sezione lavoro; sentenza 7 giugno 2003, n. 9162; Pres. Mileo, Est. Cataldi, P.M. Gialanella (concl.conf.); Cassa nazionale del notariato (Avv. Pinnarò) c. Altiero (Avv. M. Sandulli, Fanfani,Tartaglione). Conferma App. Firenze 15 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 9 (SETTEMBRE 2003), pp. 2269/2270-2271/2272Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198417 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione di tale rapporto sia limitata al momento della sua insor
genza, essendo vero invece che con il sintagma «rapporto assi
curativo di iscritto, ecc.» si intende far riferimento proprio alla
relazione fra l'iscritto e l'istituto nel suo svolgersi nel tempo e
come base delle varie prestazioni previdenziali fornite dalla cas
sa. Ne deriva che il riferimento al godimento del trattamento
pensionistico a carico di altro istituto previdenziale, come fatto
impeditivo del diritto alla pensione, di invalidità, per quel che qui rileva, ma anche di inabilità o di quella indiretta, va rappor tato non al solo momento della iscrizione iniziale ma a tutto
l'arco del rapporto assicurativo. Del resto, così interpretato, l'articolo in esame non dà luogo ad alcuna antinomia con quel che è previsto dal 5° comma del precedente art. 1, in base al
quale: «i trattamenti di pensione sono cumulabili con le pensio ni di guerra, con le pensioni dell'Istituto nazionale della previ denza sociale e con qualsiasi altra pensione o assegno o tratta
mento di natura mutualistica o previdenziale nonché con le pen sioni statali». Tale disposizione si coordina, infatti, agevolmente con l'esclusione di cui al citato art. 8, se riferita, come esatta
mente ritenuto dal tribunale, ai casi di titolari di trattamento
pensionistico a carico della cassa che conseguano poi altro trat
tamento a carico di altri enti. D'altra parte, mentre il 5° comma
dell'art. 1 si riferisce alla cumulabilità dei «trattamenti», indi
cando quindi una prestazione il diritto alla quale è stato già con
seguito, l'art. 8 individua un fatto che impedisce la maturazione
del diritto stesso.
Le suddette conclusioni, raggiunte tenendo conto della strut
tura delle due fattispecie normative esaminate, sono avvalorate
ulteriormente dalle considerazioni relative allo scopo perseguito con esse dalla legge. Come esattamente osservato nella sentenza
impugnata, attraverso il meccanismo approntato dall'art. 8, la 1.
414/91 ha inteso limitare l'accesso alle pensioni a «bassa» an
zianità contributiva, quali le pensioni di inabilità, invalidità e indiretta, a soggetti già titolari di altri trattamenti pensionistici, limitazione che invece non avrebbe avuto ragion d'essere per le
pensioni richiedenti una lunga anzianità contributiva, quali
quelle di vecchiaia e di anzianità: il che si riflette appunto sulla
loro cumulabilità, sancita dall'art. 1, 5° comma, della legge. Il ricorrente contesta la validità della distinzione, fra «bassa»
ed «alta» anzianità contributiva, ma invano, visto che essa trova
base sicura nella 1. 414/91, che attribuisce il diritto alle presta zioni di inabilità o di invalidità sulla base di dieci, e, nel caso di infortunio, cinque, anni di effettiva iscrizione e contribuzione, mentre prevede iscrizioni e contribuzioni di ben più lunga du
rata per la pensione di vecchiaia e di anzianità (art. 2, 10 com
ma, art. 3, 1° comma). D'altra parte, proprio tenendo conto dello scopo perseguito
con le norme in esame, si comprende come la limitazione non
abbia ragion d'essere quando l'assicurato, nella qualità di
iscritto alla cassa, abbia maturato il diritto alle prestazioni di
inabilità o di invalidità, e venga successivamente ad acquisire anche il diritto alla pensione a carico di un altro ente. Qui, in
fatti, la perseguita limitazione nell'accesso non potrebbe più realizzarsi, onde non avrebbe senso estendere anche a tali casi la
fattispecie di cui all'art. 8. La differenza di trattamento, denunziata dal ricorrente quale
violazione dell'art. 3 Cost., costituisce quindi, in realtà, il rifles
so della rilevanza oggettivamente diversa che le due situazioni
hanno dal punto di vista degli obiettivi perseguiti dal legislatore con le disposizioni in esame, e ciò basta ad escludere il denun
ziato sospetto di incostituzionalità. (Omissis)
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 giugno 2003, n. 9162; Pres. Mileo, Est. Cataldi, P.M. Gialanella
(conci, conf.); Cassa nazionale del notariato (Avv. Pinnarò) c. Altiero (Avv. M. Sandulli, Fanfani, Tartaglione). Con
ferma App. Firenze 15 maggio 2000.
Professioni intellettuali — Indennità di maternità — Pre
scrizione annuale — Esclusione — Domanda — Presenta
zione — Termine di decadenza (Cod. civ., art. 2943; 1. 11 gennaio 1943 n. 138, costituzione dell'Ente mutualità - Isti
tuto per l'assistenza di malattia ai lavoratori, art. 6; 1. 30 di
cembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 15; 1.
Il dicembre 1990 n. 379, indennità di maternità per le libere
professioniste, art. 1, 2).
L'indennità di maternità prevista dalla l. n. 379 del 1990per le
libere professioniste non soggiace al termine di prescrizione annuale previsto per le lavoratrici dipendenti ed autonome, in
quanto, nel caso delle libere professioniste, l'estinzione del
diritto all'indennità di maternità per decorso del tempo for ma oggetto di una specifica disposizione (art. 2) che prevede che la domanda per il godimento dell'indennità di maternità
deve essere proposta entro centottanta giorni dal parto. (1)
Svolgimento del processo. — La notaia Maria Michela Altie
ro, con ricorso al Tribunale di Firenze, chiedeva la condanna
della Cassa nazionale del notariato al pagamento dell'indennità
di maternità per l'intero periodo compreso tra i due mesi ante
cedenti la data presunta del parto ed i tre mesi successivi alla
data del parto stesso, anziché nella misura corrispondente agli effettivi giorni di astensione dall'attività professionale come
operato dalla cassa, in relazione ai due parti avvenuti, rispetti vamente, l'8 giugno 1994 ed il 27 gennaio 1998.
Il tribunale, rilevato che nel corso del giudizio la cassa del
notariato, a seguito di pronunce sia della Corte costituzionale
che della Corte di cassazione nel frattempo intervenute, aveva
accettato il principio di diritto in base al quale il diritto alla per cezione per intero dell'indennità di maternità per le libere pro fessioniste non è correlato all'astensione dall'attività professio
nale, osservava che l'unica questione rimasta in discussione ri
guardava l'eccezione di prescrizione annuale avanzata dalla
convenuta in relazione all'indennità di maternità di cui al primo
parto avvenuto in data 8 giugno 1994; riteneva che nel caso di
specie si applicasse la prescrizione ordinaria prevista dall'art.
2946 c.c., e accoglieva la domanda della notaia ricorrente.
Avverso la decisione di primo grado la cassa del notariato
proponeva appello insistendo nell'eccezione di avvenuta pre
Ci) Non constano precedenti in ordine al regime della prescrizione applicabile all'indennità di maternità per le libere professioniste. La ri
portata sentenza evidenzia come sebbene la 1. n. 379 del 1990 «presenti
un'omogeneità teleologica con le leggi a tutela della maternità delle la
voratrici dipendenti ed autonome, non vi è alcuna ragione di equiparar ne la disciplina ... sotto il profilo dell'estinzione del diritto per decor
so del tempo». Sulla legittimità della «diversa» disciplina fra lavoratrici subordinate ed autonome, Corte cost. 21 aprile 1993, n. 181, Foro it.,
Rep. 1993, voce Previdenza sociale, n. 513; per la legittimità della norma che assoggetta a prescrizione annuale le prestazioni a carattere
temporaneo, Corte cost. 9 novembre 1988, n. 1021, id., 1989,1, 3002.
In ordine al «termine» per presentare la domanda per l'indennità di
maternità da parte della libera professionista, la 1. n. 379 del 1990, in
linea con la tendenza del legislatore a sottoporre le prestazioni previ denziali a carattere temporaneo a termini brevi di prescrizione e deca denza (cfr. Cass. 26 aprile 1993, n. 4859, id., 1994, I, 2498), dispone che la domanda di pagamento dell'indennità economica di maternità deve essere presentata, da parte della libera professionista, entro il ter
mine di centottanta giorni dal parto (oppure dall'ingresso del bambino
nella casa o dalla data dell'aborto). Non prevede la legge alcun termine
iniziale; ne consegue che la richiesta è sottoposta solamente ad un ter
mine finale di decadenza (determinato in centottanta giorni) entro il
quale essa deve essere presentata (così come, peraltro, affermato dalla
riportata sentenza). In dottrina, conf. L. Carbone, La tutela previden ziale dei liberi professionisti, Torino, 1998, 279.
Sulla decorrenza della maternità per le libere professioniste (e sulle
modalità di calcolo), cfr. Cass. 19 maggio 2003 n. 7857, Foro it., 2003,
I, 2009, con nota di L. Carbone, anche in ordine alla data cui ancorare
la domanda per la decorrenza della prestazione di maternità.
Sul diritto all'indennità di maternità per le libere professioniste in
caso di mancata astensione dal lavoro, Corte cost. 29 gennaio 1998, n.
3, id., 1998,1, 664, con nota di richiami.
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PARTE PRIMA 2272
scrizione annuale della richiesta indennità di maternità in rela
zione al primo parto. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 13 maggio
2000, rigettava il gravame rilevando che la 1. 11 dicembre 1990
n. 379, che aveva esteso l'indennità di maternità alle libere pro fessioniste, presentava una disciplina particolare che non con
sentiva l'equiparazione a quella adottata per le lavoratrici auto
nome cui la giurisprudenza aveva ritenuto applicabile la prescri zione annuale dell'indennità in questione.
Per la cassazione della decisione della corte d'appello l'asso
ciazione Cassa del notariato propone ricorso formulandolo in un
unico motivo, illustrato da successiva memoria. La notaia Altie
ro resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, de
nunciando violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 2 1.
379/90, dell'art. 12 disp. sulla legge in generale, dell'art. 6, ul
timo comma, 1. 11 gennaio 1943 n. 138, dell'art. 3 Cost., non
ché contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere la corte d'appello applicato l'art. 6, ultimo comma, 1.
11 gennaio 1943 n. 138, non tenendo così conto del consolidato
indirizzo della Corte di cassazione circa l'applicazione estensi
va di tale norma alle lavoratrici autonome; sostiene la cassa ri
corrente che il giudice del riesame non aveva valutato corretta
mente le ragioni di tale applicazione estensiva, ragioni valide
anche per l'indennità di maternità prevista dalla 1. 11 dicembre
1990 n. 379 in favore delle libere professioniste, normativa che, come quella prevista dalla 1. n. 1204 del 1971 per le lavoratrici
dipendenti e quella della 1. n. 546 del 1987 per le lavoratrici
autonome, è ispirata a tutelare i medesimi valori ed interessi
della «maternità».
Il motivo è infondato.
Questa corte, nella sua giurisprudenza, ha costantemente af
fermato che la speciale prescrizione breve (annuale) prevista dall'art. 6, ultimo comma, 1. 11 gennaio 1943 n. 138 per l'azio ne diretta a conseguire l'indennità di malattia, si estende alla
domanda avente ad oggetto il riconoscimento del diritto al trat
tamento economico riconosciuto, in favore delle lavoratrici di
pendenti, dalla 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, per i periodi di astensione obbligatoria e di assenza facoltativa dal lavoro con nessi alla nascita di un figlio ovvero, in caso di lavoratrici affi datane in preadozione, all'ingresso del bambino nella famiglia affidataria (cfr., tra le tante, Cass. n. 4348 del 1995, Foro it.,
Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n. 903; n. 4967 del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 808; n. 11638 del 1992, id., Rep. 1994, voce cit., n. 856). Del resto la 1. n. 1204 del 1971 contiene all'art. 15 un richiamo espresso ai criteri previsti per l'eroga zione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Una volta assoggettata alla regola della prescrizione annuale stabilita dall'art. 6 1. n. 138 del 1943 l'indennità prevista per le lavoratrici dipendenti dalla 1. n. 1204 del 1971, questa corte ha
ritenuto, poi, che la medesima regola dovesse applicarsi all'in dennità di maternità — identica alla prima nel contenuto e nella funzione — attribuita alle lavoratrici autonome dalla 1. 29 di cembre 1987 n. 546 (Cass. 19 gennaio 1998, n. 444, id., 1998,1, 784). Nella richiamata sentenza viene rilevato che si tratta, an che in questo caso, di un trattamento previdenziale corrisposto dall'Inps, che matura di giorno in giorno, per i periodi di gravi danza e puerperio (o per i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino adottato nella famiglia affidataria), e che tutela il
medesimo evento della maternità, consentendo anche alle lavo ratrici autonome di sospendere o ridurre l'impegno lavorativo al suo verificarsi, senza perdere i vantaggi economici correlati alla continuazione dell'attività fino a quel momento svolta; anche
per questa attività si pongono, inoltre, le medesime esigenze di certezza e rapidità nell'accertamento dei presupposti necessari
per ottenere la tutela previdenziale, con le quali si giustifica l'assoggettamento dell'indennità di maternità, attribuita alle la voratrici dipendenti, alle regole di prescrizione del diritto pro prie dell'indennità di malattia (Cass. 19 gennaio 1998, n. 444, cit.; 8 luglio 1992, n. 8318, id., Rep. 1992, voce cit., n. 895).
È proprio sotto quest'ultimo profilo che la 1. 11 dicembre 1990 n. 379, che disciplina il diritto all'indennità di maternità delle libere professioniste, non consente un'equiparazione con il
regime applicabile alle lavoratrici dipendenti ed autonome. La 1. 29 dicembre 1987 n. 546 (per le lavoratrici autonome) non con
II Foro Italiano — 2003.
tiene infatti alcuna specifica disciplina circa i limiti temporali entro cui si estingue il diritto della lavoratrice che non abbia
fatto valere il suo diritto all'indennità di maternità, sicché
un'equiparazione con il regime prescrizionale applicabile alle
lavoratrici dipendenti, le cui prestazioni economiche in caso di
maternità sono pressoché identiche e rispondono alla stessa fun
zione di tutela dell'evento della maternità, è del tutto giustifi cata e corretta.
Nel caso delle libere professioniste, invece, l'estinzione del
diritto all'indennità di maternità per decorso del tempo forma
oggetto di una specifica disposizione (art. 2) che prevede che la
domanda per il godimento dell'indennità di anzianità deve esse
re proposta entro centottanta giorni dal parto. Sicché, sebbene tale legge presenti un'omogeneità teleologica
con le leggi a tutela della maternità delle lavoratrici dipendenti ed autonome, non vi è alcuna ragione di equipararne la discipli na (che in verità presenta anche altre differenze, peraltro non
particolarmente rilevanti rispetto al problema del decorso del
tempo di cui ci stiamo ora occupando) sotto il profilo dell'estin
zione del diritto per decorso del tempo in relazione alle esigenze di certezza e rapidità dell'accertamento dei presupposti per ot
tenere la tutela previdenziale, esigenza maggiormente garantita dal breve termine di decadenza entro cui le libere professioniste debbono far valere il loro diritto all'indennità di maternità, non
previsto né per le lavoratrici dipendenti né per quelle autonome.
Il ricorso va pertanto rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 31 maggio 2003, n. 8828; Pres. Carbone, Est. Preden, P.M. Pi
vetti (conci, diff.); Zani (Avv. Muzi, Bertuetti) c. Soc. Sai
(Avv. Perilli, Minervini) e altro. Cassa App. Brescia 2 gen naio 2001.
Danni in materia civile — Danno non patrimoniale — Le
sione di interessi costituzionalmente garantiti — Limite della ricorrenza del reato — Esclusione (Cod. civ., art.
2054, 2059; cod. pen., art. 185).
Deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale soggiaccia al limite di cui agli art. 2059 c.c. e 185 c.p. allor ché vengano lesi valori della persona costituzionalmente ga rantiti; pertanto è risarcibile con liquidazione equitativa il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto consistente nella perdita definitiva del rapporto parentale. (1)
(1-4) Con le sentenze in rassegna la terza sezione della Suprema corte dà un impulso decisivo al processo di ampliamento della risarci bilità dei pregiudizi non patrimoniali, sviluppatosi in misura imponente nell'ultimo decennio grazie all'intensa opera interpretativa della dottri na e della giurisprudenza. In tre dei quattro casi viene in rilievo il pre giudizio (non patrimoniale) subito dai congiunti della vittima deceduta in un incidente stradale, di cui il convenuto è chiamato a rispondere in forza delle presunzioni di cui agli art. 2054 (nelle sentenze nn. 7283 e
8828) e 2051 (nella sentenza n. 7281) c.c. La sentenza n. 8827 riguarda invece un caso di responsabilità medica, e si concentra anch'essa sui
pregiudizi non patrimoniali patiti dai genitori in conseguenza degli ir
reparabili danni provocati dai medici al loro figlio nella fase neonatale.
Anticipando la «strategia» di Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233, in
questo fascicolo, I, 2201. con nota di E. Navarretta, le pronunce «ge melle» sub III e IV eludono «frontalmente» la limitazione contenuta nell'art. 2059 c.c., innovando il consolidato orientamento giurispruden ziale in forza del quale il risarcimento del danno non patrimoniale è su bordinato al concreto accertamento dell'elemento psicologico della condotta, per cui non può essere accordato allorché la responsabilità venga affermata in base ad una presunzione legale (in tal senso, v. Cass. 22 marzo 2001, n. 4113, Foro it., Rep. 2001, voce Danni civili, n.
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