denunziando, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 10, 14 r.d. 1049/36 (recepiti dalle corri spondenti norme dello statuto dell'ente), 182 c.p.c., premesso che non esiste nei confronti degli enti pubblici non territoriali una norma di carattere generale dalla quale si tragga la necessità che l'organo rappresentativo sia autorizzato a stare in giudizio dall'organo deliberante, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che l'autorizzazione a stare in giudizio, da parte del
consiglio, prescritta dalla lett. /) dell'art. 14 cit. limitatamente alle azioni giudiziarie che l'istituto intende « promuovere », sia pari menti necessaria nel caso in cui esso sia convenuto e, quindi, chiamato soltanto a resistere. Aggiunge che, supposta la necessità dell'autorizzazione, la corte d'appello avrebbe dovuto non dichia rare inammissibile l'appello, bensì nullo il giudizio di primo grado con la relativa sentenza.
Con il secondo motivo, il ricorrente, sostiene che la corte ha, altresf, errato nel ritenere precluso il potere di sanatoria dell'e ventuale irregolarità, in quanto codesto potere, operando, retroat tivamente, travolge qualsiasi preclusione di carattere processuale.
Stante il persistente contrasto di opinioni (che rispecchia pole micamente il tradizionale antagonismo tra concettualismo e rea lismo nell'analisi dell'esperienza giuridica) sul modo dì operare della sanatoria prevista, per evidenti ragioni di economia proces suale, dall'art. 182 c.p.c., con particolare riguardo alla disposizio ne del 2° comma, è opportuno premettere che, secondo la prevalente e più liberale giurisprudenza di questa Corte suprema, dalla quale non è il caso di discostarsi: a) l'autorizzazione a stare in giudizio {al pari della ratifica degli atti adottati in via d'urgenza) concorre ad integrare la capacità processuale (legiti matio ad processum) dell'ente e costituisce una condizione di efficacia della relativa costituzione, con la conseguenza che essa può intervenire anche per la prima volta in Cassazione, ancorché sia scaduto il termine per proporre impugnazione sanando, cosi, retroattivamente, data la fondamentale unità del rapporto proces suale, le irregolarità verificatesi nelle pregresse fasi di merito (Cass. 4 giugno 1981, n. 4122, Foro it., Rep. 1981, voce La lavoro e previdenza (controversie), n. 490; 15 dicembre 1980, n. 6490, id., Rep. 1980, voce Cassazione civile, n. 18; 20 marzo 1980, n. 1879, ibid., voce Procedimento civile, n. 28; 17 gennaio 1980, n. 408, ibid., n. 292; 20 gennaio 1979, n. 432, id., Rep. 1979, voce Cassazione civile, n. 18); b) il provvedimento integrativo, rela tivo al (giudizio d'i merito, può anche essere prodotto per la prima volta in Cassazione, con efficacia sanante, purché la produzione av venga prima dell'iniziio della discussione i(iGass. 15 dicembre 1980, n. 6490, cit., e 17 gennaio 1980, n. 408, cit.; 20 gennaio 1979, n. 432, id., Rep. 1979, voce cit., n. 18; 15 novembre 1977, n.
4975, id., Rep. 1977, voce cit., n. 12; 18 aprile 1973, n.
(1) Come viene riconosciuto dalla Cassazione nella sentenza in epigra fe, in giurisprudenza si è manifestato un persistente contrasto di opinio ni circa il modo di operare della sanatoria prevista dall'art. 182, 2° comma, c.p.c. Su tale situazione di incertezza non solo giurisprudenzia le ma anche dottrinale cfr., in aggiunta ai precedenti richiamati in motivazione, le indicazioni contenute nella nota di C. Bendinelli a Cass. 18 ottobre 1982, n. 5416, Foro it., 1983, I, 1673.
Le sezioni unite consce di questi differenti orientamenti hanno composto il contrasto delineatosi tra le sezioni semplice con la sentenza del 21 novembre 1983, n. 6919, ibid., 2988 nella quale, optando per la interpretazione meno formalistica, viene riconosciuto alla autorizzazione tardiva una efficacia sanante ex tunc. Ciò nel senso che, in qualsiasi stato e grado essa intervenga, regolarizza il rapporto sanando retroattivamente le eventuali irregolarità dei precedenti gradi del giudizio. Pertanto, come chiarito nella motivazione della sentenza che si riporta, la salvezza delle decadenze anteriormente verificatesi, di cui parla il 2° comma dell'art. 182 c.px., si riferisce unicamente a decadenze di carattere sostanziale e non anche a decadenze processuali (quali innanzitutto quelle derivanti dai termini per impugnare).
La sentenza in epigrafe — sentenza che si riporta per la chiarezza delle sue argomentazioni e la consapevolezza delle dimensioni dei problemi — è cronologicamente anteriore alla decisione 6919/83, cit., delle sezioni unite che ha composto il contrasto, e rappresenta quindi in modo significativo non già una conferma bensf una anticipazione della medesima.
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