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Sezione VI; decisione 21 febbraio 1983, n. 99; Pres. Benvenuto, Est. Cortese; Comune di Cattolica...

Date post: 31-Jan-2017
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Sezione VI; decisione 21 febbraio 1983, n. 99; Pres. Benvenuto, Est. Cortese; Comune di Cattolica (Avv. Rossi, Viola) c. Presidente della repubblica, Min. industria, commercio e artigianato e Soc. Standa (Avv. Antonini, Romanella). Annulla T.A.R. Emilia-Romagna 9 novembre 1978, n. 448 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 171/172-173/174 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175565 . Accessed: 25/06/2014 01:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.111 on Wed, 25 Jun 2014 01:08:30 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione VI; decisione 21 febbraio 1983, n. 99; Pres. Benvenuto, Est. Cortese; Comune diCattolica (Avv. Rossi, Viola) c. Presidente della repubblica, Min. industria, commercio eartigianato e Soc. Standa (Avv. Antonini, Romanella). Annulla T.A.R. Emilia-Romagna 9novembre 1978, n. 448Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 171/172-173/174Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175565 .

Accessed: 25/06/2014 01:08

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PARTE TERZA

rilievo di maggiore evidenza il risultato perseguito col provvedi mento, che è la materiale disponibilità, libera ed immediata, del

bene, indipendentemente dalle vicende dei rapporti reali ed ob

bligatori. Se dunque in caso d'urgenza l'amministrazione può

occupare (salvo il rispetto della procedura e nell'osservanza delle

condizioni di legge) i beni altrui, con sacrificio tanto dei diritti

del proprietario, quanto di quelli di chi ha rapporti contrattuali

con lui, non si vedrebbe perché non possa fare altrettanto con i

beni propri, eventualmente anche con sacrificio del diritto del

conduttore.

9 - Ci si dovrebbe chiedere a questo punto quale rilievo, ai

fini della legittimità, abbia la circostanza che nei provvedimenti del comune di Pavia si è ripetutamente parlato di espropriazione e di occupazione, non dell'immobile, ma del « diritto di loca

zione». Che tale espressione sia impropria, è fuor di dubbio,

primo perché semmai si doveva dire « diritto del conduttore » o « diritto derivante dal contratto di locazione », e, secondo, per

ché, qualora si seguisse la tesi esposta con le considerazioni

sinora svolte, oggetto dell'occupazione e dell'espropriazione non

avrebbe potuto essere che il bene immobile come oggetto di

diritti, non questo o quel diritto. Si potrebbe però rispondere che tale riconosciuta improprietà di dizione non ostacola la

piena ed inequivoca comprensione della volontà sottostante ai

provvedimenti; volontà che era manifestamente quella di conse

guire prima in via di fatto (con la occupazione) e poi in via di

diritto (con l'espropriazione) la completa e libera disponibilità dell'immobile. La stessa impossibilità logica di concepire una « occupazione del diritto di locazione » se non come « occupa zione dell'immobile locato », rendeva impossibile ogni equivoco circa il fine perseguito dalla amministrazione.

10 - La tesi interpretativa sin qui esposta condurrebbe dunque

all'accoglimento dell'appello del comune di Pavia. Ma tale tesi

non è prospettata, dal collegio, che in forma problematica, per ché la relativa sua novità, in rapporto ai rari e comunque contrasti precedenti, esige un migliore approfondimento che do

vrà essere svolto nell'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizio nali; si tratta infatti di questione sulla quale si è già registrato un contrasto tra sezioni (sia pure con pronunce relativamente distanziate nel tempo, tra di loro, e ulteriormente distanziate

rispetto al presente) e sulla quale potrebbe ulteriormente deter minarsi contrasto.

Si ritiene perciò opportuno deferire il giudizio dell'adunanza

plenaria, la quale risolverà anche le questioni qui non affrontate.

CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 21 febbraio

1983, n. 99; Pres. Benvenuto, Est. Cortese; Comune di Cattolica (Aw. Rossi, Viola) c. Presidente della repubblica, Min. industria, commercio e artigianato e Soc. Standa (Avv. Antonini, Romanella). Annulla T.A.R. Emilia-Romagna 9 no

vembre 1978, n. 448.

Giustizia amministrativa — Commercio — Autorizzazione all'aper tura di magazzino a prezzo unico — Impugnazione da parte del comune — Inammissibilità (L. 11 giugno 1971 n. 426, disci

plina del commercio, art. 44).

£ inammissibile l'impugnazione da parte del comune della deci

sione di un ricorso straordinario al capo dello Stato, relativo al provvedimento emanato dal ministro per l'industria, il com mercio e l'artigianato in materia di autorizzazione all'apertura di un negozio a prezzo unico, in quanto il comune non è un controinteressato pretermesso. (1)

(1) La carenza di legittimazione del comune ad impugnare decisioni rese dal ministero per l'industria, il commercio e l'artigianato in sede di ricorso avverso il provvedimento prefettizio in merito all'autorizza zione all'apertura di magazzini a prezzo unico (per i ricorsi pendenti la competenza del summenzionato ministero era fatta salva dall'art. 44 1. 426/71) era già stata affermata da T.A.R. Lazio, sez. II, 28 maggio 1980, n. 594, Foro it., Rep. 1981, voce Giustizia amministra tiva, n. 410 e da Cons. Stato, sez. VI, 23 gennaio 1976, n. 11, id., 1976, III, 672, con nota di richiami di A. Romano (entrambe le decisioni sono menzionate in motivazione). Quest'ultima pronuncia ha riconosciuto l'esistenza di un interesse a ricorrere da parte del comu ne nel solo caso venga contestata la sussistenza della competenza prefettizia riguardo al provvedimento emanato. V., inoltre, Cons. Sta to, sez. VI, 14 luglio 1981, n. 433, id., Rep. 1981, voce cit., n. 554 e T.A.R. Lazio, sez. II, 24 settembre 1975, n. 368, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1395, che hanno negato la qualifica di controinteressati agli organi che intervengono consultivamente nella procedura di rilascio di una licenza commerciale.

Per quanto riguarda i privati, nel caso di autorizzazione all'apertu

Diritto. — Non sussiste il vizio di inammissibilità dell'appello

per omissione di notifica alla p. a. appellata, eccepito dall'avvo

catura generale dello Stato. Invero il ricorso in appello risulta

notificato in duplice copia agli organi statali intimati, nei termini

di decadenza, presso la sede del ministero dell'industria in data

anteriore all'entrata in vigore della 1. 4 marzo 1979 n. 103.

Ritiene però la sezione che si profili il problema dell'inammis

sibilità per altra causa del ricorso di primo grado. Al riguardo è da premettere che, come è stato esposto in

narrativa, il comune di Cattolica ha proposto ricorso al T.A.R.

contro un decreto del capo dello Stato con il quale in accogli

mento di un ricorso straordinario è stato annullato, su conforme

parere del Consiglio di Stato, il decreto del ministero dell'indu

stria, commercio e artigianato, che aveva respinto un ricorso

gerarchico. Va specificato che il capo dello Stato è stato investito, a

seguito del ricorso straordinario proposto dalla s. p. a. magazzini

Standa della decisione sulla legittimità del decreto 26 novembre

1972 del ministro dell'industria, commercio e agricoltura, con il

quale era stato respinto il ricorso gerarchico proposto dalla

citata società attraverso il diniego prefettizio 13 dicembre 1969

all'autorizzazione all'apertura di un magazzino a prezzo unico.

Ciò premesso, è da dire che la sezione ha già avuto occasione

di occuparsi, in riferimento a decreto di accoglimento di ricorso

gerarchico, deciso dal ministero dell'industria ai sensi delle nor

me transitorie previste dalla nuova legge sul commercio (art. 44

1. 426/71 e 62 reg. ministeriale 14 gennaio 1972), della situa

zione giuridica soggettiva del comune interessato in ordine al

mantenimento dell'originario diniego « prefettizio » all'autorizza

zione ad aprire un magazzino a prezzo unico, per affermare il

difetto di legittimazione del comune a proporre ricorso giurisdi

zionale.

A tale risultato è pervenuta argomentando dal rilievo che nel

regime transitorio la gestione dell'interesse pubblico è rimessa

all'autorità che decide il ricorso gerarchico (min. industria e

commercio), e non al comune.

È stato infatti posto in luce che nel regime transitorio preso

in esame, la configurabilità di un interesse dei comuni non va

riconosciuta allorché si facciano meri portatori di interessi, più o

meno diffusi o individualizzati, della collettività di cui sono

espressione, ma quando il collegamento tra l'ente e gli interessi

sia istituzionalizzato ovveri rientri per legge nei compiti prefissa

tigli. Poiché in materia di licenza di commercio per magazzini

di vendita a prezzo unico, in virtù delle norme transitorie già

citate, per i procedimenti già in corso, è devoluta ai comuni

solo la materiale attuazione degli stessi, è da escludere che

l'interesse dell'ente locale sia qualificato dalla titolarità, sia pure

parziale, della potestà amministrativa in materia (sent. sez. VI

23 gennaio 1976, n. 11, Foro it., 1976, III, 672). Nella specie, in

sostanza, stante l'applicabilità della citata normativa transitoria,

il comune non si configura come autorità emanante di provve

dimenti amministrativi né è comunque coinvolto nella vicenda

giusta la testé citata dee. della VI sezione, a cui si è sostan

zialmente conformata la giurisprudenza successiva (T.A.R. Lazio,

sez. I, 28 maggio 1980, n. 594, id., Rep. 1981, voce Giustizia

amministrativa, n. 410).

La conclusione raggiunta in proposito porta alla conclusione

radicale di escludere che, nella specie, il comune fosse legittima

to a proporre ricorso giurisdizionale al T.A.R. Il carattere radi

cale del rilievo rende superfluo l'esame di ogni problema di rito

— subordinato — dipendente dalla natura dell'atto impugnato

davanti al T.A.R. (atto costituito, nella specie, da un decreto

presidenziale decisorio di ricorso straordinario).

Ora alla stregua della più recente interpretazione giurispruden ziale tale ragione di inammissibilità del ricorso di primo grado — non eccepita dalla parte intimata né rilevata d'ufficio dal

T.A.R. — può esser rilevata anche d'ufficio in sede di appello.

Non ha quindi alcun effetto preclusivo la circostanza che detta

ragione di inammissibilità non sia stata prospettata con atto

ra di nuovi esercizi commerciali, sussiste un interesse a ricorrere da

parte dei concorrenti che svolgono la loro attività nella stessa zona

(Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 1979, n. 15, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 482; T.A.R. Veneto 30 gennaio 1979, n. 5, ibid., n. 826; Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 1978, n. 1044, ibid., n. 563); mentre, nell'ipotesi di controversie originate da diniego di tale autorizzazione, si afferma che il potenziale concorrente non assume la qualifica di controinteressato (Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 1977, n. 1047, id., Rep. 1978, voce cit., n. 767), potendo però salvaguardare i suoi interessi mediante un intervento ad opponendum (T.A.R. Friuli-Vene zia Giulia 17 novembre 1976, n. 148, id.. Rep. 1977, voce cit., n.

736). Sull'ammissibilità di tale intervento v. inoltre Cons. Stato, sez.

V, 22 giugno 1979, n. 336, id., 1980, III, 97.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

appellatorio. Infatti va considerato che la regolarità dei presup posti di rito dell'originario ricorso in prime cure esplica la sua rilevanza — a meno che non si sia formato un giudicato contra rio — anche nel giudizio d'appello, oltre che in primo grado. E la circostanza che il giudice di prime cure non abbia verificato d'ufficio la prescritta regolarità non esime il giudice d'appello dall'analogo controllo, alla stregua dell'art. 28, ult. comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 (cfr. ad. plen. 22 dicembre 1982, n. 21).

Va dunque nella specie pronunciata la inammissibilità del ricorso innanzi al T.A.R., il quale ha omesso qualsiasi conside razione in ordine al problema in questione.

La sentenza del T.A.R. va pertanto modificata per quanto di

ragione, nel senso che il ricorso di primo grado — anziché

rigettato nel merito — va dichiarato inammissibile. (Omissis)

CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; decisione 8 novembre

1982, n. 773; Pres. Piga, Est. Merenda; Ente ospedaliero

Niguarda Cà Grande di Milano (Avv. Montesano, Romeo) c.

Miagostovich (Aw. Ferrasi, Bianchi, Nespor). Conferma T.A.R. Lombardia 4 marzo 1981, n. 316.

Impiegato dello Stato e pubblico — Assenza dal servizio —

Fatto indipendente dalla volontà dell'impiegato — Decadenza

dall'impiego — Inapplicabilità — Fattispecie (D. p. r. 27 marzo

1969 n. 130, stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri, art. 60; d. p. r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 127).

È illegittimo il provvedimento di decadenza dall'impiego per as senza ingiustificata adottato nei confronti del dipendente sotto

posto alla misura di prevenzione dell'obbligo di soggiorno in un comune diverso da quello in cui svolge l'attività lavora tiva. (1)

Diritto. — Va preliminarmente esaminata l'eccezione sollevata

dal Miagostovich secondo il quale l'ente ospedaliero non avrebbe

impugnato il capo della sentenza relativo all'annullamento del

primo provvedimento (messa in stato di assenza non retribuita)

per cui anche la seconda delibera sarebbe affetta da nullità

derivante dalla nullità dell'atto presupposto e quindi l'appello

(1) Il Consiglio di Stato conferma la decisione del T.A.R. Lombar dia 4 marzo 1981, n. 316 (Foro it., Rep. 1981, voce Impiegato dello

Stato, nn. 1064, 1066) sia sotto il profilo dell'inapplicabilità della

disciplina della decadenza per assenza arbitraria dal servizio ad un caso di assenza indipendente dalla volontà dell'interessato quale la

sottoposizione alla misura del soggiorno obbligato in una sede diversa da quella di impiego sia sotto quello dell'inammissibile equiparazione, quanto alle conseguenze sul piano della cessazione del rapporto d'impiego, tra la suddetta misura di prevenzione e la condanna penale per quei reati che, per espresso disposto di legge, comportano la destituzione automatica. Su tale ultimo aspetto, nel quale il

collegio censura il comportamento dell'amministrazione come violativo del principio di tipicità, per aver adottato il provvedimento in base all'art. 60 d. p. r. 130/69, che riguarda la decadenza per assenza

ingiustificata, ottenendo effetti analoghi a quelli della destituzione senza che di questa ricorressero presupposti e condizioni, v. T.A.R.

Emilia-Romagna 20 novembre 1980, n. 607, ibid., voce Sanitario, n. 249, in un caso in cui, invece del provvedimento di dispensa per incapacità professionale ex art. 60, 21° comma, d.p. r. cit., era stato

illegittimamente adottato un provvedimento di dispensa per in sufficiente rendimento in base al 16° comma dello stesso art. 60. Sulle varie questioni concernenti la destituzione in seguito a condanna

penale v. Cons. Stato, sez. VI, 4 maggio 1982, n. 243, id., 1982, III, 402, con nota di richiami.

Sul profilo della illegittimità della mancata diffida a riprendere servizio, cui si accenna in motivazione e assorbito dal più grave rilievo della inapplicabilità della norma in base alla quale l'ammini strazione ha adottato il provvedimento di decadenza, v. T.A.R. Pie monte 6 febbraio 1980, n. 75, ibid., 104, con nota di richiami, ove

peraltro si afferma l'irrilevanza della mancata comminatoria della decadenza nella preventiva diffida.

Sul problema della legittimità (e della natura) del licenziamento, nel rapporto di lavoro privato, dei dipendenti sottoposti a misura di

prevenzione e di quelli sottoposti a carcerazione preventiva, v. Pret. Gela 14 dicembre 1979 e Cass. 1° aprile 1980, n. 2317, id., 1981, I,

203, con nota di richiami. Sulle vicende giudiziarie riguardanti l'applicazione della misura del

l'obbligo di soggiorno al resistente v. Cass. 24 giugno 1980, Miago stovich, id., Rep. 1981, voce Misure di prevenzione, n. 24; Pret.

Orvieto, ord. 27 settembre 1980, id., 1981, II, 295, di rimessione alla corte della questione di legittimità costituzionale degli art. 5 e 9 1. n. 1423/56 in riferimento agli art. 21, 49 e 25 Cost., questione di chiarata non fondata da Corte cost. 5 maggio 1983, n. 126. che sarà

riportata nel prossimo fascicolo.

sarebbe inammissibile essendo diretto ad ottenere il riconosci mento di legittimità ad un atto la cui nullità discenderebbe direttamente dall'annullamento, ormai inoppugnabile, dell'atto che ad esso ha dato origine.

L'eccezione è infondata; anche prescindendo dalla considera zione che i due provvedimenti non sono da considerarsi cosi

collegati l'uno con l'altro da provocare la nullità del secondo con l'annullamento del primo, tant'è che la dichiarazione di decadenza deriva dalla constatata impossibilità di prolungare l'assenza per tre anni (nessuna rilevanza potendo avere il fatto che la messa in stato di assenza non retribuita sia stata delibe rata o meno), il collegio rileva che l'appello proposto dall'ente

ospedaliero investe la sentenza nella sua interezza e non è assolutamente possibile individuare nel gravame una qualsiasi espressione che faccia riferimento ad un capo piuttosto che ad un altro della decisione. Lo sforzo dell'ente appellante è diretto esclusivamente a dimostrare la legittimità del suo comportamento e quindi l'erroneità della sentenza.

Passando all'esame di merito del ricorso il collegio ritiene che

esso sia infondato.

Va infatti rilevato che il provvedimento di decadenza annulla to dal T.A.R. è stato adottato a norma dell'art. 60 d. p. r. n.

130/69 il quale richiama espressamente la normativa vigente per gli impiegati civili dello Stato e quindi l'art. 127 d.p.r. n. 3/57.

Orbene, l'unica ipotesi a cui può essere riconducibile la fatti

specie in esame è quella di cui alla lett. c) dell'art. 127 che

prevede la decadenza dall'impiego per i casi in cui il dipendente non prenda o non riprenda servizio senza giustificato motivo; l'ente ospedaliero perciò, dopo aver deliberato di ritenere il

Miagostovich in stato di assenza non retribuita, ha dichiarato il

dipendente decaduto dall'impiego considerando la sua assenza

non giustificata. In proposito il collegio osserva che, come giu stamente rilevato dal primo giudice, tale determinazione è illegit tima e la sua illegittimità deriva non solo dalla circostanza che,

malgrado l'esplicita prescrizione dell'art. 60 d.p.r. n. 130/69 e

dell'art. 127 t. u. n. 3 del 1957, non vi è stata la preventiva diffida dell'amministrazione e non è stata sentita la commissione

consultiva, ma anche e soprattutto dall'inapplicabilità al caso in

esame del citato art. 60 d.p.r. n. 130/69. Se è vero, come è

vero, che neanche l'emissione di un mandato di cattura nei

confronti di un pubblico impiegato provoca la sua decadenza

dall'impiego, essendo prescritta soltanto la sospensione cautelare,

sia pure obbligatoria (art. 91 d.p.r. n. 3/57), ed anche quando

sopraggiunga una condanna penale per reati per i quali non è

espressamente prevista la decadenza, il dipendente è sospeso solo

dalla qualifica fino a quando non abbia scontato la pena, non è

assolutamente ammissibile che, attraverso l'artifizio dell'ingiu stificabilità dell'assenza, venga dichiarato decaduto dall'impiego il

dipendente nei cui confronti siano state adottate misure di pre venzione assolutamente non riconducibili al concetto di condan

na penale.

L'impiegato oggetto di tali misure lo è non per quello che ha

fatto, ma per quello che potrebbe essere portato a fare e quindi

non è certamente paragonabile al condannato con sentenza pas sata in giudicato nei cui confronti, oltre tutto, solo in determina

ti e limitati casi viene dichiarata la decadenza dall'impiego. È pertanto esatto quanto affermato dal primo giudice, il quale

ha giustamente sostenuto che l'assegnazione di un dipendente al

confino di polizia non comporta di per sé l'adozione automatica

della decadenza dal servizio o della destituzione o di altre

sanzioni, ma postula, al contrario, l'esecuzione di accertamenti e

valutazioni sulla situazione complessiva, del che l'amministrazio

ne non si è data, nel caso di specie, alcun carico.

È poi del tutto inconferente il richiamo fatto dall'ente appel lante alla sinallagmaticità del rapporto di impiego che di per sé

non è sufficiente a provocare una decadenza non prevista e

spressamente dalla legge e non è nemmeno applicabile alla fat

tispecie in esame l'art. 2129 e. c. attesoché il rapporto in og

getto è regolato diversamente dalla legge ed il provvedimento è stato invece adottato a norma dell'art. 60 d. p. r. n. 130/69.

Ugualmente irrilevante è la considerazione svolta dall'ospedale a

proposito della circostanza che i requisiti richiesti per l'ammis

sione a rapporto di pubblico impiego debbono essere posseduti dal dipendente per tutta la durata del rapporto.

Tali osservazioni sono indiscutibilmente esatte, ma l'accerta

mento relativo richiede altra procedura, esige altri metodi di

indagini, di contestazioni, di procedimenti e non si può certo

ricorrere all'applicazione dell'art. 60 d.p.r. n. 130 per giungere a

conseguenze a cui quella norma e la procedura prescritta non

possono portare. Di fronte al fatto « invio a soggiorno obbliga to » l'ente ospedaliero Niguarda Ca' Grande aveva tanti diversi

mezzi a sua disposizione per operare nel più corretto dei modi

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