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sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante(concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli,Lironcurti) e Soc. Cosber (Avv. Scotta). Conferma Trib. Torino 20 luglio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3073/3074-3077/3078Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179120 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). Con l'unico motivo di ri
corso il Calisti svolge due censure.
Con la prima, lamenta che la cancelleria del Tribunale di Viter
bo abbia omesso di comunicare al Calisti con biglietto di cancel
leria l'avvenuto deposito presso la cancelleria stessa della notifica
della sentenza impugnata a cura della controparte nei confronti
dell'avv. Picone.
Con la seconda censura, lamenta che la corte di merito abbia
interpretato in maniera illogica l'elezione di domicilio che anche
l'avv. Picone aveva inteso fare in Celleno nello stesso studio del
l'avv. Calisti, la cui causa difendeva sia congiuntamente che di
sgiuntamente, come rilevavasi chiaramente dallo stesso tenore della
procura.
Quest'ultima censura, che deve essere esaminata per prima rile
vandosi assorbente rispetto alla precedente in quanto nega in ra
dice la possibilità nella specie di notificare gli atti all'avv. Picone
mediante deposito in cancelleria, merita pieno accoglimento. È ben vero, infatti, che, essendo consentito alle parti farsi rap
presentare in giudizio da più procuratori aventi eguali autonomi
poteri, le notifiche che si rendano necessarie nel corso del proces so possono essere validamente eseguite a ciascuno di essi (Cass. 20 giugno 1959, n. 1955, Foro it., Rep. 1959, voce Procedimento
civile, n. 121), applicando ovviamente le regole di notifica che
si riferiscono a quello dei procuratori cui si intende notificare
l'atto. Tuttavia, quando, come nella specie, uno dei procuratori eserciti il proprio ufficio entro la circoscrizione del tribunale adi
to ovvero abbia eletto domicilio nel luogo ove esso ha sede la
controparte non può notificare gli atti all'altro procuratore depo sitandoli in cancelleria ai sensi dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934
n. 37 giovandosi del fatto che quest'ultimo, appartenente alla cir
coscrizione di altro tribunale, non abbia espressamente eletto do
micilio, a sua volta, nel luogo sede del tribunale, perché, in tal
caso, deve presumersi che il procuratore abbia inteso domiciliarsi
presso lo stesso domicilio dichiarato dal collega insieme al quale
rappresenta e difende il cliente: che, in altri termini, la comunan
za di difesa comporti, in mancanza di dichiarazioni contrarie, anche comunanza del domicilio nel quale notificare gli atti del
processo. La doverosità di una siffatta presunzione nasce dalla constata
zione non soltanto dell'/c? quod plerumque accidit, ma anche dal
fatto che il deposito degli atti in cancelleria, come forma alterna
tiva di notifica, deve considerarsi potenzialmente pregiudizievole
degli interessi della parte cui è diretta, essendo, certamente, meno
idonea, rispetto a tutte le altre normali forme di notifica, a por tare il contenuto degli atti a tempestiva conoscenza del destinata
rio, tanto da apparire, in più di un caso, quasi una reazione creata
dall'ordinamento per il mancato assolvimento di un onere (nella
specie, quell'elezione di domicilio entro la circoscrizione del tri
bunale che facilita i normali modi di notifica).
11 nostro ordinamento processuale, invero, a tutela del diritto
di difesa riconosciuto come intangibile nella nostra stessa Costi
tuzione (art. 24), tende ad assicurare sempre l'effettività del con
traddittorio e, al fine di garantirlo, disciplina secondo una
graduazione imposta dalle diverse circostanze considerate, ma sem
pre in maniera rigorosa, le forme della notifica degli atti alla
controparte (notifica che del contraddittorio è il primo presuppo
sto) perché esse riescano veramente efficaci: riescano, cioè, vera
mente a porre in grado la controparte di sapere che un atto gli
è stato trasmesso e di apprenderne il contenuto. La prima forma
di notifica prevista dal legislatore è infatti, quella più sicura e
incontestabile (art. 138 p.c.) perché avviene nelle mani stesse del
la persona che ne è destinataria. Segue l'indicazione di diversi
altri luoghi nei quali la notifica può essere eseguita (la casa di
abitazione, l'ufficio, la sede dell'impresa, il domicilio eletto): tut
ti i luoghi cosi pertinenti al destinatario della notifica da ritenere
pressoché sicuro che egli abbia notizia dell'arrivo dell'atto e pos
sa leggerne il contenuto. Solo in estremo subordine o, comunque,
in casi eccezionali il legislatore consente la notifica in forma im
personale mediante deposito presso un pubblico ufficio o in altri
modi che meno sicuramente sono suscettibili di portare il conte
nuto degli atti a conoscenza della persona interessata.
Se, dunque, lo stesso legislatore, solo in estremo subordine,
prende normalmente in considerazione come forma di notifica
il deposito degli atti presso pubblici uffici (ivi compresa la cancel
leria dell'ufficio giudiziario presso cui si procede), deve interpre
tarsi in senso estensivo ogni dichiarazione di parte che, altrimenti
intesa, porterebbe ad ammettere tale residuale forma di notifica.
Il Foro Italiano — 1987.
E l'estensività della interpretazione significa, nel caso di cui trat
tasi, ritenere sottintesa nella costituzione dell'avv. Picone (di un
circondario diverso da quello del Tribunale di Viterbo avanti al
quale il Calisti era stato citato) la volontà non solo di difendere
costui in unione col medesimo (che, in quanto procuratore legale iscritto nel distretto intendeva difendersi anche personalmente), ma anche quella di voler eleggere lo stesso domicilio eletto dal
collega, realizzando quella comunanza di domicilio che quasi sem
pre è dato riscontrare nella comunanza di difesa, ed evitando
così il rischio che gli atti gli potessero venire notificati in cancelleria.
Conseguentemente la notifica della sentenza di primo grado fatta
all'avv. Picone mediante deposito in cancelleria deve ritenersi non
valida ai fini del decorso del termine per appellare di cui all'art.
325 c.p.c. dovendosi intendere egli domiciliato presso l'avv. Cali
sti e, quindi, tempestivo l'appello proposto dall'avv. Calisti. La
sentenza della corte romana che, ritenendo il contrario, ha di
chiarato inammissibile l'appello del Calisti, deve, dunque, essere
cassata e la causa rimessa ad altro giudice per il suo riesame.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 30 marzo
1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amiran
te (conci, conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c.
I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli, Lironcurti) e Soc. Co
sber (Avv. Scotta). Conferma Trib. Torino 20 luglio 1983.
Lavoro (rapporto) — Appalto di manodopera — Obbligo di pa
gamento dei contributi previdenziali — Soggetto interposto —
Responsabilità (L. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di interme
diazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova
disciplina dell'impiego della mano d'opera negli appalti di ope re e di servizi, art. 1).
Posto che la nullità del rapporto di interposizione nelle prestazio ni di lavoro non comporta la liberazione del soggetto interpo sto dagli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, ma la
responsabilità di questi permane e concorre in via autonoma
con quella dell'imprenditore, che abbia effettivamente utilizza
to le prestazioni, tale soggetto resta obbligato al pagamento dei contributi a favore degli enti previdenziali. (1)
(1) La Cassazione continua a proporre, sul tema dei rapporti interposi
tori, soluzioni fondamentalmente empiriche e non del tutto coerenti ri
spetto al quadro di riferimento che ha cercato complessivamente di costruire
in questi anni. Il tema dibattuto nella sentenza che si riporta è quello della sussistenza
di una permanente responsabilità del soggetto interposto per le obbliga zioni scaturenti dal rapporto di lavoro posto in essere nel contesto dell'in
tesa interpositoria. L'obiettivo di ritenere comunque vincolato tale soggetto, nonostante
il dato ineludibile della nullità del segmento dell'intesa (nullità pacifica mente enucleabile dalla sussistenza di un divieto legale di appalti di ma
nodopera) è attinto ricorrendo nella sostanza a veri e propri artifici retorici.
Nella sentenza riportata infatti la permanenza della responsabilità in
capo all'interposto è considerata una sorta di corollario del dato secondo
cui quest'ultimo non può avvalersene per sottrarsi alle proprie obbliga
zioni, ipotesi costruttiva questa già predicata in altre decisioni (v. Cass.
18 ottobre 1983, n. 6093, Foro it., 1984, I, 1025, con nota di O. Mazzot
ta, ove un riepilogo dei tortuosi itinerari giurisprudenziali in argomento). In altre decisioni il medesimo risultato interpretativo è affermato più
che dimostrato: cosi Cass. 18 febbraio 1982, n. 1041 (id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 680, menzionata in motivazione) fa prevalen temente leva sulla circostanza dell'affidamento dei terzi sull'apparenza della situazione giuridica, assumendo che «un'attività illecita ed illegale fra costoro intervenuta non vale ad eliminare la fonte dell'obbligo, per l'uno derivante dalla propria attività di instaurazione di un contratto con
i dipendenti e per l'altro dalla legge a garanzia unica e totale di questi ultimi». In modo più asciutto Cass. 136/75 (id., Rep. 1975, voce cit., n. 566, anch'essa menzionata in motivazione) si limita alla mera consta
tazione che la responsabilità dell'interposto possa e debba risorgere quan do la sostituzione al datore di lavoro «riesca di danno» per il lavoratore.
In qualche misura, allora, appare radicata su basi giuridiche più solide
la posizione di quel giudice di merito (v. Pret. Pontedera 1° marzo 1976,
id., 1977, I, 237) che ritenne di poter tenere giuridicamente vincolato
l'appaltatore di manodopera utilizzando lo schema dell'interposizione reale
(sul presupposto che, nella specie, i lavoratori ignoravano l'identità del
l'effettivo utilizzatore delle loro prestazioni). Costruzione questa alla quale
può semmai obiettarsi non soltanto che non sempre si verifica in fatto
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3075 PARTE PRIMA 3076
Svolgimento del processo. — In data 30 ottobre 1981 l'I.n.p.s. notificava a Barbatano Giuseppe decreto ingiuntivo del Pretore
di Torino per il pagamento della somma di lire 142.651.514 oltre
interessi e spese per omesso versamento dei contributi relativi ai
suoi dipendenti per il periodo 1° settembre 1979-31 maggio 1980.
Avverso tale decreto il debitore proponeva opposizione, soste
nendo di aver in detto periodo con la s.a.s. Cosber e la s.p.a.
Zacogen contratti di appalto che costituivano un'intermediazione
di mano d'opera, per cui esse erano le vere datrici di lavoro nei
confronti degli operai. Il pretore autorizzava la chiamata in causa di dette società,
le quali, costituitesi in giudizio, contestavano l'assunto avversa
rio. La società Cosber inoltre chiedeva e otteneva dal pretore l'au
torizzazione a chiamare in garanzia Bruno Giovanni e la società
Edilcem di Barbatano e Bruno.
All'udienza di discussione il giudice adito, separata la causa
d'opposizione da quella fra il Barbatano e le altre parti, decideva
la prima respingendo l'opposizione e rimetteva le altre al Tribu
nale di Torino per competenza. Avverso detta pronuncia appellava il Barbatano, ma il Tribu
nale di Torino con decisione del 12 maggio 1983 confermava la
sentenza del primo giudice, osservando che l'art. 1 1. 23 ottobre
1960 n. 1369, con lo statuire che i prestatori di lavoro sono consi
derati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ef
fettivamente ha utilizzato la loro prestazione, mira ad assicurare
ai lavoratori quelle maggiori garanzie che loro derivano dall'esse
re in rapporto col vero datore di lavoro, ma non anche ad esone
rare lo pseudo appaltatore dagli obblighi personalmente e
direttamente assunti nei confronti degli istituti previdenziali, terzi
che in buona fede fanno affidamento sulla situazione apparente. Avverso tale decisione il Barbatano ricorre per cassazione de
ducendo un unico motivo di annullamento, cui resistono con con
troricorso l'I.n.p.s. e la società Cosber. Non si sono costituiti
la società Zacogen e il Bruno Giovanni.
Motivi della decisione. — Denunciando la falsa applicazione dell'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, sostiene il ricorrente che
detta norma opera una conversione ope legis del rapporto di la
voro dall'appaltatore al committente con conseguente esonero di
responsabilità solidale fra i due e attribuzioni di responsabilità
esclusiva, ai fini contributivi, al committente, salva la facoltà di
regresso da parte di costui nei confronti dell'appaltatore per il
recupero delle somme versate.
Il ricorso è infondato. La 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 nei suoi
due primi articoli tende ad evitare il fenomeno del c.d. marchan
dage du travail e cioè l'assunzione di lavoratori da parte di im
prenditori o pseudo imprenditori, che, figurando solo formalmente
come datori di lavoro, in realtà pongono a disposi
l'ipotesi prefigurata, ma che si presta a sovrapporre al meccanismo previ sto dalla legge uno schema giuridico ad esso estraneo e con effetti indi pendenti.
La soluzione peraltro non è tanto nell'avallare scelte interpretative, pur presenti nella giurisprudenza meno recente, tendenti ad escludere ogni responsabilità (sia pure sussidiaria) dell'appaltatore di manodopera (v., infatti, Cass. 5 marzo 1976, n. 731, id., 1976, I, 557), ma di cercare di attingere su basi meglio argomentate al medesimo risultato interpretativo.
Su questo piano il punto di partenza non può che essere la presa d'atto (invano aggirata, o meglio esclusa, nel ragionamento della Cassazione) della impossibilità di ricollegare effetti (sia pure precari) ad un contratto di lavoro (quello in capo all'interposto) radicalmente nullo, non foss'al tro perché viziato dalla funzione illecita di «ritrasferire» la manodopera (o vendere le braccia) al committente-beneficiario (in senso contrario v., peraltro, Trib. Milano 13 novembre 1974, id., Rep. 1975, voce cit., n.
239). Tale minima acquisizione non può che condurre verso l'esclusione di qualsivoglia ipotesi di responsabilità contrattuale, per immaginare piut tosto che essa permanga in capo all'interposto ma per un titolo svincola to dalla fonte negoziale (per definizione improduttiva di effetti) e quindi, in buona sostanza, extracontrattuale.
In questa ridotta dimensione, scartata la possibilità di costruire una sorta di responsabilità solidale fra interposto ed interponente (esclusa sia dalla mancata previsione legale, sia dalla concorrente prefigurazione della solidarietà rispetto agli appalti «introaziendali»), non resta che «isolare» la responsabilità dell'interposto come effetto di un'attività di per sé illeci ta ed antigiuridica e come tale produttiva di danno per i lavoratori o, come nel caso, i terzi rimasti insoddisfatti dall'escussione del patrimonio del creditore principale. La percorribilità di tale itinerario interpretativo è, fra l'altro, notoriamente garantita dall'idea, da tempo acquistata, della
configurabilità della tutela aquiliana anche di diritti relativi, come il dirit to di credito. [O. Mazzotta]
Il Foro Italiano — 1987.
zione di altri imprenditori le prestazioni relative, corrispondendo naturalmente un trattamento economico inferiore a quello che
sarebbe spettato ai lavoratori, se fossero stati assunti direttamen
te dal committente, destinatario effettivo delle prestazioni lavora
tive: trattasi di una forma particolarmente grave di duplice sfruttamento dei lavoratori, da parte del committente, che retri
buisce le suddette prestazioni in misura inferiore a quella dovuta
se i lavoratori fossero stati alle sue dirette dipendenze, e da parte
dell'appaltatore, il quale lucra sulla differenza fra il prezzo del
l'appalto e le retribuzioni corrisposte ai lavoratori, senza correre
alcuna alea economica nell'esecuzione del contratto.
Se a ciò si aggiunge che spesso tali intermediari sono soggetti di scarsa solvibilità ed evasori degli obblighi previdenziali, appare
giustificato il rigore con cui il legislatore vieta tali rapporti e li
colpisce penalmente. Ma la nullità, per frode alla legge, del rapporto di intermedia
zione o di appalto di mere prestazioni lavorative non può incide
re in alcun modo negli autonomi rapporti instaurati
dall'intermediario o dall'appaltatore per l'esecuzione del contrat
to: tali rapporti (compreso quello previdenziale che nasce dalla
legge, ma trova il suo presupposto necessario nell'esistenza di un
rapporto di lavoro) conservano validità ed efficacia fino alla loro
scadenza, perché il rapporto di intermediazione o d'appalto è res
inter alios acta ed è inopponibile ai soggetti ad esso estranei.
Il legislatore si è reso però conto che la comminazione della
nullità per frode alla legge del rapporto di intermediazione o di
appalto non avrebbe in alcun modo protetto il lavoratore il qua
le, non solo non avrebbe ottenuto alcuna riparazione dalla nullità
del rapporto di appalto, ma avrebbe anzi corso il rischio di per dere il posto di lavoro, dato che l'intermediario e l'appaltatore non svolgono altre attività, se non quella di fornire mano d'ope ra al committente: il che si sarebbe risolto in una remora all'ap
plicazione stessa della legge, dato che il lavoratore avrebbe avuto
tutto l'interesse alla permanenza della situazione esistente, in quan to dallo smantellamento di essa non avrebbe tratto vantaggio al
cuno, ma solo ulteriori rischi.
È per questo che l'ultimo comma dell'art. 1 della legge concede
ai lavoratori (che non hanno rapporto giuridico alcuno col com
mittente, perché il loro contratto è stato stipulato con l'interme
diario o l'appaltatore) la possibilità, nel caso di occupazione in
violazione dei divieti suddetti, di essere considerati a tutti gli ef
fetti alle dirette dipendenze del committente.
Dall'art. 1 suddetto nascono quindi due azioni distinte e auto
nome sia nel loro contenuto che nei soggetti interessati: un'azio
ne di nullità del contratto per frode alla legge che può essere
proposta da una delle parti contrattuali, quando ne abbia interes
se, e un'azione per ottenere la novazione legale del rapporto di
lavoro, che può essere proposto dai dipendenti dell'appaltatore e che ha come causa petendi non la nullità del suddetto contrat
to, che come si è detto è res inter alios acta, ma la sostituzione
di fatto di un'intermediazione o interposizione nelle prestazioni di lavoro. Ciò trova conferma nel fatto che la relativa azione
può essere proposta dai lavoratori nei confronti del solo commit
tente senza chiamare in giudizio l'appaltatore, come invece sareb be necessario se la novazione legale del rapporto dipendesse dalla
pronuncia di nullità del contratto di appalto (v. Cass. 22 novem
bre 1985, n. 5800 Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 451; e nel fatto che l'azione medesima può essere proposta anche dopo l'avvenuta cessazione sia del rapporto di lavoro che del rapporto di appalto per il solo recupero della differenza retri butiva: v. Cass. 23 febbraio 1983, n. 1359 id., Rep. 1983, voce
cit., n. 675; 9 luglio 1979, n. 3938, id., Rep. 1979, voce cit., n. 511; 24 maggio 1979, n. 3004 ibid., n. 514).
Del resto la giurisprudenza di questa corte ha sempre afferma
to il principio, secondo il quale la 1. 23 ottobre 1960 n. 1369
attribuisce unicamente al lavoratore, quale esclusivo destinatario della tutela apprestata dalla legge medesima e non anche al dato
re di lavoro, vero o fittizio, la legittimazione ad agire per l'indivi
duazione del soggetto, che effettivamente beneficia della
prestazione lavorativa (v. in questo senso Cass. 18 ottobre 1983, n. 6093, id., Rep. 1983, voce cit., n. 665; 14 febbraio 1980, n.
1083, id., Rep. 1980, voce cit., n. 515; 13 gennaio 1975, n. 136, id., Rep. 1975, voce cit., n. 566).
D'altronde non si può nemmeno parlare di datore di lavoro
«apparente» per quanto riguarda l'intermediario o l'appaltatore, perché nei casi previsti dalla legge in esame non si tratta di inter
posizione fittizia dell'intermediario o dell'interposto (perché anzi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
se di questo si trattasse, a parte il fatto che occorrerrebbe la di
mostrazione dell'accordo trilatero a cui avessero partecipato i la
voratori interessati, non si verificherebbe nemmeno una novazione
legale nel rapporto di lavoro, in quanto il soggetto interposto è puramente fittizio e il rapporto di lavoro è intervenuto fra l'ef
fettivo datore di lavoro e i lavoratori) ma di una interposizione
reale, voluta dalle parti con lo scopo concreto e preciso di evitare
che il rapporto di lavoro si instauri fra il committente e i lavoratori.
Ne consegue che l'intermediario o l'appaltore, convenuto in
giudizio dal dipendente per il recupero di crediti nascenti dal rap
porto di lavoro o da un ente previdenziale per il pagamento di
contributi, che in detto rapporto trovano il loro presupposto le
gale, non può opporre né la nullità del rapporto di intermediazio
ne o di appalto, che a tali soggetti è estraneo, né la novazione
legale del committente nel rapporto di lavoro, perché non ha le
gittimazione a far valere tale novazione.
Va quindi ribadita la giurisprudenza di questa corte che in una
ipotesi simile (si trattava di contributi pretesi dall'I.n.a.i.l.) ha
affermato il principio secondo il quale la nullità del rapporto di
intermediazione e di interposizione nelle prestazioni lavorative non
comporta la liberazione dell'appaltatore o dell'interposto dagli
obblighi nati dal rapporto di lavoro, ma la responsabilità di tali
soggetti, che sono pur sempre i titolari del rapporto di lavoro,
permane e concorre in via autonoma con quella dell'imprendito
re, che abbia effettivamente utilizzato dette prestazioni (Cass. 18
febbraio 1982, n. 1041, id., Rep. 1982, voce cit., n. 680). La sentenza impugnata che a questi principi si è ispirata non
merita quindi le censure che le vengono mosse dal ricorrente. Il
ricorso va dunque respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 marzo
1987, n. 2998; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Amirante
(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Salimei) c. Lau
dano (Avv. Zaccagnini). Cassa Comm. trib. centrale 16 mar
zo 1981, n. 1382.
Tributi in genere — Accertamento — Incompetenza territoriale
dell'ufficio finanziario — Nullità insanabile — Conseguenze. Tributi in genere — Accertamento — Poteri di integrazione e
modificazione — Condizioni — Fattispecie (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. delle leggi sulle imposte dirette, art. 35).
Il difetto di competenza territoriale dell'ufficio finanziario che
ha proceduto all'accertamento, in quanto vizio sostanziale del
l'atto di accertamento, ne comporta la nullità assoluta rilevabi
le, anche d'ufficio, in ogni stato e grado de! procedimento. (1) Il potere di integrazione e modificazione degli accertamenti tribu
tari, previsto dall'art. 35 d.p.r. 645/58, può esser esercitato
anche se l'accertamento sia divenuto definitivo per adesione
del contribuente o per mancata impugnazione; non ricorre, in
(1) Giurisprudenza assolutamente costante: v. Cass. 15 luglio 1986, n.
4562, Foro it., Rep. 1986, voce Tributi in genere, n. 436; 24 maggio 1984, n. 3191, id., Rep. 1985, voce cit., n. 515; 26 giugno 1984, n. 3720,
id., Rep. 1984, voce cit., n. 408; 15 dicembre 1980, n. 6492, id., Rep.
1981, voce cit., n. 322 (che precisa come da tale affermazione discende
il rilievo che l'ufficio non può utilizzare l'accertamento emesso dall'orga no incompetente per impedire la decadenza); 5 luglio 1980, n. 4277, id.,
Rep. 1980, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 321; 19 ottobre 1977, n. 4462, id., 1978, I, 2286, con nota di richiami.
Per la giurisprudenza della Commissione tributaria centrale v., nello
stesso senso, dee. 26 agosto 1986, n. 6834, id., Rep. 1986, voce Tributi
in genere, nn. 439, 440; 30 ottobre 1985, n. 9050, ibid., nn. 441, 442; 15 giugno 1982, n. 5308, id., Rep. 1983, voce cit., n. 413; 29 aprile 1982, n. 3782, id., Rep. 1982, voce cit., n. 458; 28 maggio 1981, n. 5884, ibid., n. 461; 17 febbraio 1981, n. 1932, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 323, 325.
Peraltro, va ricordata Cass. 2 marzo 1981, n. 1208, ibid., n. 324, a
cui dire non opera la nullità dell'accertamento quando si sia formato
giudicato, anche implicito, per omessa impugnazione del contribuente o
quando l'errore che ha determinato l'incompetenza è da attribuire al con
tribuente. Sui criteri di determinazione dell'ufficio competente ad effettuare l'ac
certamento, cfr. Cass. 9 dicembre 1983, n. 7301, id., 1984, I, 735.
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-199.
vece, tale possibilità quando la definizione sia avvenuta a se
guito dell'istanza di ammissione al condono. (2)
Svolgimento del processo. — L'ufficio distrettuale delle impo ste dirette di Caserta con avviso notificato in data 25 settembre
1974 accertava a carico del sig. Celestino Lauritano, con domici
lio fiscale in Capua, gli imponibili a fini dell'imposta di ricchezza mobile categoria B e della complementare per gli anni 1969, 1970
e 1971.
Avverso tali accertamenti il contribuente proponeva ricorso al
la commissione tributaria sostenendo di aver presentato, per gli anni in contestazione, la prescritta dichiarazione dei redditi al
l'ufficio distrettuale delle imposte di Santa Maria Capua Vetere, nella cui circoscrizione si trovava l'esercizio commerciale.
La Commissione tributaria di I grado di Santa Maria Capua
Vetere, con decisione del 7 aprile 1977, accoglieva i ricorsi del
contribuente affermando che le dichiarazioni dei redditi, seppure ad un ufficio distrettuale incompetente, pur tuttavia erano state
presentate e gli accertamenti erano stati fatti e le imposte pagate. Sui ricorsi dell'ufficio, la Commissione tributaria di II grado
di Caserta con decisioni 21 marzo 1979, nn. 81, 82 e 83 confer
mava quelle di primo grado. La Commissione tributaria centrale, riuniti i ricorsi proposti
dall'ufficio, confermava le precedenti decisioni.
In particolare la Commissione tributaria centrale riteneva che, avendo l'ufficio delle imposte incompetente per territorio rettifi
cato la dichiarazione dei redditi ad esso erroneamente indirizzata
dal contribuente ed iscritto a ruolo le somme così determinate, la presunzione di legittimità, che assiste gli atti amministrativi, non è più contestabile in difetto d'impugnazione e, per quanto
riguarda l'amministrazione, in difetto di annullamento del gover no ex art. 6 r.d. 3 marzo 1936 n. 383. Pertanto, riteneva irrile
vante accertare se la definizione dei tributi dovuti era stata
effettuata mediante l'adesione del contribuente ovvero mediante
il condono. Ritenendo quindi definitivi gli accertamenti effettuati
dell'ufficio incompetente. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'am
ministrazione delle finanze dello Stato deducendo due motivi. Re
siste con controricorso il Lauritano.
Motivi della decisione. — L'amministrazione ricorrente, con
il primo mezzo, deduce violazione degli art. 9, 33 e 35 t.u. 29
gennaio 1958 n. 635 (art. 360, n. 3, c.p.c.). Premesso che è paci fico: a) che il domicilio fiscale del contribuente era in Capua e
che egli aveva, invece, presentato la dichiarazione dei redditi, per
gli anni 1971 e 1972, all'ufficio delle imposte di S. Maria Capua
Vetere; b) che quest'ultimo ufficio aveva accertato l'imponibile
per l'anno 1970, per il quale la dichiarazione era stata omessa
ed aveva rettificato i redditi denunciati per gli anni 1971 e 1972;
c) che per gli stessi anni l'ufficio competente di Capua (poi assor
bito da quello di Caserta) aveva effettuato gli accertamenti ai
fini dell'imposta di ricchezza mobile e complementare; sostiene
che erroneamente la Commissione tributaria centrale aveva rite
nuto illegittimi questi ultimi accertamenti perché non preceduti dall'annullamento di quelli precedenti eseguiti dall'ufficio incom
petente. La censura è fondata. È giurisprudenza consolidata di questa
corte (Cass. 1983 n. 7301, Foro it., 1984, I, 735; 1980 n. 4277,
id., Rep. 1980, voce Valore aggiunto (imposta) n. 321; 1977 n.
4462, id., 1978, I, 2286) che il difetto di competenza territoriale
dello ufficio tributario che ha proceduto all'accertamento tribu
tario comporta l'assoluta carenza di potere dell'organo ammi
(2) Non constano precedenti in termini.
Sulla prima parte della massima v., in senso conforme, Cass. 2 maggio
1983, n. 3023, Foro it., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 481; 17
dicembre 1980, n. 6518, id., Rep. 1980, voce cit., n. 560; 21 ottobre
1980, n. 5645, ibid., n. 561; 16 ottobre 1980, n. 5565, ibid., n. 562; 26 giugno 1980, n. 3998 e 4000, ibid., nn. 563, 564; Comm. trib. centrale
21 settembre 1985, n. 7707, id., Rep. 1986, voce cit., n. 568; 3 ottobre
1983, n. 2579, id., Rep. 1984, voce cit., n. 469; 25 gennaio 1985, n.
574, id., Rep. 1985, voce cit., n. 557; 22 maggio 1980, n. 6036, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 566; 16 gennaio 1980, n. 398, ibid., n. 567; 24
settembre 1977, n. 4062, id., Rep. 1978, voce Registro, n. 67. Contra, nel senso che non si può far luogo a integrazioni se l'accertamento è
scaturito a seguito di concordato: Cass. 23 agosto 1985, n. 4490, id.,
Rep. 1985, voce Tributi in genere, n. 555; Comm. trib. centrale 8 luglio
1983, n. 1900, id., Rep. 1983, voce cit., n. 438.
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