sezione V penale; sentenza 6 marzo 2001; Pres. Casini, Est. Nappi, P.M. Albano (concl. parz.diff.); ric. Fidanzi. Conferma App. Firenze 1° giugno 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 385/386-389/390Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196127 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i penale; sentenza 4
aprile 2001; Pres. Sossi, Est. Gironi, P.M. Palombarini
(conci, diff.); ric. Spadoni. Dichiara inammissibile ricorso
avverso Trib. Viterbo 18 novembre 1999.
CORTE DI CASSAZIONE;
Quiete pubblica e privata (disturbo della) — Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone — Attività di risto
razione — Reato — Fattispecie (Cod. pen., art. 659).
Dal momento che l'attività di ristorazione non costituisce me
stiere di per sé rumoroso, nel caso in cui da essa derivi un di
sturbo della quiete pubblica si integra la fattispecie contrav
venzionale prevista dal 1° e non dal 2° comma dell'art. 659
c.p., con la conseguenza che il giudice non deve valutare il
superamento dei livelli di rumorosità indicati in tabelle pre determinate dalla legge, ma soltanto accertare che, in con
creto, i rumori prodotti superino la normale tollerabilità. ( 1 )
Avverso la sentenza in epigrafe, che ha condannato Spadoni Franco alla pena di lire duecentomila di ammenda per il reato di
cui all'art. 659 c.p. a causa dei rumori provenienti dal ristorante
dallo stesso gestito in Viterbo nonché al pagamento della som
ma di lire due milioni alla parte civile Celestini Tamara a titolo
di risarcimento dei danni derivati dal reato, l'imputato ha pro
posto ricorso, denunziando: — violazione dell'art. 78 c.p.p. per essere l'atto di costitu
zione di parte civile asseritamente privo dell'enunciazione delle
ragioni giustificative della domanda e dell'indicazione della
procura speciale; — omesso espletamento di c.t.u. (rectius perizia) per l'ac
certamento dei livelli di rumorosità, rilevati dalla Asl con appa recchiature inidonee;
— omessa considerazione del criterio di «tollerabilità in con
creto» delle emissioni sonore, asseritamente contenute nei limiti
di legge e «solo di poco» eccedenti il c.d. «rumore di fondo»; — violazione dell'art. 523 c.p.p. avendo il giudice provve
duto alla liquidazione dei danni pur in difetto di conclusioni
scritte.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infonda
tezza.
In rito si rileva che la Celestini si costituì parte civile perso nalmente (essendo presente al dibattimento) e non per mezzo di
procuratore speciale e che l'atto contiene sufficiente enuncia
zione delle ragioni della domanda, specificandosi che la richie
sta risarcitoria concerneva i danni materiali e morali derivati
dalle emissioni rumorose del ristorante, da quantificarsi in sepa rata sede, con concessione di provvisionale (il giudicante prov
vedeva, invece, a liquidazione definitiva in via equitativa);
inoltre, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, non risulta
dal verbale del dibattimento che la difesa dell'imputato abbia
sollevato tutte le suesposte eccezioni, limitandosi essenzial
mente ad opporsi alla costituzione di parte civile per motivo del
tutto diverso (transazione intervenuta tra le parti non più men
(1) Il principio espresso nella massima, che fonda la differenza tra le
contravvenzioni sanzionate dai due commi dell'art. 659 c.p. in base al
l'appartenenza o meno dell'attività svolta alla categoria dei mestieri
intrinsecamente rumorosi, è consolidato in giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass. 13 dicembre 1993, Rapisarda, Foro it., Rep. 1995, voce
Quiete pubblica, n. 15).
Configurandosi la fattispecie del 1" comma, ne deriva che il giudice è tenuto ad accertare se i rumori prodotti abbiano superato la normale
tollerabilità (principio consolidato: cfr. Cass. 9 dicembre 1993, Chieri
coni, ibid., n. 5, e, più di recente, in tema di rintocchi di campana di
una chiesa, Cass. 13 ottobre 2000, Piccoli, id., 2001, II, 213, con nota
di richiami). Peraltro, trattandosi di un reato di pericolo, occorrerebbe soltanto
dimostrare che la condotta realizzata sia idonea a cagionare gli asseriti
disturbi all'occupazione ed al riposo delle persone, indipendentemente dal fatto che essi si siano effettivamente realizzati (così Cass. 21 otto
bre 1996, Calabria, id., Rep. 1997, voce cit., n. 4). Nella specie, tuttavia, tale accertamento non si è reso necessario,
dato che il ricorrente ha esplicitamente ammesso che l'impiego di mac
chinari necessari per lo svolgimento dell'attività superava il c.d. rumo
re di fondo. In tema di disturbo della quiete pubblica, cfr., di recente, anche Pret.
Monza 29 novembre 1997, id., 1998, II, 563, con nota di richiami.
In tema di rapporti tra le contravvenzioni sanzionate dall'art. 659 c.p. e la 1. 447/95, cfr. Caruso, Rapporti tra la l. 447/95 c.d. «legge quadro
sull'inquinamento acustico» e l'art. 659 c.p. che punisce il disturbo
delle occupazioni o del riposo delle persone, in Giur. ambientale, 1999,
fase. 12, 28.
Il Foro Italiano — 2001 — Parte II-9.
zionata dal ricorrente ed avente, secondo la sentenza impugnata,
oggetto radicalmente diverso dalla pretesa risarcitoria fatta vale
re in sede di giudizio penale). Le conclusioni scritte della parte civile risultano, infine, ritualmente formulate a norma dell'art.
523 c.p.p. Nel merito si osserva che il giudicante (v. verbale dibatti
mento) rigettò la richiesta di disporre perizia ragionevolmente
argomentando che un eventuale accertamento non sarebbe stato
comunque probante per le emissioni sonore pregresse ed og
getto della contestazione; va, inoltre, considerato che il proble ma del superamento dei valori stabiliti dalla normativa vigente in materia (lo stesso ricorrente dà, peraltro, atto del superamento del c.d. «rumore di fondo») non appare rilevante nel caso di
specie, in cui chiaramente, sebbene non precisato, l'addebito va
ricondotto alla previsione del 1° comma dell'art. 659 c.p., non
potendosi l'attività di ristorazione considerare in sé rumorosa e
dovendosi, dunque, avere riguardo all'abuso dei macchinari in
dotazione all'esercizio ed alla rumorosità, non impedita o re
pressa, degli avventori, in quanto tali da comportare, a prescin dere dai livelli d'intensità sonora, disturbo delle occupazioni e,
soprattutto, del riposo delle persone (profili, invero, non inve
stiti dall'atto di ricorso).
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 6
marzo 2001; Pres. Casini, Est. Nappi, P.M. Albano (conci,
parz. diff.); ric. Fidanzi. Conferma App. Firenze 1° giugno 2000.
Ingiuria e diffamazione — Diffamazione — Diffusione di memoriale relativo all'amante del coniuge
— Reato —
Fattispecie (Cod. pen., art. 52, 62, 595).
Risponde del delitto di diffamazione il marito che, temendo che
la moglie lo abbandoni per l'amante, diffonda un memoriale
relativo alla vita privata di quest'ultimo, presentata come
dissoluta allo scopo di procurargli discredito. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 19
gennaio 2001; Pres. Ietti, Est. Sica, P.M. Iadecola (conci,
conf.); imp. Turano e altro. Conferma App. Milano 27 marzo
2000.
Ingiuria e diffamazione — Diffamazione a mezzo stampa —
Esposizione suggestiva o insinuante — Reato — Fattispe
cie (Cod. pen., art. 51, 595).
Non è giustificato dalla scriminante dell'esercizio di un diritto
ed integra il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa
il comportamento del giornalista che, pur riportando una se
rie di fatti obiettivamente veri, li correli e li combini tra loro
in modo tale da evocare in maniera suggestiva un quadro ge
nerale fondato su dati non ancora accertati (nella specie, si
trattava di un articolo in cui un imprenditore siciliano veniva
accostato ad ambienti mafiosi, lasciando intendere che fosse
colluso con Cosa nostra). (2)
(1-2) La massima sub 1 merita di essere segnalata soprattutto per la
peculiarità della fattispecie. Questo il caso: un marito geloso, temendo di essere lasciato dalla
moglie, cerca di screditare ai suoi occhi l'amante, diffondendo un me
moriale che ne attesti la dissolutezza e 1 ' inaffidabilità, nella speranza
che la moglie si convinca in tal modo a non abbandonarlo.
Questo comportamento è stato ritenuto sussumibile dai giudici di le
gittimità nella fattispecie della diffamazione, sulla base di alcuni sem
plici presupposti argomentativi. Anzitutto non è necessario, per la configurabilità della diffamazione,
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PARTE SECONDA
I
1. - Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Firenze ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di Brunello Fi
danzi in ordine al delitto di diffamazione ai danni di Franco
Bucchioni.
Risulta dalla sentenza impugnata che Brunello Fidanzi, sco
perta una relazione tra sua moglie e Franco Bucchioni, ottenne dalla moglie separata di costui un memoriale in cui il marito le aveva confessato i suoi tradimenti. Tale memoriale Fidanzi dif
che il reo possieda una piena intenzione offensiva, ma è sufficiente che
adoperi, come nel caso in questione, parole o frasi obiettivamente of fensive nel loro significato umano e sociale, per cui l'elemento sogget tivo del reato sarebbe il dolo generico (indirizzo consolidato: cfr., ri chiamata in motivazione, Cass. 15 ottobre 1987, Beria D'Argentine, Foro it., Rep. 1989, voce Ingiuria, n. 11, e, più di recente, Cass. 28 no vembre 1997, Curcio, id., Rep. 1998, voce cit., n. 26), a nulla impor tando che lo scopo dell'agente non fosse quello di offendere il rivale, ma soltanto quello di salvare il proprio matrimonio.
Su un piano oggettivo, poi, il reato sarebbe integrato dalla circostan za che il memoriale era stato diffuso tra i colleghi di lavoro della mo
glie, atteso che elemento strutturale della fattispecie di cui all'art. 595
c.p. è la diffusione, quantomeno potenziale, nei confronti di più persone (in termini, cfr. Cass. 14 gennaio 1993, Albasi, id., Rep. 1993, voce cit., n. 22).
Peraltro, è stata anche negata rilevanza alla legittima difesa per due ordini di ragioni: in primo luogo, perché il tentativo del marito di con vincere la moglie a non abbandonarlo non giustificava la diffusione an che a terzi del memoriale offensivo; poi, perché il fatto eventualmente
oggetto di una difesa legittima avrebbe potuto essere il tradimento della
moglie, ma non il pericolo di essere da lei lasciato. Non è stata, infine, ritenuta applicabile l'attenuante della provoca
zione: non tanto perché mancante un rapporto d'immediatezza tra il fatto e la reazione (per la non necessarietà di tale rapporto, cfr., citate in motivazione, Cass. 3 novembre 1965, Erichiello, id., Rep. 1966, voce cit., n. 42, e 4 maggio 1993, Stirpe, id., Rep. 1994, voce Circostanze di reato, n. 22, e, per esteso, Riv. pen., 1994, 294), quanto soprattutto per ché il fatto provocato è stato ritenuto causato da un differente movente
psicologico, nei cui confronti il fatto assunto come provocatorio è ri sultato una mera occasione (nel senso che in tali ipotesi esuli la circo stanza attenuante della provocazione, cfr., richiamate in sentenza, Cass. 15 aprile 1999, De Rosa, Foro it., Rep. 1999, voce Cause di non puni bilità, n. 14, e 20 giugno 1997, Bonaiuto, id., Rep. 1997, voce Circo stanze di reato, n. 16).
La massima sub 2 ripropone il principio, non nuovo nella copiosa giurisprudenza in materia di diffamazione, secondo cui non è suffi ciente a scriminare il giornalista la presentazione di fatti veri, perché l'attività giornalistica non consiste soltanto nel fornire notizie in modo asettico, ma anche nell'elaborare e ricostruire i dati e le notizie presen tando un quadro generale di un avvenimento: ora, se la situazione pro spettata nel suo complesso non risponde a fatti obiettivi e si presenta idonea ad offendere la reputazione di qualcuno, il giornalista può essere chiamato a rispondere di diffamazione, come nel caso di specie, in cui sono stati evocati in maniera suggestiva possibili legami di un impren ditore con ambienti mafiosi, lasciando intendere che detti legami fosse ro reali (in termini sostanzialmente analoghi, cfr. Cass. 16 luglio 1981, Caprara, id., Rep. 1983, voce Ingiuria, n. 9, che afferma come la verità obiettiva della notizia non esclude la diffamazione laddove il mezzo utilizzato sia insinuante; 27 gennaio 1999, Mennella, id., Rep. 1999, voce cit., n. 52, secondo cui se dall'accostamento di più notizie vere si produce un effetto insinuante e suggestivo, sussisterebbe il reato di dif famazione quando si affermi un fatto nuovo e non ci si limiti ad enun ciare un semplice corollario; nonché 24 novembre 1994, Liguori, id., Rep. 1995, voce cit., n. 22, e, per esteso, Riv. pen., 1995, 1181, secondo cui anche le sentenze possono essere oggetto di critica giornalistica ri guardo al contenuto interpretativo, mentre si configurerebbe la respon sabilità penale qualora esse siano presentate come effetto di strategie e
complotti lungi dall'essere dimostrati). La liceità penale della diffusione di fatti riguardanti la vita altrui è
correlata al rispetto di tre requisiti basilari: la verità dei fatti narrati, l'interesse pubblico alla diffusione della notizia ed una esposizione contenuta nei limiti di una serena obiettività (cfr., da ultimo, Cass. 5 aprile 2000, Panigutti, Ced Cass., rv. 216120).
Tuttavia, il potere evocativo della parola è stato tradizionalmente og getto di un attento vaglio giurisprudenziale. Così, il requisito della ve rità è stato parzialmente disatteso nel senso di pretendere dal giornali sta, più che un'assoluta oggettività della notizia, una oculata e scrupo losa ricerca in ordine agli accadimenti narrati (in tal senso, cfr., per tutte, Cass. 31 marzo 1999, Liberatore, id., rv. 215037); non sarebbe, comunque, sufficiente una mera verosimiglianza (così Cass. 23 gennaio 1997, Montanelli, Foro it.. Rep. 1997, voce cit., n. 16).
Per converso, in relazione al caso di specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto che le espressioni insinuanti e tendenziose, derivanti dalla manipolazione verbale delle informazioni, abbiano escluso sia l'esercizio del diritto di cronaca, sia di quello di critica: sotto questo profilo, dunque, i frammenti di verità contenuti nelle singole notizie
Il Foro Italiano — 2001.
fuse, mostrandolo a diverse persone, in particolare alla propria
moglie e ai propri familiari, e ne prese occasione per accusare
Bucchioni di essere «una persona di pessima moralità, un porco
depravato». I giudici del merito ritennero che la reazione di Brunello Fi
danzi non fosse proporzionata né adeguata all'offesa ricevuta e,
perciò, gli negarono le invocate esimenti della legittima difesa e
della provocazione. Ricorre per cassazione Brunello Fidanzi e propone sette mo
tivi d'impugnazione. Con il primo motivo il ricorrente deduce mancanza di moti
vazione della sentenza impugnata su tutti i punti della decisione
investiti dai motivi d'appello: in particolare sul dolo, sulle invo
cate scriminanti della legittima difesa e della provocazione, sul
l'attenuante della provocazione. Con il secondo motivo deduce violazione degli art. 595 e 42
c.p., sostenendo che il dolo della diffamazione doveva essere
escluso, perché egli aveva utilizzato il memoriale proveniente dallo stesso Bucchioni e al solo scopo di salvare il proprio ma
trimonio, dimostrando alla moglie che il rivale era un malato.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 52 c.p., lamentando che erroneamente gli sia stata negata la scriminante della legittima difesa per un comportamento tenuto allo scopo di evitare che la moglie lo lasciasse per andare a con vivere con Bucchioni.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art.
599, 2° comma, c.p., lamentando che i giudici del merito abbia no erroneamente escluso un rapporto d'immediatezza tra il fatto
ingiusto di Bucchioni e la sua reazione, ai fini dell'esimente della provocazione, senza considerare la permanente ingiustizia del pericolo che sua moglie lo abbandonasse per seguire il riva le.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 52 e 59 c.p., lamentando che le esimenti invocate non gli siano state riconosciute neppure come putative.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 52 e 55 c.p., rilevando come anche il riconoscimento di un ec cesso colposo, neppure considerato dai giudici del merito, sa rebbe valso a esimerlo da responsabilità, posto che la diffama zione è punita solo a titolo di dolo.
Con il settimo motivo, infine, il ricorrente lamenta che la
provocazione non gli sia stata riconosciuta neppure come circo stanza attenuante, benché a tal fine non sia richiesto il rapporto di immediatezza con il fatto ingiusto altrui, perché la corte
d'appello è caduta in un equivoco, motivando il diniego della mai invocata attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale.
2. - Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, va rilevato che la corte d'appello, sia pure con motivazione sintetica, ha adeguatamente espresso la propria valutazione di sproporzione tra il comportamento del ricorrente e il fatto ingiusto del suo rivale, ritenendo altresì par ticolarmente intenso il dolo manifestato da Brunello Fidanzi con la diffusione del memoriale di Bucchioni tra i colleghi di lavoro di sua moglie.
Con il secondo motivo il ricorrente sembra evocare l'antica concezione psicologica dei delitti contro l'onore, che richiedeva l'animus diffamarteli vel iniurandi per la configurabilità del do lo. Ma oggi è indiscusso che i delitti contro l'onore, e in parti colare la diffamazione, non richiedono un dolo intenzionale, es sendo sufficiente il dolo generico (Cass., sez. V, 15 ottobre
1987, Beria D'Argentine, Foro it., Rep. 1989, voce Ingiuria, n.
11). Tuttavia l'esigenza di sottrarre alla sanzione comporta menti che non ne appaiono meritevoli può essere recuperata nella definizione della condotta, ove si consideri che, perché vi
non escluderebbero una concreta attitudine diffamatoria dello stampato, derivante dal suo significato complessivo, qualora anche questo non ri sulti a sua volta provato.
Per un quadro sulle possibili tecniche di intervista giornalistica e dei correlati profili d'illegittimità penale, cfr., di recente, Giammona, Anco ra contrasti sui limiti di liceità penale dell'intervista giornalistica, nota a Cass. 11 aprile 2000, Ferrara, e 14 dicembre 1999, Scalfari, id., 2001, II, 178.
In tema di diffamazione tramite Intemet, cfr. Russo, Internet, libertà di espressione e regole penali: spunti a margine di una pronuncia in tema dì diffamazione, nota a Trib. Oristano 25 maggio 2000, id., 2000, II, 664. Sul versante civilistico, cfr. Pino, Sentenza straniera di assolu zione, presunzione di innocenza e diffamazione, in Danno e resp., 2001, 536.
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GIURISPRUDENZA PENALE
sia offesa alla reputazione, non è sufficiente l'astratta idoneità
delle parole a offendere, ma è necessario che esse siano a ciò
destinate, in quanto adoperate appunto nel loro significato of
fensivo; e tale destinazione va individuata con riferimento al si
gnificato sociale, oggettivo, che vengono ad assumere le parole, senza alcun riferimento alle intenzioni dell'agente. Per questa
ragione il dolo richiesto è quello generico. E può trattarsi anche
di un dolo eventuale, purché il soggetto agente si rappresenti il
fatto che le sue parole vanno ad assumere un significato offen
sivo, in quanto appariranno destinate ad aggredire la reputazio ne altrui. L'intenzione o lo scopo del soggetto agente, pertanto, non devono necessariamente essere di offesa, ma è sufficiente
che egli adoperi consapevolmente parole socialmente interpre tabili come offensive. E nel caso in esame non pare possa dubi
tarsi che Brunello Fidanzi avesse consapevolezza del significato offensivo della sua condotta.
Quanto alle esimenti invocate dal ricorrente, esse sono pale semente incompatibili con la ricostruzione dei fatti proposta nello stesso ricorso.
Brunello Fidanzi sostiene, infatti, di avere agito nell'intento
di svelare alla moglie l'effettiva personalità di Bucchioni, spe rando di convincerla così a non seguirlo. Ma è evidente che ri
sulta estranea a questo scopo la diffusione del memoriale di
Bucchioni tra persone estranee e il dileggio che l'accompagna va. Sicché non è configurabile sotto alcun profilo l'invocata le
gittima difesa. Né il permanente pericolo dell'abbandono da parte di sua mo
glie può valere a ripristinare un rapporto d'immediatezza tra la
reazione diffamatoria del ricorrente e il fatto ingiusto addebitato
a Bucchioni. Il fatto ingiusto che avrebbe potuto giustificare una
reazione immediata, invero, era costituito dal tradimento con
sumato ai suoi danni, non dal pericolo che la moglie si allonta
nasse. Sicché correttamente i giudici del merito hanno escluso la
configurabilità della provocazione come esimente della diffa
mazione a lungo protrattasi dopo la scoperta dell'adulterio.
E questo rapporto anche temporale tra il disvelamento dell'in
fedeltà coniugale di sua moglie e il comportamento diffamatorio
tenuto da Brunello Fidanzi esclude anche la possibilità di rico
noscere come attenuante la provocazione. È vero infatti che la
provocazione, perché possa operare come attenuante, non ri
chiede il rapporto d'immediatezza necessario perché operi come
esimente (Cass., sez. I, 3 novembre 1965, Erichiello, id., Rep.
1966, voce cit., n. 42; 4 maggio 1993, Stirpe, id., Rep. 1994, voce Circostanze di reato, n. 22). Ma è pur vero che, secondo la
giurisprudenza, l'attenuante deve essere «correlata ad un fatto
ingiusto altrui cui consegue uno stato d'ira che, quale inconte
nibile impulso reattivo-aggressivo, scateni l'azione criminosa»;
sicché l'attenuante deve essere esclusa «quando il fatto provo catorio si ponga come mera occasione del delitto, da ricondurre
ad un diverso movente o atteggiamento psicologico, insorto in
dipendentemente o anche dovuto ad una strutturazione e tra
sformazione dell'originario impulso emotivo in sentimento d'o
dio, rancore, vendetta o altro» (Cass., sez. I, 15 aprile 1999, De
Rosa, id., Rep. 1999, voce Cause di non punibilità, n. 14; 20
giugno 1997, Bonaiuto, id., Rep. 1997, voce Circostanze di reato, n. 16). E questa valutazione fu adeguatamente espressa in
entrambi i gradi del giudizio di merito, benché la corte d'ap
pello aggiunse un irrilevante riferimento anche all'attenuante
prevista dall'art. 61, n. 1, c.p. Si deve, pertanto, concludere con il rigetto del ricorso.
II
Fatto. — Con sentenza in data 27 marzo 2000, il giudice uni
co presso il Tribunale di Milano dichiarava Turano Gianfrance
sco e Gentili Guido responsabili di diffamazione aggravata a mezzo stampa, nelle rispettive qualità di giornalista e di diretto
re responsabile del settimanale economico II Mondo, ai danni
dell'avv. Attilio Pacifico. Gli imputati, previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti, venivano con
dannati alla pena della multa, rispettivamente di lire 2.000.000 e
1.500.000. Inoltre, venivano condannati al risarcimento dei danni, in fa
vore della parte civile, liquidati in lire 60.000.000 oltre a
30.000.000 ex art. 12 1. 47/48, al pagamento delle spese del giu
dizio e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.
Il Foro Italiano — 2001.
Veniva, altresì, ordinata la pubblicazione della sentenza per
estratto, e per una sola volta, a spese degli imputati sul quoti diano la Repubblica, sul settimanale L'Espresso e su 11 Mondo.
Ricorre per cassazione il difensore degli imputati, prospettan do vari motivi di annullamento. (Omissis)
Con il secondo motivo, si deduce la nullità della sentenza ai
sensi dell'art. 606, lett. b), c.p.p., per inosservanza ed erronea
applicazione dell'art. 51 c.p. e ai sensi dell'art. 606, lett. e),
c.p.p., per carenza o manifesta illogicità della motivazione,
avendo ritenuto i giudici che l'attribuzione al Pacifico di legami con Salamone, Vita e l'intera compagine della Geosud s.p.a. era
sprovvista di qualsiasi prova materiale o logica, per cui gli im
putati non potevano invocare l'esercizio del diritto di cronaca o
di critica. Viceversa, secondo i ricorrenti, quanto scritto dal giornalista
corrispondeva a circostanze oggettivamente vere e, quindi, scriminanti, riportate in modo continente, e pertinenti, poiché fatti storici veri. Infatti, al momento della nomina di Attilio Pa
cifico quale curatore del fallimento della Geosud, il Vita e il
Salamone, in odore di mafia, rivestivano ancora cariche sociali
all'interno della società. (Omissis) Diritto. — (Omissis). 3. - Nel merito, il ricorso è infondato,
non sussistendo la scriminante di cui all'art. 51 c.p., non avendo
gli imputati esercitato alcun diritto di critica e/o di cronaca ma,
al contrario, avendo reso una valutazione negativa sulla figura della parte offesa, attribuendogli legami con ambienti mafiosi e
di malaffare.
Il tribunale, infatti, sulla base di una valutazione complessiva dello scritto, ivi compreso il titolo, con un'adeguata, corretta e
logica motivazione ha accertato, in punto di fatto, che gli impu tati (il direttore attraverso il titolo) hanno sviluppato argomenta zioni che avvicinano in modo suggestivo l'avv. Pacifico al
mondo imprenditoriale siciliano in odore di mafia, attraverso
legami con Filippo Salamone, noto imprenditore siciliano, arre
stato appunto per fatti connessi a presunti legami tra le sue im
prese e la mafia siciliana.
Senza richiamare le espressioni usate e l'ampia motivazione
offerta dai giudici di merito, il legame ipotizzato tra il Pacifico e
il Salamone, viene arbitrariamente riportato alla nomina del
querelante quale curatore fallimentare della Geosud s.p.a., fal
lita e facente capo all'imprenditore e, quindi, con Vita e gli ap
palti truccati in Sicilia e gli arresti che ne erano derivati, a se
guito di indagini antimafia. La censura con la quale si sostiene l'insussistenza di qualsiasi
offesa alla reputazione del Pacifico postula soltanto una rivisita
zione delle emergenze probatorie, in quanto, sul presupposto di
avere riportato solo fatti veri, gli imputati invocano l'esercizio
del diritto di critica e/o cronaca, che scriminerebbe la loro azio
ne attraverso l'applicazione dell'art. 51 c.p. La stessa difesa, tuttavia, smentisce sé stessa, in quanto, dopo
avere affermato di aver riferito fatti veri, riconosce che così non
è avvenuto nel caso di specie, in quanto il giornalista non può limitarsi a «riportare dati o riferire fatti giudiziariamente accer
tati: spesso infatti scrivere significa elaborare dati, operare col
legamenti, esprimere giudizi, denunciare situazioni, compiere
operazioni di puzzle anche ardite», confermando, in tal modo
che — come diffusamente è contenuto nella sentenza impugnata —• l'ardita e articolata ricostruzione del giornalista, non derivi
da fatti certi o da dati obiettivi (la nomina di curatore di un fal
limento deriva dal tribunale), ma sia solo la conseguenza di un
teorema costruito su due elementi: il Pacifico era indagato per vicende di corruzione e vierle nominato curatore fallimentare di
una società vicina ad ambienti mafiosi, insinuando, attraverso
una serie di collegamenti, che non vi sarebbe soluzione di con
tinuità tra Salamone e Vita prima e Attilio Pacifico poi, nella
gestione della Geosud s.p.a.
Pertanto, nella specie, non ricorre né il diritto di cronaca, an
che sotto l'aspetto putativo, non essendoci correlazione tra nar
rato e accaduto, nella obiettiva realtà, nell'assoluto rispetto di
quanto riferito; né diritto di critica che si concretizza in un giu
dizio e nella manifestazione di un'opinione che non era colle
gata razionalmente ad alcun fatto, ma solo ad ipotesi dalle quali
emergevano l'aggressione e l'offesa gratuita alla reputazione dell'avv. Pacifico (Cass., sez. V, 15 gennaio 1997, Liguori, Fo
ro it., Rep. 1997, voce Ingiuria, n. 20; 15 luglio 1997, Garbesi
Scheda, id., Rep. 1998, voce cit., n. 39). (Omissis)
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