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sezione V penale; sentenza 2 marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci (concl. conf.);ric. Proc. gen. App. Bologna e altri in c. Manfredini e altro. Annulla App. Bologna 14 febbraio2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 31/32-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200411 .
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PARTE SECONDA
viata, e dunque vi è il concreto pencolo (vista la reiterazione già accertata dei reati, anche con riferimento ai finanziamenti ex 1.
488/92) che, per ottenere le ulteriori due tranches, ponga in es
sere ulteriori condotte artificiose e/o fraudolente e che, se rice
vesse le ulteriori tranches dei due finanziamenti, le destinerebbe
ugualmente ad altro fine.
Alla luce dì quanto sopra ritiene questo giudice che sussistano
gravi indizi per ritenere sussistente la responsabilità della so
cietà Ofln per un illecito amministrativo dipendente dalle dette
condotte delittuose.
Ai sensi dell'art. 38 d.leg. 231/01, il procedimento per l'ille
cito amministrativo dell'ente è riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell'autore dei reati; a tale ultimo pro
posito, e viste le doglianze della difesa in udienza, va osservato
che la Ofln è stata iscritta nel relativo registro con provvedi mento del p.m. 17 marzo 2004 ai sensi dell'art. 55, 1° comma,
d.leg. 231/01. Tale iscrizione può essere comunicata all'ente o al suo difen
sore ai sensi dell'art. 55, 2° comma, ed alle condizioni ivi previ ste (e previste nel codice di procedura penale), ma non risulta
che richiesta in tal senso sia stata presentata. Sulla tempestività o meno di tale iscrizione non vi può essere
sindacato giurisdizionale, né l'eventuale violazione del dovere
di tempestiva iscrizione è causa di nullità o inutilizzabilità degli atti compiuti, sanzioni non ipotizzabili in assenza di espresse
previsioni di legge (v., sul punto, giurisprudenza costante di le
gittimità e, in ultimo, Cass., sez. I, 20 settembre - 15 ottobre
2002, n. 34578; sez. VI 17 febbraio - 8 maggio 2003, n. 20510). Dal 17 marzo 2004 non risultano essere stati posti in essere
atti di indagine cui doveva seguire per legge l'invio all'ente
dell'informazione di garanzia, ossia atti cui il difensore ha di
ritto di assistere, né, ovviamente, la richiesta cautelare (che atto
di indagine non è) doveva necessariamente essere preceduta o
seguita dall'informazione di garanzia stessa.
Rilevato che in ossequio al disposto dell'art. 13 d.leg. 231/01
(trasposto in sede cautelare), ricorrono tutte le condizioni per
l'applicazione della misura cautelare interdittiva richiesta dal
p.m. ed in particolare: 1) la misura richiesta rientra fra quelle che secondo il combi
nato disposto degli art. 9, 2° comma, e 24, 3° comma, d.leg. 231/01, possono essere applicate se sussistono gravi indizi di re
sponsabilità dell'ente in ordine ai reati di cui agli art. 640 bis e
316 bis c.p.; 2) i reati sono stati commessi da soggetto in posizione api
cale, di diritto o di fatto;
3) la società Ofln ha tratto dal reato un profitto di rilevante
entità, entrando nella disponibilità di finanziamenti assai rile
vanti che non avrebbe ottenuto senza le condotte fraudolente
sopra descritte (o che non avrebbe ottenuto nell'entità di cui so
pra); 4) la società ha tratto da tali condotte un vantaggio evidente,
e certamente non di minima entità, per quanto detto sopra, e non
risulta alcun elemento da cui poter desumere che il Voce abbia
agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, e non nell'inte
resse della società;
5) essendo stati i reati commessi da soggetto in posizione
apicale. di rappresentanza e di amministrazione dell'ente, l'ente stesso non ha provato alcuna delle condizioni esimenti di cui al
l'art. 6 d.leg. 231/01;
6) il danno patrimoniale cagionato dal reato cui consegue la
responsabilità amministrativa dell'ente non appare certo di par ticolare tenuità, avendo comportato l'esborso di un rilevante fi
nanziamento statale; ritenuto che la misura chiesta dal p.m. sia idonea a fronteg
giare il pericolo di recidiva sopra descritto, e proporzionata al
l'entità del fatto ed alla sanzione che si prevede possa essere ir
rogata all'ente; rilevato che, ai sensi dell'art. 51 d.leg. 231/01, nel disporre
una misura cautelare il giudice deve determinarne la durata; ritenuto che, per la gravità delle condotte di cui sopra, so
prattutto in relazione alla reiterazione delle condotte fraudolente
(relative sia a finanziamenti ex 1. 488/92, sia a finanziamenti dei
patti territoriali) ed alla quantità di fatture emesse per operazioni inesistenti, la durata della misura applicata debba essere deter
minata nel massimo consentito, ossia in anni uno.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 2
marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci
(conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Bologna e altri in c. Man
fredini e altro. Annulla App. Bologna 14 febbraio 2003.
Bancarotta e reati fallimentari — Bancarotta preferenziale — Artificiosa sostituzione di credito chirografario con privilegiato — Operazione bancaria — Alterazione della
«par condicio creditorum» — Reato (R.d. 16 marzo 1942 n.
267, disciplina del fallimento, art. 216).
Risponde a titolo di concorso del reato di bancarotta preferen ziale il funzionario di banca che, dopo la concessione di un
mutuo non coperto da garanzie ad imprenditore successiva
mente divenuto insolvente, determini la trasformazione del
credito già chirografario in credito privilegiato mediante
concessione di mutuo fondiario, assistito da garanzia ipote caria, destinato a ripianare l'esposizione debitoria del conto
corrente non assistito da garanzie, venendosi in tal modo ad
alterare la par condicio creditorum. (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione si pronuncia sulla li ceità di quella complessa operazione bancaria (mediante la quale gli istituti di credito mirano a recuperare il denaro concesso in prestito ad
imprenditori che, successivamente, versino in stato di difficoltà finan
ziaria), i cui passaggi essenziali possono così riassumersi: l'imprendito re contrae con la banca un debito non coperto da alcuna garanzia o pri vilegio; la banca — nel timore che le difficoltà economiche conducano
l'imprenditore al fallimento — concede un mutuo fondiario garantito da ipoteca su un bene immobile, allo scopo di costituirsi un titolo pri vilegiato di soddisfacimento del credito (originariamente non garanti to); la banca subordina l'erogazione della somma mutuata all'estinzio ne del debito preesistente. Ne consegue che, qualora l'imprenditore fallisse, la banca avrebbe diritto a soddisfarsi sull'immobile ipotecato, ridimensionando sensibilmente le possibilità satisfattone degli altri creditori.
La corte, affermando la responsabilità degli imputati ex art. 216, 3° comma, 1. fall., si colloca nel solco tracciato da Cass. 1° dicembre 1999, Garofalo, Gìur. it., 2002, 1259, con nota critica di Vinciguerra, Trasformazione del credito chirografario in privilegiato e concorso in bancarotta preferenziale del funzionario di banca, nonché Dir. e prati ca società, 2000, fase. 11, 91, con nota critica di Bricchetti, Banca rotta preferenziale e simulazione di un titolo di prelazione, e massimata in Foro it.. Rep. 2002, voce Bancarotta, n. 36, mostrando di condivide re quell'orientamento interpretativo secondo cui l'accensione dell'ipo teca immobiliare, vale a dire la costituzione di un privilegio ipotecario nelle forme descritte, integrerebbe gli estremi della simulazione di un titolo di prelazione.
Invero, secondo la prescelta opzione ermeneutica, il verbo «simula» contenuto nel testo dell'art. 216, 3° comma, 1. fall, non dovrebbe essere inteso nella sua accezione civilistica di «negozio giuridico apparente (o finto) che, per effetto di un altro accordo, non abbia alcun valore fra le
parti oppure nasconda un negozio giuridico diverso» (Antolisei, Manua le di diritto penale, leggi complementari, Milano, 2001, II, 89), ma nel suo significato comune, volto a designare quegli espedienti finalizzati a ledere la par condicio creditorum, collocando, in vista di un'eventuale
procedura concorsuale, uno dei creditori in posizione privilegiata ri
spetto agli altri (Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 117, nonché Cocco, La bancarotta preferenziale, Napoli, 1987, 213).
A tale riguardo, parte della dottrina osserva che «nessun danno subi rebbe la par condicio creditorum se la simulazione dei titoli di prela zione mantenesse il senso tecnico civilistico, con la conseguenza per cui. ove eccepita, il debitore e per esso il fallimento sarebbe legittimato a far valere la controdichiarazione, dal cui tenore risulta che quel titolo di prelazione deve ritenersi tamquam non esset» (Tagliarini, Profili salienti della bancarotta preferenziale, in Indice pen., 1992, 745). Di diverso avviso, però, Vinciguerra, Trasformazione, cit., 1261. il quale rileva come «il titolo di prelazione che discende dalla simulazione è
perfettamente utilizzabile dal creditore in favore del quale è concesso, fino a quando non ne venga fatta accertare la natura apparente dal de bitore stesso, prima della sentenza dichiarativa di fallimento, o dal cu ratore fallimentare, in pendenza della procedura concorsuale. In questo senso esso è 'reale' ed è idoneo a determinare l'alterazione della pai condicio creditorum che la norma incriminatrice mira a reprimere»).
Sennonché, la Cassazione conduce fino alle estreme conseguenze la critica alla lettura civilistica della simulazione dei titoli di prelazione, finendo per accogliere la tesi, sostenuta da risalente dottrina minorita
ria, secondo la quale l'art. 216, 3° comma, 1. fall, in realtà punirebbe «la creazione di titoli di prelazione allo scopo di favorire taluno dei creditori a danno degli altri; e cioè simulazione secondo la nozione pe nalistica» (Punzo, li delitto di bancarotta, Torino, 1953, 181). La Cas sazione ritiene, in sintesi, che non vi sarebbe alcuna apprezzabile diffe renza fra la simulazione del titolo di prelazione e la sua costituzione reale giacché entrambe le condotte produrrebbero l'effetto di stravolge re la par condicio creditorum.
Siffatta opzione ermeneutica è, però, fatta segno, da parte della dot
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GIURISPRUDENZA PENALE
Con sentenza 1° dicembre 2001, il Tribunale di Ferrara con dannava Manfredini Costantino e Masselli Domenico, in quanto responsabili di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta
preferenziale, alla pena (sospesa), rispettivamente, di anni uno e mesi quattro di reclusione ed anni uno e mesi otto di reclusione, oltre alle pene accessorie ed alla solidale condanna degli impu tati e del responsabile civile Banca nazionale del lavoro (Bnl), in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarci mento del danno (con provvisionale) in favore delle parti civili.
Era risultato, infatti, che la f.lli Manfredini s.n.c. (esercente lavori edili), già in una situazione di decozione — e quindi fal lita in data 31 ottobre 1990 — aveva ottenuto, a partire dall'an
no 1988, finanziamenti dalla sezione di credito fondiario della
Bnl, mediante accensione di mutui fondiari per centinaia di mi
lioni garantiti da ipoteca sugli immobili compromessi in vendi
ta; tali finanziamenti, concordati fra il Masselli (ed anzi da lui stesso «indirizzati») — nella qualità di funzionario preposto al
settore mutui della filiale della Bnl di Ferrara e nella piena con
sapevolezza della situazione di decozione — ed il Manfredini, nella veste di rappresentante legale della f.lli Manfredini s.n.c., erano stati in parte utilizzati per il ripianamento dei saldi nega tivi dei conti correnti intrattenuti dalla società con la stessa ban
ca ed avevano di fatto trasformato il credito, vantato dalla me
desima verso la f.lli Manfredini s.n.c., da chirografario in privi
legiato, venendo precostituendo un titolo di prelazione in danno
di ogni altro creditore (con l'aggravante di aver cagionato un
danno patrimoniale di rilevante gravità). Il tribunale, rilevato che l'operazione aveva consentito una
parziale copertura del preesistente debito che, pur costituendo
pagamento, non integrava tuttavia l'ipotesi del pagamento pre ferenziale — in quanto la f.lli Manfredini s.n.c. non si era in
realtà affatto «liberata» e, quindi, «non aveva potuto propria mente pagare con l'intento di favorire la banca o di danneggiare
gli altri creditori» — riteneva, invece, che la trasformazione
della natura del credito della banca, da chirografario in privile
giato in forza dell'istituzione dell'ipoteca sugli immobili della
debitrice compromessi in vendita, configurasse ipotesi certa
mente riconducibile alla fattispecie disegnata al 3° comma,
parte seconda, dell'art. 216 1. fall., dovendosi nel concetto di
«simulazione di titoli di prelazione» ricomprendere anche la
fraudolenta costituzione di un titolo vero di prelazione in previ sione del fallimento e finalizzata all'indebito privilegio e ciò,
peraltro, in linea con il principio già affermato dal giudice di le
gittimità (Cass., sez. V, 1° dicembre 1999, Garofalo, Foro it.,
Rep. 2002, voce Bancarotta, n. 36). Sul gravame degli imputati, la Corte d'appello di Bologna è
viceversa pervenuta a pronuncia assolutoria di entrambi, adot
tando la formula «perché il fatto non sussiste».
trina maggioritaria, di penetranti rilievi critici volti ad evidenziare co
me, propugnando un'interpretazione estensiva ai limiti dell'analogia del termine «simula», essa ampli a dismisura l'ambito di operatività della norma incriminatrice violando palesemente il principio di legalità. Peraltro, pur a voler intendere la simulazione nel suo significato cor rente e non in quello prettamente civilistico, si osserva come nel caso di
specie «non vi è nulla che faccia apparire una situazione diversa da
quella reale. Piuttosto, la situazione originaria viene modificata in una diversa situazione più vantaggiosa per la banca: il nuovo rapporto ob
bligatorio è effettivamente esistente e non si può ritenere simulato per il solo fatto che sia diverso da quello originario» (Vinciguerra, Trasfor mazione, cit.. 1261).
Si evidenzia, inoltre, che «dilatando il significato della simulazione fino a ricomprendervi il malizioso espediente finalizzato alla lesione della par condicio si finisce per annullare la materialità del fatto inte ramente nell'elemento psicologico, con una spiritualizzazione della
fattispecie incompatibile finanche con il principio di materialità del fatto (art. 25 Cost.) e — a fortiori — con quello di offensività» (Flora, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir.
pen. economia, 1998, 93). Occorre, peraltro, menzionare quell'ulteriore indirizzo interpretativo
secondo cui la simulazione ex art. 216. 3° comma, 1. fall, farebbe rife rimento non alla garanzia — che deve essere reale e voluta — ma al
negozio giuridico che la pone in essere; in altre parole, l'espressione «simulazione di titoli di prelazione» verrebbe a designare la creazione di un negozio simulato volto ad occultare la reale volontà di costituire un titolo di prelazione: ciò allo scopo di evitare che nei confronti del creditore che si vuole favorire operi il meccanismo della revocatoria fallimentare (Cass. 11 ottobre 1979, Pagliaricci, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 38. In dottrina, Cocco, La bancarotta, cit., 215; Tagliarina
Profili, cit., 746; nonché Perini-Dawan, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, 278).
Il Foro Italiano — 2005.
Ha ritenuto la corte territoriale, invero, che i titoli di prela zione come formati sarebbero il risultato di un'operazione di fi nanziamento perfettamente lecita nonché «realmente esistenti», dovendosi ravvisare, nella costituzione di privilegi in favore della Bnl, il naturale effetto della ottenuta concessione del cre dito a lungo termine per la cui estinzione l'istituto bancario si era legittimamente garantito mediante iscrizione ipotecaria sugli immobili della debitrice; e, del resto, gli acquirenti degli immo bili dalla f.lli Manfredini erano stati resi edotti, all'atto del ro
gito, dell'esistenza dell'ipoteca così sugli stessi costituita, sic ché nelle accensioni dei mutui ipotecari non potevano ricono scersi i profili della «patologia» negoziale qualificanti la spe ciale ipotesi di bancarotta preferenziale.
Ed ha poi considerato, la corte territoriale, inapplicabile al ca so in esame il principio dettato nella già citata sentenza della
Suprema corte, risultando emessa nella diversa ipotesi del fun zionario di banca esercitante pressioni sull'imprenditore ed a
conoscenza della condizione di insolvenza della società, perché questi concludesse l'operazione di finanziamento, così da trarre
l'indebito privilegio, dato dalla nuova natura del credito, in fa
vore della banca medesima (condotta, questa, nel presente pro cedimento, non contestata e, anzi, radicalmente da escludersi in
ragione della stessa formulazione di un addebito di responsabi lità concorsuale).
In sostanza, il giudice di appello, ricondotta la nozione di
«simulazione» a quella civilistica sua propria, ha ritenuto deci
siva in senso assolutorio la carenza di un negozio giuridico ap
parente che, per effetto di sottostante accordo, non dovesse ave re efficacia fra le parti ovvero nascondesse un diverso negotium.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il procuratore generale della repubblica presso la corte territo
riale nonché le parti civili Carlo Maini e Carla Tosi.
Il procuratore generale deduce violazione di legge, sul rilievo
che l'interpretazione «riduttiva» fornita dal giudice di appello vanificherebbe le ragioni di tutela della par condicio creditorum
poste a fondamento dell'ipotesi delittuosa disegnata al 3° com
ma, parte seconda, dell'art. 216 1. fall.
Assume il ricorrente, invero, che la simulazione debba essere
intesa non già nell'accezione civilistica del termine — stipula di
un negozio giuridico apparente che, per effetto di altro accordo
fra le parti, non ha alcun valore tra le stesse oppure nasconde un
negozio giuridico diverso — bensì nel significato di creazione di
un mero espediente finalizzato a quello specifico risultato contra
legem che la norma vuole scongiurare (l'alterazione della par condicio creditorum), ancorché il titolo di prelazione costituito
sia reale ed effettivo; l'interpretazione rifiutata dalla sentenza
non correrebbe rischi di estensione in ynalam partem, traendo la
stessa sia dalla lettera sia dalla stessa ratio della norma e, ancora,
l'operato richiamo, in sentenza impugnata, all'insussistenza di
pressioni del funzionario di banca nei confronti dell'imprendi tore già decotto, non atterrebbe al tema in decisione, rilevando
tale profilo fattuale unicamente in ordine alla diversa ipotesi del
contributo causale alla violazione della par condicio mediante i
stigazione e determinazione della volontà del debitore.
Le parti civili Maini e Tosi, a loro volta, con atto personal mente sottoscritto, deducono: 1) mancanza di motivazione ov
vero manifesta illogicità della medesima, sul rilievo che sarebbe stata trascurata la circostanza della piena consapevolezza, in ca
po agli imputati, all'atto di accensione dei mutui ipotecari, del
pressoché ultimato pagamento degli immobili a mani della so
cietà costruttrice da parte degli acquirenti; 2) erronea applicazio ne dell'art. 216, 3° comma, 1. fall., proponendo le medesime
censure formulate dal procuratore generale. In data 20 febbraio 2004 il difensore del responsabile civile
Bnl ha depositato presso questa corte una memoria con la quale, dichiarando doversi condividere integralmente le motivazioni
della sentenza impugnata, deduce l'infondatezza dei ricorsi ov
vero l'inammissibilità dei medesimi. (Omissis) Fondato è, invece, il ricorso proposto dal procuratore gene
rale.
Ed invero, deve immediatamente rimproverarsi all'impugnata sentenza di aver descritto come lecito e «normale» un sistema di
finanziamento a lungo termine dell'attività di impresa, mediante
accensione di mutuo fondiario, che è certamente consentito nel
l'ipotesi ordinaria in cui l'imprenditore in bonis difetti tuttavia
dell'immediata liquidità necessaria ad assicurare il corretto
svolgimento dell'attività; ma, evidentemente, non più «norma
le» e lecito quando l'imprenditore versi in stato di insolvenza e, ciò nonostante, concordi un finanziamento presso la banca sua
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PARTE SECONDA
creditrice secondo modalità capaci di trasformare il creditore da
chirografario in privilegiato e, quindi, attributive di un titolo di
prelazione in favore dell'ente mutuante, sì da consentire al me
desimo, garantito dall'iscrizione dell'ipoteca quale garanzia di
restituzione delle somme, un indebito vantaggio in danno della
par condicio creditorum (e ciò a prescindere dalla consapevo lezza, nel mutuante, dello stato di decozione dell'imprenditore).
E, nella specie, l'accensione dei mutui fondiari, garantiti da
ipoteca sugli immobili compromessi in vendita alterava inevita
bilmente la par condicio — come ammesso dalla stessa senten
za — atteso che i creditori chirografari venivano esposti, nell'i
potesi (tutt'altro che peregrina) di fallimento della comune de
bitrice già in stato di decozione, al rischio di una soddisfazione
percentualmente ridotta delle loro ragioni. Restando irrilevante, ovviamente, che ciascun acquirente fos
se stato reso edotto, all'atto del rogito, dell'iscrizione dell'ipo teca sull'immobile acquistato, perché
— a prescindere dal rilie
vo che (come è detto nella sentenza di primo grado) tutti i con
tratti vennero stipulati confidando gli acquirenti che l'impresa venditrice avrebbe mantenuto l'impegno, trasferito in clausola
negoziale, di provvedere alla cancellazione dell'ipoteca entro
l'anno — già la lesione della par condicio si era compiutamente
realizzata; e, ciò, senza poi considerare, in vantaggio del mu
tuante, il più favorevole regime dell'azione esecutiva riservata
all'istituto di credito fondiario ex art. 41,2° comma, t.u. 1° set
tembre 1993 n. 385, ovvero l'esenzione dell'istituto stesso dal
l'azione revocatoria ex art. 67, ultimo comma, 1. fall.
L'assunto, intorno al quale ruota l'affermazione di insussi
stenza del contestato reato, secondo cui si verterebbe in ipotesi di «fisiologica dimensione dei rapporti di credito bancario, cor
relati all'attività di un'impresa di costruzioni edili, mediante il
ricorso al mutuo fondiario garantito dall'ipoteca», pertanto, è
già per questo verso intrasferibile concretamente alla fattispecie in esame, fondando, invero, su una ricostruzione della vicenda
che ha trascurato, a tal punto contraddittoriamente, l'incidenza
dei dati essenziali a qualificare la fattispecie in esame — pure
pacificamente attestati nella sentenza — rappresentati dalla
certa condizione di insolvenza dell'impresa f.lli Manfredini al
lorché ricorse ai mutui ipotecari, della conoscenza di tal stato in
capo al Masselli come ritenuta dai primi giudici (e, contestata
dal Masselli, non più minimamente indagata nella sentenza di
appello), dalla prevalente destinazione delle somme a ripianare
l'esposizione dei conti correnti, in sofferenza, presso la Bnl.
Ma, andando al cuore della questione, deve in effetti ritenersi
che la sentenza abbia reso erronea applicazione dell'art. 216, 3°
comma, parte seconda, 1. fall, (regolatrice del fatto di simula
zione dei titoli di prelazione). Tale norma, invero, finalizzata eminentemente alla salva
guardia della regola della par condicio creditorum, intende pu nire condotte che possono porre a rischio il bene tutelato e, cioè, i pagamenti effettuati a preferenza o la simulazione dei titoli di
prelazione, perché entrambe producono il risultato di favorire
alcuni creditori a svantaggio degli altri, evento che il legislatore vuole, appunto, evitare.
Orbene, la seconda ipotesi descritta nella norma è stata esclu sa dai giudici di appello nella considerazione che il termine «simulazione» deve essere inteso in senso civilistico, sicché re
sterebbero puniti dalla norma soltanto i negozi «simulati» ossia
quelli «apparenti» — costitutivi del titolo di preferenza
— che,
per effetto di separato accordo, non abbiano valore alcuno fra le
parti ovvero nascondano un negozio diverso. La corte ha altresì osservato che simulazione non vi sarebbe
neppure nella più ampia accezione accolta dai primi giudici, es
sendosi nella specie operata la costituzione di titoli reali, cioè
veri, e «del tutto dovuti, a fronte del credito a lungo termine ot
tenuto dall'impresa debitrice, e non già di indebiti ed impropri privilegi».
Tale seconda osservazione, tuttavia, opera anzitutto un im
produttivo rinvio al dato di costituzione reale del privilegio; tale
dato, infatti, corrisponde ad un fatto «storicamente» incontestato e che, però, era stato pur ritenuto dai primi giudici equivalente, ai fini della rilevanza penale, a quello della costituzione fittizia di un titolo preferenziale, sicché il nodo della definizione del concetto di simulazione, nella previsione di cui all'art. 216, 3°
comma, parte seconda, 1. fall., non risulta per questa via certa mente sciolto.
Né poi, è minimamente conducente il rilievo che si è trattato
di privilegi «del tutto dovuti a fronte del credito a lungo termine
dall'impresa debitrice», perché in discussione era, ed è, proprio
Il Foro Italiano — 2005.
il fatto che all'imprenditore (successivamente dichiarato fallito) fosse lecito, sotto il profilo penale, ottenere dalla banca un cre
dito, dietro prestazione di garanzia reale, destinato a ripianare
un'esposizione di conto corrente non assistita da analoghe ga ranzie, sì che al precedente credito chirografario veniva a sosti
tuirsi un credito realmente garantito; l'affermazione che si trat
tava di privilegi «dovuti» niente altro dice se non che, stipulato il contratto di finanziamento con la sezione del credito fondiario
della Bnl, il titolo di credito era «necessariamente» privilegiato. La sentenza ha altresì argomentato che l'orientamento di se
gno opposto —
espresso dal giudice di legittimità con la citata
sentenza Garofalo — non sarebbe condivisibile perché restereb
be ignorato il dato di costituzione reale del privilegio, né sareb
be comunque trasferibile alla fattispecie perché applicato in un
caso, diverso da quello oggetto del presente procedimento, in
cui il funzionario di banca aveva addirittura esercitato pressioni nei confronti dell'impresa debitrice affinché la stessa stipulasse i mutui ipotecari.
È agevole però osservare, sotto il primo profilo, che i secondi
giudici, chiamati a decidere se, nella situazione quale compiu tamente descritta dai giudici di primo grado, la costituzione
reale del privilegio «in sostituzione» di quello chirografario non
configurasse ipotesi di simulazione riconducibile alla previsione di cui all'art. 216, 3° comma, parte seconda, 1. fall., nel ritenere
incondivisibile il precedente arresto giurisprudenziale di legit timità con l'argomento che la pronuncia avrebbe ignorato la co
stituzione di un privilegio «vero» o «reale», altro non hanno
fatto se non contrapporre la propria contraria soluzione senza
sorreggerla, in realtà, di alcuna motivazione che non fosse
quella, ut supra censurata, nella liceità dell'operazione di finan
ziamento nell'ipotesi di «normalità» del rapporto di credito
bancario, ipotesi che, come detto, non è quella propria della fat
tispecie sottoposta a giudizio. E, sotto il secondo profilo, non può non rilevarsi che ai fini di
soluzione della quaestio iuris, è realmente privo di «utilità» il
rilievo che farebbe differenza sostanziale il caso in cui la tra
sformazione del credito da chirografario in privilegiato, me
diante ricorso al mutuo fondiario assistito da garanzia reale, fos
se frutto di pressioni esercitate dal funzionario bancario nei con
fronti dell'imprenditore, debitore verso la banca, la cui condi
zione di insolvenza gli è nota, rispetto a quello in cui tale evento
fosse il frutto di un'operazione concordata tra funzionario di
banca e l'imprenditore-debitore; in entrambi i casi, infatti, si
realizza il medesimo evento — la costituzione ex novo di un
credito privilegiato — e può soltanto mutare, senza alcun rilievo
per la questione che ne occupa, il giudizio in punto di responsa bilità del funzionario di banca, le cui «pressioni», peraltro e per incidens, nella sentenza Garofalo, cit., sono state ricondotte al
concorso ex art. 110 c.p. nella forma dell'istigazione, sicché il
caso ivi trattato non si differenzia neppure, in realtà, da quello in esame (nel quale funzionario di banca ed imprenditore sono
stati giudicati per concorso nel reato). Ed è altresì priva di pregio la chiosa finale che i danni patri
moniali innegabilmente sofferti dagli acquirenti delle unità im
mobiliari «non sono stati determinati da reato»; tale conclusio
ne, infatti, sconta il vizio di origine dell'inadeguata motivazio
ne, frutto a sua volta di incompleto esame della concreta fatti
specie, che sorregge la prima «osservazione».
Deve, al contrario, certamente condividersi l'orientamento
espresso nella citata sentenza Garofalo. Tale sentenza, infatti, ha
esattamente evidenziato, anzitutto, che la stessa ratio e la preci pua finalità della norma indirizzano a ritenere del tutto irragio nevole un diverso trattamento di condotte che — sia che realiz
zino la costituzione fittizia di un titolo preferenziale sia che tra
sformino un credito chirografario in credito privilegiato con la
costituzione effettiva di una garanzia in tempi sospetti ed in pre senza dello stato d'insolvenza — conducono al medesimo ri
sultato di alterazione della par condicio creditorunr, e, ancora, ha correttamente considerato che ad un'interpretazione più am
pia, sotto tal profilo, dell'area di punibilità normativamente pre vista, non è neppure di ostacolo la testuale espressione «simula»
come necessariamente mutuabile dalla nozione della simulazio ne in senso civilistico, sia perché il diritto penale utilizza in au
tonomia, per le sue proprie finalità, termini comuni ad altri rami del diritto, quali ad es. quello di «possesso» nei reati contro il
patrimonio, sia perché la stessa lettera della norma non parla di
negozio simulato bensì usa l'espressione «simula titoli di prela zione», idonea a ricomprendere ogni condotta che ben può pre scindere dalla creazione di una «apparenza» di negozio e però fa
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GIURISPRUDENZA PENALE
risultare una situazione «diversa da quella reale, alterandola, in
dipendentemente dai mezzi usati» (così la sentenza Garofalo). Siffatta interpretazione è assolutamente coerente alla indiscu
tibile finalità della norma che — significativamente riconducen
do ad una comune area di rilevanza penale le condotte dell'im
prenditore, in condizione di insolvenza, prima e perfino durante
la procedura fallimentare esegue pagamenti o simula titoli di
prelazione — sanziona ogni ipotesi di indebita preferenza, alla
quale non è certamente estranea la costituzione, sia pure attra
verso una trasformazione della natura dei crediti (condotta che,
in ogni caso, presenta profili di insidiosità non minori di quelli propri della creazione di una situazione di mera apparenza del
privilegio) di una prelazione inevitabilmente capace di alterare
la regola paritaria proporzionale di trattamento dei creditori se
condo la speciale disciplina della legge fallimentare.
In accoglimento del ricorso del procuratore generale, pertan
to, l'impugnata sentenza — che, rilevasi incidentalmente, non
ha trattato l'ulteriore fatto iscritto nel capo di imputazione, re
lativo alla «esecuzione di pagamenti» (prima ipotesi dell'art.
216, 3° comma, 1. fall.) sub specie di parziale ripianamento (con il denaro proveniente dal mutuo concesso dal credito fondiario) dei saldi negativi dei conti correnti intrattenuti dall'impresa Manfredini con la Bnl, considerato non punibile nella parte mo
tiva della pronuncia di primo grado (per le argomentazioni so
pra riferite) ma non fatto oggetto di statuizione assolutoria nel
dispositivo della medesima (che ha dichiarato gli imputati «re
sponsabili del reato loro ascritto») — deve essere annullata, con
rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna per nuovo esame; che terrà conto del principio di diritto suesposto e
che, poi, in piena autonomia di giudizio, dovrà valutare gli ulte
riori aspetti della vicenda non trattati in appello e, cioè, in parti
colare, il contestato tema di «autonomia» giuridica ed operativa della sezione del credito fondiario rispetto alla Bnl e quello in
ordine al dolo del reato contestato ovvero quello attinente all'ef
fettivo concorso del Masselli ed alla di lui consapevolezza dello
stato d'insolvenza dell'impresa debitrice allorché furono stipu lati i mutui ipotecari.
Le parti civili Maini e Tosi, intervenute all'udienza anche per sostenere la richiesta di annullamento formulata con il ricorso
del procuratore generale, a tale titolo (ed indipendentemente dall'esito dei loro ricorsi) debbono essere rimborsate dagli im
putati (non vi è conclusione nei confronti della responsabile ci
vile Bnl) delle spese sostenute, liquidate come in dispositivo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 11 febbraio 2004; Pres. Rizzo, Est. Onorato, P.M. Izzo (conci,
conf.); ric. Pigafetta. Annulla Trib. Padova, ord. 24 settembre
2003.
Giuoco proibito — Videopoker — Giuoco d'azzardo —
Configurabilità (R.d. 18 giugno 1931 n. 773, approvazione del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, art. 110; 1. 27 di
cembre 2002 n. 289, disposizioni per la formazione del bilan
cio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003), art. 22).
L'apparecchio elettronico che riproduce il gioco del poker, in
quanto connotato da alcatorietà assoluta, è da considerare
per il gioco d'azzardo, e come tale vietato, ai sensi del 5°
comma dell'art. 110 t.u.l.p.s., purché consenta la vincita di
un qualsiasi premio in denaro o in natura (ivi compresa la ri
petizione o il prolungamento della partita). (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe la Cassazione si pronuncia sulla que stione relativa al legittimo uso degli apparecchi e dei congegni automa
tici, semiautomatici ed elettronici che riproducono il gioco del poker, alla luce della nuova disciplina contenuta nella 1. 27 dicembre 2002 n.
289 (legge finanziaria 2003) che ha novellato l'art. 110 t.u.l.p.s.
Il Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del procedimento. — 1. - Con ordinanza del 24
settembre 2003 il Tribunale di Padova, in sede di riesame, con
fermava il decreto del 30 luglio 2003 con cui il pubblico mini
stero presso lo stesso tribunale aveva convalidato il sequestro
probatorio di sette apparecchi elettronici da gioco, eseguito
d'urgenza dalla guardia di finanza presso un pubblico esercizio
gestito da Diego Pigafetta, sottoposto a indagini in ordine al
reato di cui all'art. 110 t.u.l.p.s. Osservava il tribunale che degli apparecchi sequestrati (tutti
muniti di monitor e di scheda elettrica) sei riproducevano il gio co del poker e uno quello della roulette, sicché dovevano rite
nersi idonei al gioco d'azzardo perché avevano insita la scom
messa o erano comunque caratterizzati da prevalente alcatorietà, non potendo rientrare in quelli leciti di cui all'art. 110, 6° com
ma, nei quali l'abilità è preponderante rispetto all'alcatorietà.
2. - Il Pigafetta ha proposto personalmente ricorso per cassa
zione, sostenendo che la norma che vieta la riproduzione del
gioco del poker riguarda solo gli apparecchi che distribuiscono
vincite in denaro (di cui al 6° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s.), ma
non quelli che consentono il prolungamento o la ripetizione della partita, di cui al 7° comma, lett. b), dello stesso art. 110.
Per conseguenza, nel caso di specie, poiché gli apparecchi non distribuivano vincite in denaro, il loro sequestro era illegit timo.
Motivi della decisione. — 3. - Occorre premettere per chia
rezza che la disciplina applicabile alla fattispecie de qua è
quella introdotta dall'art. 22 1. 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria 2003), entrata in vigore il 1° gennaio 2003. Il 3°
comma dell'art. 22 ha infatti novellato l'art. 110 t.u.l.p.s., il cui
nuovo testo, per i commi che qui interessano, così recita:
«4. L'installazione e l'uso di apparecchi e congegni automa
La corte — pur rilevando come un espresso divieto di riproduzione del gioco del poker sembri limitato agli apparecchi di trattenimento e abilità descritti al 6° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s. — mostra di non condividere quell'indirizzo interpretativo
— contrassegnato da un'e
strema fedeltà alla lettera della legge — secondo cui il divieto in que stione andrebbe circoscritto ai soli apparecchi (da trattenimento e abi
lità) che rispondano ai requisiti di costo, durata e vincita delle partite
previsti — appunto — dallo stesso 6° comma.
Invero la corte — prediligendo una diversa opzione ermeneutica, im
prontata ai canoni di logicità e sistematicità — rileva come il divieto di
riproduzione del gioco del poker debba, più correttamente, desumersi dalla disposizione contenuta al 5° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s. che, in
via generale, considera destinati al gioco d'azzardo tutti quegli appa recchi che abbiano insita la scommessa o che consentano vincite pura mente aleatorie di un qualsiasi premio in denaro o in natura, compresa la ripetizione o il prolungamento della partita (Cass. 10 ottobre 2002, Ciriello, Foro it.. Rep. 2003, voce Giuoco proibito, n. 41; 22 maggio 2002, Ferrara, ibid., n. 35; 16 gennaio 2002. Tarola, id., Rep. 2002, vo
ce cit., n. 17; 14 maggio 2002, Boldrin, id., Rep. 2003, voce cit., n. 78; 22 marzo 2002, Cordaro, id., Rep. 2002, voce cit., n. 16. A diverse con
clusioni pervengono, tuttavia, Cass. 23 settembre 2002, Cara, id., Rep. 2003, voce cit., n. 47, nonché Cass. 22 febbraio 2001, Camporro, id.,
Rep. 2001, voce cit., n. 5, che osservano come il premio in natura non
possa consistere soltanto nella ripetizione o nel prolungamento della
partita ma debba, invece, oggettivarsi in qualcosa di esterno ed estraneo
all'apparecchio o al congegno ovvero nella ripetizione delle partite ol
tre le dieci volte). Fra i congegni suddetti la Suprema corte annovera senz'altro quelli
funzionanti secondo le regole fondamentali del poker, giacché nella
partita di poker giocata fra l'apparecchio elettronico e l'utente l'abilità di quest'ultimo — che si limita a sostituire le carte assegnategli dalla
scheda elettronica dell'apparecchio senza avere, peraltro, la possibilità di variare l'entità della «puntata» originaria — non può rivestire alcun
ruolo significativo (Cass. 3 marzo 2000. Fredella, id., Rep. 2000, voce
cit., n. 14; 19 marzo 1999, Di Stefano, ibid., n. 13; 13 febbraio 1996,
Mongelli, id., Rep. 1996, voce cit., n. 3. Negli stessi termini, sia pure con riferimento ai congegni analoghi denominati slot machines, v.
Cass. 16 marzo 1999, Brigadieci, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 5, nonché
Cass. 21 febbraio 1997, De Angelis, id., 1997, voce cit., n. 8). La Cassazione respinge, altresì, la tesi secondo cui sarebbero vietati
solo quegli apparecchi riproducenti il gioco del poker, che siano stati
prodotti o importati successivamente all'entrata in vigore della legge finanziaria del 2003 e che non siano stati omologati e autorizzati dal
ministero dell'economia e delle finanze, amministrazione autonoma dei
monopoli di Stato, secondo le modalità contemplate all'art. 22, 2°
comma, nn. 3, 4 e 5, della legge in questione. La corte sottolinea, infatti, come gli apparecchi funzionanti secondo
le regole del poker, prodotti o importati prima di quella data, sarebbero
pur sempre vietati in base alle immutate disposizioni generali contenute
al 5° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s. che — occorre puntualizzare —
prima della novella del 27 dicembre 2002 n. 289, costituiva il 4° com
ma dello stesso articolo.
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