Sezione V; decisione 17 aprile 1964, n. 473; Pres. Chiofalo P., Est. Fortini del Giglio; Perazzo,Brizzi (Avv. Aleandri, Binelli, Pepe) c. Comune di Massa (Avv. Cecchieri, Clarizia), Soc. a r. l.Parodi e Mariano (Avv. Battaglini, Musso)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 215/216-219/220Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156214 .
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215 PARTE TERZA 216
mento nell'art. 46 ove, a proposito dello scioglimento, si
fanno salvi i provvedimenti richiesti dalla urgente neces
sità di tutelare gli interessi degli istituti e questo articolo
è riconfermato dall'art. 86 del regolamento approvato con
r. decreto 5 febbraio 1891 n. 99.
Il ricorrente ribatte che il decreto prefettizio è stato
adottato ai sensi dell'art. 50 e non dell'art. 46 e che questa seconda norma rinvia ai poteri spettanti ai prefetti in base
alle vigenti leggi, le quali però non prevedono più tale potere. Ma il vero è che gli art. 46 e 50 nella loro originaria formu
lazione si integravano a vicenda riconoscendo il potere di
adottare la sospensione ed attribuendolo normalmente al
sottoprefetto. Venuta meno questa autorità il potere si
è concentrato nel prefetto, il quale adesso è l'organo al
quale la potestà dell'art. 50 va riferita.
Sul secondo mezzo ed in mancanza di una specifica statuizione di legge, non si può convenire con il ricorrente
che il provvedimento di sospensione, dato il suo carattere
contingente ed urgente, debba recare necessariamente la
indicazione di un termine finale, anche se la eccezionalità
del provvedimento a carattere contingente ed urgente ne
palesa la necessaria provvisorietà. È perciò ovvio che non
può l'interprete sostituirsi al legislatore nel prefissare un
preciso termine di durata ad un provvedimento, anche se
per sua natura provvisorio, nè trasferire a questo provve dimento il termine sancito per il diverso provvedimento di scioglimento. Appunto perciò non si può non tenere
rigidamente separati i due diversi interventi, altrimenti
si perverrebbe alla assurda conseguenza che la sospensione avrebbe l'effetto di togliere ogni rilevanza al termine sta
bilito per lo scioglimento. Fondate sono le censure di difetto di motivazione, er
roneità dei presupposti e sviamento dedotti nel terzo e
quarto mezzo ed ampliati e sviluppati dal ricorrente nella
memoria 24 marzo 1964.
Premesso, come sopra detto, che al prefetto non può essere disconosciuta la facoltà di sospendere le ammini
strazioni delle istituzioni pubbliche di assistenza e bene
ficenza, va chiarito quali sono i presupposti per l'esercizio
del potere e le finalità che questo deve mirare a raggiun
gere, che ovviamente non possono essere le medesime ri
chieste per il provvedimento di scioglimento. Stabilisce l'art. 46 della ripetuta legge n. 6972 del 1890,
che regola il procedimento di scioglimento, che « è fatta
salva la facoltà di dare i provvedimenti richiesti da urgente necessità per tutelare gli interessi degli istituti di assistenza
e beneficenza » e poi chiarisce l'art. 50 della stessa legge,
parlando dei poteri del sottoprefetto, i quali, come osser
vato, sono passati al prefetto, che « quando gravi motivi
d'interesse dell'istituto o di ordine pubblico lo richiedono, il prefetto può anche sospendere le amministrazioni delle
istituzioni pubbliche di assistenza e b?n,ficenza ». Da questi articoli si desume chiaramente che, come
avviene del resto in altre materie, il provvedimento di
sospensione può avere luogo quando sia richiesto da gravi ed urgenti motivi, i quali non possono tollerare indugi e
non consentono il ricorso al procedimento di scioglimento
degli organi amministrativi, per il quale è prescritta una
più lunga e complessa procedura. Ne consegue che sospensione e scioglimento non sono
provvedimenti alternativi, ma che il primo è un provve dimento cautelare di urgenza che può essere adottato, mancando concreti e sicuri elementi i quali richiederebbero
lo scioglimento, in presenza di gravi fatti i quali lasciano
presumere un pericolo imminente, mentre il secondo pre
suppone l'avvenuto accertamento di precise irregolarità consistenti in due evenienze tassative, che l'amministra
zione non si conformi alle norme di legge o agli statuti o
regolamenti dell'istituzione ovvero che siano pregiudicati
gli interessi della medesima. Infine per il suo carattere non
provvisorio nè cautelare, questo secondo provvedimento richiede la preventiva contestazione delle irregolarità ri
scontrate ed il parere del comitato pubblico di assistenza e
beneficenza.
Ora nella specie non si può sostenere che sussistesse
alcun motivo tale da fare temere un imminente grave danno
per l'ente, e non. soltanto perchè di tale pericolo non è fatto
cenno nel decreto prefettizio (con che si concreta il vizio
di difetto di motivazione), ma anche perchè la più gran
parte degli addebiti mossi escludeva per sua natura, trat
tandosi di fatti preteriti o di irregolarità non sanabili pron
tamente, una conseguenza dannosa imminente.
Inoltre il provvedimento di sospensione è stato adottato
quando ormai erano stati predisposti tutti gli atti prepa ratori del procedimento di scioglimento e mancava solo l'au
dizione del comitato di assistenza e beneficenza il cui parere
poteva essere acquisito nello spazio di poche ore. Per tal verso
è fondata la censura di eccesso di potere, la quale non ri
chiede necessariamente che un provvedimento sia adot
tato per motivi privati contrari al pubblico interesse, ma
si può configurare anche tutte le volte in cui la causa del
l'atto non sia quella ragione di pubblico interesse, ipotiz zata dalla norma di legge che disciplina il potere. E nella
specie non è dubbio che il provvedimento di sospensione è intervenuto in un momento nel quale avrebbe potuto essere accertata la esistenza di presupposti per uno sciogli mento mentre mancavano i requisiti per la sospensione.
Il secondo ricorso, è anch'esso fondato non soltanto
perchè il provvedimento di scioglimento, come rilevato nel
l'impugnato provvedimento ministeriale, è una diretta
conseguenza del provvedimento di sospensione, ma anche
e soprattutto perchè attraverso il susseguirsi dei due prov vedimenti, adottati a notevole distanza l'uno dall'altro, l'autorità governativa è intervenuta oltre il tempo stret
tamente necessario alla ricostruzione degli organi statu
tari e la gestione commissariale ha superato di molto il
termine di sei mesi previsto dalla legge. Inoltre il commissario prefettizio, il quale era lo stesso
funzionario che aveva eseguito l'ispezione presso l'opera pia, non soltanto è stato incaricato di provvedere in via prov visoria all'amministrazione dell'ente, ma ha avuto il preciso
compito di normalizzare l'intera attività amministrativa ed
anche di eseguire incombenti attinenti alla riforma dell'at
tività dell'ente.
Il prefetto, in base alla relazione del vice prefetto ispet tore, e dopo aver iniziato il procedimento di scioglimento del consiglio di amministrazione con l'invito al consiglio di amministrazione medesimo a conformarsi alle vigenti norme eliminando le riscontrate irregolarità nel termine
fissato e poi prorogato, non poteva più passare ad adottare
il provvedimento di sospensione che sarebbe stato legit timo, eventualmente, appena accertate le manchevolezze
di cui alla relazione ispettiva, ma non quando sussistevano
tutti gli elementi in base ai quali poteva e doveva essere
deciso se procedere allo scioglimento degli organi preposti alla amministrazione ordinaria.
I ricorsi, previa la loro riunione, debbono essere accolti
e la resistente amministrazione dell'interno per effetto
della soccombenza va condannata alle spese del giudizio. Per questi motivi, accoglie, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione V ; decisione 17 aprile 1964, n. 473 ; Pres. Cmo i'alo P., Est. Fortini del Giglio ; Perazzo, Brizzi
(Avv. Aleandki, Binelli, Pepe) c. Comune di Massa
(Avv. Cecchieki, Clarizia), Soc. a r. 1. Parodi e Mariano
(Avv. Battaglini, Musso).
Piano regolatore, di ricostruzione e disciplina delle
costruzioni —Apuania — Applicabilità al comune di Massa — Altezza degli edifici — Violazione —
Licenza edilizia illegittima (Legge 23 gennaio 1941
n. 147, approvazione del piano regolatore generale e di
ampliamento di Apuania). I'iano regolatore, di ricostruzione e disciplina delle
costruzioni — Apuania — Disciplina dei cortili della zona intensiva — Inapplicabilità allo spazio intermedio fra edifici del comune di Massa — — Effetti.
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217 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 218
Finché non intervengano altre disposizioni regolarmente ap provate le norme del piano regolatore di Apuania e del
l'allegato schema di regolamento edilizio, che disciplinano Valtezza degli edifici in rapporto alla larghezza della strada, sono applicabili anche ai comuni successori ; è pertanto illegittima la licinza con la quale il sindaco di Massa auto rizza la costruzione di un fabbricato di altezza superiore al limite massimo consentito da quelle norme. (1)
Qualora tra la costruzione autorizzata dal sindaco di Massa e l'altra preesistente si venga a creare uno spazio non assi
milabile ai cortili previsti dallo schema di regolamento edilizio di Apuania per la zona intensiva, l'altezza del
nuovo edificio può raggiungere, anche dal lato prospet tante su quello contiguo, il limite previsto dal regolamento
per la facciata prospiciente la strada. (2)
La Sezione, ecc. — (Omissis). Nel merito deve premet tersi che il piano regolatore di Apuania con l'annesso schema di regolamento edilizio, approvato con la legge 28 gennaio 1941 n. 147, come già questo Consiglio ha avuto occasione di ritenere (dec. Sez. V 14 febbraio 1959, n. 66, Foro it., Rep. 1959, voce Piano regolatore, n. 80), è applicabile ai comuni
successori in cui si è diviso quello di Apuania — e, quindi, anche alla città di Massa — fino a quando non interven
gano altre norme regolarmente approvate. Il comune resistente, pur non escludendone l'applica
zione in linea di massima, sostiene, sostanzialmente, che
un piano regolatore di importanza assai superiore, sotto
vari aspetti, come quello di Apuania, nella sua applicazione concreta al comune di Massa, isolatamente considerato, debba essere, per così dire, ridimensionato, con la conse
guenza che al sindaco resterebbe una certa discrezionalità
nel rilascio delle singole licenze edilizie, perchè l'interesse
collettivo esige che le nuove costruzioni in Massa, specie nella zona intensiva, siano adeguate all'ambiente ed allo
sviluppo edilizio della città. Sostiene, peraltro, il comune, e in linea più generale, che l'esercizio del diritto di costruire
è, comunque, condizionato all'interesse collettivo e all'ot
tenimento di un atto di carattere discrezionale.
Ma queste tesi non possono accogliersi, perchè, ove si
riconosca che il piano regolatore non sia più adeguato alle
nuove esigenze, il comune può predisporne un altro, come, di fatto, ha iniziato a fare, adottando, ove ne sia ricono
sciuta l'opportunità, misure di salvaguardia nelle more
della sua approvazione. In mancanza di tali provvedimenti non può deviarsi dal principio che le norme regolamentari, debitamente approvate, non sono derogabili se non esiste
una precisa disposizione che a ciò autorizzi. Nello schema
di regolamento edilizio allegato al piano regolatore del 1941 — che su tale punto rilevante non può non aver innovato
sul regolamento edilizio 12 febbraio 1936 — non è previsto alcun potere di deroga, nò, d'altra parte, dal contesto della
licenza edilizia impugnata risulta che il sindaco si sia av
valso di siffatto potere, il cui esercizio, come è noto, è con
dizionato anche a specifica autorizzazione governativa. Deve poi soggiungersi che, allorquando si parla di fa
coltà discrezionale del comune nel rilascio delle licenze
edilizie, si intende far riferimento a quel potere discrezio
nale di carattere tecnico amministrativo che riguarda le
modalità della costruzione, le caratteristiche di struttura
dell'edificio, il suo decoro, l'armonia architettonica, ma non
anche al potere di derogare ai limiti posti dalla norma rego lamentare che già ha compiuto una adeguata valutazione
del pubblico interesse.
(1-2) Con l'annotata decisione, nei cui precisi termini non si rinvengono precedenti, la V Sezione del Consiglio di Stato
ribadisce, in conformità a quanto affermato dalle precedenti decisioni 28 agosto 1059, n. 591, Foro it., Rep. 1959, voce Piano
regolatore, n. 79, e 14 febbraio 1959, n. 66, ibid., n. 80, l'applicabi lità delle disposizioni del piano regolatore di Apuania ai comuni
successori (Carrara, Massa, Montignoso) finché non subentrino nuove norme regolamentari debitamente approvate.
Sull'efficacia del regolamento edilizio di Apuania si con
sulti pure in motivazione Cass. 5 dicembre 1963, n. 3084, id.,
1963, I, 2344, con nota di richiami.
In relazione a tale situazione e a detti principi, il primo motivo di ricorso, per quanto attiene all'altezza dell'edi ficio in discussione, si appalesa fondato.
L'altezza degli edifici nel piano regolatore di Apuania nell'allegato schema di regolamento edilizio è in funzione della strada o piazza pubblica.
Non vi è dubbio infatti che lo schema suddetto, con la formula H = S + 1/2 S, si è riferito proprio alla strada
cui, chiaramente, corrisponde la lettera S come si evince anche dal titolo « schema stradale minimo » sotto il quale compare la lettera medesima. Ed è altrettanto certo che l'altra formula H mas =17 non può avere altro significato che gli edifici possono avere una altezza uguale ad una volta e mezzo la larghezza della strada, purché non ecce dano il limite massimo assoluto di m. 17. Sorge, pertanto, questione se la possibilità di costruire un altro piano in ritiro,
prevista nelle osservazioni dello schema di regolamento, sia ammessa nei casi in cui l'altezza, in rapporto alla lar
ghezza della strada, non superi i 17 m. ed il piano in ritiro sia contenibile nel restante spazio, ovvero se tale piano sia consentito anche oltre il limite massimo.
In mancanza di norme nel piano regolatore ed allegato schema di regolamento e non potendosi richiamare, per i
limiti di altezza, le precedenti norme edilizie del 1936, in
quanto la nuova disciplina è completa sul punto, questa Sezione ritiene che debba adottarsi la soluzione meno limi
tativa del diritto di costruire. Comunque, la licenza edi
lizia che autorizza un'altezza fino a 33 m. è indubbiamente
illegittima. In merito all'altro profilo del primo motivo di censura,
riguardante, cioè, l'altezza dell'edificio in relazione alla
ampiezza dello spazio che si è venuto a creare tra la pro
prietà delle ricorrenti e il nuovo edificio, la Sezione ritiene
che detto spazio non possa equipararsi ai cortili di cui par lano le osservazioni dello schema di regolamento edilizio
per la zona intensiva esistente. La figura esplicativa dise
gnata a fianco delle osservazioni indica chiaramente lo sche
ma di un cortile chiuso da tutti ilati con muri. L'altra figura,
poi, che illustra la. formula H = S + 1/2 S, non può rife
rirsi, come si è detto, che alle strade e piazze pubbliche e,
quindi, non può fornire alcuna utile indicazione al riguardo. In sostanza, le norme dello schema di regolamento re
lative alle zone di costruzione intensiva per le quali è pre vista « la fronte unita » parlando di una distanza minima
interna fra corpi di fabbricati e di distanza dai confini
« interni » e, nello stabilire le distanze suddette, per la zona
intensiva di ampliamento, e la superficie dei cortili, per la
zona intensiva esistente, si riferiscono agli spazi che si for
mano all'interno dei fabbricati. Nulla prevedono, dette
norme, per eventuali spazi che si affacciano sulla strada
pubblica. E ciò si spiega date le finalità stesse cui tali norme
sono ispirate. Nè potrebbero invocarsi eventuali norme
del vecchio regolamento poiché, anche in tema di ampiezza dei cortili, la nuova disciplina edilizia è completa.
D'altronde, non tutti gli spazi recinti con muri soltanto
da alcuni lati possono sempre qualificarsi come cortili nel
significato proprio della parola, rientrando spesso in cate
gorie minori e diverse come le intercapedini tra edifici e i
distacchi, i giardini, i passaggi, i vicoli ciechi di varia na
tura. Ed è proprio in queste categorie la Sezione ritiene
che si versi nel caso in esame, giacché, secondo i dati della
comune conoscenza ed esperienza, il cortile aperto sul fronte
della strada (senza, cioè, un muro che da quella parte lo
recinga) non può raffigurarsi in uno spazio avente, come
nella specie, la forma di un semplice rettangolo largo ap
pena 5 m. ed aperto da uno dei lati più corti.
Per tali fattispecie non è sempre possibile e a maggior
ragione applicare sic et simpliciter la disciplina prevista
per i cortili, occorrendo, in ogni caso, particolari norme
edilizie che, nell'estenderla, stabiliscano speciali condizioni
ed opportuni adattamenti. Lo stesso vecchio regolamento edilizio di Massa, all'art. 18, che parificava detti spazi ai
cortili, stabiliva, ad esempio, che nelle intercapedini le
fronti degli edifici visibili da luoghi pubblici fossero sog
gette alle stesse prescrizioni delle facciate prospicienti que sti ultimi.
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PARTE TERZA 220
Tale norma ovviamente non potrebbe trovare in nes
sun punto applicazione alla fattispecie perchè il regola mento allegato al piano regolatore, pur dovendo integrarsi, in alcune parti, dato il suo carattere schematico, con le
norme di quello del 1936, non lo può certamente per quelle
parti che abbia regolato compiutamente, o che siano incom
patibili con le vecchie norme. Date, infatti, le finalità di
tale piano, inteso a disciplinare l'assetto urbanistico di un
centro cittadino in via di sviluppo e a carattere intensivo
tanto da prevedere le costruzioni a filo stradale e a fronte
unita, non può ritenersi, come già si è accennato, che esso
abbia inteso mantenere in vigore precedenti norme che, pre vedendo spazi e distacchi o intercapedini, aperte anche
all'esterno, sono in aperto contrasto con la nuova disciplina della zona.
In mancanza perciò di norme particolari che possano
regolare il caso eccezionale in cui come nella specie non sia
possibile la costruzione a fronte unita con l'edificio con
tiguo, non può vietarsi che la fronte del nuovo edificio,
prospettante su quello vicino, raggiunga un'altezza pari a
quella del fronte sulla strada ammessa dal regolamento. Ove, poi la censura delle ricorrenti dovesse intendersi di
retta ad ottenere l'arretramento del nuovo edificio dal con
fine tra le proprietà delle due parti in causa, per il fatto
che non è possibile costruire in aderenza, la questione esu
lerebbe dalla giurisdizione di questo Consiglio. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione IV ; decisione 25 marzo 1964, n. 157 ; Pres. A.
De Marco P., Est. Battaka ; Soc. Fonderia e Smal
teria (Avv. Contaldt) c. Min. lavori pubblici e trasporto
(Avv. dello Stato Ceracchi) e Comune di Torino (Avv.
Astuti).
Piano regolatore, di ricostruzione e disciplina delle
costruzioni — Legjjc urbanistica —- Questione di
incostituzionalità della legge nel suo insieme —
Manifesta infondatezza (Legge 17 agosto 1942 n. 1150,
legge urbanistica, art. 7, 8, 9, 10, 11, 30, 40; Costitu
zione, art. 42).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale della legge urbanistica, complessivamente con
siderata e con limitato riferimento agli art. 7 a 11 e 40, in quanto i limiti non indennizzabili da essa imposti alla proprietà privata non consistono in espropriazioni o
in imposizioni di servitù senza indennizzo, ma in meri
limiti air esercizio del diritto. (1)
La Sezione, ecc. —■ La questione di illegittimità costi
tuzionale della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150
« nel suo insieme per urto contro i fondamentali principi, che sono ricevuti e proclamati dal 2° comma e dal 3° comma
dell'art. 42 della Costituzione », investirebbe, in tale formu
(1) In questo stesso senso si è pronunciata la Sezione nella decisione n. 161, recante la stessa data, in cui è specificato che
per i proprietari, l'esercizio del cui diritto sia limitato dal piano regolatore, non si può fare ricorso ad un'applicazione analogica dell'art. 46 della legge urbanistica, che prevede un indennizzo
per i proprietari di fondi che vengano gravati da servitù in
dipendenza dell'esecuzione di un'opera pubblica, in quanto «il limite di piano regolatore ha fondamento nell'interesse obiettivo della comunità, della quale anche il proprietario è membro » e «ritenere che qualsiasi limite della facoltà di godimento debba formare oggetto di particolare indennizzo, renderebbe impos sibile il perseguimento di quei fini sociali che la stessa Costitu zione impone ».
La questione d'incostituzionalità dell'art. 7, nn. 2 e 3, della
legge urbanistica è stata, invece, dichiarata non manifestamente infondata dal Cons, giust. amm. reg. sic. con ordinanza 10 feb braio 1964, n. 1, retro, 94, con nota di richiami, cui adde P. Stella Richter, in Giur. cost., 1963, 565.
lazione, tutte le norme della legge in oggetto, e quindi sarebbe in massima parte irrilevante rispetto ai limiti del
presente giudizio. Del resto, pur volendo prescindere dalla
genericità della formulazione, essa si risolverebbe nel para dossale assunto, in contrasto con l'evidenza storica e giu ridica, che la Costituzione italiana si sarebbe ispirata ad
un individualismo sì rozzo ed arcaico, da vietare il soddisfa
cimento di quelle necessità di convivenza civile, cui prov vede la disciplina urbanistica, sollevata in simili termini, è stata già dichiarata priva di fondamento dalla Corte cost,
nella sentenza 10 maggio 1963, n. 64, (Foro it., 1963, 1,
1036) dove testualmente si afferma che i limiti dello ius
aedificandi « sono sempre stati connessi alla disciplina della
proprietà immobiliare, e rientrano tra quelli previsti dal
detto art. 42, 2° comma, della Costituzione, non potendosi dubitare che la funzione sociale della proprietà richieda, tra l'altro, una disciplina dell'assetto dei centri abitati, del
loro incremento edilizio, e, in genere, dello sviluppo ur
banistico ».
La ricorrente sostiene però che la pronuncia citata non
pregiudica ulteriori profili della questione, perchè essa pro
segue affermando che « l'analisi di questi limiti, quali sono
posti dalla legge urbanistica, non forma oggetto del presente
giudizio, in quanto sulle singole norme, che li prevedono, non sono state sollevate specifiche questioni di legittimità costituzionale ». E precisa quindi la eccezione, sostenendo, in sostanza, che i vincoli previsti dagli art. 7, 8, 9, 10, 11
della legge urbanistica in relazione all'art. 30 della legge stessa (ma probabilmente l'indicazione è erronea, e si do
vrebbe piuttosto fare riferimento all'art. 40, che ne proclama la non indennizzabilità) si risolvono in espropriazioni, o in
imposizioni di servitù, senza indennizzo e quindi in viola
zione del 3° comma dell'art. 42 della Costituzione. La questione, così prospettata, darebbe luogo perfino a
dubitare della sua rilevanza in questa sede. L'art. 42, 3°
comma, stabilisce che « la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge e salvo indennizzo, espro
priata per motivi di interesse generale » : stabilisce cioè il dovere dell'indennizzo ma non già che esso debba inoltre essere « preventivo » o « contestuale ». Poiché la citata pro nuncia della Corte costituzionale non lascia dubbio sulla
legittimità dell'imposizione dei limiti allo ius aedificandi, e questi, quando pure si volessero identificare con espro priazioni od imposizioni di servitù, potrebbero essere sta biliti senza previa determinazione o corresponsione di in
dennizzo, senza che con ciò si leda alcun dettato costitu
zionale, la questione potrebbe bene ritenersi non rilevante in questa sede, ove viene in considerazione soltanto la
pretesa lesione d'interesse legittimo, derivante dall'impo sizione del vincolo ; mentre l'asserita illegittimità costitu zionale delle norme escludenti l'indennizzo assumerebbe rilievo quando il proprietario reclamasse nella competente sede la soddisfazione dell'asserito diritto soggettivo.
La Sezione, peraltro, non ritiene necessario approfondire ulteriormente questo punto, dacché la questione sollevata non è nuova alla sua giurisprudenza ed è stata già dichiarata manifestamente infondata (Sez. IV 27 febbraio 1959, n.
269, Foro it., Rep. 1959, voce Piano regolatore, nn. 71-76, e 19 ottobre 1960, n. 835, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 62, 62 bis), mentre oggi nessun argomento nuovo si adduce, che non sia stato in precedenza esaminato.
I vincoli imposti coi piani regolatori non costituiscono
espropriazioni, perchè non dànno luogo al trasferimento coattivo dell'immobile dall'uno all'altro soggetto ; nè im
posizione di servitù, perchè non si risolvono nella costitu zione d'un diritto reale sul fondo servente a favore d'un fondo dominante. Essi non vanno quindi ricompresi nella
disciplina dell'art. 42 della Costituzione, che concerne la
ipotesi del trasferimento coattivo del diritto di proprietà da un soggetto all'altro, nonché, come è pacifico, quella del trasferimento coattivo, sempre dall'uno all'altro sog getto, dell'uso temporaneo d'un bene (occupazioni di ur
genza, requisizioni in uso, ecc.) o di talune facoltà di godi mento (costituzione di iura in re aliena mediante proce dimento di espropriazione). I limiti di piano regolatore non dànno luogo a trasferimenti di ricchezza dall'uno all'altro
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