sezione lavoro; sentenza 5 dicembre 1997, n. 12368; Pres. Casciaro, Est Prestipino, P.M.Ceniccola (concl. diff.); Di Cagno (Avv. Persiani) c. De Fazio ed altri (Avv. Francia, Paccione,Manfredonia). Regolamento di competenza avverso Pret. Bari 10 aprile 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 5 (MAGGIO 1998), pp. 1511/1512-1517/1518Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194452 .
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PARTE PRIMA 1512
luogo che non era quello indicato quale recapito della convenu
ta. E poiché, in difetto di prova della esistenza di una diversa
normativa austriaca, dovevano applicarsi le norme italiane sulle
notifiche a mezzo posta, nella specie doveva dichiararsi la nulli
tà della notificazione dell'atto introduttivo.
Ricorre, dunque, per cassazione la René Caovilla s.p.a. sulla
base di tre motivi. Non si sono costituiti gli intimati.
Motivi della decisione. — Con la prima censura, la ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 142 e 149
c.p.c.; dell'art. 5 della convenzione italo austriaca del 30 giu
gno 1975 (1. 342/77); degli art. 7 e 9 1. 890/92, in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c.
Deduce, in particolare, che la citata convenzione consente la
notifica degli atti giudiziari ed extragiudiziali, in materia civile e commerciale, anche «direttamente a mezzo della posta». Pre
cisa che la convenzione è applicativa di quella dell'Aja del 1°
marzo 1954 il cui art. 6 dà facoltà di indirizzare direttamente
per via postale atti agli interessati che si trovano all'estero. L'e
secuzione della notifica postale esige la spedizione in piego rac
comandato senza avviso di ricevimento.
Orbene, sottolinea la ricorrente, la corte territoriale avrebbe
ritenuto applicabile, erroneamente, non l'art. 142 c.p.c. ma l'art.
149, disposizione regolatrice delle notifiche a mezzo posta diret
te a soggetti aventi residenza o domicilio nel territorio dello
Stato. La norma dell'ordinamento italiano, in ogni caso, «non
potrebbe raggiungere con carattere autoritativo, e vincolare con
efficacia impositiva, l'ufficiale postale austriaco che non risponde all'ordinamento italiano ed opera in base a diverse leggi». Sic
ché, sarebbero senza effetto le analitiche ipotesi concernenti la
consegna e la mancata consegna del plico.
Peraltro, l'avviso di ricevimento per la notifica all'estero è, secondo la ricorrente, privo di qualsiasi riferimento alla norma
tiva regolatrice della notifica degli atti giudiziari, recando solo la dicitura «questo invio deve essere firmato dal destinatario
o da una persona all'uopo autorizzata in base ai regolamenti interni del paese di destinazione». Da tutto ciò, la ricorrente
trae il convincimento che la consegna del plico fatto allo studio
legale Puletz e Stadler comporterebbe una presunzione di legit timità della condotta dell'ufficiale postale austriaco e di auto
rizzazione a ricevere in capo ai professionisti. Conclusione av
valorata dalla circostanza della diversità degli indirizzi (della de stinataria e dello studio legale), sicché sarebbe da escludere sia
l'errore che la «leggerezza» dell'ufficiale postale e da considera re che la condotta dell'ufficiale era conforme al regolamento interno del paese di destinazione. In definitiva, la sottoscrizione e l'apposizione del timbro dello studio legale certificavano, di
per sè, «per la natura stessa della professione esercitata, la qua lità di «domiciliatari» rivestita dai legali.
La censura, alla stregua dei principi fondamentali dell'ordi
namento giuridico della repubblica, non ha fondamento.
Giova, preliminarmente, sottolineare che questa corte è inve stita del controllo di legittimità della affermazione dei giudici di appello secondo cui andava esclusa l'esistenza stessa del rap porto processuale nel primo grado del giudizio e, quindi, la ef ficacia della decisione pronunziata a definizione di quel grado.
La suddetta verifica concerne, sostanzialmente, la correttezza della interpretazione delle norme richiamate dalla ricorrente (con venzione italo-austriaca applicativa della convenzione dell'Aja del 1954), nella parte in cui regolano le notifiche tramite il ser vizio postale. Più specificamente, l'esame deve riguardare la fa se della «consegna» del plico e, quindi, la individuazione del momento perfezionativo della notifica strettamente connesso al l'accertamento delle idoneità del consegnatario. Al riguardo, la corte territoriale, contrariamente al convincimento del tribuna
le, ha, per un verso, escluso il fondamento della presunzione di legittimità della notifica effettuata allo studio legale Puletz
Stadler, nel presupposto che se la consegna era avvenuta allo «studio» doveva ritenersi che quegli avvocati «erano abilitati a ricevere la posta della convenuta»; per altro verso, ha ritenu to applicabile la normativa italiana in materia di notifica a mez zo posta «in difetto di prova della esistenza di una diversa nor mativa austriaca».
È convincimento di questa corte che alla decisione impugnata debba riconoscersi piena legittimità e, tuttavia, che sia necessa rio motivare più puntualmente sul principio che la sostiene. Non si tratta, infatti, di conoscere né le norme austriache in tema di consegna di «plichi raccomandati» né di ritenere esercitabili
Il Foro Italiano — 1998.
— è appena il caso di rilevarlo — controlli o autorità sull'agen te postale austriaco.
Si tratta di verificare se la notifica di cui si discute può essere
considerata, allo stato delle risultanze processuali, efficace nel
l'ordinamento italiano. È ben vero che le norme della conven
zione italo-austriaca, resa esecutiva dalla 1. 342/77 abilitano alle
notifiche tramite il servizio postale e che le modalità di conse
gna sono quelle proprie dei regolamenti interni del paese di de
stinazione, ma il giudice italiano non può recepire, o ritenere
efficaci, norme del paese di destinazione che contrastino con
le esigenze di ordine pubblico dell'Italia. E, in tale ambito, de
vono ricondursi quelle relative alla «legittima costituzione» dei
rapporti processuali che è tale solo se è assicurata la fondamen
tale, irrinunciabile esigenza della integrità del contraddittorio, attraverso o la diretta relazione, tramite la notifica dell'atto, tra l'attore ed il convenuto o quella medesima relazione attra
verso la consegna del plico a persone «specificamente indivi
duate», in ragione di un rapporto cui l'ordinamento del paese destinatario ritiene di dover dare rilevanza.
Vale, sul punto, ricordare che, in nessun caso, le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni o convenzioni posso no avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contra
ri all'ordine pubblico (art. 31 disp. sulla legge in generale). Sic
ché, né la consegna allo studio legale con cui il destinatario
abbia tenuto «altri» rapporti può, di per sé, legittimare, innanzi
al giudice italiano, la notifica di un atto introduttivo — che di questo si tratta — eseguita presso quello studio legale, né
possono valere presunzioni nascenti dalla materiale ricezione di
quel plico. E neppure interessa qualificare la condotta dell'a
gente postale austriaco, in riferimento alle presunzioni che egli aveva potuto formulare, come sembra ritenere la ricorrente.
Conclusivamente, alla stregua delle risultanze processuali e delle deduzioni formulate, la decisione sulla illegittimità della
notifica dell'atto introduttivo e, quindi, della sentenza di primo grado, deve considerarsi conforme a legge.
Il secondo motivo — con cui la ricorrente denunzia violazio ne e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2697 c.c.) —
e la terza censura — con cui la ricorrente denunzia violazione
degli art. 113 e 115 c.p.c.; 2697 cc. — sono manifestamente assorbite in ragione dell'effetto risolutivo delle considerazioni formulate nel rigettare la prima censura.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 dicem bre 1997, n. 12368; Pres. Casciaro, Est Prestipino, P.M. Ceniccola (conci, diff.); Di Cagno (Aw. Persiani) c. De Fazio ed altri (Aw. Francia, Paccione, Manfredonia). Re
golamento di competenza avverso Pret. Bari 10 aprile 1996.
Competenza civile — Materia — Individuazione — Criteri (Cod. proc. civ., art. 5, 14, 38).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Prestazione di lavoro autonomo — Competenza del pretore quale giudice del lavoro — Condizioni — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
409).
Ai fini della determinazione del giudice competente per materia si deve far riferimento — fermo restando che la qualificazio ne giuridica dei fatti è riservata al giudice — all'oggetto della domanda proposta dall'attore ed ai fatti posti a fondamento della stessa, mentre sono del tutto irrilevanti, al suddetto fi ne, le contestazioni formulate dal convenuto, salvo che da
parte dello stesso convenuto non venga eccepito che la natura del rapporto sia stata dedotta dall'attore in modo pretestuo so, mediante cioè una evidente ed artificiosa allegazione dei
fatti al fine di sottrarre la causa al giudice precostituito per legge: conseguentemente, poiché la competenza deve essere
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
determinata nel tempo più breve possibile e senza inutili ap
pesantimenti della causa, al giudice è inibito di pervenire alla
relativa decisione mediante acquisizione ed esame delle prove dedotte dalle parti. (1)
Ai fini della sussistenza di un rapporto di collaborazione ai sen
si dell'art. 409, n. 3, c.p.c., con conseguente devoluzione del
la relativa controversia alla competenza del pretore in funzio ne di giudice del lavoro, occorre che ricorrano congiuntamen te i requisiti della continuità, della coordinazione e della
personalità (nella specie, è stata esclusa l'esistenza di un rap
porto di collaborazione ex art. 409, n. 3, c.p.c. nell'ipotesi di opera professionale di un notaio prestata separatamente
per una pluralità di committenti, non essendosi ravvisata la
ricorrenza dei requisiti della continuità e della coordinazione
proprio in considerazione della pluralità di committenti). (2)
(1) Sul fatto che, ai fini dell'individuazione del giudice competente
per materia, debba farsi riferimento alla domanda dell'attore, restando,
per contro, irrilevanti le contestazioni del convenuto, la giurisprudenza della Suprema corte è costante: tra le tante, fra le più recenti, v. sent.
21 marzo 1997, n. 2509, Foro it., Mass., 228; 26 luglio 1996, n. 6748,
id., Rep. 1996, voce Competenza civile, n. 41; 27 marzo 1996, n. 2740,
ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 46; 26 febbraio 1996, n. 1495, ibid., n. 66; 20 gennaio 1993, n. 699, id., Rep. 1994, voce
Infortuni sul lavoro, n. 118; 27 agosto 1991, n. 9172, id., 1992, I, 1805; 19 agosto 1991, n. 8917, id., Rep. 1991, voce Lavoro e previdenza (con
troversie), n. 51; 25 giugno 1987, n. 5604, id., Rep. 1987, voce Compe tenza civile, n. 19; 18 febbraio 1986, n. 981, id., Rep. 1986, voce Lavo
ro e previdenza (controversie), n. 37; 16 ottobre 1985, n. 5090, ibid., voce Competenza civile, n. 20.
Che già prima dell'introduzione, ad opera della 1. 353/90, della rego la sancita dall'art. 38, 3° comma, c.p.c., doveva ritenersi insito nel
sistema processuale il principio per il quale il giudice del merito, chia
mato a risolvere una questione di competenza, non può utilizzare prove costituende, ma soltanto prove precostituite, ossia entrate in causa sen
za un'apposita istruzione, secondo la regola stabilita dall'art. 14 c.p.c. limitatamente alla competenza per valore nelle cause relative a somme
di denaro o a beni mobili, ma estensibile all'intero sistema, da ultimo, v. Cass. 8 agosto 1996, n. 7304, id., Rep. 1996, voce cit., n. 39; in
dottrina, sull'argomento, per tutti, v. Proto Pisani, Lezioni di diritto
processuale civile, 2" ed., 1996, 308 ss.
(2) In termini, Cass. 19 maggio 1994, n. 4918, Foro it., 1995, I,
1488, nonché Riv. it. dir. lav., 1995, II, 49, con nota di Calafà, che
ha escluso la competenza del pretore quale giudice del lavoro nella con
troversia promossa congiuntamente da tre aziende contro il consulente
del lavoro che per lunghissimo tempo aveva prestato la sua opera in
modo indifferenziato nel loro interesse, rilevando che in presenza di
una pluralità di committenti non è dato configurare i requisiti della
continuità e della coordinazione.
Nella fattispecie odierna, in un'ipotesi di opera professionale prestata da un notaio nell'arco di dieci anni a favore di una pluralità di impren ditori edili, la Cassazione ha escluso la ricorrenza del requisito della
continuità sul rilievo che il professionista non potesse aver espletato in modo assiduo e costante, nei confronti di ogni singolo cliente, quel
l'impegno continuativo senza il quale non può sussistere il rapporto di collaborazione; parimenti, si è ritenuto inesistente il requisito della
coordinazione, in quanto la pluralità di committenti impedisce di ravvi
sare l'elemento dell'inserimento del professionista nelle rispettive orga nizzazioni aziendali, ovvero quello della partecipazione all'interesse in
vista del quale l'opera professionale viene realizzata.
Sulla necessità che ricorrano congiuntamente i requisiti della conti
nuità, della coordinazione e della personalità perché possa configurarsi un rapporto di collaborazione ex art. 409, n. 3, c.p.c., tra le tante, e fra le più recenti, v. Cass. 20 agosto 1997, n. 7785, Foro it., Mass.,
771; 26 luglio 1996, n. 6752, id., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 64; 9 settembre 1995, n. 9550, ibid., n. 67; 15 aprile
1991, n. 4030, id., Rep. 1991, voce cit., n. 80; 5 giugno 1989, n. 2698,
id., Rep. 1989, voce cit., n. 202; 5 novembre 1986, n. 6475, id., Rep.
1987, voce cit., n. 76, e Corriere giur., 1987, 341, con nota di Vitali.
Per una esauriente rassegna di ipotesi di prestazioni di lavoro auto
nomo ritenute riconducibili alla previsione dell'art. 409, n. 3, c.p.c., nonché per ulteriori ragguagli bibliografici, si rinvia all'ampia nota di
richiami a Cass. 4918/94, cit. Per ulteriori riferimenti, cfr., da ultimo,
M. De Luca, Nuove forme di lavoro (oltre la subordinazione e l'auto
nomia), in Foro it., 1998, I, 665.
* * *
Due telegrafiche osservazioni. La prima: più di otto anni (di cui circa sette in primo grado) per
sapere chi è il giudice competente sono un po' troppi, anche per una
giustizia malata come la nostra.
Il Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 28 luglio 1989
il notaio Antonio Di Cagno conveniva davanti al Pretore del
lavoro di Bari Lorenzo De Fazio, Paolo Paltera, Antonio Ana
cleto, la s.n.c. Costruzioni geom. Lorenzo De Fazio e ing. An
tonio Anaclerio, la s.r.l. Lavori edili 1986 e la s.a.s. Costruttori
associati geom. Lorenzo De Fazio e C. ed esponeva che, a se
guito di una lunga e continua attività di collaborazione perso nale svolta nei confronti di tutti i convenuti, durata per oltre
dieci anni, aveva prestato la sua opera professionale per il per
seguimento dell'attività imprenditoriale dei medesimi convenu
ti, che era finalizzata alla realizzazione e alla commercializza
zione di complessi edilizi, in particolre espletando la propria consulenza per l'individuazione dei suoli o dei fabbricati da ac
quistare e adoperandosi nelle trattative con i proprietari, nello
studio di ciascun affare sotto il profilo legale, urbanistico e am
ministrativo, nella scelta della forma imprenditoriale (personale 0 societaria) da far assumere ai soggetti costruttori, nella costi
tuzione di società, nelle riunioni con clienti e consulenti, nei
rapporti con le autorità amministrative e nella redazione di boz
ze di verbali assembleari. Il ricorrente deduceva di non avere
ottenuto il corrispettivo di tali prestazioni e chiedeva che i con
venuti fossero condannati a pagargli le somme di denaro indi
cate nel ricorso, che distingueva fra compensi per l'attività tipi camente notarile e compensi per l'opera di consulenza.
Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepivano in via prelimi nare l'incompetenza per materia del giudice del lavoro e, nel
merito, contestavano la fondatezza delle pretese avversarie, di
cui chiedevano il rigetto.
Dopo una lunga e complessa istruttoria, con assunzione di
testi e acquisizione di documenti, il pretore con sentenza del
10 aprile 1996 dichiarava la propria incompetenza per materia.
Il pretore, premessi i principi di diritto enunciati dalla Corte
di cassazione per ritenere nell'opera prestata da un libero pro
fessionista, ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c., l'esistenza dei re
quisiti della continuazione, della coordinazione e della persona
lità, osservava che dalla deposizione dei testi era emerso che
tali requisiti nella specie non sussistevano, non essendo stata
raggiunta «la prova convincente in ordine agli assunti del ri
corrente».
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per regolamento di competenza il Di Cagno. Tutti gli intimati hanno resistito
con distinte scritture difensive. Il procuratore generale ha con
cluso come in epigrafe. Motivi della decisione. — Con l'istanza per regolamento di
comptenza sostiene il ricorrente che la pronuncia del pretore, dichiarativa dell'incompetenza per materia, sarebbe errata per la seguente triplice ragione: 1) perché il pretore, invece di appli
care i principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione —
secondo cui, per determinare la competenza per materia, in mo
do rapido e immediato, si deve fare riferimento alla domanda,
e cioè alla sostanza della pretesa e ai fatti posti a fondamento
di questa — ha emesso la sua decisione «dopo sei anni di este
nuante istruttoria» in base alle prove testimoniali raccolte, men
tre la decisione medesima avrebbe dovuto essere resa tenendo
conto esclusivamente delle allegazioni contenute nel ricorso in
troduttivo del giudizio, con le quali era stata dedotta una pre stazione d'opera coordinata e continuata, a carattere prevalen temente personale; 2) perché nella sentenza impugnata è stato
escluso, in via aprioristica, che l'attività notarile possa dar luo
go a una prestazione svolta con i requisiti che caratterizzano
1 c.d. rapporti di parasubordinazione; 3) perché, in ogni caso,
Se i giudici si convincessero ad applicare con maggior rigore l'art.
187, 3° comma, c.p.c. (su cui da ultimo, in senso critico, v. Cipriani, Autoritarismo e garantismo nel processo civile [A proposito dell'art.
187, 3° comma, c.p.c.], in Riv. dir. proc., 1994, 24 ss.), probabilmente ad una pronuncia declinatoria di competenza (o comunque ad una sen
tenza di assoluzione del convenuto dall'osservanza del giudizio) potreb be giungersi in tempi più ragionevoli.
La seconda: è davvero singolare che la Cassazione, con la pronuncia in epigrafe, da un lato censuri il giudice di merito che, per decidere
sulla competenza, ha appesantito lo svolgimento della causa con il com
pimento di attività istruttoria non consentita; dall'altro, quasi non paga della consistente mole degli elementi probatori già conseguiti in sede
di merito, senta il bisogno di attingere da altri procedimenti (instaurati dall'attore nei confronti di altri convenuti) materiale probatorio a so
stegno della sua decisione. [C.M. Cea]
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1515 PARTE PRIMA 1516
una più retta valutazione delle prove, sia documentali che testi
moniali, avrebbe dovuto indurre il pretore a dichiarare la pro
pria competenza per materia.
I resistenti, dal canto loro, preliminarmente eccepiscono l'i
nammissibilità o l'improponibilità del ricorso — in base al rilie vo che, proprio tenendo conto della prima delle tre censure for
mulate dal Di Cagno, la sentenza emessa dal Pretore di Bari
conterrebbe una vera e propria decisione di rigetto, nel merito, delle domande proposte e non una pronuncia di incompetenza — e chiedono che in ogni caso il ricorso stesso sia rigettato in quanto privo di fondamento.
Benché sotto il profilo strettamente giuridico debba essere con
divisa la prima delle tre censure dedotte nel ricorso per regola mento di competenza e, in pari tempo, debba essere disattesa
l'eccezione preliminare dedotta dai resistenti, tuttavia, in base
ad argomenti diversi da quelli posti a fondamento della senten
za impugnata e a prescindere dalle istanze e dalle deduzioni del
le parti — dato che la Corte di cassazione, in sede di regola mento di competenza, deve comunque pervenire alla designa zione del giudice competente in base agli elementi stabiliti dalla
legge (v., fra le tante sentenze, Cass. 9 gennaio 1996, n. 96, Foro it., Rep. 1996, voce Competenza civile, n. 215, e 23 feb
braio 1996, n. 1436, ibid., n. 214) — la pronuncia emessa dal
Pretore di Bari deve rimanere ferma.
Come è stato più volte testualmente affermato da questa cor
te con argomenti tratti dalla applicazione analogica dell'art. 386
c.p.c. dettato in materia di determinazione della giurisdizione
(v., riguardo a quest'ultimo tema, Cass., sez. un., 15 febbraio
1994, n. 1470, id., Rep. 1994, voce Giurisdizione civile, n. 113, in motivazione, e 4 ottobre 1996, n. 8686, non massimata), allo
scopo di individuare il giudice competente per materia — salva,
ovviamente, la decisione che dovrà essere emessa sul merito e
fermo restando che la qualificazione giuridica dei fatti è riser
vata al giudice — si deve fare riferimento all'oggetto della do
manda proposta dall'attore e ai fatti posti a fondamento della
medesima (c.d. petitum sostanziale), mentre del tutto irrilevan
ti, al fine in questione, sono le contrarie contestazioni formula
te dal convenuto (v., explurimis, Cass. 19 agosto 1991, n. 8917,
id., Rep. 1991, v. Lavoro e previdenza (controversie), n. 51; 27 agosto 1991, n. 9172, id., Rep. 1992, voce Competenza civi
le, n. 26, e, da ultimo, Cass. 27 marzo 1996, n. 2740, id., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 46). Pertan
to, se l'attore lamenta la violazione di un suo diritto previa
allegazione di uno specifico fatto relativo a un determinato rap
porto giuridico, competente a decidere la controversia è il giu dice indicato dalla legge in relazione a tale rapporto, anche se
il convenuto, in base alla contestazione dell'esistenza di quel determinato fatto, sostiene che al rapporto intercorso fra le parti deve essere assegnata una natura diversa (Cass. 26 luglio 1996, n. 6748, ibid., voce Competenza civile, n. 41) e ammenoché da parte del medesimo convenuto non venga eccepito che la natura del rapporto sia stata dall'attore dedotta «in modo pre testuoso» (Cass. 29 luglio 1994, n. 7109, id., Rep. 1994, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 94), vale a dire «median
te una evidente e artificiosa allegazione dei fatti al fine di sot
trarre la causa al giudice precostituito per legge» (Cass. 13 feb braio 1990, n. 1059, id., Rep. 1990, voce cit., n. 54).
Dalla enunciazione di tutti questi principi si deve trarre, co me conseguenza, il rilievo secondo cui, poiché la competenza deve essere determinata nel tempo più breve possibile e senza inutili appesantimenti della causa, al giudice è inibito di perve nire alla relativa decisione mediante acquisizione ed esame delle
prove dedotte dalla parti, il materiale probatorio raccolto nella causa dovendo essere utilizzato unicamente per l'emanazione della decisione sul merito. E ciò trova conferma, se non altro, nella nuova formulazione dell'art. 38 c.p.c. (risultante dall'art. 4 1. 26 novembre 1990 n. 353), il quale, dopo avere stabilito che
anche l'incompetenza per materia deve essere rilevata, su inizia
tiva di parte o d'ufficio, «non oltre la prima udienza di tratta zione» (1° comma), dispone che la relativa questione deve esse
re decisa solamente «in base a quello che risulta dagli atti»,
giacché, soltanto quando ciò sia reso necessario dall'eccezione
del convenuto o dal rilievo del giudice (v., in proposito, l'ac
cenno fatto sopra alla c.d. pretestuosità delle allegazioni formu
late dall'attore), debbono essere assunte sommarie informazioni
(3° comma). Tenuto conto di queste considerazioni, non può essere condi
li. Foro Italiano — 1998.
viso, come si è detto, l'operato del Pretore di Bari, proprio
perché quest'ultimo, come bene deduce il ricorrente, è pervenu to alla decisione sulla competenza non già in base alla qualifica
zione, sul piano giuridico, delle allegazioni dei fatti esposti nel ricorso introduttivo del giudizio, ma, dopo il compimento di
una laboriosa indagine istruttoria nella quale sono state anche
assunte le prove testimoniali dedotte dalle parti, in base alle
risultanze emergenti dalle prove raccolte. Di tal che, pur doven
do essere disattesa, conformemente a quanto è stato sopra ac
cennato, l'eccezione di inammissibilità o improponibilità del ri corso dedotta dai resistenti — dal momento che con la sentenza
impugnata dal Di Cagno, come risulta sia dal dispositivo, sia
dalla relativa motivazione, nella quale addirittura si afferma che
«di conseguenza non può essere esaminata neppure la riconven
zionale proposta dalle parti convenute», è stata esclusivamente
emessa una pronuncia sulla competenza e non sul merito —
tuttavia, la determinazione della competenza per materia del giu dice designato dalla legge a decidere la controversia deve essere
effettuata con un metodo diverso da quello seguito dal Pretore
di Bari, vale a dire mediante la corretta applicazione dei princi
pi di diritto sopra enunciati.
Ciò posto, si deve pure convenire con il ricorrente quando rammenta che, ferma restando l'applicazione di tali principi, in più occasioni da parte di questa corte è stato riscontrato il
carattere della parasubordinazione nel rapporto che lega un li
bero professionista al proprio cliente tutte le volte che l'attività
venga svolta mediante l'opera prevalentemente personale del
l'interessato e, inoltre, che l'attività in questione risulti assog
gettata alle direttive e all'ingerenza del committente e non si
esaurisca in episodiche prestazioni professionali (a causa della
reiterazione di incarichi, collegati con le finalità perseguite dal
committente medesimo), perché in tal caso ricorrono tutti gli elementi previsti dall'art. 409, n. 3, c.p.p. — quelli della perso
nalità, della continuità e della coordinazione — tali da far rite
nere l'esistenza del requisito della collaborazione (v., in tal sen
so, Cass., sez. un. 5 giugno 1989, n. 2698, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 202; 26 ottobre 1990, n. 10382, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 70; 15 aprile 1991, n. 4030, id., Rep. 1991, voce cit., n. 80; e, da ultimo, Cass. 9 gennaio 1996, n. 96, id., Rep. 1996, voce Avvocato, n. 58, tutte relative alla attività svolta in un
ampio arco di tempo da un avvocato libero professionista nei
confronti di un singolo committente). Come è stato pure precisato in precedenti pronunce che han
no affrontato tale questione, peraltro, perché possa essere rav
visato il suddetto requisito della collaborazione nell'opera svol
ta dal libero professionista occorre, quale ulteriore e necessario
elemento (rectius, quale dato di fatto confermativo dell'elemen
to della coordinazione) che l'attività sia esercitata in modo esclu
sivo, o comunque di gran lunga prevalente, a favore di un uni
co cliente (v. Cass. 5 novembre 1986, n. 6475, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 87, secondo cui non basta la durata pluriennale dell'incarico, essendo anche richie sto l'assiduo impegno del professionista, e Cass. 21 maggio 1979, n. 2918, id., Rep. 1979, voce cit., 101, nella quale in modo
esplicito è stato fatto riferimento all'attività del professionista posta a disposizione «di un solo cliente in modo assorbente e
vincolante»). Ragion per cui, conformemente a tale indirizzo e come è stato testualmente affermato in una relativamente re
cente pronuncia pure emessa da questa corte, si deve escludere
il c.d. rapporto di parasubordinazione «qualora il professioni sta operi, con prestazioni omogenee e consone alla sua specia lizzazione per conto di più clienti, senza che nei confronti del l'uno possa essere accertato un impegno più assiduo e costante, nel senso sopra indicato, che nei confronti degli altri» (Cass. 19 maggio 1994, n. 4918, id., 1995, I, 1488).
Nel caso in esame, come risulta non solo dalle allegazioni dei fatti esposti nel ricorso davanti al pretore (proposto contro
più committenti, anche se asseritamente tra loro collegati da vincoli economici), ma anche dalle risultanze di altro analogo giudizio per regolamento di competenza sottoposto all'esame della corte nella medesima camera di consiglio (nel quale giudi zio il notaio Di Cagno ha chiesto il riconoscimento di pretesi crediti per prestazioni professionali verso altri soggetti, diversi
dagli attuali resistenti), il ricorrente ha espletato la sua opera professionale non già in favore di un solo preponente, ma per ognuno di coloro che ora resistono al ricorso e, altresì, per co loro che sono stati convenuti nell'altro giudizio.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Pertanto, come è stato testualmente affermato nella motiva
zione delle sentenze da ultimo indicate, qualora l'opera profes sionale venga esercitata, separatamente, per una pluralità di clien
ti, deve essere esclusa l'esistenza dei requisiti della continuità
e della coordinazione. Ed invero, riguardo al pirmo di tali re
quisiti, non si può certo ritenere che il professionista, nei con
fronti di ogni singolo cliente, possa avere espletato, in modo
costante ed assiduo, quell'impegno continuativo senza il quale non può sussistere il rapporto di collaborazione; e, parimenti,
per quanto concerne il secondo requisito, attesa la suddetta plu ralità di clienti, non può essere certamente ravvisato, in base
ai principi enunciati in materia da questa corte, l'elemento del
l'inserimento del professionista nelle rispettive organizzazioni aziendali o quello della partecipazione all'interesse in vista del
quale l'opera professionale viene realizzata, nel senso del co
stante adeguamento della prestazione all'interesse della contro
parte e del collegamento funzionale tra l'attività del professio nista medesimo e le aziende dei singoli committenti. Già in al
cune delle suddette pronunce emesse da questa corte, del resto, è stato sottolineato, che se si affermasse l'esistenza del rapporto di parasubordinazione anche nell'ipotesi in cui il professionista
opera per più clienti, «si finirebbe con il dilatare oltre misura
il concetto di collaborazione» delineato dall'art. 409 c.p.c., «estendendolo senza discrimine a tutti quei casi nei quali si in
staura fra le parti un rapporto di prestazione d'opera intellet
tuale ai sensi dell'art. 2230 c.c.» (cfr. Cass. 19 maggio 1994, n. 4918, sopra indicata, specie in motivazione).
Tenuto conto di tutte le argomentazioni che precedono —
e che esimono la corte dall'esame delle altre censure formulate
dal Di Cagno — deve essere escluso che nel caso in esame possa essere ravvisato un rapporto di collaborazione nel senso previ sto dal suddetto art. 409, n. 3, c.p.c. e la decisione impugnata, anche se per ragioni diverse da quelle che la sorreggono, deve
essere tenuta ferma. Il ricorso proposto dal medesimo Di Ca
gno deve essere, per conseguenza, rigettato e, avuto riguardo al valore della causa (e non sussistendo alcuna contestazione
in ordine al foro territoriale), deve essere dichiarata la compe tenza del Tribunale di Bari in sede ordinaria.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 19 no
vembre 1997, n. 11510; Pres. Sommella, Est. Boffa Tarlat
ta, P.M. Lo Cascio (conci, conf.); Soc. Lloyd Adriatico (Aw.
Corsi, Alessio, Schipa) c. Verusio e altro. Conferma App.
Lecce 18 aprile 1994.
Prescrizione e decadenza — Assicurazione r.c.a.— Diritto di
rivalsa — Prescrizione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2952; 1. 24 dicembre 1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della
responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a
motore e dei natanti, art. 18).
Il diritto di rivalsa dell'assicuratore r.c.a. verso l'assicurato è
soggetto alla prescrizione breve nel termine di un anno dal
verificarsi dell'evento pregiudizievole (nella specie, è stata ri
gettata la pretesa della compagnia assicuratrice volta ad otte
nere il rimborso della somma pagata per risarcire le lesioni
causate dal motociclo del proprio assicurato, condotto da un
minorenne privo di patente). (1)
(1) La decisione si conforma al prevalente indirizzo giurisprudenziale della Suprema corte, per il quale anche i diritti discendenti in forza
di legge dal contratto di assicurazione, al pari di quelli derivanti dallo
stesso, sono assoggettati alla prescrizione annuale prevista dall'art. 2952, 2° comma, c.c. Di conseguenza, con riguardo all'assicurazione obbliga toria r.c.a., il diritto di rivalsa dell'assicuratore verso il proprio assicu
rato, previsto dal 2° comma dell'art. 18 1. n. 990 del 1969, si configura come diritto di regresso derivante dal contratto di assicurazione, con
la conseguenza di prescriversi nel termine di un anno.
Il Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 13 settembre 1985 il Loyd Adriatico evocava in giudizio avan
ti il Tribunale di Brindisi i signori Rocco Garzone e Maurizio Verusio chiedendo in via di rivalsa ex art. 18 1. 990/69 il rim
La Cassazione, nell'ambito di questo indirizzo, interpreta estensiva mente l'art. 2952 c.c., poiché ritiene che la norma in questione non si applichi soltanto ai diritti fatti valere in virtù di clausole contrattuali, ma anche a quelli dedotti in base alle norme di legge che disciplinano il contratto di assicurazione.
Da ultimo, in tal senso, v. Cass. 3 giugno 1996, n. 5078, Foro it.,
1996, I, 2366, per un caso particolare in tema di assicurazione ultrana zionale della c.d. carta verde. V. anche Cass. 1° dicembre 1994, n.
10267, id., Rep. 1995, voce Assicurazione (contratto), n. 184; 7 luglio 1994, n. 6396, ibid., voce Prescrizione e decadenza, n. 63; 19 giugno 1993, n. 6839, id., Rep. 1993, voce Assicurazione (contratto), n. 141; 17 giugno 1993, n. 6752, ibid., voce Prescrizione e decadenza, n. 66, in cui si dice a chiare lettere che il diritto di rivalsa dell'assicuratore verso l'assicurato è da ricomprendere tra i diritti derivanti dal contratto di assicurazione, soggetti, ai sensi dell'art. 2952 c.c., alla prescrizione annuale. Cfr. altresì Cass. 4 gennaio 1992, n. 14, id., 1993, I, 202, con nota di richiami di R. Rossi.
La giurisprudenza di merito sembra invece propensa a dare ingresso al termine di prescrizione decennale, sulla base del rilievo che il diritto di rivalsa dell'assicuratore verso l'assicurato, nella misura in cui il pri mo avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la pro pria prestazione, è attribuito dalla legge e non dal contratto di assicura
zione; in tal senso, v., da ultimo, Pret. Catania 7 febbraio 1996, id.,
Rep. 1996, voce Assicurazione (contratto), n. 93; nonché App. Bologna 23 ottobre 1981, id., Rep. 1982, voce Prescrizione e decadenza, n. 160, e Dir. e pratica assic., 1982, 367, con nota di Antinozzi.
Per una delle poche pronunce di merito favorevole all'orientamento della Suprema corte, v. Trib. Pisa 31 agosto 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 61.
In dottrina, richiamano la tesi della Suprema corte inerente la pre scrizione annuale ex art. 2952, G. Autorino Stanzione e S. Sica, Cir
colazione di veicoli e responsabilità civile, Milano, 1995, 431 ss.; G.
Giannini, L'assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti, Mila
no, 1988, 272, il quale si mostra perplesso poiché il fondamento dell'a zione non starebbe tanto nel contratto assicurativo — che ne è il sem
plice presupposto storico, e che anzi esonererebbe l'assicuratore dal cor
rispondere il risarcimento —, quanto nella legge, la quale impone l'inopponibilità delle clausole contrattuali al danneggiato e costringe l'as
sicuratore, per il solo dettato della legge, a versare ugualmente il risar
cimento. Da questi rilievi Giannini deduce che non è privo di logica l'indirizzo della giurisprudenza di merito che assoggetta l'azione de qua al termine di prescrizione decennale ed auspica un intervento chiarifica tore del legislatore.
In precedenza, lo stesso autore aveva sostenuto che l'azione di rivalsa
dell'assicuratore contro l'assicurato è di natura tipicamente contrattuale
e, perciò, soggetta alla prescrizione breve, traendo argomento anche
dalla diversa natura (di surroga legale) riconosciuta dalla giurispruden za di merito prevalente (G. Giannini - M. Mariani, La responsabilità per i danni dalla circolazione dei veicoli, Milano, 1982, 114).
Per una rassegna dottrinaria sulla questione, v. L. Glammarino, Sul
l'azione di rivalsa dell'assicuratore ex art. 1 e 18 I. n. 990 del 1969, in Dir. e pratica assic., 1983, 145, e D. De Strobel, Assicurazione
r.c., Milano, 1982, 415 ss. Nel senso che la prescrizione del diritto di rivalsa debba essere annua
le, poiché sarebbe chiara la dipendenza dell'azione di rivalsa dal conte sto contrattuale dell'assicurazione, v. F. Pagliara; L'art. 18 I. 990/69,
dopo vent'anni, in Dir. e pratica assic., 1990, 357 ss. Si mostrano invece critici nei confronti dell'orientamento espresso dalla
Suprema corte, favorevole all'applicazione del termine annuale di pre scrizione, G. P. Vianello, Analisi sulla qualificazione del diritto di
«rivalsa» dell'assicuratore verso l'assicurato, ex. art. 18 l. 990/69 e con
seguenze sulla disciplina applicabile ai relativo regime prescrizionale, id., 1986, 17, il quale analizza, in primis, i presupposti logico-giuridici da cui la Suprema corte muove per ritenere applicabile il termine di
cui all'art. 2952 c.c., e propone una differente interpretazione dell'art.
18, 2° comma, 1. 990/69, secondo cui, disponendo che «gli altri diritti
derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono in un anno», la
norma in parola si riferisce soltanto ai diritti che si ricollegano «diretta
mente ed unicamente» alla disciplina legale o pattizia del contratto di
assicurazione, ossia trovino in esso il loro titolo immediato ed esclusi
vo: non, quindi, ai diritti che, sia pure in occasione od in esecuzione
del rapporto assicurativo, vengano a nascere e siano fatti valere sulla
base di altro e diverso titolo. Su posizioni altrettanto critiche si pone anche G. Campanaio, R.c.a.
- Diritto di rivalsa dell'assicuratore, in Nuova giur. civ., 1985, I, 365.
Interessanti spunti di riflessione sull'argomento in questione e sulle
tematiche collegate sono offerti, infine, da L. Varrone, Il diritto di
rivalsa dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, in Riv. giur. cir
colaz. e trasp., 1995, 13.
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