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sezione V; decisione 23 maggio 1997, n. 527; Pres. Ruoppolo, Est. Carboni; Ordine interregionale dei...

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sezione V; decisione 23 maggio 1997, n. 527; Pres. Ruoppolo, Est. Carboni; Ordine interregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise (Avv. Di Massa, Spirito) c. Usl Valle Umbra sud (Avv. Migliorini) e altri. Conferma Tar Umbria 27 marzo 1990, n. 99 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 481/482-485/486 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192561 . Accessed: 28/06/2014 17:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.141 on Sat, 28 Jun 2014 17:30:00 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione V; decisione 23 maggio 1997, n. 527; Pres. Ruoppolo, Est. Carboni; Ordineinterregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise (Avv. Di Massa, Spirito) c. UslValle Umbra sud (Avv. Migliorini) e altri. Conferma Tar Umbria 27 marzo 1990, n. 99Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 481/482-485/486Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192561 .

Accessed: 28/06/2014 17:30

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

somme via via rivalutate, restando al riguardo ininfluente l'assi

milabilità di detti crediti, sotto il profilo della valutabilità, ai crediti di valore, poiché, indipendentemente dalla diversa fun

zione della rivalutazione monetaria nelle due ipotesi (risarcimento del danno per i crediti di lavoro, determinazione dell'equivalen te monetario per i crediti di valore), un principio di rivalutazio

ne degli interessi non è deducibile, neppur in riferimento ai de

biti di valore, dalla disciplina del danno da ritardato adempi mento dell'obbligazione.

La sezione ritiene che l'ultimo indirizzo, che non sembra ave

re alcun riscontro nella giurisprudenza di questo consiglio, deb

ba essere condiviso, apparendo più consono alla formulazione

letterale dell'art. 429 e risultando comunque idoneo a soddisfa

re adeguatamente la pretesa del dipendente, evitando ingiustifi cate forme di duplicazione di elementi di calcolo del credito

retributivo e correlative situazioni di arricchimento in contrasto

con la più recente produzione legislativa e con lo spirito che

ne informa l'evoluzione.

Si deve peraltro soggiungere che la soluzione appena indicata

è tutt'altro che consolidata nella giurisprudenza della Cassazio

ne, la quale, ancora di recente, ha affermato che ai sensi del

l'art. 429 c.p.c., a differenza della rivalutazione monetaria —

la quale partecipa della medesima natura della sorte capitale, con la conseguenza che il credito retributivo rivalutato non rap

presenta altro che l'originario credito del lavoratore nel suo va

lore reale aggiornato — gli interessi legali — da qualificarsi co

me compensativi in quanto dipendono dal mero ritardo nell'a

dempimento e prescindono dalla colpa — costituiscono un diritto

autonomo, sebbene accessorio e necessario rispetto a quello con

cernente il capitale rivalutato, di natura risarcitoria; ne conse

gue che gli interessi legali devono essere calcolati separatamente non potendosi considerare parte integrante del debito principa

le, col corollario che mentre vanno computati sulla somma ri

valutata, non sono suscettibili essi stessi di rivalutazione (Cass. 15 aprile 1996, n. 3513, id., Rep. 1996, voce cit., n. 174).

E detta sentenza è stata esplicitamente richiamata dalla recen

te decisione della quarta sezione n. 361 del 5 marzo 1997, la

quale ha riffermato la regola secondo cui gli interessi vanno

computati sulle somme rivalutate.

4. - La questione interpretativa che richiede l'intervento del

l'adunanza plenaria investe tutta la problematica sopra rasse

gnata per chiarire altresì se (ed eventualmente in quale misura) al creditore pagato in ritardo, limitatamente alla sorte capitale,

spettano, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali calcolati fino alla data dell'adempimento tardivo, ulteriori cre

diti accessori.

In sostanza, si tratta di stabilire se:

a) sulla somma dovuta quale rivalutazione vadano calcolati

gli interessi e la rivalutazione ulteriore;

b) sulla somma dovuta a titolo di interessi vadano computati ulteriori interessi e rivalutazione monetaria.

Al riguardo, si segnala una pronuncia della quarta sezione,

secondo cui la somma dovuta a titolo di rivalutazione moneta

ria non tempestivamente accordata partecipa della natura del

credito lavorativo o assimilato ed è quindi essa stessa rivaluta

bile sino all'effettivo soddisfo, con calcolo altresì, anche per

tale somma, degli interessi legali fino al soddisfacimento del

credito (Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 1994, n. 218, id., Rep.

1994, voce Impiegato dello Stato, n. 737). La decisione richiama e sviluppa i principi espressi da una

precedente (e forse datata) decisione della sesta sezione, secon

do la quale, nel caso di ritardata erogazione di somme dovute

a titolo di retribuzione, il corretto calcolo da eseguire è il se

guente: a) determinazione dell'ammontare complessivo della sorte

e della rivalutazione monetaria alla data dell'adempimento par

ziale; b) determinazione dell'ammontare degli interessi sul coa

cervo alla stessa data; e) detrazione dalla sommatoria tra sorte,

rivalutazione ed interessi della somma corrisposta imputandola

prima ad interessi e quindi al coacervo sorte più rivalutazione;

d) considerazione di tali differenze quale credito di lavoro e

quindi rivalutarla alla data del saldo effettivo; e) applicazione

sul coacervo costituito dalla differenza anzidetta più la stessa

rivalutazione computata al saldo, degli interessi nella misura le

gale a decorrere dalla data del parziale adempimento (Cons.

Stato, sez. VI, 18 dicembre 1992, n. 1133, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 802). Ancora di recente, la sesta sezione, con decisione 5 marzo

1997, n. 365, ha seguito il criterio secondo cui «sulla somma

dovuta per svalutazione monetaria dovrà essere calcolata l'ulte

riore svalutazione fino al soddisfo».

Il Foro Italiano — 1997.

Questa sezione è invece orientata in senso diverso, in linea

cioè con quell'indirizzo della Corte di cassazione secondo il quale, mentre gli interessi legali vanno calcolati fino al momento del

saldo «saldo effettivo», la rivalutazione deve essere invece com

putata con riferimento al momento della pronuncia (Cass. 2

marzo 1987, n. 2290, id., Rep. 1987, voce Lavoro e previdenza

(controversie), n. 368; sez. un. 22 dicembre 1994, n. 11408, id.,

Rep. 1985, voce cit., n. 208). Detta soluzione interpretativa è affermata, tra l'altro, da al

cune recenti decisioni di questa sezione (14 luglio 1997, n. 818). In linea con tale indirizzo, dunque, gli interessi compensativi

spetterebbero sulla somma capitale con decorrenza dalla matu

razione del credito (o dei singoli ratei), mentre la rivalutazione

verrebbe determinata al momento della sentenza e riguardereb be solo la somma capitale, salvi ulteriori interessi decorrenti

dalla domanda giudiziale, ex art. 1283 c.c.

È vero, infatti, che l'indirizzo del giudice civile è condiziona to dalle peculiarità del processo esecutivo per espropriazione, che non consente, di norma, l'integrazione del titolo che rac

chiude il credito azionato, laddove, nel processo amministrativo

per l'esecuzione del giudicato, il potere del giudice è invece più

ampio e penetrante, potendo riguardare la stessa liquidazione del credito anche in relazione alla sua esatta misura, calcolata

con riferimento alle vicende successive al passaggio in giudicato della sentenza.

Tuttavia, l'interpretazione seguita in prevalenza da questo con

siglio, secondo la quale la rivalutazione va calcolata fino al mo

mento in cui viene effettuato il definitivo pagamento degli ac

cessori maturati dal dipendente (cfr., per tutte, sez. IV 7 marzo

1994, n. 408), potrebbe creare ingiustificate disarmonie in un

sistema che vede ormai in fase avanzatissima il processo di inte

grazione della disciplina del lavoro pubblico e privato.

Comunque, poiché i punti di diritto in esame hanno dato

e possono dar luogo a contrasti giurisprudenziali, la sezione ri

tiene di rimettere il ricorso all'adunanza plenaria, ai sensi del

l'art. 45 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato appro vato con r.d. 26 giugno 1924 n. 1054.

CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 23 maggio 1997, n. 527; Pres. Ruoppolo, Est. Carboni; Ordine interregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise (Aw. Di

Massa, Spirito) c. Usi Valle Umbra sud (Aw. Migliorini) e altri. Conferma Tar Umbria 27 marzo 1990, n. 99.

Giustizia amministrativa — Ricorso — Ordine professionale —

Legittimazione — Presupposti — Fattispecie.

Gli ordini professionali non sono legittimati ad impugnare prov vedimenti concernenti i requisiti richiesti dalla pubblica am

ministrazione per l'accesso all'impiego e, in particolare, i ti

toli di idoneità professionale per lo svolgimento delle diverse

mansioni. (1)

(1) La decisione ribadisce il principio più volte affermato che limita

la legittimazione ad agire in giudizio degli enti esponenziali di diritti

di una categoria di cittadini alle questioni che concernono gli interessi

generali di tutti gli appartenenti alla categoria rappresentata, con esclu

sione delle questioni concernenti i singoli iscritti e di quelle relative ad

attività non soggette alla disciplina o ad altra potestà dell'ordine pro

fessionale, come nel caso deciso con la presente pronunzia: in termini,

per fattispecie simili a quella decisa, Cons. Stato, sez. V, 20 agosto

1996, n. 929, Foro it., Rep. 1996, voce Giustizia amministrativa, n.

377; sez. IV 22 ottobre 1993, n. 918, id., Rep. 1993, voce cit., n. 437; 30 settembre 1992, n. 827, id., Rep. 1992, voce cit., n. 436; contra, sez. V 7 ottobre 1993, n. 849, id., Rep. 1993, voce cit., n. 439 (che ha ritenuto legittimato l'ordine degli ingegneri a contestare l'individua

zione del profilo professionale degli ingegneri dipendenti dai ministeri

di cui al d.p.r. 1219/84). La legittimazione ad agire degli ordini profes

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PARTE TERZA

Fatto. — L'Ordine interregionale dei chimici per il Lazio,

l'Umbria, l'Abruzzo e il Molise, con ricorso al Tar per l'Um

bria notificato tra il 24 e il 26 settembre 1987, impugnò la deli

berazione 16 aprile 1987, n. 457 del comitato di gestione dell'U nità sanitaria locale Valle Umbria sud; con tale provvedimento l'unita sanitaria aveva risposto negativamente alla diffida, inti

matale dall'ordine, di non far eseguire analisi cliniche di labo

ratorio a soggetti, come i medici, non aventi la necessaria abili

tazione professionale di chimico. Con altro ricorso, notificato

il 23 e 24 ottobre 1987, l'ordinaro impugnò la deliberazione

della giunta regionale dell'Umbria 2 giugno 1987, n. 3763, con tenente invito alle unità sanitarie locali ad assicurare che il per sonale medico dei laboratori di analisi chimico-fisiche e micro biologiche continuasse a svolgere la sua attività nell'ambito del

le originarie competenze. A sostegno delle impugnazioni dedusse

che gli atti erano viziati da violazione dell'art. 33 Cost., dei

principi generali e delle disposizioni di legge che regolano la materia dell'esercizio delle professioni e specificamente alla nor

mativa sulla professione di chimico, la violazione dell'art. 16

d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128 sull'ordinamento interno dei servizi

ospedalieri. L'Unità socio-sanitaria locale Valle Umbria sud, costituitasi

nei giudizi, eccepì tra l'altro la carenza di interesse dell'ordine

di impugnare detti atti, quello regionale, in particolare, non aven

do neppure natura provvedimentale. Il Tar per l'Umbria, con la sentenza impugnata, ha riunito

i giudizi e respinto ambo i ricorsi, prescindendo dall'esame del

le eccezioni di inammissibilità ed affermando, in generale, che

l'attività di analisi rientra, o comunque non esula dalle attribu

zioni dei medici; in particolare che nel settore pubblico è incon

testabile che la legislazione affidi, ai medici ospedalieri e dipen denti delle unità sanitarie locali, l'esecuzione di analisi di labo

ratorio. (Omissis) Diritto. — L'eccezione d'inammissibilità dei ricorsi di primo

grado, riproposta dall'amministrazione resistente, è fondata.

La deliberazione della giunta regionale dell'Umbria 2 giugno 1987, n. 3763, impugnata con uno dei due ricorsi, contiene un

invito alle unità sanitarie locali ad assicurare che il personale medico dei laboratori di analisi chimico-fisiche e microbiologi che continui a svolgere la sua attività nell'ambito delle origina rie competenze; e pertanto non costituisce neppure un provvedi

mento, inteso come atto di una pubblica autorità idoneo a mo

dificare situazioni giuridiche di qualche soggetto, che quindi possa essere oggetto d'impugnazione e contestazione davanti al giudi ce amministrativo.

Quanto alla deliberazione 16 aprile 1987, n. 457 del comitato

di gestione dell'Unità sanitaria locale Valle Umbria sud, con

cui l'unità sanitaria aveva declinato la diffida di non far esegui re analisi cliniche di laboratorio a soggetti non aventi l'abilita

zione professionale di chimico, ammesso che essa possa confi

gurarsi come un provvedimento concernente la posizione d'im

piego dei dipendenti dei ruoli sanitari, non è però idonea a ledere

gli interessi di cui l'ordine è istituzionalmente portatore; i quali

riguardano, come la sezione ha già avuto modo di precisare con la decisione 20 agosto 1996, n. 929, i liberi professionisti e non già i pubblici dipendenti.

Gli ordini e collegi professionali sono enti pubblici che trova

no ragion d'essere nel fatto che determinate professioni, a cau sa di inderogabili esigenze di tutela della collettività, possono essere esercitate solo previo accertamento pubblico delle capaci tà professionali, e richiedono la sottoposizione dei professioni sti a un regime di responsabilità disciplinare sotto il profilo deon

tologico; fini, questi ultimi, che si ritiene possano essere perse

guiti affidando i relativi compiti alla stessa comunità professio

sionali è stata, quindi, affermata per casi di affidamento della progetta zione di opera pubblica senza concorso (Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 1996, n. 624, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 373, 378) e negata in relazio ne alla regolarità delle procedure per la stipulazione di contratti con la pubblica amministrazione, anche in relazione ai criteri della liquida zione degli onorari, e per gare di appalto, perché non concernenti gli interessi di tutta la categoria ma soltanto di quegli iscritti che vi siano stati esclusi o vi abbiano partecipato (Tar Lazio, sez. Ili, 10 giugno 1996, n. 1202, ibid., n. 372; Tar Lombardia, sez. Brescia, 7 ottobre 1996, n. 963, Trib. amm. reg., 1996, I, 4484; Tar Friuli-Venezia Guilia 30 aprile 1996, n. 419, Foro it., 1996, III, 577, con nota di richiami, sia su interesse e legittimazione al ricorso sia su interessi collettivi e diffusi).

Il Foro Italiano — 1997.

naie, obbligatoriamente costituita e rappresentata appunto da

appositi ordini o collegi, e sottoponendo gli ordini stessi a vigi lanza statale: «La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi

o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere diciplinare

sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sot

to la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversa

mente» (art. 2229 c.c.). Le competenze istituzionali degli ordini

e collegi, quali risultano dalle singole leggi che li prevedono e li regolano, si riassumono nella tenuta degli albi, nell'esercizio

della funzione disciplinare, nonché nella redazione e proposta delle tariffe e nella liquidazione dei compensi, a richiesta del

professionista o del privato (su quest'ultima funzione, vedasi

anche l'art. 2233 c.c.); il tutto, sempre essenzialmente in vista

dell'interesse della collettività, e solo di riflesso e inscindibil mente, anche nell'interesse degli stessi professionisti a che la

professione venga da tutti esercitata correttamente.

Pertanto, la competenza degli ordini non si estende generica mente alla «professionalità», intesa nel senso sostanziale di pos sesso del titolo di studio e delle attitudini richieste per accedere

all'ordine professionale; bensì a coloro che esercitano la libera

professione, esplicando l'attività professionale mediante contratti

d'opera direttamente con il pubblico dei clienti ovvero anche,

per talune professioni, alle dipendenze di privati imprenditori. In particolare, esula dalle funzioni degli ordini professionali il

controllo dei pubblici funzionari che prestino, alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, attività di contenuto corrispon dente a quello di una libera professione. La legge è chiarissima

in tal senso. L'art. 7 r.d. 1° marzo 1928 n. 842, contenente

regolamento della professione di chimico, recita: «Gli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni ai quali, se

condo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della

libera professione, non possono essere iscritti nell'albo; ma, in

quanto sia loro consentito, a norma degli ordinamenti medesi

mi, il conferimento di speciali incarichi, questi potranno essere

loro dati, pure non essendo essi iscritti all'albo. I suddetti im

piegati, nei casi in cui sia ammessa la loro iscrizione nell'albo, sono soggetti alla disciplina del comitato» — ora, ordine —

«soltanto per ciò che riguarda il libero esercizio. In nessun caso

l'iscrizione nell'albo può costituire titolo per quanto concerne

la loro carriera». Similmente dispongono quasi tutte le altre leggi

professionali (con la sola eccezione della 1. 18 febbraio 1989

n. 56, sulla professione di psicologo, che nulla prevede al ri

guardo): vedansi l'art. 62 r.d. 23 dicembre 1925 n. 2537, sulle

professioni d'ingegnere e d'architetto, l'art. 7 r.d. 11 febbraio

1929 n. 274, sulla professione di geometra, l'art. 6 1. 9 febbraio

1942 n. 194, sulla professione di attuario, l'art. 2 1. 24 maggio 1967 n. 396, sulla professione di biologo, l'art. 3 d.p.r. 27 otto

bre 1953 n. 1067, sulla professione di dottore commercialista, l'art. 7 r.d. 25 novembre 1929 n. 2248, sulla professione di dot

tore in scienze agrarie, l'art. 7 1. 6 giugno 1986 n. 251, sulla

professione di agrotecnico, l'art. 7 r.d. 11 febbraio 1929 n. 275, sulla professione di perito industriale, l'art. 7 r.d. 25 novembre 1929 n. 2365, sulla professione di perito agrario, l'art. 3 d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1068, sulla professione di ragioniere e perito commerciale, l'art. 2 1. 3 febbraio 1963 n. 112, sulla professio ne di geologo, l'art. 10 d.leg. del capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946 n. 233, sulle professioni sanitarie, di medico

chirurgo, veterinario, farmacista, ostetrica, la cui normativa è stata estesa dalla 1. 29 ottobre 1954 n. 1049 alle professioni di

infermiere professionale, di asistente sanitario e di vigilatrice d'infanzia. Una disciplina particolare vige per gli avvocati di

pendenti da enti pubblici diversi dallo Stato, iscritti in uno spe ciale elenco annesso all'albo (art. 2 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578), ai fini del riscontro dell'abilitazione alla difesa dell'ente.

Dalle disposizioni suddette risulta chiaro, non solo che le com

ponenti degli ordini attengono alle libere professioni, ma anche il principio reciproco, che i pubblici dipendenti, di qualifica omo nima a quella di libere professioni soggette a controllo, ovvero

svolgenti mansioni corrispondenti ad attività proprie di una di

quelle professioni, non sono soggetti alla disciplina o ad altra

potestà dell'ordine professionale, l'iscrizione al cui albo, anzi, è loro vietata se non per attività estranee all'impiego. D'altra

parte, è ovvio che il pubblico dipendente risponde, disciplinar mente, alla propria amministrazione e non certo ad un ordine

professionale; e riceve una retribuzione fissa, e non già com

pensi in base a tariffe professionali, sicché la sua iscrizione al l'albo non avrebbe nessuno scopo.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Dalle regole sopra mostrate discende che l'ordine professio nale non è legittimato a dolersi, né del titolo di studio e degli altri requisiti di capacità professionale che le pubbliche ammini

strazioni richiedano per l'accesso agli impieghi, né delle man

sioni che le amministrazioni assegnino ai diversi dipendenti in ragione della loro preparazione professionale.

D'altra parte, le pubbliche amministrazioni hanno le loro re

gole, previste dalla legge o fissate nei regolamenti che esse stes

se si diano, per accertare la preparazione professionale e l'ido

neità alle mansioni degli impiegati che prepongono a determina

te funzioni; regole che non consistono necessariamente nel

prevedere, come requisito per l'accesso alla qualifica, l'abilita

zione all'esercizio di una libera professione. Per i medici ospe dalieri in particolare, come giustamente ha osservato il giudice di primo grado, le regole sui concorsi per i posti delle diverse

qualifiche prevedono prove specifiche, scritte e pratiche, su ar

gomenti e tecniche inerenti alla disciplina del posto messo a

concorso. Più specificamente, il d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128

sull'ordinamento interno dei servizi ospedalieri, emanato in for

za della delega contenuta nella 1. 12 febbraio 1968 n. 132, al

l'art. 16, sul servizio di analisi, nel 7° comma dispone che cia

scun settore del servizio (negli ospedali regionali e provinciali), possa essere affidato, a seconda delle rispettive specialità, «a

un direttore biologo o chimico, ovvero ad un aiuto che abbia

conseguito l'idoneità a primario di laboratorio di analisi chimico

cliniche e di laboratorio»; ossia la legge stessa equipara, come

accertamento di idoneità alle mansioni, il professionista medico

che ha superato determinate prove in materia di analisi, ai di

pendenti laureati in biologia e in chimica. In conclusione, deve negarsi, all'ordine professionale appel

lante, la legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell'unità

sanitaria locale concernenti i titoli d'idoneità professionale per 10 svolgimento delle diverse mansioni. L'appello dev'essere quindi

respinto e la sentenza, con la diversa motivazione che precede, confermata.

Il collegio ritiene poi di dover segnalare al governo, per il

tramite dell'ufficio di studi e documentazione previsto dall'art.

15 del regolamento sull'organizzazione e il funzionamento delle

strutture amministrative del Consiglio di Stato, emanato con

d.p.r. 25 novembre 1995 n. 580, e per le eventuali iniziative

di chiarimento normativo, due situazioni di antinomia verifica

tesi nell'ordinamento per effetto di leggi recenti.

La prima di tali situazioni si è creata proprio nel settore sani

tario. Il d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761 sullo stato giuridico dei dipedenti delle unità sanitarie locali, emanato in forza della

delega contenuta nella 1. 23 dicembre 1978 n. 733 sul servizio

sanitario nazionale, all'art. 2 dispone: «Nel ruolo sanitario so

no iscritti in distinte tabelle, per i rispettivi profili, i medici, i farmacisti, i veterinari, i biologi, i chimici, i fisici, gli psicolo gi, nonché gli operatori in possesso dello specifico titolo di abi

litazione professionale per l'esercizio di funzioni didattico

organizzative, infermieristiche, tecnico-sanitarie, di vigilanza ed

ispezione e di riabilitazione». E la norma dovrebbe essere inte

sa, in conformità con il principio d'incompatibilità tra iscrizio

ne agli albi professionali e pubblico impiego, emergente dalla

legislazione sopra citata, semplicemente nel senso che l'abilita

zione professionale costituisce requisito per l'accesso all'impie

go. Tuttavia il decreto del ministro della sanità 30 gennaio 1982,

contenente normativa concorsuale del personale delle unità sa

nitarie locali (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 51, suppl. ord. del 22 febbraio 1982), richiede l'abilitazione all'esercizio

delle diverse professioni anche per i concorsi a qualifiche supe riori a quelle iniziali, con ciò ingenerando il dubbio che, in con

trasto con le leggi sugli ordini e collegi professionali, gli appar

tenenti ai ruoli sanitari possano rimanere iscritti agli albi indi

pendentemente dall'esercizio della libera professione. La seconda delle antinomie da segnalare è costituita dalla 1.

11 febbraio 1994 n. 109 sui lavori pubblici che all'art. 17, 3° comma, nel testo sostituito dall'art. 5 quinques d.l. 3 aprile 1995

n. 101, convertito nella 1. 2 giugno 1995 n. 216, recita: «I pro

getti redatti dagli uffici delle amministrazioni e degli enti aggiu dicatari e dagli organismi di cui al 1° comma sono firmati da

dipendenti delle amministrazioni iscritti ai relativi albi profes sionali o abilitati in base a specifiche disposizioni di legge»; ed è superfluo, a questo punto, attardarsi sul fatto che il legis

latore del 1995 non si è reso conto che la norma si poneva

in contraddizione con tutta la legislazione sulle libere professio

ni e sul pubblico impiego.

Il Foro Italiano — 1997.

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 14 maggio 1997, n. 718; Pres. De Lise, Est. Millemaggi Cogliani; Muscolo

(Avv. Dal Molin, Romanelli) c. Min. pubblica istruzione

(Aw. dello Stato Spina). Conferma Tar Lombardia, sez. Bre

scia, 19 dicembre 1990, n. 1296.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Personale docen

te — Procedimento di dispensa dal servizio — Organo proce dente — Astensione e ricusazione — Presupposti — Fattispe cie (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 149).

Istruzione pubblica — Personale docente — Dispensa dal servi

zio per incapacità didattica — Presupposti — Fattispecie

(D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 129; d.p.r. 31 maggio 1974 n. 417, norme sullo stato giuridico del personale docente, di

rettivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secon

daria ed artistica dello Stato, art. 112).

L'adozione di precedente, analogo provvedimento nei confronti del dipendente da parte dell'organo procedente per la dispen sa dal servizio o la presentazione di denunzie penali da parte dello stesso dipendente non rivestono gli estremi di alcuna

delle ipotesi indicate nell'art. 149 d.p.r. 3/57per l'astensione

o la ricusazione del giudicante. (1) Il provvedimento di dispensa dal servizio per incapacità didatti

ca nei confronti di docente della scuola elementare deve esse

re rapportato esclusivamente alla funzione per la quale il di

pendente è stato assunto, senza che la negatività della resa

possa essere superata dalla qualità della preparazione astrat

tamente considerata. (2)

(1-2) Giurisprudenza costante sotto entrambi i profili evidenziati nel le massime. Per l'inconfigurabilità di un'oggettiva causa di inimicizia

nell'ipotesi di adozione di altri provvedimenti disciplinari nei confronti

dello stesso dipendente da parte del capo dell'amministrazione o dei

componenti dell'organo giudicante (in assenza di risvolti penalmente rilevanti) o di presentazione di esposti o denunzie all'autorità giudizia ria da parte del dipendente (cui non si può consentire di precostituire unilateralmente ostacoli all'espletamento dell'attività dell'organo giudi cante, secondo principi processuali consolidati: Cass. 6 luglio 1995, Mi

glio, Foro it., Rep. 1996, voce Astensione e ricusazione, n. 141; 25

giugno 1996, Vitalone, ibid., n. 142; 11 febbraio 1987, Raffaelli, id.,

Rep. 1988, voce Rimessione di procedimenti, n. 8; 2 febbraio 1982,

Monti, id., Rep. 1983, voce Astensione e ricusazione, n. 31): Cons,

giust. amm. sic., sez. riun., 17 maggio 1994, n. 233/94, id., Rep. 1995, voce Impiegato dello Stato, n. 996; Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno

1993, n. 444, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1052; sez. V 3 marzo 1988, n. 114, Rep. 1988, voce cit., n. 1030; 28 luglio 1987, n. 486, id., Rep.

1987, voce cit., n. 1023; sez. VI 4 maggio 1982, n. 245, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1040; sez. I 23 ottobre 1981, n. 384/79, id., Rep. 1984, voce Atto amministrativo, n. 29; Tar Sicilia, sez. II, 20 ottobre 1989, n. 657, id., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, n. 1078; Tar Lom

bardia, sez. Brescia, 19 dicembre 1990, n. 1296, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 944, e voce Istruzione pubblica, n. 292 (confermata dalla deci

sione in epigrafe), secondo la quale, peraltro, nel procedimento di di

spensa dal servizio per incapacità didattica non trova applicazione l'isti

tuto della ricusazione per l'oggettività del giudizio che esclude ogni aspetto valutativo. Per riferimenti sulla astensione e ricusazione nel procedi mento amministrativo: L. Viola, Astensione e ricusazione nel nuovo

procedimento disciplinare «privatizzato», in Riv. amm., 1996, 227; A.

e E. Flores, La ricusazione del superiore gerarchico, in Riv. giur. scuo

la, 1990, 25; V. Caianibllo, Immunità e responsabilità nell'esercizio di pubbliche funzioni: evoluzione e quadro attuale, in Dir. e società,

1989, 443; e nel processo: S. Ramatoli, La ricusazione del giudice: pre

supposti, condizioni e motivi, con specifico riferimento alle ipotesi di

«inimicizia grave» e di «.interesse personale» nel procedimento, in Cass.

pen., 1989, 413; note redazionali a Cass. 13 aprile 1989, n. 1757, Foro

it., 1989, I, 3142; App. Roma 12 luglio 1985, id., 1985, II, 488.

La necessità di fondare il giudizio di inidoneità didattica (diverso da

quello di persistente insufficiente rendimento pure contemplato dall'art.

112 d.p.r. 417/74) nei confronti del personale docente della scuola su

circostanze oggettive connesse alla funzione affidata al docente, indi

pendentemente dalla considerazione dei titoli posseduti o della prepara zione culturale o dei giudizi positivi espressi in passato nei confronti

del docente, era stata già ribadita dalle altre pronunzie intervenute nella

tormentata vicenda definitivamente decisa con la decisione in epigrafe: oltre alla già citata Tar Lombardia, sez. Brescia, 19 dicembre 1990,

n. 1296, id., Rep. 1991, voce cit. nn. 293, 294, v. Cons. Stato, sez.

VI, 7 gennaio 1986, n. 4, id., Rep. 1986, voce cit., n. 297; in termini, con enunciazione dei differenti presupposti della dispensa per persisten te insufficiente rendimento e della necessità di congrua motivazione del

provvedimento, Tar Emilia-Romagna, sez. II, 25 maggio 1992, n. 213,

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