sezione V; decisione 23 maggio 1997, n. 527; Pres. Ruoppolo, Est. Carboni; Ordineinterregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise (Avv. Di Massa, Spirito) c. UslValle Umbra sud (Avv. Migliorini) e altri. Conferma Tar Umbria 27 marzo 1990, n. 99Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 481/482-485/486Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192561 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
somme via via rivalutate, restando al riguardo ininfluente l'assi
milabilità di detti crediti, sotto il profilo della valutabilità, ai crediti di valore, poiché, indipendentemente dalla diversa fun
zione della rivalutazione monetaria nelle due ipotesi (risarcimento del danno per i crediti di lavoro, determinazione dell'equivalen te monetario per i crediti di valore), un principio di rivalutazio
ne degli interessi non è deducibile, neppur in riferimento ai de
biti di valore, dalla disciplina del danno da ritardato adempi mento dell'obbligazione.
La sezione ritiene che l'ultimo indirizzo, che non sembra ave
re alcun riscontro nella giurisprudenza di questo consiglio, deb
ba essere condiviso, apparendo più consono alla formulazione
letterale dell'art. 429 e risultando comunque idoneo a soddisfa
re adeguatamente la pretesa del dipendente, evitando ingiustifi cate forme di duplicazione di elementi di calcolo del credito
retributivo e correlative situazioni di arricchimento in contrasto
con la più recente produzione legislativa e con lo spirito che
ne informa l'evoluzione.
Si deve peraltro soggiungere che la soluzione appena indicata
è tutt'altro che consolidata nella giurisprudenza della Cassazio
ne, la quale, ancora di recente, ha affermato che ai sensi del
l'art. 429 c.p.c., a differenza della rivalutazione monetaria —
la quale partecipa della medesima natura della sorte capitale, con la conseguenza che il credito retributivo rivalutato non rap
presenta altro che l'originario credito del lavoratore nel suo va
lore reale aggiornato — gli interessi legali — da qualificarsi co
me compensativi in quanto dipendono dal mero ritardo nell'a
dempimento e prescindono dalla colpa — costituiscono un diritto
autonomo, sebbene accessorio e necessario rispetto a quello con
cernente il capitale rivalutato, di natura risarcitoria; ne conse
gue che gli interessi legali devono essere calcolati separatamente non potendosi considerare parte integrante del debito principa
le, col corollario che mentre vanno computati sulla somma ri
valutata, non sono suscettibili essi stessi di rivalutazione (Cass. 15 aprile 1996, n. 3513, id., Rep. 1996, voce cit., n. 174).
E detta sentenza è stata esplicitamente richiamata dalla recen
te decisione della quarta sezione n. 361 del 5 marzo 1997, la
quale ha riffermato la regola secondo cui gli interessi vanno
computati sulle somme rivalutate.
4. - La questione interpretativa che richiede l'intervento del
l'adunanza plenaria investe tutta la problematica sopra rasse
gnata per chiarire altresì se (ed eventualmente in quale misura) al creditore pagato in ritardo, limitatamente alla sorte capitale,
spettano, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali calcolati fino alla data dell'adempimento tardivo, ulteriori cre
diti accessori.
In sostanza, si tratta di stabilire se:
a) sulla somma dovuta quale rivalutazione vadano calcolati
gli interessi e la rivalutazione ulteriore;
b) sulla somma dovuta a titolo di interessi vadano computati ulteriori interessi e rivalutazione monetaria.
Al riguardo, si segnala una pronuncia della quarta sezione,
secondo cui la somma dovuta a titolo di rivalutazione moneta
ria non tempestivamente accordata partecipa della natura del
credito lavorativo o assimilato ed è quindi essa stessa rivaluta
bile sino all'effettivo soddisfo, con calcolo altresì, anche per
tale somma, degli interessi legali fino al soddisfacimento del
credito (Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 1994, n. 218, id., Rep.
1994, voce Impiegato dello Stato, n. 737). La decisione richiama e sviluppa i principi espressi da una
precedente (e forse datata) decisione della sesta sezione, secon
do la quale, nel caso di ritardata erogazione di somme dovute
a titolo di retribuzione, il corretto calcolo da eseguire è il se
guente: a) determinazione dell'ammontare complessivo della sorte
e della rivalutazione monetaria alla data dell'adempimento par
ziale; b) determinazione dell'ammontare degli interessi sul coa
cervo alla stessa data; e) detrazione dalla sommatoria tra sorte,
rivalutazione ed interessi della somma corrisposta imputandola
prima ad interessi e quindi al coacervo sorte più rivalutazione;
d) considerazione di tali differenze quale credito di lavoro e
quindi rivalutarla alla data del saldo effettivo; e) applicazione
sul coacervo costituito dalla differenza anzidetta più la stessa
rivalutazione computata al saldo, degli interessi nella misura le
gale a decorrere dalla data del parziale adempimento (Cons.
Stato, sez. VI, 18 dicembre 1992, n. 1133, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 802). Ancora di recente, la sesta sezione, con decisione 5 marzo
1997, n. 365, ha seguito il criterio secondo cui «sulla somma
dovuta per svalutazione monetaria dovrà essere calcolata l'ulte
riore svalutazione fino al soddisfo».
Il Foro Italiano — 1997.
Questa sezione è invece orientata in senso diverso, in linea
cioè con quell'indirizzo della Corte di cassazione secondo il quale, mentre gli interessi legali vanno calcolati fino al momento del
saldo «saldo effettivo», la rivalutazione deve essere invece com
putata con riferimento al momento della pronuncia (Cass. 2
marzo 1987, n. 2290, id., Rep. 1987, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 368; sez. un. 22 dicembre 1994, n. 11408, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 208). Detta soluzione interpretativa è affermata, tra l'altro, da al
cune recenti decisioni di questa sezione (14 luglio 1997, n. 818). In linea con tale indirizzo, dunque, gli interessi compensativi
spetterebbero sulla somma capitale con decorrenza dalla matu
razione del credito (o dei singoli ratei), mentre la rivalutazione
verrebbe determinata al momento della sentenza e riguardereb be solo la somma capitale, salvi ulteriori interessi decorrenti
dalla domanda giudiziale, ex art. 1283 c.c.
È vero, infatti, che l'indirizzo del giudice civile è condiziona to dalle peculiarità del processo esecutivo per espropriazione, che non consente, di norma, l'integrazione del titolo che rac
chiude il credito azionato, laddove, nel processo amministrativo
per l'esecuzione del giudicato, il potere del giudice è invece più
ampio e penetrante, potendo riguardare la stessa liquidazione del credito anche in relazione alla sua esatta misura, calcolata
con riferimento alle vicende successive al passaggio in giudicato della sentenza.
Tuttavia, l'interpretazione seguita in prevalenza da questo con
siglio, secondo la quale la rivalutazione va calcolata fino al mo
mento in cui viene effettuato il definitivo pagamento degli ac
cessori maturati dal dipendente (cfr., per tutte, sez. IV 7 marzo
1994, n. 408), potrebbe creare ingiustificate disarmonie in un
sistema che vede ormai in fase avanzatissima il processo di inte
grazione della disciplina del lavoro pubblico e privato.
Comunque, poiché i punti di diritto in esame hanno dato
e possono dar luogo a contrasti giurisprudenziali, la sezione ri
tiene di rimettere il ricorso all'adunanza plenaria, ai sensi del
l'art. 45 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato appro vato con r.d. 26 giugno 1924 n. 1054.
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 23 maggio 1997, n. 527; Pres. Ruoppolo, Est. Carboni; Ordine interregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise (Aw. Di
Massa, Spirito) c. Usi Valle Umbra sud (Aw. Migliorini) e altri. Conferma Tar Umbria 27 marzo 1990, n. 99.
Giustizia amministrativa — Ricorso — Ordine professionale —
Legittimazione — Presupposti — Fattispecie.
Gli ordini professionali non sono legittimati ad impugnare prov vedimenti concernenti i requisiti richiesti dalla pubblica am
ministrazione per l'accesso all'impiego e, in particolare, i ti
toli di idoneità professionale per lo svolgimento delle diverse
mansioni. (1)
(1) La decisione ribadisce il principio più volte affermato che limita
la legittimazione ad agire in giudizio degli enti esponenziali di diritti
di una categoria di cittadini alle questioni che concernono gli interessi
generali di tutti gli appartenenti alla categoria rappresentata, con esclu
sione delle questioni concernenti i singoli iscritti e di quelle relative ad
attività non soggette alla disciplina o ad altra potestà dell'ordine pro
fessionale, come nel caso deciso con la presente pronunzia: in termini,
per fattispecie simili a quella decisa, Cons. Stato, sez. V, 20 agosto
1996, n. 929, Foro it., Rep. 1996, voce Giustizia amministrativa, n.
377; sez. IV 22 ottobre 1993, n. 918, id., Rep. 1993, voce cit., n. 437; 30 settembre 1992, n. 827, id., Rep. 1992, voce cit., n. 436; contra, sez. V 7 ottobre 1993, n. 849, id., Rep. 1993, voce cit., n. 439 (che ha ritenuto legittimato l'ordine degli ingegneri a contestare l'individua
zione del profilo professionale degli ingegneri dipendenti dai ministeri
di cui al d.p.r. 1219/84). La legittimazione ad agire degli ordini profes
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PARTE TERZA
Fatto. — L'Ordine interregionale dei chimici per il Lazio,
l'Umbria, l'Abruzzo e il Molise, con ricorso al Tar per l'Um
bria notificato tra il 24 e il 26 settembre 1987, impugnò la deli
berazione 16 aprile 1987, n. 457 del comitato di gestione dell'U nità sanitaria locale Valle Umbria sud; con tale provvedimento l'unita sanitaria aveva risposto negativamente alla diffida, inti
matale dall'ordine, di non far eseguire analisi cliniche di labo
ratorio a soggetti, come i medici, non aventi la necessaria abili
tazione professionale di chimico. Con altro ricorso, notificato
il 23 e 24 ottobre 1987, l'ordinaro impugnò la deliberazione
della giunta regionale dell'Umbria 2 giugno 1987, n. 3763, con tenente invito alle unità sanitarie locali ad assicurare che il per sonale medico dei laboratori di analisi chimico-fisiche e micro biologiche continuasse a svolgere la sua attività nell'ambito del
le originarie competenze. A sostegno delle impugnazioni dedusse
che gli atti erano viziati da violazione dell'art. 33 Cost., dei
principi generali e delle disposizioni di legge che regolano la materia dell'esercizio delle professioni e specificamente alla nor
mativa sulla professione di chimico, la violazione dell'art. 16
d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128 sull'ordinamento interno dei servizi
ospedalieri. L'Unità socio-sanitaria locale Valle Umbria sud, costituitasi
nei giudizi, eccepì tra l'altro la carenza di interesse dell'ordine
di impugnare detti atti, quello regionale, in particolare, non aven
do neppure natura provvedimentale. Il Tar per l'Umbria, con la sentenza impugnata, ha riunito
i giudizi e respinto ambo i ricorsi, prescindendo dall'esame del
le eccezioni di inammissibilità ed affermando, in generale, che
l'attività di analisi rientra, o comunque non esula dalle attribu
zioni dei medici; in particolare che nel settore pubblico è incon
testabile che la legislazione affidi, ai medici ospedalieri e dipen denti delle unità sanitarie locali, l'esecuzione di analisi di labo
ratorio. (Omissis) Diritto. — L'eccezione d'inammissibilità dei ricorsi di primo
grado, riproposta dall'amministrazione resistente, è fondata.
La deliberazione della giunta regionale dell'Umbria 2 giugno 1987, n. 3763, impugnata con uno dei due ricorsi, contiene un
invito alle unità sanitarie locali ad assicurare che il personale medico dei laboratori di analisi chimico-fisiche e microbiologi che continui a svolgere la sua attività nell'ambito delle origina rie competenze; e pertanto non costituisce neppure un provvedi
mento, inteso come atto di una pubblica autorità idoneo a mo
dificare situazioni giuridiche di qualche soggetto, che quindi possa essere oggetto d'impugnazione e contestazione davanti al giudi ce amministrativo.
Quanto alla deliberazione 16 aprile 1987, n. 457 del comitato
di gestione dell'Unità sanitaria locale Valle Umbria sud, con
cui l'unità sanitaria aveva declinato la diffida di non far esegui re analisi cliniche di laboratorio a soggetti non aventi l'abilita
zione professionale di chimico, ammesso che essa possa confi
gurarsi come un provvedimento concernente la posizione d'im
piego dei dipendenti dei ruoli sanitari, non è però idonea a ledere
gli interessi di cui l'ordine è istituzionalmente portatore; i quali
riguardano, come la sezione ha già avuto modo di precisare con la decisione 20 agosto 1996, n. 929, i liberi professionisti e non già i pubblici dipendenti.
Gli ordini e collegi professionali sono enti pubblici che trova
no ragion d'essere nel fatto che determinate professioni, a cau sa di inderogabili esigenze di tutela della collettività, possono essere esercitate solo previo accertamento pubblico delle capaci tà professionali, e richiedono la sottoposizione dei professioni sti a un regime di responsabilità disciplinare sotto il profilo deon
tologico; fini, questi ultimi, che si ritiene possano essere perse
guiti affidando i relativi compiti alla stessa comunità professio
sionali è stata, quindi, affermata per casi di affidamento della progetta zione di opera pubblica senza concorso (Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 1996, n. 624, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 373, 378) e negata in relazio ne alla regolarità delle procedure per la stipulazione di contratti con la pubblica amministrazione, anche in relazione ai criteri della liquida zione degli onorari, e per gare di appalto, perché non concernenti gli interessi di tutta la categoria ma soltanto di quegli iscritti che vi siano stati esclusi o vi abbiano partecipato (Tar Lazio, sez. Ili, 10 giugno 1996, n. 1202, ibid., n. 372; Tar Lombardia, sez. Brescia, 7 ottobre 1996, n. 963, Trib. amm. reg., 1996, I, 4484; Tar Friuli-Venezia Guilia 30 aprile 1996, n. 419, Foro it., 1996, III, 577, con nota di richiami, sia su interesse e legittimazione al ricorso sia su interessi collettivi e diffusi).
Il Foro Italiano — 1997.
naie, obbligatoriamente costituita e rappresentata appunto da
appositi ordini o collegi, e sottoponendo gli ordini stessi a vigi lanza statale: «La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi
o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere diciplinare
sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sot
to la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversa
mente» (art. 2229 c.c.). Le competenze istituzionali degli ordini
e collegi, quali risultano dalle singole leggi che li prevedono e li regolano, si riassumono nella tenuta degli albi, nell'esercizio
della funzione disciplinare, nonché nella redazione e proposta delle tariffe e nella liquidazione dei compensi, a richiesta del
professionista o del privato (su quest'ultima funzione, vedasi
anche l'art. 2233 c.c.); il tutto, sempre essenzialmente in vista
dell'interesse della collettività, e solo di riflesso e inscindibil mente, anche nell'interesse degli stessi professionisti a che la
professione venga da tutti esercitata correttamente.
Pertanto, la competenza degli ordini non si estende generica mente alla «professionalità», intesa nel senso sostanziale di pos sesso del titolo di studio e delle attitudini richieste per accedere
all'ordine professionale; bensì a coloro che esercitano la libera
professione, esplicando l'attività professionale mediante contratti
d'opera direttamente con il pubblico dei clienti ovvero anche,
per talune professioni, alle dipendenze di privati imprenditori. In particolare, esula dalle funzioni degli ordini professionali il
controllo dei pubblici funzionari che prestino, alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, attività di contenuto corrispon dente a quello di una libera professione. La legge è chiarissima
in tal senso. L'art. 7 r.d. 1° marzo 1928 n. 842, contenente
regolamento della professione di chimico, recita: «Gli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni ai quali, se
condo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della
libera professione, non possono essere iscritti nell'albo; ma, in
quanto sia loro consentito, a norma degli ordinamenti medesi
mi, il conferimento di speciali incarichi, questi potranno essere
loro dati, pure non essendo essi iscritti all'albo. I suddetti im
piegati, nei casi in cui sia ammessa la loro iscrizione nell'albo, sono soggetti alla disciplina del comitato» — ora, ordine —
«soltanto per ciò che riguarda il libero esercizio. In nessun caso
l'iscrizione nell'albo può costituire titolo per quanto concerne
la loro carriera». Similmente dispongono quasi tutte le altre leggi
professionali (con la sola eccezione della 1. 18 febbraio 1989
n. 56, sulla professione di psicologo, che nulla prevede al ri
guardo): vedansi l'art. 62 r.d. 23 dicembre 1925 n. 2537, sulle
professioni d'ingegnere e d'architetto, l'art. 7 r.d. 11 febbraio
1929 n. 274, sulla professione di geometra, l'art. 6 1. 9 febbraio
1942 n. 194, sulla professione di attuario, l'art. 2 1. 24 maggio 1967 n. 396, sulla professione di biologo, l'art. 3 d.p.r. 27 otto
bre 1953 n. 1067, sulla professione di dottore commercialista, l'art. 7 r.d. 25 novembre 1929 n. 2248, sulla professione di dot
tore in scienze agrarie, l'art. 7 1. 6 giugno 1986 n. 251, sulla
professione di agrotecnico, l'art. 7 r.d. 11 febbraio 1929 n. 275, sulla professione di perito industriale, l'art. 7 r.d. 25 novembre 1929 n. 2365, sulla professione di perito agrario, l'art. 3 d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1068, sulla professione di ragioniere e perito commerciale, l'art. 2 1. 3 febbraio 1963 n. 112, sulla professio ne di geologo, l'art. 10 d.leg. del capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946 n. 233, sulle professioni sanitarie, di medico
chirurgo, veterinario, farmacista, ostetrica, la cui normativa è stata estesa dalla 1. 29 ottobre 1954 n. 1049 alle professioni di
infermiere professionale, di asistente sanitario e di vigilatrice d'infanzia. Una disciplina particolare vige per gli avvocati di
pendenti da enti pubblici diversi dallo Stato, iscritti in uno spe ciale elenco annesso all'albo (art. 2 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578), ai fini del riscontro dell'abilitazione alla difesa dell'ente.
Dalle disposizioni suddette risulta chiaro, non solo che le com
ponenti degli ordini attengono alle libere professioni, ma anche il principio reciproco, che i pubblici dipendenti, di qualifica omo nima a quella di libere professioni soggette a controllo, ovvero
svolgenti mansioni corrispondenti ad attività proprie di una di
quelle professioni, non sono soggetti alla disciplina o ad altra
potestà dell'ordine professionale, l'iscrizione al cui albo, anzi, è loro vietata se non per attività estranee all'impiego. D'altra
parte, è ovvio che il pubblico dipendente risponde, disciplinar mente, alla propria amministrazione e non certo ad un ordine
professionale; e riceve una retribuzione fissa, e non già com
pensi in base a tariffe professionali, sicché la sua iscrizione al l'albo non avrebbe nessuno scopo.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Dalle regole sopra mostrate discende che l'ordine professio nale non è legittimato a dolersi, né del titolo di studio e degli altri requisiti di capacità professionale che le pubbliche ammini
strazioni richiedano per l'accesso agli impieghi, né delle man
sioni che le amministrazioni assegnino ai diversi dipendenti in ragione della loro preparazione professionale.
D'altra parte, le pubbliche amministrazioni hanno le loro re
gole, previste dalla legge o fissate nei regolamenti che esse stes
se si diano, per accertare la preparazione professionale e l'ido
neità alle mansioni degli impiegati che prepongono a determina
te funzioni; regole che non consistono necessariamente nel
prevedere, come requisito per l'accesso alla qualifica, l'abilita
zione all'esercizio di una libera professione. Per i medici ospe dalieri in particolare, come giustamente ha osservato il giudice di primo grado, le regole sui concorsi per i posti delle diverse
qualifiche prevedono prove specifiche, scritte e pratiche, su ar
gomenti e tecniche inerenti alla disciplina del posto messo a
concorso. Più specificamente, il d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128
sull'ordinamento interno dei servizi ospedalieri, emanato in for
za della delega contenuta nella 1. 12 febbraio 1968 n. 132, al
l'art. 16, sul servizio di analisi, nel 7° comma dispone che cia
scun settore del servizio (negli ospedali regionali e provinciali), possa essere affidato, a seconda delle rispettive specialità, «a
un direttore biologo o chimico, ovvero ad un aiuto che abbia
conseguito l'idoneità a primario di laboratorio di analisi chimico
cliniche e di laboratorio»; ossia la legge stessa equipara, come
accertamento di idoneità alle mansioni, il professionista medico
che ha superato determinate prove in materia di analisi, ai di
pendenti laureati in biologia e in chimica. In conclusione, deve negarsi, all'ordine professionale appel
lante, la legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell'unità
sanitaria locale concernenti i titoli d'idoneità professionale per 10 svolgimento delle diverse mansioni. L'appello dev'essere quindi
respinto e la sentenza, con la diversa motivazione che precede, confermata.
Il collegio ritiene poi di dover segnalare al governo, per il
tramite dell'ufficio di studi e documentazione previsto dall'art.
15 del regolamento sull'organizzazione e il funzionamento delle
strutture amministrative del Consiglio di Stato, emanato con
d.p.r. 25 novembre 1995 n. 580, e per le eventuali iniziative
di chiarimento normativo, due situazioni di antinomia verifica
tesi nell'ordinamento per effetto di leggi recenti.
La prima di tali situazioni si è creata proprio nel settore sani
tario. Il d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761 sullo stato giuridico dei dipedenti delle unità sanitarie locali, emanato in forza della
delega contenuta nella 1. 23 dicembre 1978 n. 733 sul servizio
sanitario nazionale, all'art. 2 dispone: «Nel ruolo sanitario so
no iscritti in distinte tabelle, per i rispettivi profili, i medici, i farmacisti, i veterinari, i biologi, i chimici, i fisici, gli psicolo gi, nonché gli operatori in possesso dello specifico titolo di abi
litazione professionale per l'esercizio di funzioni didattico
organizzative, infermieristiche, tecnico-sanitarie, di vigilanza ed
ispezione e di riabilitazione». E la norma dovrebbe essere inte
sa, in conformità con il principio d'incompatibilità tra iscrizio
ne agli albi professionali e pubblico impiego, emergente dalla
legislazione sopra citata, semplicemente nel senso che l'abilita
zione professionale costituisce requisito per l'accesso all'impie
go. Tuttavia il decreto del ministro della sanità 30 gennaio 1982,
contenente normativa concorsuale del personale delle unità sa
nitarie locali (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 51, suppl. ord. del 22 febbraio 1982), richiede l'abilitazione all'esercizio
delle diverse professioni anche per i concorsi a qualifiche supe riori a quelle iniziali, con ciò ingenerando il dubbio che, in con
trasto con le leggi sugli ordini e collegi professionali, gli appar
tenenti ai ruoli sanitari possano rimanere iscritti agli albi indi
pendentemente dall'esercizio della libera professione. La seconda delle antinomie da segnalare è costituita dalla 1.
11 febbraio 1994 n. 109 sui lavori pubblici che all'art. 17, 3° comma, nel testo sostituito dall'art. 5 quinques d.l. 3 aprile 1995
n. 101, convertito nella 1. 2 giugno 1995 n. 216, recita: «I pro
getti redatti dagli uffici delle amministrazioni e degli enti aggiu dicatari e dagli organismi di cui al 1° comma sono firmati da
dipendenti delle amministrazioni iscritti ai relativi albi profes sionali o abilitati in base a specifiche disposizioni di legge»; ed è superfluo, a questo punto, attardarsi sul fatto che il legis
latore del 1995 non si è reso conto che la norma si poneva
in contraddizione con tutta la legislazione sulle libere professio
ni e sul pubblico impiego.
Il Foro Italiano — 1997.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 14 maggio 1997, n. 718; Pres. De Lise, Est. Millemaggi Cogliani; Muscolo
(Avv. Dal Molin, Romanelli) c. Min. pubblica istruzione
(Aw. dello Stato Spina). Conferma Tar Lombardia, sez. Bre
scia, 19 dicembre 1990, n. 1296.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Personale docen
te — Procedimento di dispensa dal servizio — Organo proce dente — Astensione e ricusazione — Presupposti — Fattispe cie (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 149).
Istruzione pubblica — Personale docente — Dispensa dal servi
zio per incapacità didattica — Presupposti — Fattispecie
(D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 129; d.p.r. 31 maggio 1974 n. 417, norme sullo stato giuridico del personale docente, di
rettivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secon
daria ed artistica dello Stato, art. 112).
L'adozione di precedente, analogo provvedimento nei confronti del dipendente da parte dell'organo procedente per la dispen sa dal servizio o la presentazione di denunzie penali da parte dello stesso dipendente non rivestono gli estremi di alcuna
delle ipotesi indicate nell'art. 149 d.p.r. 3/57per l'astensione
o la ricusazione del giudicante. (1) Il provvedimento di dispensa dal servizio per incapacità didatti
ca nei confronti di docente della scuola elementare deve esse
re rapportato esclusivamente alla funzione per la quale il di
pendente è stato assunto, senza che la negatività della resa
possa essere superata dalla qualità della preparazione astrat
tamente considerata. (2)
(1-2) Giurisprudenza costante sotto entrambi i profili evidenziati nel le massime. Per l'inconfigurabilità di un'oggettiva causa di inimicizia
nell'ipotesi di adozione di altri provvedimenti disciplinari nei confronti
dello stesso dipendente da parte del capo dell'amministrazione o dei
componenti dell'organo giudicante (in assenza di risvolti penalmente rilevanti) o di presentazione di esposti o denunzie all'autorità giudizia ria da parte del dipendente (cui non si può consentire di precostituire unilateralmente ostacoli all'espletamento dell'attività dell'organo giudi cante, secondo principi processuali consolidati: Cass. 6 luglio 1995, Mi
glio, Foro it., Rep. 1996, voce Astensione e ricusazione, n. 141; 25
giugno 1996, Vitalone, ibid., n. 142; 11 febbraio 1987, Raffaelli, id.,
Rep. 1988, voce Rimessione di procedimenti, n. 8; 2 febbraio 1982,
Monti, id., Rep. 1983, voce Astensione e ricusazione, n. 31): Cons,
giust. amm. sic., sez. riun., 17 maggio 1994, n. 233/94, id., Rep. 1995, voce Impiegato dello Stato, n. 996; Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno
1993, n. 444, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1052; sez. V 3 marzo 1988, n. 114, Rep. 1988, voce cit., n. 1030; 28 luglio 1987, n. 486, id., Rep.
1987, voce cit., n. 1023; sez. VI 4 maggio 1982, n. 245, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1040; sez. I 23 ottobre 1981, n. 384/79, id., Rep. 1984, voce Atto amministrativo, n. 29; Tar Sicilia, sez. II, 20 ottobre 1989, n. 657, id., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, n. 1078; Tar Lom
bardia, sez. Brescia, 19 dicembre 1990, n. 1296, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 944, e voce Istruzione pubblica, n. 292 (confermata dalla deci
sione in epigrafe), secondo la quale, peraltro, nel procedimento di di
spensa dal servizio per incapacità didattica non trova applicazione l'isti
tuto della ricusazione per l'oggettività del giudizio che esclude ogni aspetto valutativo. Per riferimenti sulla astensione e ricusazione nel procedi mento amministrativo: L. Viola, Astensione e ricusazione nel nuovo
procedimento disciplinare «privatizzato», in Riv. amm., 1996, 227; A.
e E. Flores, La ricusazione del superiore gerarchico, in Riv. giur. scuo
la, 1990, 25; V. Caianibllo, Immunità e responsabilità nell'esercizio di pubbliche funzioni: evoluzione e quadro attuale, in Dir. e società,
1989, 443; e nel processo: S. Ramatoli, La ricusazione del giudice: pre
supposti, condizioni e motivi, con specifico riferimento alle ipotesi di
«inimicizia grave» e di «.interesse personale» nel procedimento, in Cass.
pen., 1989, 413; note redazionali a Cass. 13 aprile 1989, n. 1757, Foro
it., 1989, I, 3142; App. Roma 12 luglio 1985, id., 1985, II, 488.
La necessità di fondare il giudizio di inidoneità didattica (diverso da
quello di persistente insufficiente rendimento pure contemplato dall'art.
112 d.p.r. 417/74) nei confronti del personale docente della scuola su
circostanze oggettive connesse alla funzione affidata al docente, indi
pendentemente dalla considerazione dei titoli posseduti o della prepara zione culturale o dei giudizi positivi espressi in passato nei confronti
del docente, era stata già ribadita dalle altre pronunzie intervenute nella
tormentata vicenda definitivamente decisa con la decisione in epigrafe: oltre alla già citata Tar Lombardia, sez. Brescia, 19 dicembre 1990,
n. 1296, id., Rep. 1991, voce cit. nn. 293, 294, v. Cons. Stato, sez.
VI, 7 gennaio 1986, n. 4, id., Rep. 1986, voce cit., n. 297; in termini, con enunciazione dei differenti presupposti della dispensa per persisten te insufficiente rendimento e della necessità di congrua motivazione del
provvedimento, Tar Emilia-Romagna, sez. II, 25 maggio 1992, n. 213,
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