+ All Categories
Home > Documents > sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl....

sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: hoanghuong
View: 215 times
Download: 2 times
Share this document with a friend
4
sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli, Lironcurti) e Soc. Cosber (Avv. Scotta). Conferma Trib. Torino 20 luglio 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3073/3074-3077/3078 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179120 . Accessed: 24/06/2014 22:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.79 on Tue, 24 Jun 2014 22:00:14 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli,

sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante(concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli,Lironcurti) e Soc. Cosber (Avv. Scotta). Conferma Trib. Torino 20 luglio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3073/3074-3077/3078Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179120 .

Accessed: 24/06/2014 22:00

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.34.79.79 on Tue, 24 Jun 2014 22:00:14 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — (Omissis). Con l'unico motivo di ri

corso il Calisti svolge due censure.

Con la prima, lamenta che la cancelleria del Tribunale di Viter

bo abbia omesso di comunicare al Calisti con biglietto di cancel

leria l'avvenuto deposito presso la cancelleria stessa della notifica

della sentenza impugnata a cura della controparte nei confronti

dell'avv. Picone.

Con la seconda censura, lamenta che la corte di merito abbia

interpretato in maniera illogica l'elezione di domicilio che anche

l'avv. Picone aveva inteso fare in Celleno nello stesso studio del

l'avv. Calisti, la cui causa difendeva sia congiuntamente che di

sgiuntamente, come rilevavasi chiaramente dallo stesso tenore della

procura.

Quest'ultima censura, che deve essere esaminata per prima rile

vandosi assorbente rispetto alla precedente in quanto nega in ra

dice la possibilità nella specie di notificare gli atti all'avv. Picone

mediante deposito in cancelleria, merita pieno accoglimento. È ben vero, infatti, che, essendo consentito alle parti farsi rap

presentare in giudizio da più procuratori aventi eguali autonomi

poteri, le notifiche che si rendano necessarie nel corso del proces so possono essere validamente eseguite a ciascuno di essi (Cass. 20 giugno 1959, n. 1955, Foro it., Rep. 1959, voce Procedimento

civile, n. 121), applicando ovviamente le regole di notifica che

si riferiscono a quello dei procuratori cui si intende notificare

l'atto. Tuttavia, quando, come nella specie, uno dei procuratori eserciti il proprio ufficio entro la circoscrizione del tribunale adi

to ovvero abbia eletto domicilio nel luogo ove esso ha sede la

controparte non può notificare gli atti all'altro procuratore depo sitandoli in cancelleria ai sensi dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934

n. 37 giovandosi del fatto che quest'ultimo, appartenente alla cir

coscrizione di altro tribunale, non abbia espressamente eletto do

micilio, a sua volta, nel luogo sede del tribunale, perché, in tal

caso, deve presumersi che il procuratore abbia inteso domiciliarsi

presso lo stesso domicilio dichiarato dal collega insieme al quale

rappresenta e difende il cliente: che, in altri termini, la comunan

za di difesa comporti, in mancanza di dichiarazioni contrarie, anche comunanza del domicilio nel quale notificare gli atti del

processo. La doverosità di una siffatta presunzione nasce dalla constata

zione non soltanto dell'/c? quod plerumque accidit, ma anche dal

fatto che il deposito degli atti in cancelleria, come forma alterna

tiva di notifica, deve considerarsi potenzialmente pregiudizievole

degli interessi della parte cui è diretta, essendo, certamente, meno

idonea, rispetto a tutte le altre normali forme di notifica, a por tare il contenuto degli atti a tempestiva conoscenza del destinata

rio, tanto da apparire, in più di un caso, quasi una reazione creata

dall'ordinamento per il mancato assolvimento di un onere (nella

specie, quell'elezione di domicilio entro la circoscrizione del tri

bunale che facilita i normali modi di notifica).

11 nostro ordinamento processuale, invero, a tutela del diritto

di difesa riconosciuto come intangibile nella nostra stessa Costi

tuzione (art. 24), tende ad assicurare sempre l'effettività del con

traddittorio e, al fine di garantirlo, disciplina secondo una

graduazione imposta dalle diverse circostanze considerate, ma sem

pre in maniera rigorosa, le forme della notifica degli atti alla

controparte (notifica che del contraddittorio è il primo presuppo

sto) perché esse riescano veramente efficaci: riescano, cioè, vera

mente a porre in grado la controparte di sapere che un atto gli

è stato trasmesso e di apprenderne il contenuto. La prima forma

di notifica prevista dal legislatore è infatti, quella più sicura e

incontestabile (art. 138 p.c.) perché avviene nelle mani stesse del

la persona che ne è destinataria. Segue l'indicazione di diversi

altri luoghi nei quali la notifica può essere eseguita (la casa di

abitazione, l'ufficio, la sede dell'impresa, il domicilio eletto): tut

ti i luoghi cosi pertinenti al destinatario della notifica da ritenere

pressoché sicuro che egli abbia notizia dell'arrivo dell'atto e pos

sa leggerne il contenuto. Solo in estremo subordine o, comunque,

in casi eccezionali il legislatore consente la notifica in forma im

personale mediante deposito presso un pubblico ufficio o in altri

modi che meno sicuramente sono suscettibili di portare il conte

nuto degli atti a conoscenza della persona interessata.

Se, dunque, lo stesso legislatore, solo in estremo subordine,

prende normalmente in considerazione come forma di notifica

il deposito degli atti presso pubblici uffici (ivi compresa la cancel

leria dell'ufficio giudiziario presso cui si procede), deve interpre

tarsi in senso estensivo ogni dichiarazione di parte che, altrimenti

intesa, porterebbe ad ammettere tale residuale forma di notifica.

Il Foro Italiano — 1987.

E l'estensività della interpretazione significa, nel caso di cui trat

tasi, ritenere sottintesa nella costituzione dell'avv. Picone (di un

circondario diverso da quello del Tribunale di Viterbo avanti al

quale il Calisti era stato citato) la volontà non solo di difendere

costui in unione col medesimo (che, in quanto procuratore legale iscritto nel distretto intendeva difendersi anche personalmente), ma anche quella di voler eleggere lo stesso domicilio eletto dal

collega, realizzando quella comunanza di domicilio che quasi sem

pre è dato riscontrare nella comunanza di difesa, ed evitando

così il rischio che gli atti gli potessero venire notificati in cancelleria.

Conseguentemente la notifica della sentenza di primo grado fatta

all'avv. Picone mediante deposito in cancelleria deve ritenersi non

valida ai fini del decorso del termine per appellare di cui all'art.

325 c.p.c. dovendosi intendere egli domiciliato presso l'avv. Cali

sti e, quindi, tempestivo l'appello proposto dall'avv. Calisti. La

sentenza della corte romana che, ritenendo il contrario, ha di

chiarato inammissibile l'appello del Calisti, deve, dunque, essere

cassata e la causa rimessa ad altro giudice per il suo riesame.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 30 marzo

1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amiran

te (conci, conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c.

I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli, Lironcurti) e Soc. Co

sber (Avv. Scotta). Conferma Trib. Torino 20 luglio 1983.

Lavoro (rapporto) — Appalto di manodopera — Obbligo di pa

gamento dei contributi previdenziali — Soggetto interposto —

Responsabilità (L. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di interme

diazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova

disciplina dell'impiego della mano d'opera negli appalti di ope re e di servizi, art. 1).

Posto che la nullità del rapporto di interposizione nelle prestazio ni di lavoro non comporta la liberazione del soggetto interpo sto dagli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, ma la

responsabilità di questi permane e concorre in via autonoma

con quella dell'imprenditore, che abbia effettivamente utilizza

to le prestazioni, tale soggetto resta obbligato al pagamento dei contributi a favore degli enti previdenziali. (1)

(1) La Cassazione continua a proporre, sul tema dei rapporti interposi

tori, soluzioni fondamentalmente empiriche e non del tutto coerenti ri

spetto al quadro di riferimento che ha cercato complessivamente di costruire

in questi anni. Il tema dibattuto nella sentenza che si riporta è quello della sussistenza

di una permanente responsabilità del soggetto interposto per le obbliga zioni scaturenti dal rapporto di lavoro posto in essere nel contesto dell'in

tesa interpositoria. L'obiettivo di ritenere comunque vincolato tale soggetto, nonostante

il dato ineludibile della nullità del segmento dell'intesa (nullità pacifica mente enucleabile dalla sussistenza di un divieto legale di appalti di ma

nodopera) è attinto ricorrendo nella sostanza a veri e propri artifici retorici.

Nella sentenza riportata infatti la permanenza della responsabilità in

capo all'interposto è considerata una sorta di corollario del dato secondo

cui quest'ultimo non può avvalersene per sottrarsi alle proprie obbliga

zioni, ipotesi costruttiva questa già predicata in altre decisioni (v. Cass.

18 ottobre 1983, n. 6093, Foro it., 1984, I, 1025, con nota di O. Mazzot

ta, ove un riepilogo dei tortuosi itinerari giurisprudenziali in argomento). In altre decisioni il medesimo risultato interpretativo è affermato più

che dimostrato: cosi Cass. 18 febbraio 1982, n. 1041 (id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 680, menzionata in motivazione) fa prevalen temente leva sulla circostanza dell'affidamento dei terzi sull'apparenza della situazione giuridica, assumendo che «un'attività illecita ed illegale fra costoro intervenuta non vale ad eliminare la fonte dell'obbligo, per l'uno derivante dalla propria attività di instaurazione di un contratto con

i dipendenti e per l'altro dalla legge a garanzia unica e totale di questi ultimi». In modo più asciutto Cass. 136/75 (id., Rep. 1975, voce cit., n. 566, anch'essa menzionata in motivazione) si limita alla mera consta

tazione che la responsabilità dell'interposto possa e debba risorgere quan do la sostituzione al datore di lavoro «riesca di danno» per il lavoratore.

In qualche misura, allora, appare radicata su basi giuridiche più solide

la posizione di quel giudice di merito (v. Pret. Pontedera 1° marzo 1976,

id., 1977, I, 237) che ritenne di poter tenere giuridicamente vincolato

l'appaltatore di manodopera utilizzando lo schema dell'interposizione reale

(sul presupposto che, nella specie, i lavoratori ignoravano l'identità del

l'effettivo utilizzatore delle loro prestazioni). Costruzione questa alla quale

può semmai obiettarsi non soltanto che non sempre si verifica in fatto

This content downloaded from 195.34.79.79 on Tue, 24 Jun 2014 22:00:14 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli,

3075 PARTE PRIMA 3076

Svolgimento del processo. — In data 30 ottobre 1981 l'I.n.p.s. notificava a Barbatano Giuseppe decreto ingiuntivo del Pretore

di Torino per il pagamento della somma di lire 142.651.514 oltre

interessi e spese per omesso versamento dei contributi relativi ai

suoi dipendenti per il periodo 1° settembre 1979-31 maggio 1980.

Avverso tale decreto il debitore proponeva opposizione, soste

nendo di aver in detto periodo con la s.a.s. Cosber e la s.p.a.

Zacogen contratti di appalto che costituivano un'intermediazione

di mano d'opera, per cui esse erano le vere datrici di lavoro nei

confronti degli operai. Il pretore autorizzava la chiamata in causa di dette società,

le quali, costituitesi in giudizio, contestavano l'assunto avversa

rio. La società Cosber inoltre chiedeva e otteneva dal pretore l'au

torizzazione a chiamare in garanzia Bruno Giovanni e la società

Edilcem di Barbatano e Bruno.

All'udienza di discussione il giudice adito, separata la causa

d'opposizione da quella fra il Barbatano e le altre parti, decideva

la prima respingendo l'opposizione e rimetteva le altre al Tribu

nale di Torino per competenza. Avverso detta pronuncia appellava il Barbatano, ma il Tribu

nale di Torino con decisione del 12 maggio 1983 confermava la

sentenza del primo giudice, osservando che l'art. 1 1. 23 ottobre

1960 n. 1369, con lo statuire che i prestatori di lavoro sono consi

derati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ef

fettivamente ha utilizzato la loro prestazione, mira ad assicurare

ai lavoratori quelle maggiori garanzie che loro derivano dall'esse

re in rapporto col vero datore di lavoro, ma non anche ad esone

rare lo pseudo appaltatore dagli obblighi personalmente e

direttamente assunti nei confronti degli istituti previdenziali, terzi

che in buona fede fanno affidamento sulla situazione apparente. Avverso tale decisione il Barbatano ricorre per cassazione de

ducendo un unico motivo di annullamento, cui resistono con con

troricorso l'I.n.p.s. e la società Cosber. Non si sono costituiti

la società Zacogen e il Bruno Giovanni.

Motivi della decisione. — Denunciando la falsa applicazione dell'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, sostiene il ricorrente che

detta norma opera una conversione ope legis del rapporto di la

voro dall'appaltatore al committente con conseguente esonero di

responsabilità solidale fra i due e attribuzioni di responsabilità

esclusiva, ai fini contributivi, al committente, salva la facoltà di

regresso da parte di costui nei confronti dell'appaltatore per il

recupero delle somme versate.

Il ricorso è infondato. La 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 nei suoi

due primi articoli tende ad evitare il fenomeno del c.d. marchan

dage du travail e cioè l'assunzione di lavoratori da parte di im

prenditori o pseudo imprenditori, che, figurando solo formalmente

come datori di lavoro, in realtà pongono a disposi

l'ipotesi prefigurata, ma che si presta a sovrapporre al meccanismo previ sto dalla legge uno schema giuridico ad esso estraneo e con effetti indi pendenti.

La soluzione peraltro non è tanto nell'avallare scelte interpretative, pur presenti nella giurisprudenza meno recente, tendenti ad escludere ogni responsabilità (sia pure sussidiaria) dell'appaltatore di manodopera (v., infatti, Cass. 5 marzo 1976, n. 731, id., 1976, I, 557), ma di cercare di attingere su basi meglio argomentate al medesimo risultato interpretativo.

Su questo piano il punto di partenza non può che essere la presa d'atto (invano aggirata, o meglio esclusa, nel ragionamento della Cassazione) della impossibilità di ricollegare effetti (sia pure precari) ad un contratto di lavoro (quello in capo all'interposto) radicalmente nullo, non foss'al tro perché viziato dalla funzione illecita di «ritrasferire» la manodopera (o vendere le braccia) al committente-beneficiario (in senso contrario v., peraltro, Trib. Milano 13 novembre 1974, id., Rep. 1975, voce cit., n.

239). Tale minima acquisizione non può che condurre verso l'esclusione di qualsivoglia ipotesi di responsabilità contrattuale, per immaginare piut tosto che essa permanga in capo all'interposto ma per un titolo svincola to dalla fonte negoziale (per definizione improduttiva di effetti) e quindi, in buona sostanza, extracontrattuale.

In questa ridotta dimensione, scartata la possibilità di costruire una sorta di responsabilità solidale fra interposto ed interponente (esclusa sia dalla mancata previsione legale, sia dalla concorrente prefigurazione della solidarietà rispetto agli appalti «introaziendali»), non resta che «isolare» la responsabilità dell'interposto come effetto di un'attività di per sé illeci ta ed antigiuridica e come tale produttiva di danno per i lavoratori o, come nel caso, i terzi rimasti insoddisfatti dall'escussione del patrimonio del creditore principale. La percorribilità di tale itinerario interpretativo è, fra l'altro, notoriamente garantita dall'idea, da tempo acquistata, della

configurabilità della tutela aquiliana anche di diritti relativi, come il dirit to di credito. [O. Mazzotta]

Il Foro Italiano — 1987.

zione di altri imprenditori le prestazioni relative, corrispondendo naturalmente un trattamento economico inferiore a quello che

sarebbe spettato ai lavoratori, se fossero stati assunti direttamen

te dal committente, destinatario effettivo delle prestazioni lavora

tive: trattasi di una forma particolarmente grave di duplice sfruttamento dei lavoratori, da parte del committente, che retri

buisce le suddette prestazioni in misura inferiore a quella dovuta

se i lavoratori fossero stati alle sue dirette dipendenze, e da parte

dell'appaltatore, il quale lucra sulla differenza fra il prezzo del

l'appalto e le retribuzioni corrisposte ai lavoratori, senza correre

alcuna alea economica nell'esecuzione del contratto.

Se a ciò si aggiunge che spesso tali intermediari sono soggetti di scarsa solvibilità ed evasori degli obblighi previdenziali, appare

giustificato il rigore con cui il legislatore vieta tali rapporti e li

colpisce penalmente. Ma la nullità, per frode alla legge, del rapporto di intermedia

zione o di appalto di mere prestazioni lavorative non può incide

re in alcun modo negli autonomi rapporti instaurati

dall'intermediario o dall'appaltatore per l'esecuzione del contrat

to: tali rapporti (compreso quello previdenziale che nasce dalla

legge, ma trova il suo presupposto necessario nell'esistenza di un

rapporto di lavoro) conservano validità ed efficacia fino alla loro

scadenza, perché il rapporto di intermediazione o d'appalto è res

inter alios acta ed è inopponibile ai soggetti ad esso estranei.

Il legislatore si è reso però conto che la comminazione della

nullità per frode alla legge del rapporto di intermediazione o di

appalto non avrebbe in alcun modo protetto il lavoratore il qua

le, non solo non avrebbe ottenuto alcuna riparazione dalla nullità

del rapporto di appalto, ma avrebbe anzi corso il rischio di per dere il posto di lavoro, dato che l'intermediario e l'appaltatore non svolgono altre attività, se non quella di fornire mano d'ope ra al committente: il che si sarebbe risolto in una remora all'ap

plicazione stessa della legge, dato che il lavoratore avrebbe avuto

tutto l'interesse alla permanenza della situazione esistente, in quan to dallo smantellamento di essa non avrebbe tratto vantaggio al

cuno, ma solo ulteriori rischi.

È per questo che l'ultimo comma dell'art. 1 della legge concede

ai lavoratori (che non hanno rapporto giuridico alcuno col com

mittente, perché il loro contratto è stato stipulato con l'interme

diario o l'appaltatore) la possibilità, nel caso di occupazione in

violazione dei divieti suddetti, di essere considerati a tutti gli ef

fetti alle dirette dipendenze del committente.

Dall'art. 1 suddetto nascono quindi due azioni distinte e auto

nome sia nel loro contenuto che nei soggetti interessati: un'azio

ne di nullità del contratto per frode alla legge che può essere

proposta da una delle parti contrattuali, quando ne abbia interes

se, e un'azione per ottenere la novazione legale del rapporto di

lavoro, che può essere proposto dai dipendenti dell'appaltatore e che ha come causa petendi non la nullità del suddetto contrat

to, che come si è detto è res inter alios acta, ma la sostituzione

di fatto di un'intermediazione o interposizione nelle prestazioni di lavoro. Ciò trova conferma nel fatto che la relativa azione

può essere proposta dai lavoratori nei confronti del solo commit

tente senza chiamare in giudizio l'appaltatore, come invece sareb be necessario se la novazione legale del rapporto dipendesse dalla

pronuncia di nullità del contratto di appalto (v. Cass. 22 novem

bre 1985, n. 5800 Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 451; e nel fatto che l'azione medesima può essere proposta anche dopo l'avvenuta cessazione sia del rapporto di lavoro che del rapporto di appalto per il solo recupero della differenza retri butiva: v. Cass. 23 febbraio 1983, n. 1359 id., Rep. 1983, voce

cit., n. 675; 9 luglio 1979, n. 3938, id., Rep. 1979, voce cit., n. 511; 24 maggio 1979, n. 3004 ibid., n. 514).

Del resto la giurisprudenza di questa corte ha sempre afferma

to il principio, secondo il quale la 1. 23 ottobre 1960 n. 1369

attribuisce unicamente al lavoratore, quale esclusivo destinatario della tutela apprestata dalla legge medesima e non anche al dato

re di lavoro, vero o fittizio, la legittimazione ad agire per l'indivi

duazione del soggetto, che effettivamente beneficia della

prestazione lavorativa (v. in questo senso Cass. 18 ottobre 1983, n. 6093, id., Rep. 1983, voce cit., n. 665; 14 febbraio 1980, n.

1083, id., Rep. 1980, voce cit., n. 515; 13 gennaio 1975, n. 136, id., Rep. 1975, voce cit., n. 566).

D'altronde non si può nemmeno parlare di datore di lavoro

«apparente» per quanto riguarda l'intermediario o l'appaltatore, perché nei casi previsti dalla legge in esame non si tratta di inter

posizione fittizia dell'intermediario o dell'interposto (perché anzi

This content downloaded from 195.34.79.79 on Tue, 24 Jun 2014 22:00:14 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione lavoro; sentenza 30 marzo 1987, n. 3066; Pres. Menichino, Est. Nuovo, P. M. Amirante (concl. conf.); Barbatano (Avv. Cavalieri, Clerici) c. I.n.p.s. (Avv. De Angelis, Romoli,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

se di questo si trattasse, a parte il fatto che occorrerrebbe la di

mostrazione dell'accordo trilatero a cui avessero partecipato i la

voratori interessati, non si verificherebbe nemmeno una novazione

legale nel rapporto di lavoro, in quanto il soggetto interposto è puramente fittizio e il rapporto di lavoro è intervenuto fra l'ef

fettivo datore di lavoro e i lavoratori) ma di una interposizione

reale, voluta dalle parti con lo scopo concreto e preciso di evitare

che il rapporto di lavoro si instauri fra il committente e i lavoratori.

Ne consegue che l'intermediario o l'appaltore, convenuto in

giudizio dal dipendente per il recupero di crediti nascenti dal rap

porto di lavoro o da un ente previdenziale per il pagamento di

contributi, che in detto rapporto trovano il loro presupposto le

gale, non può opporre né la nullità del rapporto di intermediazio

ne o di appalto, che a tali soggetti è estraneo, né la novazione

legale del committente nel rapporto di lavoro, perché non ha le

gittimazione a far valere tale novazione.

Va quindi ribadita la giurisprudenza di questa corte che in una

ipotesi simile (si trattava di contributi pretesi dall'I.n.a.i.l.) ha

affermato il principio secondo il quale la nullità del rapporto di

intermediazione e di interposizione nelle prestazioni lavorative non

comporta la liberazione dell'appaltatore o dell'interposto dagli

obblighi nati dal rapporto di lavoro, ma la responsabilità di tali

soggetti, che sono pur sempre i titolari del rapporto di lavoro,

permane e concorre in via autonoma con quella dell'imprendito

re, che abbia effettivamente utilizzato dette prestazioni (Cass. 18

febbraio 1982, n. 1041, id., Rep. 1982, voce cit., n. 680). La sentenza impugnata che a questi principi si è ispirata non

merita quindi le censure che le vengono mosse dal ricorrente. Il

ricorso va dunque respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 marzo

1987, n. 2998; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Amirante

(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Salimei) c. Lau

dano (Avv. Zaccagnini). Cassa Comm. trib. centrale 16 mar

zo 1981, n. 1382.

Tributi in genere — Accertamento — Incompetenza territoriale

dell'ufficio finanziario — Nullità insanabile — Conseguenze. Tributi in genere — Accertamento — Poteri di integrazione e

modificazione — Condizioni — Fattispecie (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. delle leggi sulle imposte dirette, art. 35).

Il difetto di competenza territoriale dell'ufficio finanziario che

ha proceduto all'accertamento, in quanto vizio sostanziale del

l'atto di accertamento, ne comporta la nullità assoluta rilevabi

le, anche d'ufficio, in ogni stato e grado de! procedimento. (1) Il potere di integrazione e modificazione degli accertamenti tribu

tari, previsto dall'art. 35 d.p.r. 645/58, può esser esercitato

anche se l'accertamento sia divenuto definitivo per adesione

del contribuente o per mancata impugnazione; non ricorre, in

(1) Giurisprudenza assolutamente costante: v. Cass. 15 luglio 1986, n.

4562, Foro it., Rep. 1986, voce Tributi in genere, n. 436; 24 maggio 1984, n. 3191, id., Rep. 1985, voce cit., n. 515; 26 giugno 1984, n. 3720,

id., Rep. 1984, voce cit., n. 408; 15 dicembre 1980, n. 6492, id., Rep.

1981, voce cit., n. 322 (che precisa come da tale affermazione discende

il rilievo che l'ufficio non può utilizzare l'accertamento emesso dall'orga no incompetente per impedire la decadenza); 5 luglio 1980, n. 4277, id.,

Rep. 1980, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 321; 19 ottobre 1977, n. 4462, id., 1978, I, 2286, con nota di richiami.

Per la giurisprudenza della Commissione tributaria centrale v., nello

stesso senso, dee. 26 agosto 1986, n. 6834, id., Rep. 1986, voce Tributi

in genere, nn. 439, 440; 30 ottobre 1985, n. 9050, ibid., nn. 441, 442; 15 giugno 1982, n. 5308, id., Rep. 1983, voce cit., n. 413; 29 aprile 1982, n. 3782, id., Rep. 1982, voce cit., n. 458; 28 maggio 1981, n. 5884, ibid., n. 461; 17 febbraio 1981, n. 1932, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 323, 325.

Peraltro, va ricordata Cass. 2 marzo 1981, n. 1208, ibid., n. 324, a

cui dire non opera la nullità dell'accertamento quando si sia formato

giudicato, anche implicito, per omessa impugnazione del contribuente o

quando l'errore che ha determinato l'incompetenza è da attribuire al con

tribuente. Sui criteri di determinazione dell'ufficio competente ad effettuare l'ac

certamento, cfr. Cass. 9 dicembre 1983, n. 7301, id., 1984, I, 735.

Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-199.

vece, tale possibilità quando la definizione sia avvenuta a se

guito dell'istanza di ammissione al condono. (2)

Svolgimento del processo. — L'ufficio distrettuale delle impo ste dirette di Caserta con avviso notificato in data 25 settembre

1974 accertava a carico del sig. Celestino Lauritano, con domici

lio fiscale in Capua, gli imponibili a fini dell'imposta di ricchezza mobile categoria B e della complementare per gli anni 1969, 1970

e 1971.

Avverso tali accertamenti il contribuente proponeva ricorso al

la commissione tributaria sostenendo di aver presentato, per gli anni in contestazione, la prescritta dichiarazione dei redditi al

l'ufficio distrettuale delle imposte di Santa Maria Capua Vetere, nella cui circoscrizione si trovava l'esercizio commerciale.

La Commissione tributaria di I grado di Santa Maria Capua

Vetere, con decisione del 7 aprile 1977, accoglieva i ricorsi del

contribuente affermando che le dichiarazioni dei redditi, seppure ad un ufficio distrettuale incompetente, pur tuttavia erano state

presentate e gli accertamenti erano stati fatti e le imposte pagate. Sui ricorsi dell'ufficio, la Commissione tributaria di II grado

di Caserta con decisioni 21 marzo 1979, nn. 81, 82 e 83 confer

mava quelle di primo grado. La Commissione tributaria centrale, riuniti i ricorsi proposti

dall'ufficio, confermava le precedenti decisioni.

In particolare la Commissione tributaria centrale riteneva che, avendo l'ufficio delle imposte incompetente per territorio rettifi

cato la dichiarazione dei redditi ad esso erroneamente indirizzata

dal contribuente ed iscritto a ruolo le somme così determinate, la presunzione di legittimità, che assiste gli atti amministrativi, non è più contestabile in difetto d'impugnazione e, per quanto

riguarda l'amministrazione, in difetto di annullamento del gover no ex art. 6 r.d. 3 marzo 1936 n. 383. Pertanto, riteneva irrile

vante accertare se la definizione dei tributi dovuti era stata

effettuata mediante l'adesione del contribuente ovvero mediante

il condono. Ritenendo quindi definitivi gli accertamenti effettuati

dell'ufficio incompetente. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'am

ministrazione delle finanze dello Stato deducendo due motivi. Re

siste con controricorso il Lauritano.

Motivi della decisione. — L'amministrazione ricorrente, con

il primo mezzo, deduce violazione degli art. 9, 33 e 35 t.u. 29

gennaio 1958 n. 635 (art. 360, n. 3, c.p.c.). Premesso che è paci fico: a) che il domicilio fiscale del contribuente era in Capua e

che egli aveva, invece, presentato la dichiarazione dei redditi, per

gli anni 1971 e 1972, all'ufficio delle imposte di S. Maria Capua

Vetere; b) che quest'ultimo ufficio aveva accertato l'imponibile

per l'anno 1970, per il quale la dichiarazione era stata omessa

ed aveva rettificato i redditi denunciati per gli anni 1971 e 1972;

c) che per gli stessi anni l'ufficio competente di Capua (poi assor

bito da quello di Caserta) aveva effettuato gli accertamenti ai

fini dell'imposta di ricchezza mobile e complementare; sostiene

che erroneamente la Commissione tributaria centrale aveva rite

nuto illegittimi questi ultimi accertamenti perché non preceduti dall'annullamento di quelli precedenti eseguiti dall'ufficio incom

petente. La censura è fondata. È giurisprudenza consolidata di questa

corte (Cass. 1983 n. 7301, Foro it., 1984, I, 735; 1980 n. 4277,

id., Rep. 1980, voce Valore aggiunto (imposta) n. 321; 1977 n.

4462, id., 1978, I, 2286) che il difetto di competenza territoriale

dello ufficio tributario che ha proceduto all'accertamento tribu

tario comporta l'assoluta carenza di potere dell'organo ammi

(2) Non constano precedenti in termini.

Sulla prima parte della massima v., in senso conforme, Cass. 2 maggio

1983, n. 3023, Foro it., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 481; 17

dicembre 1980, n. 6518, id., Rep. 1980, voce cit., n. 560; 21 ottobre

1980, n. 5645, ibid., n. 561; 16 ottobre 1980, n. 5565, ibid., n. 562; 26 giugno 1980, n. 3998 e 4000, ibid., nn. 563, 564; Comm. trib. centrale

21 settembre 1985, n. 7707, id., Rep. 1986, voce cit., n. 568; 3 ottobre

1983, n. 2579, id., Rep. 1984, voce cit., n. 469; 25 gennaio 1985, n.

574, id., Rep. 1985, voce cit., n. 557; 22 maggio 1980, n. 6036, id.,

Rep. 1980, voce cit., n. 566; 16 gennaio 1980, n. 398, ibid., n. 567; 24

settembre 1977, n. 4062, id., Rep. 1978, voce Registro, n. 67. Contra, nel senso che non si può far luogo a integrazioni se l'accertamento è

scaturito a seguito di concordato: Cass. 23 agosto 1985, n. 4490, id.,

Rep. 1985, voce Tributi in genere, n. 555; Comm. trib. centrale 8 luglio

1983, n. 1900, id., Rep. 1983, voce cit., n. 438.

This content downloaded from 195.34.79.79 on Tue, 24 Jun 2014 22:00:14 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended