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sezione lavoro; sentenza 4 novembre 2000, n. 14426; Pres. Trezza, Est. Vidiri, P.M. Pivetti (concl....

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sezione lavoro; sentenza 4 novembre 2000, n. 14426; Pres. Trezza, Est. Vidiri, P.M. Pivetti (concl. conf.); Fagà (Avv. C. e M. Miletto) c. Twa-Trans World Airlines Inc. (Avv. Marazza). Conferma Trib. Napoli 5 maggio 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 945/946-951/952 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196478 . Accessed: 24/06/2014 22:49 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 22:49:59 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 4 novembre 2000, n. 14426; Pres. Trezza, Est. Vidiri, P.M. Pivetti(concl. conf.); Fagà (Avv. C. e M. Miletto) c. Twa-Trans World Airlines Inc. (Avv. Marazza).Conferma Trib. Napoli 5 maggio 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 945/946-951/952Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196478 .

Accessed: 24/06/2014 22:49

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il diverso modo di prodursi dell'effetto non toglie che all'ori

gine v'è lo stesso fenomeno di programmazione di quel mede

simo effetto, che deve essere tradotta in atto scritto, perché l'ef

fetto è rappresentato dal trasferimento della proprietà di un bene

immobile. 3.2.3. - La terza ipotesi, quella che tra le parti sia concluso un

contratto di mandato ed il mandante dia procura al mandatario,

anziché la prevalenza di uno dei due principi enunciati all'ini

zio, ne richiama l'applicazione congiunta, che si traduce dunque nella necessità dell'atto scritto per la procura, ma nella libertà di

forme quanto al mandato.

La forma scritta della procura a vendere, seguita dal contratto

concluso dal rappresentante, parimenti per iscritto, è in grado di

assolvere alla funzione di far acquistare al terzo il bene vendu

togli e di realizzare un programma in cui il proprietario ha con

sentito.

La regolamentazione dei rapporti nascenti dal mandato non

necessita di forma scritta, perché la base della disciplina della

vicenda traslativa sta nella procura. 4.1. - La giurisprudenza della corte sembrerebbe avere sin qui

seguito un principio di diritto diverso. La motivazione delle sentenze in tema di forma del mandato

riproduce non infrequentemente l'enunciato, poi ripreso nelle

massime, per cui «il mandato, con o senza rappresentanza, per concludere un negozio per il quale sia richiesto, ad substantiam,

l'atto scritto, deve essere rilasciato per iscritto a pena di nulli

tà».

Questa formula è presente nella motivazione della sentenza 9

febbraio 1965, n. 211 (Foro it., Rep. 1965, voce Mandato, n.

4), che dichiara di riprenderla dalle precedenti sentenze 30 otto

bre 1956, n. 4074 (id., Rep. 1956, voce cit., n. 60), e 22 ottobre 1959, n. 3024 (id., Rep. 1959, voce cit., n. 23); ritorna nelle sen

tenze 23 ottobre 1965, n. 2217 (id., Rep. 1966, voce cit., n. 6);

13 dicembre 1978, n. 5939 (id., Rep. 1979, voce cit., n. 5), e 19 novembre 1982, n. 6239 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 4).

Se non che il suo significato non sta nell'imporre la forma

scritta per il contratto di mandato, anche quando al mandatario

sia stata conferita procura per iscritto, ma nell'estendere la stes

sa necessità di forma scritta, prevista per la procura a vendere

od acquistare un bene immobile, al contratto di mandato non ac

compagnato da procura conferita per iscritto.

La sentenza richiamata per prima, all'enunciato che si è ri

prodotto fa seguire queste considerazioni: «La difesa dei ricor

renti trova erroneo il richiamo dell'art. 1392 c.c., in quanto, es

sendo esso dettato per la rappresentanza diretta e cioè per il

mandato con rappresentanza, non può valere per il mandato

senza rappresentanza. Sennonché, come è stato osservato in

dottrina e in giurisprudenza, nell'un caso o nell'altro, si ha pur

sempre che il mandante trasferisce al mandatario il potere di

manifestare per conto suo il proprio consenso; sicché, ove per il

negozio da compiersi sia richiesto l'atto scritto, anche il trasfe

rimento del potere ad attuare la volontà del mandante deve farsi

ugualmente per iscritto. In sostanza, la volontà che dà vita al

mandato è la stessa che dà vita al negozio giuridico, che per conto del mandante, il mandatario dovrà compiere. Ed allora, se

per questa è necessaria la forma scritta, anche l'atto con il quale il mandante dichiara la sua volontà deve essere rivestito della

medesima forma. Si tratta, in sostanza, dell'applicazione di una

regola comune (necessità dell'atto scritto per le convenzioni

relative ad immobili) che si trae da molteplici disposizioni (art. 1351, 1392, 1403) per cui, sussistendo V eadem ratio, il vigore della forma si impone anche nella rappresentanza indiretta. Da

ciò la conferma del principio che, pur in mancanza di una norma

espressa relativa al mandato senza rappresentanza, il mandato

stesso sia rivestito della forma scritta. E se ciò vale per il man

dato ad acquistare, lo stesso è a dirsi per l'ipotesi inversa del

mandato ad alienare in nome proprio beni immobili, dovendosi

scorgere nel mandato il mezzo per far acquistare al mandatario

la titolarità del bene, premessa indispensabile per l'esplicazione del potere di alienare».

Conviene aggiungere, che nel caso allora deciso, non era stata

conferita procura, come non lo era stata, in base alla motivazio

ne delle decisioni edite, nei casi in cui sono state pronunciate le

sentenze 23 ottobre 1965, n. 2217, 13 dicembre 1978, n. 5939, e

19 novembre 1982, n. 6239.

Così come conviene considerare che, quando è data procura

per iscritto, già per effetto di questa è trasferito al mandatario il

Il Foro Italiano — 2001.

potere di manifestare al terzo il consenso del mandante alla

vendita.

4.2. - Analogo è l'orientamento di larga parte della dottrina.

5.1. - Le considerazioni appena svolte rendono ragione del ri

getto del primo motivo.

La corte d'appello, al comportamento del nipote, che si è av

valso del potere rappresentativo conferitogli con la procura ed

ha venduto gli immobili, ha attribuito la portata di consentire

con la volontà manifestata dalla zia nella procura, che le fosse

reso il conto dell'operazione e perché il consenso fosse valido e

ne scaturisse l'obbligo non era necessario, per quanto si è visto,

che la volontà del nipote fosse manifestata per iscritto.

5.2. - Il secondo motivo è infondato già per la ragione che le

parti non avevano chiesto al giudice che fosse loro assegnato un

termine per indicare il nome delle persone da far interrogare: nel

motivo non se ne fa menzione.

Sicché il giudice poteva rigettare l'istanza, in applicazione dell'art. 244 c.c., senza dover spiegare perché non riteneva di

avvalersi del potere di assegnare il termine.

6. - Il ricorso è rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 no

vembre 2000, n. 14426; Pres. Trezza, Est. Vidiri, P.M. Pi

vetti (conci, conf.); Fagà (Avv. C. e M. Miletto) c. Twa

Trans World Airlines Inc. (Avv. Marazza). Conferma Trib.

Napoli 5 maggio 1998.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Impugnazione —

Secondo licenziamento — Conseguenze (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori,

della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di

lavoro e norme sul collocamento, art. 18; 1. 11 maggio 1990 n.

108, disciplina dei licenziamenti individuali, art. 1).

Al datore di lavoro è consentita la reiterazione del licenzia

mento dichiarato nullo per vizio di forma o per altro vizio

procedurale, a ciò non essendo di ostacolo la necessità della

sussistenza del requisito della tempestività del recesso, men

tre la reiterazione stessa, se il vizio da cui è inficiato il primo

licenziamento riguarda la configurabilità della giusta causa o

del giustificato motivo, è consentita solo se basata su nuova

ragione giustificatrice, altrimenti essendo preclusa dal giudi

cato, o, se non si è ancora pervenuti alla formazione di que st'ultimo, dovendosi procedere, a seconda della situazione

processuale in cui si versa, o alla riunione dei procedimenti, o alla dichiarazione di litispendenza, o alla sospensione del

secondo giudizio, salva sempre, nelle more, l'esperibilità della procedura cautelare. (1)

Il licenziamento dichiarato illegittimo (nella specie, per inos

servanza delle garanzie di cui all'art. 7, 2° comma, l. 20

maggio 1970 n. 300) non estingue il rapporto di lavoro, sul

quale quindi possono avere definitivo effetto estintivo diffe

renti cause sopravvenute, tra cui un successivo recesso che

diviene privo di causa a seguito della pronunziata legittimità del primo licenziamento. (2)

(1-2) Tra le decisioni di legittimità più recenti, cfr., in senso confor

me, circa la reiterabilità del licenziamento nullo per vizio di forma o

altro vizio procedurale e sull'irrilevanza del principio di tempestività con riguardo ai fatti contestati, Cass. 23 giugno 1999, n. 6408, Foro it.,

Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 1784; 6 settembre 1995, n. 9386,

id., Rep. 1995, voce cit., n. 1530; cfr., però, Cass. 19 agosto 1991, n.

8908, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1681, per la quale, premessa la reite

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PARTE PRIMA 948

Nel caso in cui, dopo un primo licenziamento, ne sia intervenuto

altro non tempestivamente impugnato, il giudice, chiamato a

pronunziarsi sulle conseguenze del primo licenziamento, di

chiarato illegittimo, deve limitarsi alla condanna del datore

di lavoro, ai sensi dell'art. 18 l. n. 300 del 1970, quale sosti

tuito dall'art. 1 l. 11 maggio 1990 n. 108, al risarcimento dei

danni subiti dal dipendente nel periodo corrente tra il primo ed il secondo licenziamento, salva in ogni caso l'indennità

minima di cinque mensilità, ma non può ordinare la reinte

grazione nel posto prima occupato del lavoratore, cui quindi non compete neppure il diritto all'indennità sostitutiva di cui

all'art. 18, 5° comma, l. n. 300, cit., introdotto dall'art. 1 l.

n. 108, cit. (3)

rabilità di un precedente licenziamento nullo, in punto di tempestività deve trovare applicazione il criterio della relatività, rispetto alla quale l'indagine del giudice di merito, per escludere l'immediatezza, deve es

sere mirata alla ricerca di elementi o di situazioni oggettive tali da in

dividuare in essi la volontà del datore di lavoro di non irrogare sanzio

ni, oppure da rendere incompatibile il provvedimento con la stabilità del rapporto (per lo stato della questione, anche con riguardo alla pre cedente, contrastante giurisprudenza, cfr. M. D'Onghia, Il licenzia mento disciplinare, in AA.VV., Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carino, III. Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del red

dito, estinzione e tutela dei diritti a cura di M. Miscione, Torino, 1998, 341 ss.).

Secondo Cass. 16 aprile 1994, n. 3633, Foro it., Rep., 1994, voce

cit., n. 1371, la rinnovazione, che, risolvendosi nel compimento di un

negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c.

(sull'impossibilità della convalida di un contratto nullo), è possibile an che se non sia ancora avvenuta la reintegrazione del lavoratore colpito dal primo licenziamento ed anche se la questione della validità di que sto sia ancora sub iudice.

Circa la possibilità di intimare nuovo licenziamento, dopo un prece dente licenziamento intimato per ragioni sostanziali, solo per diversa causa giustificatrice, cfr., in senso conforme, Cass. 15 gennaio 1996, n.

281, id., Rep. 1996, voce Cosa giudicata civile, n. 22; 18 novembre

1994, n. 9773, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1412, e, per esteso, Riv. it. dir. lav.. 1995, II, 662, con nota di M. Caro, Rinnova

zione del licenziamento in base a fatti già conosciuti, ma non contesta

ti, dal datore di lavoro al momento dell'intimazione del primo licen

ziamento poi annullato; cfr. altresì Vobiter dictum in Cass. 25 ottobre

1997, n. 10515, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 1744, e, per esteso, Giust. civ., 1998, I, 1387, con nota di M. Cattani, Sul licenziamento

illegittimo e sulla reintegrazione di un lavoratore subordinato ex art. 18 l. n. 300 del 1970 (con consequenziale diritto al risarcimento dei

danni) e sulla facoltà del datore di lavoro di esercitare lo «ius varian di» in sede di assegnazione del posto di lavoro', invece, secondo Pret. Roma 19 novembre 1997, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 1920, il li cenziamento reiterato, quando è ancora sub iudice la legittimità del

primitivo recesso datoriale, è nullo perché privo di causa. Circa l'inidoneità del licenziamento illegittimo, soggetto al regime

della stabilità reale, ad estinguere il rapporto, e circa la mera sospen sione della prestazione dedotta nel sinallagma fino a quando il provve dimento del giudice, che disponga la reintegrazione del lavoratore nel

posto di lavoro, non ripristini la situazione materiale antecedente al li

cenziamento, cfr. Cass. 10515/97, cit., in via di obiter dictum; 19 no vembre 1987, n. 8540, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1900.

(3) Nell'escludere, con la sentenza in epigrafe, che possa ordinarsi la

reintegrazione nel posto di lavoro di cui all'art. 18 1. 20 maggio 1970 n.

300, quale modificato dalla 1. 11 maggio 1990 n. 108, la Corte di cassa zione fa applicazione ad un'ipotesi di ragione giuridica ostativa alla

reintegrazione, riguardo alla quale non si rinvengono precedenti negli esatti termini, di principi più volte enunciati relativamente al caso di

sopravvenuta cessazione totale dell'attività aziendale: cfr. Cass. 6 ago sto 1996, n. 7189, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1560, e 13 febbraio 1993, n. 1815, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1580; nella

giurisprudenza di merito, cfr., ad es., Trib. Milano 4 ottobre 1997, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 1753. Giova rimarcare, quanto all'esclusione anche del diritto all'indennità

sostitutiva della reintegrazione affermata da Cass. 14426/00, in epigra fe, sulla scorta di Cass. 13 agosto 1997, n. 7581, id., 1997,1, 2799, e 21 dicembre 1995, n. 13047, id., 1996, I, 2155 (e Mass. giur. lav., 1996, 76, con nota di G. Mannacio, Gli effetti della «revoca» del licenzia mento sul risarcimento ex art. 18, 4° comma, statuto dei lavoratori e sulla indennità in luogo della reintegrazione), entrambe con nota di ri chiami, la prima riguardante un caso di lavoratore reintegrato a seguito di provvedimento ex art. 700 c.p.c., e la seconda un'ipotesi di ripristino di funzionalità del rapporto mediante revoca del licenziamento, che, appunto in caso di revoca senza tale ripristino, la Corte di cassazione sia orientata in senso opposto: cfr. Cass. 12 giugno 2000, n. 8015, Foro it., Mass., 724; 16 ottobre 1998, n. 10283, id., 1999, I, 121, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 2001.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo il ricor

rente addebita alla sentenza impugnata la disapplicazione del di

sposto di cui al 1° comma dell'art.. 18 1. n. 300 del 1970, come

modificato dalla 1. 11 maggio 1990 n. 108, e conseguente viola

zione del disposto di cui al 5° comma. In particolare, sostiene il

ricorrente che dalla declaratoria di illegittimità del licenzia

mento non poteva che scaturire anche la declaratoria di reinte

gra del lavoratore licenziato nel suo posto di lavoro. Precisa al

riguardo il Fagà che, anche a volere ritenere che l'esistenza di

un nuovo atto risolutorio può incidere sul piano dell'entità del

risarcimento (nel senso che quest'ultimo potrebbe ritenersi li

mitato al solo intervallo temporale tra recesso annullato e suc

cessivo atto estintivo), in nessun caso detto atto può però impe dire l'emanazione da parte del giudice dell'ordine di reintegra, cui è ricollegato il diritto potestativo del lavoratore di optare per l'indennità sostitutiva della reintegra stessa ex 5° comma del

l'art. 18 statuto dei lavoratori; diritto sul quale in nessun modo

possono interagire le eventuali cause di ineseguibilità dell'ordi

ne di reintegra. Con il secondo motivo il ricorrente deduce falsa applicazione

del combinato disposto degli art. 1325, 1418 e 2119 c.c. e 18 1.

20 maggio 1970 n. 300, nonché omesso esame di un punto deci

sivo della controversia, consistente nell'eccezione di illegitti mità costituzionale della presunta «norma vivente» posta dal

tribunale di Napoli a principale fondamento della sua decisione

(eccezione sollevata all'udienza di discussione). In particolare sostiene il ricorrente che la conclusione data dal tribunale alla

fattispecie in esame non è condivisibile, in quanto l'opinione secondo cui il lavoratore che abbia già impugnato il licenzia

mento intimatogli abbia poi l'onere — sempre a pena di deca

denza — di riformulare per la seconda volta la propria impu

gnazione conterrebbe una grave «zona d'ombra». Ed invero, una volta risolto il rapporto di lavoro con un primo licenzia

mento, un secondo recesso non sarebbe più sorretto da alcuna

causa perché non potrebbe avere alcun effetto pratico. Ed inve

ro, l'annullabilità del licenziamento, secondo l'esplicita formu

lazione usata dal legislatore, attesta che il recesso privo di moti

vazione è valido ed efficace (seppure claudicante) ma sottoposto alla condizione che non sia stata esercitata l'azione di impugna zione (o che la stessa sia stata dichiarata infondata), sicché, avendo il primo recesso già prodotto l'effetto della risoluzione

del contratto, il secondo è privo di causa o, a tutto concedere, è

sottoposto alla condizione che sia esperita e che abbia esito po sitivo l'azione di annullamento. Per di più l'interpretazione del

tribunale presenterebbe l'inconveniente di risultare in contrasto

con il principio della parità tra i lavoratori atteso che — risol

vendo il licenziamento illegittimo il rapporto di lavoro solo nel

l'ambito dell'area della tutela reale — solo il dipendente cui si

applica la tutela forte sarebbe costretto ad un onere di doppia

impugnazione a pena di decadenza, in violazione così del dispo sto degli art. 3 e 24 Cost.

Con il terzo motivo il ricorrente denunzia omesso esame di un

punto decisivo della controversia. Deduce che il tribunale non

ha tenuto conto che il secondo licenziamento doveva conside

rarsi nullo perché era stato determinato da motivi illeciti, per avere la società richiamato in detto atto gli addebiti posti a base

del primo licenziamento, inducendo in tal modo esso ricorrente

a considerare inutile una seconda impugnazione. 2. - I tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per

importare la risoluzione di questioni tra loro strettamente con

nesse, vanno rigettati perché privi di fondamento.

Ai fini di un ordinato iter motivazionale appaiono necessarie

alcune precisazioni sulla ripetizione del licenziamento, cui il

datore di lavoro, in caso di applicabilità della tutela reale, ricor

In tema di mancato invito a riprendere servizio rivolto dal datore di lavoro al dipendente che, ottenuta sentenza di reintegrazione nel posto, abbia optato per l'indennità sostitutiva, cfr. Cass. 1° settembre 2000, n.

11464, id., 2000,1, 3105, con nota di richiami, e Mass. giur. lav., 2000, 1320, con nota di N. De Marinis, Esercizio tardivo dell'opzione ex art.

18, 5° comma, statuto dei lavoratori e «perpetuatio» dell'obbligo di

reintegra. In dottrina, per problemi applicativi vari in tema di indennità sostitutiva della reintegrazione, cfr. le sintesi di A. Niccolai, in

AA.VV., I licenziamenti. Commentario a cura di O. Mazzotta, 2a ed., Milano, 1999, 834 ss., e di L. Ioele, in AA.VV., Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, IH. Il rapporto di lavoro subordi

nato, cit., 245 ss.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

re frequentemente con l'intimazione di un secondo licenzia

mento nelle more del giudizio sul primo o anche dopo la senten

za, non passata in giudicato, che ne abbia riconosciuto l'invali

dità. Questa corte ha affermato che un licenziamento nullo per vi

zio di forma o per altro vizio procedurale può essere (anche più

volte) reiterato per le stesse ragioni poste a base del primo li

cenziamento e nel rispetto della forma e della procedura in pre cedenza violati, non potendo costituire ostacolo a detta reitera

zione la necessità della sussistenza del requisito della tempesti vità del recesso, dovendosi tale tempestività esclusivamente ri

ferirsi non già ai fatti contestati ma alle vicende che impongono il rinnovo ed alla mancanza di inerzia del titolare del potere di

sciplinare (cfr., al riguardo, Cass. 6 settembre 1995, n. 9386,

Foro it., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1530, cui adde,

per lo stesso orientamento, tra le tante, Cass. 16 aprile 1994, n.

3633, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1371, che ribadisce che l'inef ficacia di un licenziamento irritualmente intimato, impedendo l'estinzione del rapporto di lavoro, rende ammissibile la reitera

zione di un secondo recesso per gli stessi motivi). 3. - Se il vizio da cui è inficiato il primo licenziamento è, in

vece, sostanziale per riguardare la configurabilità della giusta causa o del giustificato motivo, il nuovo licenziamento è con

sentito solo se basato su di una nuova ragione giustificatrice, concretizzantesi in una diversa condotta inadempiente del lavo

ratore o in una diversa ragione attinente all'organizzazione aziendale (cfr., al riguardo, ex plurimis, Cass. 25 ottobre 1997,

n. 10515, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1744; 15 gennaio 1996, n.

281, id., Rep. 1996, voce Cosa giudicata civile, n. 22; 18 no

vembre 1994, n. 9773, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1412), mentre, se il licenziamento è reiterato per lo stesso

motivo già ritenuto insufficiente dal giudice, il nuovo giudizio è

precluso dal formarsi del giudicato sul punto o, se ancora non si

è pervenuto alla sua formazione, dovrà, in ragione della situa

zione processuale in cui si versa — e come si è avuto occasione

di puntualizzarsi in dottrina —, procedersi o alla riunione neces

saria dei procedimenti, o alla dichiarazione di litispendenza o,

infine, alla sospensione del secondo giudizio, e facendo sempre salva nelle more l'esperibilità della procedura cautelare.

4. - Orbene, nel caso di specie la società, essendo venuta a

conoscenza di nuove infrazioni dopo l'intimazione del licen

ziamento, ben poteva procedere ad emettere un successivo

provvedimento di risoluzione del rapporto lavorativo, contra

riamente a quanto dedotto dal ricorrente, che ha sostenuto, inve

ce, la nullità di tale provvedimento. Ed invero, il licenziamento dichiarato illegittimo (nella fatti

specie in oggetto, per inosservanza delle garanzie previste dal

l'art. 7, 2° comma, statuto dei lavoratori), non estingue il rap

porto lavorativo, che invece sopravvive con l'ulteriore conse

guenza che su tale rapporto possono avere un definitivo effetto

estintivo diverse cause sopravvenute (quali, ad esempio, dimis

sioni, morte del lavoratore, nuovo licenziamento non tempesti vamente impugnato).

Va ricordato al riguardo che, per la disciplina posta dall'art.

18 statuto dei lavoratori, il licenziamento illegittimo non è ido

neo ad estinguere il rapporto di lavoro al momento in cui è stato

intimato, determinando unicamente una sospensione della pre stazione dedotta nel sinallagma a causa del rifiuto del datore di

lavoro di ricevere la prestazione stessa, sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ri

pristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento

stesso (cfr., al riguardo, tra le altre, Cass. 25 ottobre 1997, n.

10515; 19 novembre 1987, n. 8540, id., Rep. 1988, voce cit., n.

1900, e, da ultimo, sempre per l'inidoneità del licenziamento

illegittimo ad estinguere il rapporto lavorativo, Cass., sez. un.,

27 luglio 1999, n. 508/SU, id., 1999,1, 2818). Solo la pronunziata legittimità del licenziamento rende privo

di causa il successivo recesso per essersi il rapporto lavorativo,

su cui esso dovrebbe incidere, già estinto (cfr., sul punto, Cass.

22 aprile 1976, n. 1428, id., Rep. 1976, voce cit., n. 820, cui ad

de, in epoca meno risalente, Cass. 16 maggio 1994, n. 4757, id.,

Rep. 1994, voce cit., n. 1606, per la rilevanza del giudicato di

legittimità del primo licenziamento nel giudizio diretto a far

valere l'illegittimità del secondo recesso).

5. - Né ha fondamento la pretesa del lavoratore di ottenere nel

caso di specie l'ordine da parte del giudice di uno specifico

provvedimento di reintegra, da ricollegarsi necessariamente nel

II Foro Italiano — 2001.

l'area della tutela reale ad ogni declaratoria di illegittimità del

licenziamento.

Ed invero, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, un

siffatto ordine deve ritenersi precluso —

pur nei rapporti stabili,

garantiti cioè dalla tutela reale — ogniqualvolta sopravvengano,

dopo l'impugnativa di licenziamento, per fatti non imputabili al

datore di lavoro, ragioni di carattere oggettivo (ad esempio, morte del lavoratore; cessazione dell'attività imprenditoriale per il venir meno del complesso aziendale, ecc.) o ragioni mera

mente giuridiche (ad esempio, conseguimento del diritto a pen sione allorquando non risulti provato che il lavoratore versi

nelle condizioni previste dalla legge per l'esercizio del diritto di

opzione; soppressione a seguito di procedura di mobilità del po sto a cui dovrebbe essere reintegrato il lavoratore licenziato,

sempre che non sia possibile una sua diversa utilizzazione), che

ostano all'accoglimento della chiesta reintegra, dovendo in tali

casi il giudice limitarsi alla sola condanna risarcitoria sino al

momento della sopravvenuta causa estintiva del rapporto. Ne consegue che, nel caso in cui, dopo un primo licenzia

mento, ne sia intervenuto altro, non tempestivamente impugna

to, il giudice, chiamato a pronunziarsi sulle conseguenze del

primo licenziamento, dichiarato illegittimo, deve limitarsi alla

condanna dei danni subiti dal lavoratore nel periodo corrente tra

il primo ed il secondo licenziamento, con esclusione di qualsiasi risarcimento per il periodo successivo, salva in ogni caso l'in

dennità minima di cinque mensilità. Lo stesso giudice non può,

invece, ordinare ex art. 18 statuto dei lavoratori la reintegra nel

posto di lavoro, essendosi il rapporto lavorativo ormai definiti

vamente estinto per effetto della mancata impugnativa del se

condo provvedimento di recesso.

Una siffatta conclusione si pone in linea con quanto già sta

tuito, in una fattispecie analoga a quella in oggetto, da questa

corte, che ha infatti riconosciuto alla cosiddetta tutela risarcito

ria, prevista dall'art. 18 statuto dei lavoratori per il caso di li

cenziamento illegittimo, un carattere autonomo rispetto a quella

ripristinatoria, contemplata dal 1° comma della summenzionata

norma, così da potere essere riconosciuta anche al dipendente che (non voglia o) non possa ottenere la reintegra nel posto di

lavoro (cfr., in tali sensi, Cass. 13 febbraio 1993, n. 1815, id.,

Rep. 1993, voce cit., n. 1580, secondo cui, qualora nelle more

del giudizio promosso dal lavoratore si verifichi un accadimento

che renda impossibile per causa non imputabile ad una delle

parti ai sensi degli art. 1256 e 1463 c.c. la reintegrazione —

come avviene in caso di cessazione totale dell'attività aziendale — il giudice, che accerti l'illegittimità del pregresso licenzia

mento, non può disporre la reintegra, dovendosi limitare ad ac

cogliere la sola domanda di risarcimento del danno con riguardo al periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della

sopravvenuta causa di risoluzione del rapporto). 6. - L'impossibilità di una pronunzia giudiziaria reintegrato

ria comporta il venir meno del diritto del lavoratore all'inden

nità sostitutiva di cui al 5° comma dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300, introdotto con la 1. n. 108 del 1990.

Questa corte ha già statuito che, in caso di licenziamento e di

successiva impugnazione dello stesso in sede giurisdizionale, ove la funzionalità di fatto del rapporto sia stata —

prima della

sentenza che dichiari l'illegittimità del licenziamento — ripri stinata dal datore di lavoro (tramite revoca del disposto licen

ziamento), non può più essere riconosciuto il diritto del lavora

tore licenziato all'indennità pari a quindici mensilità di retribu

zione, che detto lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di

lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro

(cfr., in tali sensi, Cass. 13 agosto 1997, n. 7581, id., 1997, I,

2799; 21 dicembre 1995, n. 13047, id., 1996, I, 2155). A soste

gno di tale statuizione la corte ha posto l'assunto che la scelta

del lavoratore alla monetizzazione del posto di lavoro, correlan

dosi ad una obbligazione con facoltà alternativa, della quale

l'unico oggetto è costituito dalla reintegrazione, presuppone ne

cessariamente l'attualità dell'obbligo di reintegrazione, per cui

la richiesta stessa non può essere accolta quando il lavoratore

abbia già ripreso servizio, manifestando pertanto in tal modo (e

confermando con la prosecuzione dell'attività lavorativa) una

volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rap

porto implicita nel suddetto potere di scelta (cfr., ancora, Cass.

13 agosto 1997, n. 7581, e 21 dicembre 1995, n. 13047). 7. - Dalla qualificazione dell'obbligazione datoriale ex 5°

comma dell'art. 18 statuto dei lavoratori come obbligazione con

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 4 novembre 2000, n. 14426; Pres. Trezza, Est. Vidiri, P.M. Pivetti (concl. conf.); Fagà (Avv. C. e M. Miletto) c. Twa-Trans World Airlines Inc. (Avv. Marazza).

PARTE PRIMA 952

facoltà alternativa dal lato del creditore lavoratore, qualificazio ne condivisa anche dai giudici delle leggi (cfr., infatti, Corte

cost. 4 marzo 1992, n. 81, id., 1992, I, 2044, per la testuale af

fermazione che «anziché la prestazione dovuta in via principale, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro, il creditore ha facoltà

di pretendere una prestazione diversa di natura pecuniaria, che è

dovuta solo in quanto dichiari di preferirla, e il cui adempi mento produce, insieme con l'estinzione dell'obbligazione di

reintegrare il lavoratore nel posto, la cessazione del rapporto per

sopravvenuta mancanza dello scopo»), consegue che in tutti i

casi in cui — come quello oggetto della presente controversia —

l'obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, non è dovuta neanche

l'indennità sostitutiva in esame.

È noto che nell'obbligazione alternativa sono dovute due (o

più) prestazioni ma solo un adempimento (duae, vel plures res

sunt in obligatione, una autem in solutione), mentre nell'obbli

gazione facoltativa (o con facoltà alternativa) è invece dovuta

una prestazione, con facoltà di scelta di altra prestazione da

parte del debitore (obbligazione facoltativa passiva) o da parte del creditore, come nel caso di specie (obbligazione facoltativa

attiva) (una res in obligatione, duae autem in facultate solutio

nis). La distinzione tra questi due diversi tipi di obbligazione si

manifesta soprattutto in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Ed invero, mentre nell'obbligazione alternativa l'impossibi lità sopravvenuta di una delle prestazioni, non imputabile alle

parti, converte l'obbligazione alternativa in obbligazione sem

plice, con l'effetto di concentrare il suo oggetto nell'altra pre stazione ancora possibile (art. 1288 c.c.), nell'obbligazione fa

coltativa invece, che configura una obbligazione semplice per essere dovuta una sola prestazione, se detta prestazione diviene

impossibile, l'obbligazione stessa si estingue, senza che abbia

alcuna rilevanza la possibilità di esecuzione della prestazione rimessa alla facoltà del debitore, e rimanendo travolta la facoltà

di scelta del creditore che non sia già stata esercitata.

Per concludere sul punto, va, dunque, ribadito che, resasi im

possibile la reintegra nel posto di lavoro, il lavoratore non può

pretendere l'indennità sostitutiva ex 5° comma dell'art. 18 sta

tuto dei lavoratori, per essersi estinta l'obbligazione gravante sul datore di lavoro. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 otto

bre 2000, n. 13062; Pres. Annunziata, Est. Felicetti, P.M.

Gambardella (conci, diff.); F. De Ferri (Avv. Fiocca, Ge

niola, Leone) c. P. De Ferri (Avv. Varano, Fantini). Cassa

App. L'Aquila 4 novembre 1997.

Adozione e affidamento — Adozione ordinaria — Vizi del consenso — Annullamento — Pubblico ministero — Legit timazione — Esclusione — Intervento obbligatorio —

Estremi (Cod. civ., art. 296, 306; cod. proc. civ., art. 70,

354).

Il pubblico ministero non è legittimato a proporre l'azione di

annullamento dell'adozione (ordinaria) per vizio del consen

so, ma deve obbligatoriamente intervenire nel giudizio; per tanto, deve essere cassata la sentenza pronunciata in esito a

procedimento d'appello nel quale il pubblico ministero non sia intervenuto e, comunque, non sia stata disposta alcuna

comunicazione a detto ufficio. (1)

(1) I. - Sulla sufficienza, per l'osservanza delle norme che prevedo no l'intervento obbligatorio del p.m. nel processo civile, della comuni

II Foro Italiano — 2001.

Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Il p.g. presso questa corte ha dedotto in udienza che, trattandosi di causa nella quale era stata chiesta la dichiarazione di nullità di un'adozione per vizio del consenso dell'adottante, vertendosi in materia attinente

allo stato delle persone, a norma dell'art. 70 c.p.c. era richiesto

l'intervento obbligatorio in causa del p.m. Essendo questo man

cato in entrambi i gradi del giudizio, ha chiesto la cassazione

della sentenza con la rimessione degli atti al giudice di primo

grado.

cazione degli atti all'ufficio di tale organo, per consentirgli di interve nire nel giudizio, v. Cass. 3 marzo 2000, n. 2381, id., Mass., 284; 19

gennaio 2000, n. 571, ibid., 50 (in tema di querela di falso); 10 novem bre 1999, n. 12456, id., Rep. 1999, voce Pubblico ministero civile, n. 1

(relativa ad una fattispecie in cui si lamentava che il p.m. era rimasto assente dallo svolgimento della fase istruttoria di un procedimento di ammissibilità dell'azione ex art. 274 c.c. e se ne inferiva la conseguen za della nullità dello stesso); 4 giugno 1996, n. 5119, id., Rep. 1996, voce cit., n. 4.

Tali sentenze rilevano che la concreta partecipazione del p.m. al pro cedimento della cui esistenza è stato ufficialmente informato (ad esem

pio, formulando richieste anche istruttorie e conclusioni) è rimessa alla sua diligenza, e non è pertanto necessario informarlo della data delle

singole udienze ovvero degli atti formatisi nel procedimento. Pertanto non rileva, né può in alcun modo essere oggetto di censura e motivo di nullità processuale, il modo dell'intervento di tale organo e l'uso fatto del potere di intervento a lui attribuito (e quindi anche l'eventuale iner zia totale del p.m.).

II. - Nei giudizi civili per i quali sia obbligatorio l'intervento del

p.m. la legittimazione alla partecipazione al giudizio di gravame appar tiene esclusivamente all'ufficio del p.m. presso il giudice ad quem, e non all'ufficio presso il giudice a quo: v. Cass. 14 gennaio 1998, n.

261, id., Rep. 1998, voce Perizia penale, n. 19 (per esteso, Giust. civ., 1998, I, 1306, in tema di impugnazione del provvedimento di liquida zione del compenso al perito del p.m.); 27 luglio 1998, n. 7352, Foro

it., Rep. 1998, voce Pubblico ministero civile, n. 2; 23 aprile 1998, n.

4179, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 118.

Inoltre, nelle cause di separazione personale dei coniugi, l'art. 70, 1°

comma, n. 2, c.p.c., sull'obbligatorietà dell'intervento del p.m., trova

applicazione fino a quando sia in discussione il vincolo matrimoniale, e non anche, pertanto, nel giudizio d'appello, ove inerente ai soli rapporti patrimoniali; v. Cass. 24 febbraio 1997, n. 1664, id., Rep. 1997, voce Pubblico ministero civile, n. 8.

III. - Sulla non rilevabilità di ufficio in ogni stato e grado del proces so della nullità della sentenza derivante dalla mancata partecipazione del p.m. al giudizio di primo grado, nei procedimenti in cui sia pre scritto l'intervento in causa di tale organo, in quanto tale vizio si con

verte, ex art. 158 e 161 c.p.c., in motivo di impugnazione, che può esser fatto valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell'appello, v. Cass. 23 febbraio 2000, n. 2073, id., Mass., 254 (in tema di brevetti).

IV. - Sulla nullità della sentenza di primo grado, conseguente alla mancata partecipazione del p.m., in causa nella quale ne è obbligatorio l'intervento ai sensi dei nn. 2, 3 e 5 dell'art. 70 c.p.c., pronunciata dal

giudice d'appello, e sull'obbligo per questi di trattenere la causa presso di sé e deciderla nel merito, senza possibilità di rimetterla al primo giu dice, v. Cass. 27 gennaio 1997, n. 807, id., Rep. 1997, voce cit., nn. 5, 7

(per esteso, Giust. civ., 1997,1, 1276), richiamata dalla sentenza in ras

segna. La nullità in parola non si estende agli atti anteriori alla deliberazio

ne della sentenza nulla, validamente formatisi anche senza la partecipa zione del p.m., in quanto ai fini di tale partecipazione è sufficiente che

egli spieghi intervento all'udienza di discussione innanzi al collegio: v. Cass. 15 novembre 1997, n. 11338, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 6; 27 gennaio 1997, n. 807, cit.

La mancata partecipazione del p.m. (sempre in violazione dell'art.

70, nn. 2, 3, 5, cit.) in fase d'appello, investe, interamente, tale grado di

giudizio nonché la sentenza pronunciata alla sua conclusione, trattando si di vicenda attinente alla regolare costituzione del rapporto proces suale: v. Cass. 10 giugno 1998, n. 5756, id., Rep. 1998, voce cit., n. 3

(la sentenza rileva che, a fronte di tale nullità, non può in contrario «le

gittimamente invocarsi una presunta (ma in realtà insussistente) modi fica del citato art. 70 quale effetto dell'entrata in vigore della 1. n. 74 del 1987 che, all'art. 23, si è soltanto limitata ad estendere, ai giudizi di

separazione, le regole di cui all'art. 4 1. n. 898 del 1970, senza alcun ri ferimento all'intervento del p.m. (definito, per converso 'obbligatorio' nel successivo art. 5). Ne consegue la necessità di rinnovare l'intero

giudizio d'appello, con l'intervento obbligatorio del p.m., non essendo

ipotizzabile il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, stante l'effetto conservativo dell'impugnazione a suo tempo ritual mente e tempestivamente proposta»).

V. - Sull'incostituzionalità dell'art. 70 c.p.c., nella parte in cui non

prescrive l'intervento obbligatorio del p.m. nei giudizi tra genitori natu rali che comportino «provvedimenti relativi ai figli», nei sensi di cui

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