+ All Categories
Home > Documents > sezione V penale; sentenza 2 marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci (concl. conf.);...

sezione V penale; sentenza 2 marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci (concl. conf.);...

Date post: 29-Jan-2017
Category:
Upload: nguyenlien
View: 215 times
Download: 3 times
Share this document with a friend
5
sezione V penale; sentenza 2 marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci (concl. conf.); ric. Proc. gen. App. Bologna e altri in c. Manfredini e altro. Annulla App. Bologna 14 febbraio 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 31/32-37/38 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200411 . Accessed: 28/06/2014 08:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:47:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

sezione V penale; sentenza 2 marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci (concl. conf.);ric. Proc. gen. App. Bologna e altri in c. Manfredini e altro. Annulla App. Bologna 14 febbraio2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 31/32-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200411 .

Accessed: 28/06/2014 08:47

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:47:25 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

PARTE SECONDA

viata, e dunque vi è il concreto pencolo (vista la reiterazione già accertata dei reati, anche con riferimento ai finanziamenti ex 1.

488/92) che, per ottenere le ulteriori due tranches, ponga in es

sere ulteriori condotte artificiose e/o fraudolente e che, se rice

vesse le ulteriori tranches dei due finanziamenti, le destinerebbe

ugualmente ad altro fine.

Alla luce dì quanto sopra ritiene questo giudice che sussistano

gravi indizi per ritenere sussistente la responsabilità della so

cietà Ofln per un illecito amministrativo dipendente dalle dette

condotte delittuose.

Ai sensi dell'art. 38 d.leg. 231/01, il procedimento per l'ille

cito amministrativo dell'ente è riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell'autore dei reati; a tale ultimo pro

posito, e viste le doglianze della difesa in udienza, va osservato

che la Ofln è stata iscritta nel relativo registro con provvedi mento del p.m. 17 marzo 2004 ai sensi dell'art. 55, 1° comma,

d.leg. 231/01. Tale iscrizione può essere comunicata all'ente o al suo difen

sore ai sensi dell'art. 55, 2° comma, ed alle condizioni ivi previ ste (e previste nel codice di procedura penale), ma non risulta

che richiesta in tal senso sia stata presentata. Sulla tempestività o meno di tale iscrizione non vi può essere

sindacato giurisdizionale, né l'eventuale violazione del dovere

di tempestiva iscrizione è causa di nullità o inutilizzabilità degli atti compiuti, sanzioni non ipotizzabili in assenza di espresse

previsioni di legge (v., sul punto, giurisprudenza costante di le

gittimità e, in ultimo, Cass., sez. I, 20 settembre - 15 ottobre

2002, n. 34578; sez. VI 17 febbraio - 8 maggio 2003, n. 20510). Dal 17 marzo 2004 non risultano essere stati posti in essere

atti di indagine cui doveva seguire per legge l'invio all'ente

dell'informazione di garanzia, ossia atti cui il difensore ha di

ritto di assistere, né, ovviamente, la richiesta cautelare (che atto

di indagine non è) doveva necessariamente essere preceduta o

seguita dall'informazione di garanzia stessa.

Rilevato che in ossequio al disposto dell'art. 13 d.leg. 231/01

(trasposto in sede cautelare), ricorrono tutte le condizioni per

l'applicazione della misura cautelare interdittiva richiesta dal

p.m. ed in particolare: 1) la misura richiesta rientra fra quelle che secondo il combi

nato disposto degli art. 9, 2° comma, e 24, 3° comma, d.leg. 231/01, possono essere applicate se sussistono gravi indizi di re

sponsabilità dell'ente in ordine ai reati di cui agli art. 640 bis e

316 bis c.p.; 2) i reati sono stati commessi da soggetto in posizione api

cale, di diritto o di fatto;

3) la società Ofln ha tratto dal reato un profitto di rilevante

entità, entrando nella disponibilità di finanziamenti assai rile

vanti che non avrebbe ottenuto senza le condotte fraudolente

sopra descritte (o che non avrebbe ottenuto nell'entità di cui so

pra); 4) la società ha tratto da tali condotte un vantaggio evidente,

e certamente non di minima entità, per quanto detto sopra, e non

risulta alcun elemento da cui poter desumere che il Voce abbia

agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, e non nell'inte

resse della società;

5) essendo stati i reati commessi da soggetto in posizione

apicale. di rappresentanza e di amministrazione dell'ente, l'ente stesso non ha provato alcuna delle condizioni esimenti di cui al

l'art. 6 d.leg. 231/01;

6) il danno patrimoniale cagionato dal reato cui consegue la

responsabilità amministrativa dell'ente non appare certo di par ticolare tenuità, avendo comportato l'esborso di un rilevante fi

nanziamento statale; ritenuto che la misura chiesta dal p.m. sia idonea a fronteg

giare il pericolo di recidiva sopra descritto, e proporzionata al

l'entità del fatto ed alla sanzione che si prevede possa essere ir

rogata all'ente; rilevato che, ai sensi dell'art. 51 d.leg. 231/01, nel disporre

una misura cautelare il giudice deve determinarne la durata; ritenuto che, per la gravità delle condotte di cui sopra, so

prattutto in relazione alla reiterazione delle condotte fraudolente

(relative sia a finanziamenti ex 1. 488/92, sia a finanziamenti dei

patti territoriali) ed alla quantità di fatture emesse per operazioni inesistenti, la durata della misura applicata debba essere deter

minata nel massimo consentito, ossia in anni uno.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 2

marzo 2004; Pres. Marrone, Est. Marini, P.M. Geraci

(conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Bologna e altri in c. Man

fredini e altro. Annulla App. Bologna 14 febbraio 2003.

Bancarotta e reati fallimentari — Bancarotta preferenziale — Artificiosa sostituzione di credito chirografario con privilegiato — Operazione bancaria — Alterazione della

«par condicio creditorum» — Reato (R.d. 16 marzo 1942 n.

267, disciplina del fallimento, art. 216).

Risponde a titolo di concorso del reato di bancarotta preferen ziale il funzionario di banca che, dopo la concessione di un

mutuo non coperto da garanzie ad imprenditore successiva

mente divenuto insolvente, determini la trasformazione del

credito già chirografario in credito privilegiato mediante

concessione di mutuo fondiario, assistito da garanzia ipote caria, destinato a ripianare l'esposizione debitoria del conto

corrente non assistito da garanzie, venendosi in tal modo ad

alterare la par condicio creditorum. (1)

(1) Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione si pronuncia sulla li ceità di quella complessa operazione bancaria (mediante la quale gli istituti di credito mirano a recuperare il denaro concesso in prestito ad

imprenditori che, successivamente, versino in stato di difficoltà finan

ziaria), i cui passaggi essenziali possono così riassumersi: l'imprendito re contrae con la banca un debito non coperto da alcuna garanzia o pri vilegio; la banca — nel timore che le difficoltà economiche conducano

l'imprenditore al fallimento — concede un mutuo fondiario garantito da ipoteca su un bene immobile, allo scopo di costituirsi un titolo pri vilegiato di soddisfacimento del credito (originariamente non garanti to); la banca subordina l'erogazione della somma mutuata all'estinzio ne del debito preesistente. Ne consegue che, qualora l'imprenditore fallisse, la banca avrebbe diritto a soddisfarsi sull'immobile ipotecato, ridimensionando sensibilmente le possibilità satisfattone degli altri creditori.

La corte, affermando la responsabilità degli imputati ex art. 216, 3° comma, 1. fall., si colloca nel solco tracciato da Cass. 1° dicembre 1999, Garofalo, Gìur. it., 2002, 1259, con nota critica di Vinciguerra, Trasformazione del credito chirografario in privilegiato e concorso in bancarotta preferenziale del funzionario di banca, nonché Dir. e prati ca società, 2000, fase. 11, 91, con nota critica di Bricchetti, Banca rotta preferenziale e simulazione di un titolo di prelazione, e massimata in Foro it.. Rep. 2002, voce Bancarotta, n. 36, mostrando di condivide re quell'orientamento interpretativo secondo cui l'accensione dell'ipo teca immobiliare, vale a dire la costituzione di un privilegio ipotecario nelle forme descritte, integrerebbe gli estremi della simulazione di un titolo di prelazione.

Invero, secondo la prescelta opzione ermeneutica, il verbo «simula» contenuto nel testo dell'art. 216, 3° comma, 1. fall, non dovrebbe essere inteso nella sua accezione civilistica di «negozio giuridico apparente (o finto) che, per effetto di un altro accordo, non abbia alcun valore fra le

parti oppure nasconda un negozio giuridico diverso» (Antolisei, Manua le di diritto penale, leggi complementari, Milano, 2001, II, 89), ma nel suo significato comune, volto a designare quegli espedienti finalizzati a ledere la par condicio creditorum, collocando, in vista di un'eventuale

procedura concorsuale, uno dei creditori in posizione privilegiata ri

spetto agli altri (Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 117, nonché Cocco, La bancarotta preferenziale, Napoli, 1987, 213).

A tale riguardo, parte della dottrina osserva che «nessun danno subi rebbe la par condicio creditorum se la simulazione dei titoli di prela zione mantenesse il senso tecnico civilistico, con la conseguenza per cui. ove eccepita, il debitore e per esso il fallimento sarebbe legittimato a far valere la controdichiarazione, dal cui tenore risulta che quel titolo di prelazione deve ritenersi tamquam non esset» (Tagliarini, Profili salienti della bancarotta preferenziale, in Indice pen., 1992, 745). Di diverso avviso, però, Vinciguerra, Trasformazione, cit., 1261. il quale rileva come «il titolo di prelazione che discende dalla simulazione è

perfettamente utilizzabile dal creditore in favore del quale è concesso, fino a quando non ne venga fatta accertare la natura apparente dal de bitore stesso, prima della sentenza dichiarativa di fallimento, o dal cu ratore fallimentare, in pendenza della procedura concorsuale. In questo senso esso è 'reale' ed è idoneo a determinare l'alterazione della pai condicio creditorum che la norma incriminatrice mira a reprimere»).

Sennonché, la Cassazione conduce fino alle estreme conseguenze la critica alla lettura civilistica della simulazione dei titoli di prelazione, finendo per accogliere la tesi, sostenuta da risalente dottrina minorita

ria, secondo la quale l'art. 216, 3° comma, 1. fall, in realtà punirebbe «la creazione di titoli di prelazione allo scopo di favorire taluno dei creditori a danno degli altri; e cioè simulazione secondo la nozione pe nalistica» (Punzo, li delitto di bancarotta, Torino, 1953, 181). La Cas sazione ritiene, in sintesi, che non vi sarebbe alcuna apprezzabile diffe renza fra la simulazione del titolo di prelazione e la sua costituzione reale giacché entrambe le condotte produrrebbero l'effetto di stravolge re la par condicio creditorum.

Siffatta opzione ermeneutica è, però, fatta segno, da parte della dot

This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:47:25 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA PENALE

Con sentenza 1° dicembre 2001, il Tribunale di Ferrara con dannava Manfredini Costantino e Masselli Domenico, in quanto responsabili di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta

preferenziale, alla pena (sospesa), rispettivamente, di anni uno e mesi quattro di reclusione ed anni uno e mesi otto di reclusione, oltre alle pene accessorie ed alla solidale condanna degli impu tati e del responsabile civile Banca nazionale del lavoro (Bnl), in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarci mento del danno (con provvisionale) in favore delle parti civili.

Era risultato, infatti, che la f.lli Manfredini s.n.c. (esercente lavori edili), già in una situazione di decozione — e quindi fal lita in data 31 ottobre 1990 — aveva ottenuto, a partire dall'an

no 1988, finanziamenti dalla sezione di credito fondiario della

Bnl, mediante accensione di mutui fondiari per centinaia di mi

lioni garantiti da ipoteca sugli immobili compromessi in vendi

ta; tali finanziamenti, concordati fra il Masselli (ed anzi da lui stesso «indirizzati») — nella qualità di funzionario preposto al

settore mutui della filiale della Bnl di Ferrara e nella piena con

sapevolezza della situazione di decozione — ed il Manfredini, nella veste di rappresentante legale della f.lli Manfredini s.n.c., erano stati in parte utilizzati per il ripianamento dei saldi nega tivi dei conti correnti intrattenuti dalla società con la stessa ban

ca ed avevano di fatto trasformato il credito, vantato dalla me

desima verso la f.lli Manfredini s.n.c., da chirografario in privi

legiato, venendo precostituendo un titolo di prelazione in danno

di ogni altro creditore (con l'aggravante di aver cagionato un

danno patrimoniale di rilevante gravità). Il tribunale, rilevato che l'operazione aveva consentito una

parziale copertura del preesistente debito che, pur costituendo

pagamento, non integrava tuttavia l'ipotesi del pagamento pre ferenziale — in quanto la f.lli Manfredini s.n.c. non si era in

realtà affatto «liberata» e, quindi, «non aveva potuto propria mente pagare con l'intento di favorire la banca o di danneggiare

gli altri creditori» — riteneva, invece, che la trasformazione

della natura del credito della banca, da chirografario in privile

giato in forza dell'istituzione dell'ipoteca sugli immobili della

debitrice compromessi in vendita, configurasse ipotesi certa

mente riconducibile alla fattispecie disegnata al 3° comma,

parte seconda, dell'art. 216 1. fall., dovendosi nel concetto di

«simulazione di titoli di prelazione» ricomprendere anche la

fraudolenta costituzione di un titolo vero di prelazione in previ sione del fallimento e finalizzata all'indebito privilegio e ciò,

peraltro, in linea con il principio già affermato dal giudice di le

gittimità (Cass., sez. V, 1° dicembre 1999, Garofalo, Foro it.,

Rep. 2002, voce Bancarotta, n. 36). Sul gravame degli imputati, la Corte d'appello di Bologna è

viceversa pervenuta a pronuncia assolutoria di entrambi, adot

tando la formula «perché il fatto non sussiste».

trina maggioritaria, di penetranti rilievi critici volti ad evidenziare co

me, propugnando un'interpretazione estensiva ai limiti dell'analogia del termine «simula», essa ampli a dismisura l'ambito di operatività della norma incriminatrice violando palesemente il principio di legalità. Peraltro, pur a voler intendere la simulazione nel suo significato cor rente e non in quello prettamente civilistico, si osserva come nel caso di

specie «non vi è nulla che faccia apparire una situazione diversa da

quella reale. Piuttosto, la situazione originaria viene modificata in una diversa situazione più vantaggiosa per la banca: il nuovo rapporto ob

bligatorio è effettivamente esistente e non si può ritenere simulato per il solo fatto che sia diverso da quello originario» (Vinciguerra, Trasfor mazione, cit.. 1261).

Si evidenzia, inoltre, che «dilatando il significato della simulazione fino a ricomprendervi il malizioso espediente finalizzato alla lesione della par condicio si finisce per annullare la materialità del fatto inte ramente nell'elemento psicologico, con una spiritualizzazione della

fattispecie incompatibile finanche con il principio di materialità del fatto (art. 25 Cost.) e — a fortiori — con quello di offensività» (Flora, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir.

pen. economia, 1998, 93). Occorre, peraltro, menzionare quell'ulteriore indirizzo interpretativo

secondo cui la simulazione ex art. 216. 3° comma, 1. fall, farebbe rife rimento non alla garanzia — che deve essere reale e voluta — ma al

negozio giuridico che la pone in essere; in altre parole, l'espressione «simulazione di titoli di prelazione» verrebbe a designare la creazione di un negozio simulato volto ad occultare la reale volontà di costituire un titolo di prelazione: ciò allo scopo di evitare che nei confronti del creditore che si vuole favorire operi il meccanismo della revocatoria fallimentare (Cass. 11 ottobre 1979, Pagliaricci, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 38. In dottrina, Cocco, La bancarotta, cit., 215; Tagliarina

Profili, cit., 746; nonché Perini-Dawan, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, 278).

Il Foro Italiano — 2005.

Ha ritenuto la corte territoriale, invero, che i titoli di prela zione come formati sarebbero il risultato di un'operazione di fi nanziamento perfettamente lecita nonché «realmente esistenti», dovendosi ravvisare, nella costituzione di privilegi in favore della Bnl, il naturale effetto della ottenuta concessione del cre dito a lungo termine per la cui estinzione l'istituto bancario si era legittimamente garantito mediante iscrizione ipotecaria sugli immobili della debitrice; e, del resto, gli acquirenti degli immo bili dalla f.lli Manfredini erano stati resi edotti, all'atto del ro

gito, dell'esistenza dell'ipoteca così sugli stessi costituita, sic ché nelle accensioni dei mutui ipotecari non potevano ricono scersi i profili della «patologia» negoziale qualificanti la spe ciale ipotesi di bancarotta preferenziale.

Ed ha poi considerato, la corte territoriale, inapplicabile al ca so in esame il principio dettato nella già citata sentenza della

Suprema corte, risultando emessa nella diversa ipotesi del fun zionario di banca esercitante pressioni sull'imprenditore ed a

conoscenza della condizione di insolvenza della società, perché questi concludesse l'operazione di finanziamento, così da trarre

l'indebito privilegio, dato dalla nuova natura del credito, in fa

vore della banca medesima (condotta, questa, nel presente pro cedimento, non contestata e, anzi, radicalmente da escludersi in

ragione della stessa formulazione di un addebito di responsabi lità concorsuale).

In sostanza, il giudice di appello, ricondotta la nozione di

«simulazione» a quella civilistica sua propria, ha ritenuto deci

siva in senso assolutorio la carenza di un negozio giuridico ap

parente che, per effetto di sottostante accordo, non dovesse ave re efficacia fra le parti ovvero nascondesse un diverso negotium.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il procuratore generale della repubblica presso la corte territo

riale nonché le parti civili Carlo Maini e Carla Tosi.

Il procuratore generale deduce violazione di legge, sul rilievo

che l'interpretazione «riduttiva» fornita dal giudice di appello vanificherebbe le ragioni di tutela della par condicio creditorum

poste a fondamento dell'ipotesi delittuosa disegnata al 3° com

ma, parte seconda, dell'art. 216 1. fall.

Assume il ricorrente, invero, che la simulazione debba essere

intesa non già nell'accezione civilistica del termine — stipula di

un negozio giuridico apparente che, per effetto di altro accordo

fra le parti, non ha alcun valore tra le stesse oppure nasconde un

negozio giuridico diverso — bensì nel significato di creazione di

un mero espediente finalizzato a quello specifico risultato contra

legem che la norma vuole scongiurare (l'alterazione della par condicio creditorum), ancorché il titolo di prelazione costituito

sia reale ed effettivo; l'interpretazione rifiutata dalla sentenza

non correrebbe rischi di estensione in ynalam partem, traendo la

stessa sia dalla lettera sia dalla stessa ratio della norma e, ancora,

l'operato richiamo, in sentenza impugnata, all'insussistenza di

pressioni del funzionario di banca nei confronti dell'imprendi tore già decotto, non atterrebbe al tema in decisione, rilevando

tale profilo fattuale unicamente in ordine alla diversa ipotesi del

contributo causale alla violazione della par condicio mediante i

stigazione e determinazione della volontà del debitore.

Le parti civili Maini e Tosi, a loro volta, con atto personal mente sottoscritto, deducono: 1) mancanza di motivazione ov

vero manifesta illogicità della medesima, sul rilievo che sarebbe stata trascurata la circostanza della piena consapevolezza, in ca

po agli imputati, all'atto di accensione dei mutui ipotecari, del

pressoché ultimato pagamento degli immobili a mani della so

cietà costruttrice da parte degli acquirenti; 2) erronea applicazio ne dell'art. 216, 3° comma, 1. fall., proponendo le medesime

censure formulate dal procuratore generale. In data 20 febbraio 2004 il difensore del responsabile civile

Bnl ha depositato presso questa corte una memoria con la quale, dichiarando doversi condividere integralmente le motivazioni

della sentenza impugnata, deduce l'infondatezza dei ricorsi ov

vero l'inammissibilità dei medesimi. (Omissis) Fondato è, invece, il ricorso proposto dal procuratore gene

rale.

Ed invero, deve immediatamente rimproverarsi all'impugnata sentenza di aver descritto come lecito e «normale» un sistema di

finanziamento a lungo termine dell'attività di impresa, mediante

accensione di mutuo fondiario, che è certamente consentito nel

l'ipotesi ordinaria in cui l'imprenditore in bonis difetti tuttavia

dell'immediata liquidità necessaria ad assicurare il corretto

svolgimento dell'attività; ma, evidentemente, non più «norma

le» e lecito quando l'imprenditore versi in stato di insolvenza e, ciò nonostante, concordi un finanziamento presso la banca sua

This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:47:25 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

PARTE SECONDA

creditrice secondo modalità capaci di trasformare il creditore da

chirografario in privilegiato e, quindi, attributive di un titolo di

prelazione in favore dell'ente mutuante, sì da consentire al me

desimo, garantito dall'iscrizione dell'ipoteca quale garanzia di

restituzione delle somme, un indebito vantaggio in danno della

par condicio creditorum (e ciò a prescindere dalla consapevo lezza, nel mutuante, dello stato di decozione dell'imprenditore).

E, nella specie, l'accensione dei mutui fondiari, garantiti da

ipoteca sugli immobili compromessi in vendita alterava inevita

bilmente la par condicio — come ammesso dalla stessa senten

za — atteso che i creditori chirografari venivano esposti, nell'i

potesi (tutt'altro che peregrina) di fallimento della comune de

bitrice già in stato di decozione, al rischio di una soddisfazione

percentualmente ridotta delle loro ragioni. Restando irrilevante, ovviamente, che ciascun acquirente fos

se stato reso edotto, all'atto del rogito, dell'iscrizione dell'ipo teca sull'immobile acquistato, perché

— a prescindere dal rilie

vo che (come è detto nella sentenza di primo grado) tutti i con

tratti vennero stipulati confidando gli acquirenti che l'impresa venditrice avrebbe mantenuto l'impegno, trasferito in clausola

negoziale, di provvedere alla cancellazione dell'ipoteca entro

l'anno — già la lesione della par condicio si era compiutamente

realizzata; e, ciò, senza poi considerare, in vantaggio del mu

tuante, il più favorevole regime dell'azione esecutiva riservata

all'istituto di credito fondiario ex art. 41,2° comma, t.u. 1° set

tembre 1993 n. 385, ovvero l'esenzione dell'istituto stesso dal

l'azione revocatoria ex art. 67, ultimo comma, 1. fall.

L'assunto, intorno al quale ruota l'affermazione di insussi

stenza del contestato reato, secondo cui si verterebbe in ipotesi di «fisiologica dimensione dei rapporti di credito bancario, cor

relati all'attività di un'impresa di costruzioni edili, mediante il

ricorso al mutuo fondiario garantito dall'ipoteca», pertanto, è

già per questo verso intrasferibile concretamente alla fattispecie in esame, fondando, invero, su una ricostruzione della vicenda

che ha trascurato, a tal punto contraddittoriamente, l'incidenza

dei dati essenziali a qualificare la fattispecie in esame — pure

pacificamente attestati nella sentenza — rappresentati dalla

certa condizione di insolvenza dell'impresa f.lli Manfredini al

lorché ricorse ai mutui ipotecari, della conoscenza di tal stato in

capo al Masselli come ritenuta dai primi giudici (e, contestata

dal Masselli, non più minimamente indagata nella sentenza di

appello), dalla prevalente destinazione delle somme a ripianare

l'esposizione dei conti correnti, in sofferenza, presso la Bnl.

Ma, andando al cuore della questione, deve in effetti ritenersi

che la sentenza abbia reso erronea applicazione dell'art. 216, 3°

comma, parte seconda, 1. fall, (regolatrice del fatto di simula

zione dei titoli di prelazione). Tale norma, invero, finalizzata eminentemente alla salva

guardia della regola della par condicio creditorum, intende pu nire condotte che possono porre a rischio il bene tutelato e, cioè, i pagamenti effettuati a preferenza o la simulazione dei titoli di

prelazione, perché entrambe producono il risultato di favorire

alcuni creditori a svantaggio degli altri, evento che il legislatore vuole, appunto, evitare.

Orbene, la seconda ipotesi descritta nella norma è stata esclu sa dai giudici di appello nella considerazione che il termine «simulazione» deve essere inteso in senso civilistico, sicché re

sterebbero puniti dalla norma soltanto i negozi «simulati» ossia

quelli «apparenti» — costitutivi del titolo di preferenza

— che,

per effetto di separato accordo, non abbiano valore alcuno fra le

parti ovvero nascondano un negozio diverso. La corte ha altresì osservato che simulazione non vi sarebbe

neppure nella più ampia accezione accolta dai primi giudici, es

sendosi nella specie operata la costituzione di titoli reali, cioè

veri, e «del tutto dovuti, a fronte del credito a lungo termine ot

tenuto dall'impresa debitrice, e non già di indebiti ed impropri privilegi».

Tale seconda osservazione, tuttavia, opera anzitutto un im

produttivo rinvio al dato di costituzione reale del privilegio; tale

dato, infatti, corrisponde ad un fatto «storicamente» incontestato e che, però, era stato pur ritenuto dai primi giudici equivalente, ai fini della rilevanza penale, a quello della costituzione fittizia di un titolo preferenziale, sicché il nodo della definizione del concetto di simulazione, nella previsione di cui all'art. 216, 3°

comma, parte seconda, 1. fall., non risulta per questa via certa mente sciolto.

Né poi, è minimamente conducente il rilievo che si è trattato

di privilegi «del tutto dovuti a fronte del credito a lungo termine

dall'impresa debitrice», perché in discussione era, ed è, proprio

Il Foro Italiano — 2005.

il fatto che all'imprenditore (successivamente dichiarato fallito) fosse lecito, sotto il profilo penale, ottenere dalla banca un cre

dito, dietro prestazione di garanzia reale, destinato a ripianare

un'esposizione di conto corrente non assistita da analoghe ga ranzie, sì che al precedente credito chirografario veniva a sosti

tuirsi un credito realmente garantito; l'affermazione che si trat

tava di privilegi «dovuti» niente altro dice se non che, stipulato il contratto di finanziamento con la sezione del credito fondiario

della Bnl, il titolo di credito era «necessariamente» privilegiato. La sentenza ha altresì argomentato che l'orientamento di se

gno opposto —

espresso dal giudice di legittimità con la citata

sentenza Garofalo — non sarebbe condivisibile perché restereb

be ignorato il dato di costituzione reale del privilegio, né sareb

be comunque trasferibile alla fattispecie perché applicato in un

caso, diverso da quello oggetto del presente procedimento, in

cui il funzionario di banca aveva addirittura esercitato pressioni nei confronti dell'impresa debitrice affinché la stessa stipulasse i mutui ipotecari.

È agevole però osservare, sotto il primo profilo, che i secondi

giudici, chiamati a decidere se, nella situazione quale compiu tamente descritta dai giudici di primo grado, la costituzione

reale del privilegio «in sostituzione» di quello chirografario non

configurasse ipotesi di simulazione riconducibile alla previsione di cui all'art. 216, 3° comma, parte seconda, 1. fall., nel ritenere

incondivisibile il precedente arresto giurisprudenziale di legit timità con l'argomento che la pronuncia avrebbe ignorato la co

stituzione di un privilegio «vero» o «reale», altro non hanno

fatto se non contrapporre la propria contraria soluzione senza

sorreggerla, in realtà, di alcuna motivazione che non fosse

quella, ut supra censurata, nella liceità dell'operazione di finan

ziamento nell'ipotesi di «normalità» del rapporto di credito

bancario, ipotesi che, come detto, non è quella propria della fat

tispecie sottoposta a giudizio. E, sotto il secondo profilo, non può non rilevarsi che ai fini di

soluzione della quaestio iuris, è realmente privo di «utilità» il

rilievo che farebbe differenza sostanziale il caso in cui la tra

sformazione del credito da chirografario in privilegiato, me

diante ricorso al mutuo fondiario assistito da garanzia reale, fos

se frutto di pressioni esercitate dal funzionario bancario nei con

fronti dell'imprenditore, debitore verso la banca, la cui condi

zione di insolvenza gli è nota, rispetto a quello in cui tale evento

fosse il frutto di un'operazione concordata tra funzionario di

banca e l'imprenditore-debitore; in entrambi i casi, infatti, si

realizza il medesimo evento — la costituzione ex novo di un

credito privilegiato — e può soltanto mutare, senza alcun rilievo

per la questione che ne occupa, il giudizio in punto di responsa bilità del funzionario di banca, le cui «pressioni», peraltro e per incidens, nella sentenza Garofalo, cit., sono state ricondotte al

concorso ex art. 110 c.p. nella forma dell'istigazione, sicché il

caso ivi trattato non si differenzia neppure, in realtà, da quello in esame (nel quale funzionario di banca ed imprenditore sono

stati giudicati per concorso nel reato). Ed è altresì priva di pregio la chiosa finale che i danni patri

moniali innegabilmente sofferti dagli acquirenti delle unità im

mobiliari «non sono stati determinati da reato»; tale conclusio

ne, infatti, sconta il vizio di origine dell'inadeguata motivazio

ne, frutto a sua volta di incompleto esame della concreta fatti

specie, che sorregge la prima «osservazione».

Deve, al contrario, certamente condividersi l'orientamento

espresso nella citata sentenza Garofalo. Tale sentenza, infatti, ha

esattamente evidenziato, anzitutto, che la stessa ratio e la preci pua finalità della norma indirizzano a ritenere del tutto irragio nevole un diverso trattamento di condotte che — sia che realiz

zino la costituzione fittizia di un titolo preferenziale sia che tra

sformino un credito chirografario in credito privilegiato con la

costituzione effettiva di una garanzia in tempi sospetti ed in pre senza dello stato d'insolvenza — conducono al medesimo ri

sultato di alterazione della par condicio creditorunr, e, ancora, ha correttamente considerato che ad un'interpretazione più am

pia, sotto tal profilo, dell'area di punibilità normativamente pre vista, non è neppure di ostacolo la testuale espressione «simula»

come necessariamente mutuabile dalla nozione della simulazio ne in senso civilistico, sia perché il diritto penale utilizza in au

tonomia, per le sue proprie finalità, termini comuni ad altri rami del diritto, quali ad es. quello di «possesso» nei reati contro il

patrimonio, sia perché la stessa lettera della norma non parla di

negozio simulato bensì usa l'espressione «simula titoli di prela zione», idonea a ricomprendere ogni condotta che ben può pre scindere dalla creazione di una «apparenza» di negozio e però fa

This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:47:25 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA PENALE

risultare una situazione «diversa da quella reale, alterandola, in

dipendentemente dai mezzi usati» (così la sentenza Garofalo). Siffatta interpretazione è assolutamente coerente alla indiscu

tibile finalità della norma che — significativamente riconducen

do ad una comune area di rilevanza penale le condotte dell'im

prenditore, in condizione di insolvenza, prima e perfino durante

la procedura fallimentare esegue pagamenti o simula titoli di

prelazione — sanziona ogni ipotesi di indebita preferenza, alla

quale non è certamente estranea la costituzione, sia pure attra

verso una trasformazione della natura dei crediti (condotta che,

in ogni caso, presenta profili di insidiosità non minori di quelli propri della creazione di una situazione di mera apparenza del

privilegio) di una prelazione inevitabilmente capace di alterare

la regola paritaria proporzionale di trattamento dei creditori se

condo la speciale disciplina della legge fallimentare.

In accoglimento del ricorso del procuratore generale, pertan

to, l'impugnata sentenza — che, rilevasi incidentalmente, non

ha trattato l'ulteriore fatto iscritto nel capo di imputazione, re

lativo alla «esecuzione di pagamenti» (prima ipotesi dell'art.

216, 3° comma, 1. fall.) sub specie di parziale ripianamento (con il denaro proveniente dal mutuo concesso dal credito fondiario) dei saldi negativi dei conti correnti intrattenuti dall'impresa Manfredini con la Bnl, considerato non punibile nella parte mo

tiva della pronuncia di primo grado (per le argomentazioni so

pra riferite) ma non fatto oggetto di statuizione assolutoria nel

dispositivo della medesima (che ha dichiarato gli imputati «re

sponsabili del reato loro ascritto») — deve essere annullata, con

rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna per nuovo esame; che terrà conto del principio di diritto suesposto e

che, poi, in piena autonomia di giudizio, dovrà valutare gli ulte

riori aspetti della vicenda non trattati in appello e, cioè, in parti

colare, il contestato tema di «autonomia» giuridica ed operativa della sezione del credito fondiario rispetto alla Bnl e quello in

ordine al dolo del reato contestato ovvero quello attinente all'ef

fettivo concorso del Masselli ed alla di lui consapevolezza dello

stato d'insolvenza dell'impresa debitrice allorché furono stipu lati i mutui ipotecari.

Le parti civili Maini e Tosi, intervenute all'udienza anche per sostenere la richiesta di annullamento formulata con il ricorso

del procuratore generale, a tale titolo (ed indipendentemente dall'esito dei loro ricorsi) debbono essere rimborsate dagli im

putati (non vi è conclusione nei confronti della responsabile ci

vile Bnl) delle spese sostenute, liquidate come in dispositivo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 11 febbraio 2004; Pres. Rizzo, Est. Onorato, P.M. Izzo (conci,

conf.); ric. Pigafetta. Annulla Trib. Padova, ord. 24 settembre

2003.

Giuoco proibito — Videopoker — Giuoco d'azzardo —

Configurabilità (R.d. 18 giugno 1931 n. 773, approvazione del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, art. 110; 1. 27 di

cembre 2002 n. 289, disposizioni per la formazione del bilan

cio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003), art. 22).

L'apparecchio elettronico che riproduce il gioco del poker, in

quanto connotato da alcatorietà assoluta, è da considerare

per il gioco d'azzardo, e come tale vietato, ai sensi del 5°

comma dell'art. 110 t.u.l.p.s., purché consenta la vincita di

un qualsiasi premio in denaro o in natura (ivi compresa la ri

petizione o il prolungamento della partita). (1)

(1) Con la sentenza in epigrafe la Cassazione si pronuncia sulla que stione relativa al legittimo uso degli apparecchi e dei congegni automa

tici, semiautomatici ed elettronici che riproducono il gioco del poker, alla luce della nuova disciplina contenuta nella 1. 27 dicembre 2002 n.

289 (legge finanziaria 2003) che ha novellato l'art. 110 t.u.l.p.s.

Il Foro Italiano — 2005.

Svolgimento del procedimento. — 1. - Con ordinanza del 24

settembre 2003 il Tribunale di Padova, in sede di riesame, con

fermava il decreto del 30 luglio 2003 con cui il pubblico mini

stero presso lo stesso tribunale aveva convalidato il sequestro

probatorio di sette apparecchi elettronici da gioco, eseguito

d'urgenza dalla guardia di finanza presso un pubblico esercizio

gestito da Diego Pigafetta, sottoposto a indagini in ordine al

reato di cui all'art. 110 t.u.l.p.s. Osservava il tribunale che degli apparecchi sequestrati (tutti

muniti di monitor e di scheda elettrica) sei riproducevano il gio co del poker e uno quello della roulette, sicché dovevano rite

nersi idonei al gioco d'azzardo perché avevano insita la scom

messa o erano comunque caratterizzati da prevalente alcatorietà, non potendo rientrare in quelli leciti di cui all'art. 110, 6° com

ma, nei quali l'abilità è preponderante rispetto all'alcatorietà.

2. - Il Pigafetta ha proposto personalmente ricorso per cassa

zione, sostenendo che la norma che vieta la riproduzione del

gioco del poker riguarda solo gli apparecchi che distribuiscono

vincite in denaro (di cui al 6° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s.), ma

non quelli che consentono il prolungamento o la ripetizione della partita, di cui al 7° comma, lett. b), dello stesso art. 110.

Per conseguenza, nel caso di specie, poiché gli apparecchi non distribuivano vincite in denaro, il loro sequestro era illegit timo.

Motivi della decisione. — 3. - Occorre premettere per chia

rezza che la disciplina applicabile alla fattispecie de qua è

quella introdotta dall'art. 22 1. 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria 2003), entrata in vigore il 1° gennaio 2003. Il 3°

comma dell'art. 22 ha infatti novellato l'art. 110 t.u.l.p.s., il cui

nuovo testo, per i commi che qui interessano, così recita:

«4. L'installazione e l'uso di apparecchi e congegni automa

La corte — pur rilevando come un espresso divieto di riproduzione del gioco del poker sembri limitato agli apparecchi di trattenimento e abilità descritti al 6° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s. — mostra di non condividere quell'indirizzo interpretativo

— contrassegnato da un'e

strema fedeltà alla lettera della legge — secondo cui il divieto in que stione andrebbe circoscritto ai soli apparecchi (da trattenimento e abi

lità) che rispondano ai requisiti di costo, durata e vincita delle partite

previsti — appunto — dallo stesso 6° comma.

Invero la corte — prediligendo una diversa opzione ermeneutica, im

prontata ai canoni di logicità e sistematicità — rileva come il divieto di

riproduzione del gioco del poker debba, più correttamente, desumersi dalla disposizione contenuta al 5° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s. che, in

via generale, considera destinati al gioco d'azzardo tutti quegli appa recchi che abbiano insita la scommessa o che consentano vincite pura mente aleatorie di un qualsiasi premio in denaro o in natura, compresa la ripetizione o il prolungamento della partita (Cass. 10 ottobre 2002, Ciriello, Foro it.. Rep. 2003, voce Giuoco proibito, n. 41; 22 maggio 2002, Ferrara, ibid., n. 35; 16 gennaio 2002. Tarola, id., Rep. 2002, vo

ce cit., n. 17; 14 maggio 2002, Boldrin, id., Rep. 2003, voce cit., n. 78; 22 marzo 2002, Cordaro, id., Rep. 2002, voce cit., n. 16. A diverse con

clusioni pervengono, tuttavia, Cass. 23 settembre 2002, Cara, id., Rep. 2003, voce cit., n. 47, nonché Cass. 22 febbraio 2001, Camporro, id.,

Rep. 2001, voce cit., n. 5, che osservano come il premio in natura non

possa consistere soltanto nella ripetizione o nel prolungamento della

partita ma debba, invece, oggettivarsi in qualcosa di esterno ed estraneo

all'apparecchio o al congegno ovvero nella ripetizione delle partite ol

tre le dieci volte). Fra i congegni suddetti la Suprema corte annovera senz'altro quelli

funzionanti secondo le regole fondamentali del poker, giacché nella

partita di poker giocata fra l'apparecchio elettronico e l'utente l'abilità di quest'ultimo — che si limita a sostituire le carte assegnategli dalla

scheda elettronica dell'apparecchio senza avere, peraltro, la possibilità di variare l'entità della «puntata» originaria — non può rivestire alcun

ruolo significativo (Cass. 3 marzo 2000. Fredella, id., Rep. 2000, voce

cit., n. 14; 19 marzo 1999, Di Stefano, ibid., n. 13; 13 febbraio 1996,

Mongelli, id., Rep. 1996, voce cit., n. 3. Negli stessi termini, sia pure con riferimento ai congegni analoghi denominati slot machines, v.

Cass. 16 marzo 1999, Brigadieci, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 5, nonché

Cass. 21 febbraio 1997, De Angelis, id., 1997, voce cit., n. 8). La Cassazione respinge, altresì, la tesi secondo cui sarebbero vietati

solo quegli apparecchi riproducenti il gioco del poker, che siano stati

prodotti o importati successivamente all'entrata in vigore della legge finanziaria del 2003 e che non siano stati omologati e autorizzati dal

ministero dell'economia e delle finanze, amministrazione autonoma dei

monopoli di Stato, secondo le modalità contemplate all'art. 22, 2°

comma, nn. 3, 4 e 5, della legge in questione. La corte sottolinea, infatti, come gli apparecchi funzionanti secondo

le regole del poker, prodotti o importati prima di quella data, sarebbero

pur sempre vietati in base alle immutate disposizioni generali contenute

al 5° comma dell'art. 110 t.u.l.p.s. che — occorre puntualizzare —

prima della novella del 27 dicembre 2002 n. 289, costituiva il 4° com

ma dello stesso articolo.

This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:47:25 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended