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sezione V; sentenza 16 dicembre 2004, causa C-313/03; Pres. Silva de Lapuerta, Avv. gen. Stix-Hackl...

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Page 1: sezione V; sentenza 16 dicembre 2004, causa C-313/03; Pres. Silva de Lapuerta, Avv. gen. Stix-Hackl (senza concl.); Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana

sezione V; sentenza 16 dicembre 2004, causa C-313/03; Pres. Silva de Lapuerta, Avv. gen. Stix-Hackl (senza concl.); Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italianaSource: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 97/98-99/100Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200577 .

Accessed: 24/06/2014 23:03

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

56. - Orbene, quantomeno a partire da tale momento, l'atto

volontariamente posto in essere da un professionista in circo

stanze quali quelle della causa principale deve essere analizzato

come un atto idoneo a costituire un impegno che vincola il suo

autore come materia contrattuale. Pertanto, e con riserva della

qualificazione finale di tale impegno che spetta al giudice del

rinvio, si può considerare che ricorra la condizione relativa alla

sussistenza di un'obbligazione vincolante di una parte nei con

fronti di un'altra, come previsto dalla giurisprudenza menzio

nata al punto 50 della presente sentenza.

57. - Occorre aggiungere che un'azione giudiziaria quale

quella promossa dal consumatore nella causa principale ha l'og

getto di rivendicare in giudizio, nei confronti di un venditore

professionista, la consegna di un premio apparentemente vinto e

il cui versamento è rifiutato da quest'ultimo. Essa trova pertanto fondamento proprio nella promessa di vincita controversa, poi ché il beneficiario apparente invoca l'inadempimento di que st'ultima per giustificare l'azione giudiziaria.

58. - Ne consegue che tutti i presupposti necessari all'appli cazione dell'art. 5, punto 1, della convenzione di Bruxelles ri

corrono in una causa come quella principale. 59. - Per i motivi esposti dall'avvocato generale al par. 48

delle sue conclusioni, è priva di pertinenza in proposito la mera

circostanza che il venditore professionista non avesse effettiva

mente l'intenzione di consegnare il premio promesso al desti

natario della sua lettera. Tenuto conto di quanto enunciato al

punto 45 della presente sentenza, ciò vale anche per la circo

stanza che l'attribuzione del premio non dipendeva dall'ordina

tivo di merci e che il consumatore non ha in effetti effettuato

siffatto ordine.

60. - Pertanto un'azione come quella promossa dalla sig. En

gler dinanzi al giudice del rinvio rientra nell'ambito di applica zione dell'art. 5, punto 1, della convenzione di Bruxelles, cosic

ché, come risulta dal punto 29 della presente sentenza, non è più necessario esaminare l'applicabilità dell'art. 5, punto 3, di que st'ultima. (Omissis)

Per questi motivi, la corte (seconda sezione) dichiara:

Le norme in materia di competenza enunciate dalla conven

zione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdi zionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e com

merciale, come modificata dalla convenzione 9 ottobre 1978,

relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del

Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, dalla conven

zione 25 ottobre 1982, relativa all'adesione della Repubblica

ellenica, dalla convenzione 26 maggio 1989, relativa all'adesio

ne del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, e dalla

convenzione 29 novembre 1996, relativa all'adesione della Re

pubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia devono essere interpretate nel modo seguente:

— l'azione giudiziaria con la quale un consumatore mira a far

condannare, ai sensi della normativa dello Stato contraente nel

cui territorio è domiciliato, una società di vendita per corrispon

denza, avente sede in un altro Stato contraente, alla consegna di

un premio da esso apparentemente vinto è di natura contrattuale,

ai sensi dell'art. 5, punto 1, della detta convenzione, purché, da

un lato, la detta società, al fine di indurre il consumatore a sti

pulare un contratto, gli abbia inviato una missiva, che lo designa

per nome, idonea a suscitare l'impressione che gli verrà attri

buito un premio nell'ipotesi in cui restituisca il «buono di pa

gamento» allegato a tale lettera e purché, d'altro lato, il detto

consumatore accetti le condizioni stipulate dal venditore e re

clami effettivamente il versamento della vincita promessa; — per contro, quand'anche tale missiva contenga inoltre un

catalogo pubblicitario di prodotti della stessa società accompa

gnato da un modulo di «domanda di prova senza impegno», la

duplice circostanza che l'attribuzione del premio non dipenda dall'ordinativo di merci e che il consumatore non abbia in ef

fetti effettuato il detto ordinativo è irrilevante ai fini dell'inter

pretazione supra menzionata.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sezione V; sentenza 16 dicembre 2004, causa C-313/03; Pres.

Silva de Lapuerta, Avv. gen. Stix-Hackl (senza conci.); Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana.

Unione europea — Italia — Direttiva comunitaria sull'ora

rio di lavoro della gente di mare — Mancata trasposizio ne — Inadempimento (Trattato Ce, art. 226; direttiva 21

giugno 1999 n. 1999/63/Ce del consiglio, relativa all'accordo

sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare

concluso dall'associazione armatori della Comunità europea

(Ecsa) e dalla federazione dei sindacati dei trasportatori del

l'Unione europea (Fst)).

La Repubblica italiana, non avendo adottato le disposizioni le

gislative, regolamentari e amministrative necessarie per

conformarsi alla direttiva del consiglio 21 giugno 1999 n.

1999/63/Ce, relativa all'accordo sull'organizzazione dell'o

rario di lavoro della gente di mare concluso dall'associazio

ne armatori della Comunità europea (Ecsa) e dalla federa

zione dei sindacati dei trasportatori dell'Unione europea

(Fst), nonché all'accordo europeo del 30 settembre 1998 sul

l'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare, ad

essa allegato, o, comunque, non avendo comunicato tali di

sposizioni alla commissione delle Comunità europee, è venuta

meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 3,

n. 1, della detta direttiva. (1)

(1) I. - La Corte di giustizia condanna l'Italia per la mancata traspo sizione, entro il previsto termine del 30 giugno 2002, di una delle di

rettive «settoriali» in materia di organizzazione dell'orario di lavoro:

segnatamente, la direttiva 1999/63/Ce, sull'orario di lavoro della gente di mare, che ha recepito, mediante la tecnica della «allegazione», l'ac

cordo collettivo stipulato, l'anno prima, dalle organizzazioni sindacali

europee di settore.

L'esito del procedimento di infrazione era invero scontato, posto che

il nostro paese non ha a tutt'oggi provveduto all'adozione della norma

tiva che traspone la direttiva. Né, come chiarisce la corte in motivazio

ne, l'inadempimento può essere considerato irrilevante in virtù di una

valutazione di modesta gravità della mancata trasposizione, in quanto l'esistenza o meno dell'inosservanza è da valutarsi sotto il profilo og

gettivo, senza considerarne il maggiore o minore grado di impatto sul

sistema (in tal senso, Corte giust. 1° febbraio 2001, causa C-333/99,

Commissione c. Francia, in Foro it., Rep. 2002, voce Unione europea, n. 1025; 17 novembre 1993, causa C-73/92, Commissione c. Spagna, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 719).

II. - Del resto, le misure sino a questo punto adottate ai fini trasposi tivi della direttiva non vanno oltre l'inserimento di una delega ad hoc

nelle più recenti leggi comunitarie.

In particolare, l'art. 22 1. n. 39 del 2002 (legge comunitaria 2001) aveva delegato il governo ad emanare, entro un anno dalla data di en

trata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti le norme

per l'attuazione organica delle direttive 93/104/Ce del consiglio e

2000/34/Ce, nonché delle direttive 1999/63/Ce sull'organizzazione del

l'orario di lavoro della gente di mare e 2000/79/Ce, sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo nell'aviazione civile, sulla

base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) recezione dei criteri di

attuazione di cui all'avviso comune sottoscritto dalle parti sociali il 12

novembre 1997; b) riconoscimento degli effetti dei contratti collettivi

vigenti alla data di entrata in vigore del provvedimento di attuazione

della direttiva (cfr. G. Ricci, La legge comunitaria 2001: l'Italia prova ad adeguarsi ai «diktat» della Corte di giustizia in materia di salute e

sicurezza dei lavoratori e orario di lavoro, id., 2002, IV, 432). Poiché il termine per la trasposizione delle due direttive settoriali (fra

le quali, appunto, quella sull'orario di lavoro della gente di mare) è

giunto a scadenza senza esito, la 1. 31 ottobre 2003 n. 306 (legge comu

nitaria 2003) ha nuovamente conferito la delega per la loro trasposizio

ne, entro il termine di diciotto mesi dall'entrata in vigore del provve dimento di legge (per qualche riferimento, cfr. R. Nunin, Legge comu

nitaria 2003: norme d'interesse giuslavoristico, in Lavoro giur., 2004,

5; P. Gremigni, La legge comunitaria 2003 in Gazzetta ufficiale, in

Guida al lav., 2003, fase. 47, 14). III. - Per un precedente giurisprudenziale comunitario, su una que

stione interpretativa della direttiva 93/104/Ce (ora divenuta direttiva

2003/88/Ce), v., da ultimo, Corte giust. 5 ottobre 2004, cause da C

397/01 a C-403/01, Pfeiffer, in Foro it., 2005, IV, 23, cui si rinvia per riferimenti ai più recenti sviluppi delle discipline e prassi giudiziali comunitarie in materia di orario di lavoro.

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PARTE QUARTA

1. - Con il suo ricorso la commissione delle Comunità euro

pee chiede alla corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari e

amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del con

siglio 21 giugno 1999 n. 1999/63/Ce, relativa all'accordo sul

l'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare con

cluso dall'associazione armatori della Comunità europea (Ecsa) e dalla federazione dei sindacati dei trasportatori dell'Unione

europea (Fst) (G.U. L 67, pag. 33; in prosieguo: la «direttiva»), nonché all'accordo europeo del 30 settembre 1998 sull'organiz zazione dell'orario di lavoro della gente di mare (in prosieguo:

1'«accordo»), allegato alla detta direttiva, o, comunque, non

avendo comunicato tali disposizioni alla commissione, è venuta

meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 3, n. 1, della detta direttiva.

Contesto normativo

2. - Conformemente all'art. 3, n. 1, della direttiva, gli Stati

membri erano tenuti a emanare le disposizioni legislative, re

golamentari e amministrative necessarie per conformarsi a que st'ultima entro il 30 giugno 2002. Gli Stati membri erano altresì

tenuti a darne immediatamente notizia alla commissione.

Procedimento precontenzioso

3. - La commissione, poiché il termine previsto all'art. 3, n. 1, della direttiva era scaduto senza che la Repubblica italiana l'a

vesse informata dei provvedimenti da essa adottati per confor

marsi pienamente alla direttiva medesima e, d'altronde, poiché non disponeva di altri elementi d'informazione sulla cui base

poter concludere che tale Stato membro aveva adempiuto agli

obblighi derivanti dalla detta direttiva, con lettera 16 luglio 2002 intimava alla Repubblica italiana di presentare le proprie osservazioni nel termine di due mesi.

4. - Non avendo ricevuto alcuna risposta da parte del governo italiano, il 16 gennaio 2003 la commissione indirizzava un pare re motivato alla Repubblica italiana invitandola ad adottare i

provvedimenti necessari per conformarsi a quest'ultimo entro

due mesi dalla sua notifica.

5. - Dal momento che il governo italiano non aveva risposto

neppure a tale parere motivato, la commissione ha deciso di

proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

6. - A sostegno del suo ricorso la commissione afferma che è

innegabile che, alla scadenza del termine di trasposizione, fis

sato al 30 giugno 2002, il governo italiano non aveva né adot

tato le disposizioni necessarie per trasporre la direttiva, né co

municato a tale istituzione alcun provvedimento a tal fine adot

tato. Per giunta, il detto governo non avrebbe fornito spiegazio ni in merito al ritardo così contestato.

7. - Il governo italiano conclude per il rigetto del ricorso in

quanto infondato, giacché sarebbe divenuto privo di oggetto. Con particolare riferimento alle clausole 4, 5 e 7 dell'accordo, il

detto governo fa valere che in sostanza quest'ultimo è già parte

integrante dell'ordinamento italiano e che, per il resto, esso farà

tutto quanto necessario ad assicurare una trasposizione completa sia della direttiva sia dell'accordo nel contesto di un progetto di

legge in corso di adozione.

8. - Il governo italiano aggiunge che il comportamento adde

bitatogli dalla commissione non può essere qualificato come

«grave e significativo inadempimento» degli obblighi imposti dal diritto comunitario.

Giudizio della corte

9. - Secondo una giurisprudenza costante, l'esistenza di un

inadempimento dev'essere valutata in relazione alla situazione

Il Foro Italiano — 2005.

dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termi

ne stabilito nel parere motivato (v., in particolare, sentenze 16

gennaio 2003, causa C-63/02, Commissione/Regno unito, Race,

pag. 1-821, punto 11, e 30 settembre 2004, causa C-496/03,

Commissione/Francia, punto 8). 10. - Ora, nella fattispecie, da un lato, la Repubblica italiana

ammette di non essersi pienamente conformata, alla scadenza

del termine impartito nel parere motivato, agli obblighi che le

incombono in forza della direttiva e dell'accordo ad essa alle

gato. 11. - Dall'altro lato, è pacifico che, a quella data, nessun

provvedimento di trasposizione era stato comunicato alla com

missione.

12. - Quanto all'argomento del governo italiano secondo il

quale l'inadempimento addebitato non presenterebbe alcun ca

rattere di gravità, esso dev'essere respinto alla luce della giu

risprudenza da cui risulta che il ricorso per inadempimento ha

natura oggettiva (v., in particolare, sentenza 17 novembre 1993, causa C-73/92, Commissione/Spagna, Racc. pag. 1-5997, punto 19; Foro it., Rep. 1996, voce Unione europea, nn. 719, 1455), di modo che il mancato rispetto di un obbligo imposto da una

norma di diritto comunitario costituisce di per sé un inadempi mento ed è irrilevante la considerazione che tale inosservanza

non abbia prodotto effetti negativi (v., in particolare, sentenze

21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. 1-5901, punti 60 e 61; Foro it., 2000, IV, 263, e 26

giugno 2003, causa C-233/00, Commissione/Francia, Racc. pag. 1-6625, punto 62; Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 1786).

13. - Alla luce di quanto sopra, il ricorso della commissione

dev'essere considerato fondato.

14. - Di conseguenza, occorre dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato le disposizioni legislative, regola mentari e amministrative necessarie per conformarsi alla diretti

va e all'accordo ad essa allegato o, comunque, non avendo co

municato tali disposizioni alla commissione, è venuta meno agli

obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 3, n. 1, della detta

direttiva.

Per questi motivi, la corte (quinta sezione) dichiara e statui

sce:

La Repubblica italiana, non avendo adottato le disposizioni

legislative, regolamentari e amministrative necessarie per con

formarsi alla direttiva del consiglio 21 giugno 1999 n.

1999/63/Ce, relativa all'accordo sull'organizzazione dell'orario

di lavoro della gente di mare concluso dall'associazione armato

ri della Comunità europea (Ecsa) e dalla federazione dei sinda

cati dei trasportatori dell'Unione europea (Fst), nonché all'ac

cordo europeo del 30 settembre 1998 sull'organizzazione del

l'orario di lavoro della gente di mare, ad essa allegato, o, co

munque, non avendo comunicato tali disposizioni alla commis

sione delle Comunità europee, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 3, n. 1, della detta direttiva.

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