sezione lavoro; sentenza 5 luglio 2002, n. 9743; Pres. Genghini, Est. Guglielmucci, P.M. Destro(concl. parz. diff.); Quaglieri (Avv. Muggia) c. Soc. Sidim (Avv. Zambrano). Cassa Trib. Roma 26giugno 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2625/2626-2629/2630Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196830 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
in senso modificativo o derogativo rispetto alla contrattazione
collettiva. E nel medesimo senso la giurisprudenza di questa corte ha ancora precisato che ai fini della formazione degli usi
aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali o di
fatto (da tenersi distinti dai c.d. usi normativi, caratterizzati dai
requisiti della generalità nonché da\Yopinio iuris ac necessitatis
e che sono suscettibili di inserzione automatica, come clausola
d'uso, nel contratto individuale di lavoro, con idoneità a deroga re soltanto in melius la disciplina collettiva) rileva il mero fatto
giuridico della reiterazione, nei confronti di una collettività più o meno ampia di destinatari, del comportamento considerato,
purché caratterizzato dal requisito della spontaneità: reiterazione
la cui sussistenza deve risultare, a posteriori, dalla verifica di
una prassi già consolidata, senza che possa aversi riguardo al
l'atteggiamento psicologico proprio di ciascuno degli atti di cui
questa si compone (così Cass. 2 febbraio 1996, n. 900, id., Rep. 1996, voce cit., n. 506; cfr. Cass. 26 settembre 1998, n. 9663,
id., Rep. 1998, voce cit., n. 643): al riguardo dovendo pure logi camente ritenersi che una tale consolidata prassi manifesta co
munque di per sé, pur implicitamente, l'intento negoziale di re
golare anche per il prosieguo gli aspetti del rapporto lavorativo
cui attiene (cfr., sul punto, Cass. 27 novembre 1999, n. 13294,
id., Rep. 2000, voce cit., n. 683). Il tribunale ha deciso uniformandosi ed attenendosi ai principi
di diritto ora riportati, e l'impugnata sentenza risulta dunque esente dai denunziati vizi sottraendosi alle censure svolte nel ri
corso principale, che deve pertanto essere rigettato. Al che consegue l'assorbimento del ricorso incidentale con
dizionato (con il quale gli intimati censurano la sentenza del tri
bunale nel punto in cui si afferma che i compensi non aventi
natura retributiva potrebbero essere validamente ridotti dal dato
re di lavoro) perché proposto solo subordinatamente all'acco
glimento dell'impugnazione principale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 luglio
2002, n. 9743; Pres. Genghini, Est. Guglielmucci, P.M. De
stro (conci, parz. diff.); Quaglieri (Avv. Muggia) c. Soc. Si dim (Avv. Zambrano). Cassa Trìb. Roma 26 giugno 2000.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento di sindacalista —
Giusta causa — Fattispecie (Cost., art. 21, 39; cod. civ., art.
1362-1371; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti
individuali, art. 4; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tu
tela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sinda
cale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento, art. 14).
Nel valutare il ricorrere di giusta causa di licenziamento per
avere, un lavoratore sindacalista, adoperato, in un contesto
di conflittualità aziendale, espressioni che possano apparire eccedenti i limiti di un corretto esercizio delle libertà sinda
cali e quindi lesive del rapporto di fiducia con il datore di la
voro, il giudice di merito deve accertare se le espressioni stesse non costituiscano la forma di comunicazione ritenuta
più efficace ed adeguata dal sindacalista in relazione alla
propria posizione in un determinato contesto conflittuale, in
tal caso non prestandosi, tali espressioni, ad essere valutate
con il parametro dell'inadempimento contrattuale dovuto a
lesione dell 'altrui sfera giuridica nell 'esercizio di un diritto
di rilevanza costituzionale (nella specie, il sindacalista aveva
redatto un comunicato di convocazione di un 'assemblea, af
fisso nella sala mensa, in cui si diceva ai lavoratori che l'as
semblea stessa sarebbe stata contestata da altri, nominati la
voratori, sindacalisti di altre organizzazioni, «perché» con
rappresentanti del datore di lavoro anch 'essi nominati «si di
li Foro Italiano — 2002.
vidono i soldi di tredicesima, quattordicesima, ferie, permessi individuali retribuiti che fregano agli extra», questi ultimi
intesi come personale non fìsso). ( 1 )
Svolgimento del processo. — Il sig. Ennio Quaglieri, dipen
dente della s.r.l. Sidim in qualità di facchino, rappresentante sindacale presso la stessa dei Cobas, è stato da essa licenziato
per giusta causa per aver redatto un comunicato di convocazione
(1) Trib. Roma 26 giugno 2000, cassata dalla pronuncia in epigrafe, è massimata in Foro it., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 1699; la decisione di primo grado, Pret. Roma 7 marzo 1997, è riportata id.,
Rep. 1999, voce cit., n. 1814. Cass. 9743/02, sopra riportata, puntualizza i limiti del diritto di criti
ca del lavoratore sindacalista, dando particolare valore, rispetto alla
precedente giurisprudenza di legittimità, al contesto di conflittualità in cui viene esercitato e alla efficacia ed adeguatezza delle espressioni, quali ritenute dal sindacalista stesso, rispetto ai fini sindacali. Come sintetizzato in massima qui le espressioni colpivano il rappresentante del datore di lavoro e altri sindacalisti.
Più rigorosamente, secondo Cass. 24 maggio 2001, n. 7091, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1390, e, per esteso, Mass. giur. lav., 2001, 792, con nota di R. Giovagnoli, Diritto di critica del rappresentante sindacale e
giusta causa di licenziamento, che ha cassato la sentenza confermativa di Pret. Bergamo 29 settembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n.
1596, e, per esteso, Mass. giur. lav., 1998, 24, con nota di L. Failla, Diritto di critica sindacale o diritto di offesa? Ancora sul (chiaro) con
fine fra la critica e l'attacco personale, l'esercizio da parte del lavora
tore, anche se investito della carica di rappresentante sindacale, del di
ritto di critica delle decisioni aziendali (manifestata, nella specie, attra
verso la diffusione di alcuni volantini all'esterno dell'azienda), sebbene sia garantito dagli art. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente
garantita (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana, anche quando la
critica venga espressa nella forma della satira; onde, ove tali limiti sia no superati, con l'attribuzione all'impresa datoriale od ai suoi rappre sentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e in
famanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il
comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenzia
mento, pur in mancanza degli elementi soggettivi ed oggettivi costituti
vi della fattispecie penale della diffamazione. Cfr., sempre in questa più
rigorosa direzione, Cass. 8 gennaio 2000, n. 143, Foro it., 2000, I, 1554, con nota di A.M. Perrino, che ha ritenuto integrare giusta causa
di recesso la critica del lavoratore che comporti la lesione sul piano mo rale dell'immagine del proprio datore di lavoro, con riferimento a fatti
non oggettivamente certi e comprovati; 22 ottobre 1998, n. 10511, id.,
Rep. 1999, voce cit., n. 1706, e, per esteso, Riv. it. dir. lav., 1999, II, 654, con nota di D. Mugnaini, Sul diritto di critica del prestatore nei
confronti del datore di lavoro; Riv. giur. lav., 1999, II, 455, con nota di
M. Aimo, Appunti sul diritto di critica del lavoratore, per la quale le
opinioni espresse dal lavoratore dipendente, anche se vivacemente cri
tiche nei confronti del proprio datore di lavoro, specie nell'esercizio dei
diritti sindacali, non possono costituire giusta causa di licenziamento, in quanto espressione di diritti costituzionalmente garantiti o, quanto meno, di una libertà di critica; peraltro, qualora il comportamento si
traduca in un atto illecito, quale l'ingiuria o la diffamazione, o comun
que in una condotta manifestamente riprovevole, può riscontrarsi, sotto
il profilo sia soggettivo che oggettivo, quella gravità necessaria e suffi
ciente a compromettere in modo irreparabile il vincolo fiduciario, così
da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (nel caso di specie la Corte di cassazione ha ritenuto incensurabile la deci sione del giudice di merito in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, con riferimento alla diffusione ad organi di stampa di
notizie lesive dell'onore e della reputazione del datore di lavoro risul tate prive di fondamento); 16 maggio 1998, n. 4952, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 1546, e, per esteso, Mass. giur. lav., 1998, 663, con
nota di L. Failla, Diritto di critica e rapporto di lavoro: una impor tante presa di posizione della Corte di cassazione', Riv. it. dir. lav., 1999, 11, 346, con nota di P. Tullini, Il diritto di critica civile del sin
dacalista; Riv. giur. lav., 1999, II, 455, con nota di M. Aimo, Appunti sul diritto di critica del lavoratore, che ha ritenuto che l'esercizio da
parte del lavoratore, anche se investito della carica di rappresentante sindacale aziendale, del diritto di critica (manifestata nella specie attra
verso articoli ed interviste su quotidiani) nei confronti del datore di la
voro, con modalità tali che, superando i limiti del rispetto della verità
oggettiva, si traducono in una condotta lesiva del decoro dell'impresa datoriale, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occa
sioni di lavoro, è comportamento idoneo a ledere definitivamente la fi
ducia che sta alla base del rapporto di lavoro, integrando la violazione
del dovere scaturente dall'art. 2105 c.c., e può costituire giusta causa di
licenziamento; 22 agosto 1997, n. 7884, Foro it.. Rep. 1998, voce cit., n. 1590, e, per esteso, Dir. lav., 1998, II, 166, con nota di L. Innocenzi, Lesione dell 'immagine de! datore di lavoro e giusta causa di licenzia
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2627 PARTE PRIMA 2628
di un'assemblea, affisso nella sala mensa, nel quale vi era la se
guente espressione: «lavoratori, quest'assemblea sarà contestata
da Vanni, Fabbri, Turazzi, Marinelli perché si dividono i soldi
di tredicesima, quattordicesima, ferie, permessi individuali re
tribuiti che fregano agli extra».
Egli ha impugnato il licenziamento innanzi al Pretore di Ro
ma che, con sentenza del 7 marzo 1997 (Foro it., Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 1814), lo ha ritenuto illegittimo di
sponendo la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.
Esso ha ritenuto che:
1) nell'ambito della dialettica politica e sindacale è lecito far
ricorso ad espressioni «forti» che, in altri contesti, dovrebbero
esser ritenute offensive;
2) questa maggiore tolleranza s'impone proprio al fine di tu
telare diritti ed interessi costituzionalmente rilevanti;
3) neanche in caso di assoluta infondatezza delle accuse si
potrebbe giustificare il licenziamento di un rappresentante sin
dacale per fatti, oltretutto, estranei alle prestazioni di facchino
proprie del sign. Quaglieri; 4) una diversa soluzione costituirebbe un'aperta minaccia ai
più elementari diritti sindacali, e quindi, ai diritti di tutti i citta dini di rango costituzionale.
Tale decisione è stata riformata dal tribunale della stessa città
con sentenza del 26 giugno 2000 (id., Rep. 2000, voce cit., n.
1699). Il giudice d'appello ha accertato che il sig. Quaglieri fosse
l'autore del comunicato stesso, e tanto sulla base dell'esame
complessivo della documentazione esistente agli atti, ed in par ticolare, delle dichiarazioni rese dagli informatori nel procedi mento d'urgenza da lui sperimentato.
Secondo il tribunale, nel caso in esame vi è un lavoratore sin
dacalista che attribuisce ai rappresentanti del datore di lavoro ed
a colleghi, anche essi sindacalisti, un fatto delittuoso, partico
mento, secondo cui al lavoratore subordinato è garantito il diritto di
critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro (come deve par ticolarmente riconoscersi nel caso in cui un sindacalista si esprima sulla funzionalità del pubblico servizio espletato dall'impresa), ma ciò non consente di ledere sul piano morale l'immagine del proprio datore di lavoro con riferimento a fatti non oggettivamente certi e comprovati, poiché il principio della libertà di manifestazione del pensiero di cui al l'art. 21 Cost, incontra i limiti posti dall'ordinamento a tutela dei diritti e delle libertà altrui e deve essere coordinato con altri interessi degni di
pari tutela costituzionale (nella specie, il giudice di merito, con la sen tenza confermata dalla Cassazione, aveva rigettato l'impugnativa con tro il licenziamento per giusta causa intimato, da impresa svolgente per conto di un comune il servizio di sgombero dei rifiuti, a proprio dipen dente che, intervistato da una emittente televisiva locale, oltre ad esal tare la precedente concessionaria, aveva accusato la datrice di lavoro di avere smaltito nelle discariche comunali rifiuti speciali ospedalieri, mentre tale adempimento era stato disposto dal sindaco con apposita ordinanza e sotto il controllo del servizio di igiene). Cfr. altresì Cass. 13 novembre 2000, n. 14671, Foro it., Rep. 2001. voce cit., n. 1406, per la quale l'aver manifestato per iscritto — con invio anche al mana
gement della casa madre inglese — giudizi di incapacità sui dirigenti della filiale italiana a causa delle frequenti crisi aziendali e della messa dei lavoratori in cassa integrazione, sebbene non costituisca esercizio del legittimo diritto di critica e possa essere lesivo della reputazione dei
dirigenti suddetti, non legittima tuttavia l'irrogazione del provvedi mento di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo sog gettivo, sproporzionati a fronte di una mancanza parzialmente scusabile con l'interesse di fatto del lavoratore al buon andamento dell'azienda in cui opera, da cui discende la sua sicurezza del posto e della retribu zione.
Nella giurisprudenza di merito, cfr. App. Milano 4 maggio 2001, ibid., voce Sindacati, n. 94, secondo cui il diritto di critica del lavorato re sindacalista nei confronti di un proprio superiore trova un limite in
superabile nel carattere denigratorio delle accuse rivolte, rispetto alle
quali è legittima l'irrogazione di sanzioni disciplinari da parte del dato re di lavoro e tali sanzioni non possono essere considerate alla stregua di una condotta antisindacale (nella specie, la corte d'appello ha rite nuto gravemente denigratoria l'accusa formulata da un sindacalista nei confronti di un dirigente, di avere deliberatamente tenuto un compor tamento volto a boicottare la società datrice di lavoro a favore di altre
imprese concorrenti). Per Trib. Milano 31 luglio 2000, ibid., voce La voro (rapporto), n. 1485, è illegittimo il licenziamento disciplinare del
rappresentante sindacale che abbia esercitato il proprio diritto di critica nei confronti del comportamento datoriale, anche attraverso la divulga zione a mezzo stampa, senza violare i limiti posti al legittimo esercizio di tale diritto, consistenti nella falsità delle dichiarazioni e nella volga rità delle espressioni.
Il Foro Italiano — 2002.
larmente infamante, quale è quello di essersi appropriati di
emolumenti spettanti ad altri lavoratori.
Tale comportamento, ritiene il tribunale, non può rientrare nel
concetto di attività sindacale né nel contesto di quel diritto di
critica esercitabile senza pregiudizio di diritti altrui di pari rile vanza costituzionale.
Il comportamento addebitato al sig. Quaglieri deve, pertanto, considerarsi particolarmente grave e, quindi, suscettibile di es
ser sanzionato con il licenziamento per giusta causa che si ap
palesa, nella specie, come l'unica misura idonea e congrua per tutelare l'interesse del datore di lavoro.
In tale contesto, secondo il tribunale, appare addirittura ovvia
la radicale vulnerazione della fiducia non vedendosi come il
datore di lavoro possa continuare a fare affidamento sulla leale e
corretta collaborazione di un proprio dipendente che — disin
voltamente e falsamente — accusa superiori e colleghi di un
fatto gravissimo idoneo a turbare il sereno ed ordinato svolgi mento della vita aziendale.
Il sig. Quaglieri chiede la cassazione della sentenza con ricor
so sostenuto da tre motivi; la s.r.l. Sidim resiste con controricor
so; le parti hanno presentato memoria.
Molivi della decisione. — In primo luogo, va dichiarata la ir
ricevibilità della sentenza di condanna del sig. Quaglieri per dif famazione in relazione ai predetti fatti, prodotta dalla controri
corrente, essendo consentito innanzi a questa corte produrre solo documenti indicati dall'art. 372 c.p.c.; tale decisione non
costituisce una comune sentenza pubblicata, relativa allo stato
della giurisprudenza, bensì un documento attinente alla contro
versia, diretto ad incidere sulla decisione della stessa, non rien
trante nel novero di quelli producibili ai sensi della norma pre detta.
Per priorità logico-giuridica va esaminato, innanzitutto, il se condo motivo con il quale il ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione degli art. 5 1. 604/66, 115 e 244 c.p.c., ed ad
debita al tribunale di aver ritenuto raggiunta la prova sulla sua
pretesa colpevolezza solamente sulla base delle dichiarazioni di
sommari informatori assunti nel procedimento di urgenza, effetto
che poteva esser raggiunto solo all'esito di una rituale prova te
stimoniale.
La doglianza è infondata atteso che, come si è detto, il tribu
nale ha fondato il suo convincimento sulla base dell'esame
complessivo della documentazione versata in atti.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli art. 21 e 39 Cost., 4 1. 604/66, 14 1. 300/70, 1362-1371 c.c. nell'interpretazione del comunicato contenente la predetta espressione.
L'articolata censura si incentra sui seguenti punti: a) l'assemblea per la quale venne redatto il comunica
to/manifesto — cui fu aggiunta l'espressione contestata — ave va ad oggetto, oltre al recupero salariale a fronte del persistente blocco della contingenza, la necessità di assunzioni, a seguito del consistente calo del personale fisso, con il contemporaneo aumento del ricorso ai c.d. lavoratori extra in sostituzione del
personale minimo necessario per l'organico aziendale, ed anco
ra, l'informazione e discussione sull'andamento delle cause di licenziamento e su quelle dei lavoratori extra;
b) essa era, quindi, il momento in cui si sarebbe affrontato il nodo cruciale delle attuali vicende aziendali contrassegnate da una riduzione del personale fisso, sopperita dai c.d. lavoratori extra: una sorta di «senza diritti»;
c) il comunicato redatto dal sig. Quaglieri, responsabile di un sindacato (Cobas) contrapposto a quelli «storici», intendeva de nunciare l'esistenza di una linea imprenditoriale, avallata dalle
organizzazioni sindacali storiche, fondata proprio sullo sfrutta mento dei predetti lavoratori: utilizzandoli in maniera precaria essi «si appropriavano», non attribuendole loro, di somme che in base ad una stabile assunzione sarebbero state invece loro
corrisposte (per tredicesima, quattordicesima, permessi sinda cali retribuiti);
d) il linguaggio, sicuramente grossolano, era tuttavia ade
guato al livello dello scontro; il sindacalista Quaglieri prescelse quella che gli parve la forma comunicativa più efficace per sup portare le posizioni da lui sostenute in merito al conflitto che sul
predetto problema si era aperto in azienda;
e) egli, pertanto, non intendeva attribuire fatti criminosi spe cifici ma denunciare, nella maniera più immediata ed efficace, a chi risalisse la responsabilità di una linea aziendale che riduceva
l'organico fisso avvalendosi di lavoratori precari sottopagati;
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
f) il tribunale ha interpretato il comunicato ritenuto grave mente lesivo senza alcuna considerazione per il contesto in cui
esso si inseriva: trasformando, in tal modo, in una intollerabile
manifestazione individuale di violenza — di entità tale da ca
gionare la rottura del rapporto fiduciario nei confronti del lavo
ratore sindacalista — l'espressione della fisiologica contrappo
sizione fra impresa e lavoratore sindacalista che agisce per la
tutela dei lavoratori da lui rappresentati;
g) la giurisprudenza di legittimità — cui si richiama il tribu nale per asserire che l'esercizio dei diritti sindacali non può sconfinare in lesione di diritti altrui di pari rilevanza — attiene
ad ipotesi che non riguardavano un conflitto in atto all'interno
dell'azienda, che rende legittime forme di comunicazione che
non lo sarebbero se rivolte dal sindacalista all'esterno dello
stesso.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli art. 7 1. 300/70 e 2119 c.c. e si duole che il
tribunale non abbia reso alcuna decisione in ordine alla illegit timità, perché sproporzionata, della sanzione espulsiva, conside
rato il contesto in cui i fatti si erano verificati.
Le censure, che per la loro connessione devono esaminarsi
congiuntamente, sono fondate.
1) Va premesso che nella fattispecie andava accertato se il
comportamento del lavoratore avesse connotazioni tali da inci
dere, irreparabilmente, sul rapporto di fiducia dovendosi giudi care della legittimità di un licenziamento per giusta causa.
2) Per tale ragione, la prima operazione logico-giuridica che
il tribunale avrebbe dovuto compiere era quella di individuare
se, effettivamente, ricorreva un comune comportamento de
viante ed intollerabile di un lavoratore — tale da non più con
sentire la sua permanenza in azienda — o se, sussisteva, invece, un comportamento che per la finalizzazione che assumeva in
relazione al contesto — in cui era un segmento di una più vasta
e complessa vicenda — non era suscettibile di esser misurato
con il parametro dell'inadempimento del lavoratore.
3) Aver scisso il comportamento del lavoratore dalla sua fi
nalizzazione, e quindi dal contesto che la appalesava, lo ha ri
dotto — pregiudizialmente
— ad entità monovalente, nella
quale poteva esser ricercato solo il suo potenziale lesivo del
rapporto di fiducia nei confronti del datore di lavoro: laddove il
comportamento avrebbe potuto connotarsi su ben altro livello
non invasivo di tale rapporto.
4) L'assoggettamento all'ambito «lesione del rapporto di fi
ducia» poteva avvenire solo ove fosse stato accertato che l'atti
vità del lavoratore sindacalista era solo formalmente tale, de
bordando del tutto dagli standard propri di una vera, per quanto
aspra, attività sindacale.
5) L'attività sindacale — che come affermato da questa corte
(sent. 7884/97, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1590; 4952/98, ibid., n. 1546)
— è ontologicamente contrappositiva agli interessi im
prenditoriali e — che si svolge in un regime di pluralismo sin
dacale concorrenziale — comporta, necessariamente, che cia
scun esponente sindacale prescelga, nell'ambito della sua re
sponsabilità, la forma di comunicazione che meglio ritenga adatta a far comprendere le posizioni da esso assunte in relazio
ne a determinate vicende aziendali, non diversamente da quanto avviene nella sfera lata della politica.
6) A tal fine egli può anche prescegliere un linguaggio che, formalmente esorbita dalle «corrette» forme di comunicazione —
politically correct — ma può risultare efficace per far com
prendere il tipo di valutazione che egli fa di vicende che interes
sano i lavoratori, in relazione al loro livello di recepibilità di
determinate situazioni.
7) Se la comunicazione «non corretta» non è sorretta da que sta finalizzazione vien meno la stessa esistenza di un'attività
sindacale configurandosi solo l'aggressione dell'altrui sfera giu ridica utilizzando, strumentalmente, i diritti sindacali.
8) Alla luce di questi principi il tribunale avrebbe dovuto in
dividuare le connotazioni peculiari del comportamento per ac
certare: se esso era una forma di comunicazione prescelta dal
lavoratore sindacalista perché ritenuta la più efficace per far
comprendere ai lavoratori che quanto stava avvenendo (depo tenziamento degli organici stabili con lo «sfruttamento» di lavo
ratori precari) era l'effetto di una collusione imprenditore sindacato «storico», o piuttosto l'attribuzione di ipotesi crimi
nose fatta, disinvoltamente, al solo fine di proporsi come l'unica
organizzazione sindacale capace di tutelare efficacemente i la
voratori aggredendo, a tal fine, l'altrui sfera giuridica.
Il Foro Italiano — 2002.
9) Solo ove l'accertamento avesse dato questo risultato, il
comportamento, non più appartenente all'attività sindacale ma
diretto solo a conferire potere individuale a chi la stessa eserci
ta, poteva esser valutato per la sua eventuale idoneità a ledere
irreparabilmente il rapporto fiduciario.
10) Il tribunale ha del tutto omesso questo esame imboccan
do, decisamente ed immediatamente, la via del comportamento sindacale debordante, sino a tal punto da far emergere un lavo
ratore non in grado di permanere in una qualsiasi organizzazio ne produttiva: esso ha supposto, come si è detto, monovalente il
comportamento del lavoratore sindacalista e non si è per niente
posto il problema della polivalenza del comportamento, e quello
specifico del rapporto di adeguatezza fra contesto conflittuale ed
uso del linguaggio nello stesso da parte del sindacalista; valu
tando il comportamento dello stesso esclusivamente alla stregua del parametro di un inadempimento ai propri obblighi di lavo
ratore.
La sentenza va quindi annullata con rimessione ad altro giu dice che si atterrà al seguente principio di diritto:
Il giudice del merito nel valutare, al fine di accertare se può essere irrogato un licenziamento per giusta causa, le espressioni,
profferite da un lavoratore sindacalista in un contesto di con
flittualità aziendale, che possano apparire trasmodanti dai limiti
di un corretto esercizio delle libertà sindacali — e quindi lesive
del rapporto di fiducia con il datore di lavoro — deve accertare
se le stesse non costituiscano la forma di comunicazione rite
nuta più efficace ed adeguata dal sindacalista in relazione alla
propria posizione in un determinato contesto conflittuale, non
prestandosi, in tal caso, le stesse, in quanto espressione di una
lata responsabilità politico-sindacale, ad esser valutate con il pa rametro dell'inadempimento nei confronti del datore di lavoro
dovuto a lesione dell'altrui sfera giuridica nell'esercizio di un
diritto di rilevanza costituzionale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 4 lu glio 2002, n. 9692; Pres. Vessia, Est. Vitrone, P.M. Cinque
(conci, diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Incisa scavi. Cassa senza rinvio App. Caltanissetta 16 novembre 1998.
Fallimento — Insinuazione tardiva — Decreto di ammissio
ne non conforme alla richiesta — Mezzi di impugnazione — Esclusione — «Actio nullitatis» — Ammissibilità (Cost., art. Ili; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 101).
Il decreto con il quale il giudice delegato, nel procedimento di
insinuazione tardiva, disponga l'ammissione al passivo di un
credito in modo non conforme alla richiesta, deve essere
qualificato atto abnorme emesso al di fuori di ogni potere e
come tale non è impugnabile né con / 'appello né con ricorso
per cassazione ex art. Ill Cost, potendo essere rimosso in
ogni tempo con / 'actio nullitatis. (1)
(1) Il giudice di legittimità nella composizione più autorevole com
pone il conflitto di giurisprudenza sorto all'interno della prima sezione
civile e con buona pace dei fautori dei due orientamenti prevalenti opta
per il terzo decisamente più sporadico. 11 contrasto giurisprudenziale in
merito ai rimedi proponibili avverso i decreti con i quali i giudici dele
gati «decidono» domande tardive di ammissione al passivo al di fuori
dei limiti di cui all'art. 101 1. fall, è stato seguito dappresso sulle co
lonne di questa rivista. Nella nota a Cass. 5 gennaio 2000, n. 55, Foro
it., 2000,1, 421 (e nelle precedenti a Cass. 18 giugno 1997, n. 5459, id.,
1997, I, 2874, e 19 novembre 1997, n. 11497, id., 1998, I, 453 cui si
rinvia) si era avuto modo di segnalare che in tale decisione in rassegna era scandito esattamente il ventaglio delle soluzioni possibili con la
sola esclusione della scelta della querela nullitatis, profilo non preso in
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