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sezione VI; decisione 5 marzo 2002, n. 1303; Pres. Ruoppolo, Est. Garofoli; Soc. Poste italiane...

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sezione VI; decisione 5 marzo 2002, n. 1303; Pres. Ruoppolo, Est. Garofoli; Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Clarizia) c. Pignataro (Avv. Creaco). Conferma Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 9 giugno 2001, n. 455 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 237/238-253/254 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198310 . Accessed: 28/06/2014 12:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:24 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI; decisione 5 marzo 2002, n. 1303; Pres. Ruoppolo, Est. Garofoli; Soc. Poste italiane(Avv. Fiorillo, Clarizia) c. Pignataro (Avv. Creaco). Conferma Tar Calabria, sez. Reggio Calabria,9 giugno 2001, n. 455Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 237/238-253/254Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198310 .

Accessed: 28/06/2014 12:16

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all'ac

coglimento della domanda. Appare in linea con queste premesse rimarcare la funzione sussidiaria e di completamento dell'azio

ne risarcitoria, la cui cognizione è stata coerentemente affidata

al medesimo giudice, rispetto alla tutela giurisdizionale accor

data con l'annullamento dell'atto impugnato. Le considerazioni che precedono risultano particolarmente

calzanti con riferimento alla fattispecie in argomento, dove ap

punto la domanda risarcitoria si accompagna a quella di annul

lamento degli atti della procedura espropriativa. Resta invece ad

essa estranea l'ipotesi della domanda di risarcimento autonoma,

connessa al problematico istituto della c.d. occupazione appro

priala (sul quale, v., da ultimo, la pronuncia restrittiva della

Corte europea dei diritti dell'uomo 30 maggio 2000, id., 2001,

IV, 233), per effetto del quale l'occupazione sine titulo del fon

do e l'esecuzione dell'opera pubblica danno luogo all'acquisto a titolo originario dell'opera e del suolo occupato a beneficio

dell'amministrazione, col diritto del proprietario irritualmente

espropriato ad ottenere il risarcimento del danno, limitato nei

sensi previsti dall'art. 5 bis, comma 7 bis, d.l. 333/92.

Ma tale istituto ha legittimazione di esistere solo nella misura

in cui all'attività di costruzione sia attribuito un vincolo di ri

spondenza in concreto a fini pubblici mediante una dichiarazio

ne di pubblica utilità (cfr. Cass., sez. un., 1907/97, cit., secondo

cui, qualora la dichiarazione implicita sia carente dei termini

iniziali e finali per l'esecuzione dei lavori, la carenza del potere

espropriativo da cui deriva l'inidoneità della procedura ad affie

volire la pienezza del diritto dominicale determina l'illegittimità ab origine dell'occupazione e l'illecito permanente dell'opera

pubblica, il quale, oltre a legittimare la richiesta di restituzione

del bene, impedisce la decorrenza del termine prescrizionale dell'azione risarcitoria).

Quando dunque, come nella specie, l'annullamento travolge la dichiarazione di pubblica utilità, viene a mancare — alla stre

gua della giurisprudenza sia del giudice amministrativo che di

quello ordinario (cfr. Cass. 10 gennaio 1998, n. 148, id., Rep. 1998, voce cit., nn. 337, 464; 18 febbraio 2000, n. 1814, id.,

2000,1, 1857; Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3177, id.,

Rep. 2000, voce cit., n. 447) — il presupposto giuridico per

l'occupazione appropriati va in ordine a quanto successivamente

realizzato dall'amministrazione, non essendo apprezzabile il

collegamento teleologico tra l'opera costruita ed il pubblico in

teresse, e residuando solo un fatto illecito permanente, generato re di danno (in giurisprudenza si parla anche di «occupazione

usurpativa», che obbliga alla restituzione del bene); quest'ulti mo è da liquidarsi, qualora il privato opti per la tutela risarcito

ria, nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti

previsti dal suddetto art. 5 bis.

Per quanto riguarda, nel concreto, l'accertamento del danno e

delle misure reintegratorie, deve disporsi la restituzione dei fon

di illecitamente occupati e non interessati dall'esecuzione del

l'opera pubblica, fatta salva la corresponsione dei frutti civili, nella misura almeno degli interessi legali, ritraibili dalla somma

corrispondente al valore venale delle aree occupate, per il perio do che va dall'illecita apprensione (9 settembre 1999) all'effet

tiva restituzione.

Per quanto invece concerne le aree già interessate dall'esecu

zione dell'opera pubblica, tenendo conto anche dei principi dettati in tema di reintegrazione in forma specifica dagli art.

2058 e 2933 c.c., e dei danni che ricadrebbero sulla collettività a

causa della distruzione delle opere realizzate od in via di realiz

zazione, il collegio ritiene di dover disporre il risarcimento dei

danni per equivalente, chiesto in via subordinata dagli appellan ti. Del resto è il legislatore, con l'art. 35 d.leg. 80/98, ad aver a

chiare lettere affermato che il giudice dispone, «anche attraver

so la reintegrazione in forma specifica», il risarcimento del dan

no ingiusto, prevedendo dunque che la reintegrazione è solo una

delle possibili forme di risarcimento, subordinata peraltro a li

miti e condizioni di attuazione.

Ai fini della liquidazione del danno risarcibile, non specifi camente quantificato dagli appellanti e che, per i motivi sopra

esposti, non può essere soggetto ai limiti di cui all'art. 5 bis d.l.

333/92, la sezione ritiene, aderendo alla richiesta residuale dei

reclamanti, di dover utilizzare lo strumento di semplificazione di cui all'art. 35, 2° comma, d.leg. 80/98, che consente al giudi ce amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l'ammini

II Foro Italiano — 2003.

strazione deve proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.

Il comune intimato dovrà, pertanto, elaborare una proposta ri

sarcitoria, da sottoporre agli aventi titolo entro centocinquanta

giorni dal passaggio in giudicato della presente decisione, che

tenga conto, nel computo, del valore della porzione occupata dei

fondi di proprietà degli appellanti, alla data di ultimazione dei

lavori (a titolo di risarcimento del danno derivante dall'occupa zione di tale porzione a titolo definitivo), nonché del deprezza mento del valore residuo dei beni di proprietà, parimenti alla

data di ultimazione dei lavori, da quantificarsi in misura non in

feriore al trenta per cento del valore venale dei predetti cespiti. Vanno altresì corrisposti il rimborso dei costi eventualmente

sostenuti ai fini del riadattamento delle porzioni immobiliari re

stituite e dei beni residui di proprietà, nonché, in ogni caso, co

me da richiesta degli appellanti, gli accessori di legge, ed in

particolare gli interessi legali sulla somma pari al valore venale

delle porzioni di fondo occupate, calcolati dalla data di immis

sione in possesso fino alla data di ultimazione dei lavori.

Trattandosi inoltre di debito di valore, le somme sopra de

scritte dovranno essere rivalutate, secondo gli indici Istat, dalla

data di ultimazione dei lavori fino al deposito della presente de

cisione (momento in cui per effetto della liquidazione giudiziale il debito di valore si trasforma in debito di valuta).

7. - Nei sensi suddetti, l'appello va accolto.

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 5 marzo 2002, n. 1303; Pres. Ruoppolo, Est. Garofoli; Soc. Poste

italiane (Avv. Fiorillo, Clarizia) c. Pignataro (Avv. Crea

co). Conferma Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 9 giugno 2001. n. 455.

Atto amministrativo — Accesso ai documenti — Attività del

gestore di servizio pubblico — Ammissibilità — Limiti (L. 7 agosto 1990 n. 241, nuove norme in materia di procedi mento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti

amministrativi, art. 22, 23).

E ostensibile ai sensi degli art. 22 e 23 l. 241/90 l'attività del

gestore del servizio pubblico che possa ritenersi strumentale

all'attività di gestione in senso stretto; tale strumentalità de

ve essere intesa in senso più ampio allorché l'organismo so

cietario deputato alla gestione del servizio pubblico sia sotto

posto in forza dello statuto ad un vincolo di scopo e presenti anomalie strutturali e di funzionamento tali da denotare lo

stretto legame della società all'ente pubblico, da cui deriva

l'assoggettamento della società medesima al principio di tra

sparenza, ex art. 97 Cost. (1)

(1) Con la decisione in epigrafe il Consiglio di Stato ha confermato il

principio affermato dall'adunanza plenaria (Cons. Stato, ad. plen., 22

aprile 1999, n. 4, Foro it., Rep. 1999, voce Atto amministrativo, n. 301; 22 aprile 1999, n. 5, id., 1999, III, 305, con nota di richiami) in forza del quale, nei confronti degli atti di natura privata adottati dal gestore del servizio pubblico, deve essere ammesso il diritto di accesso sulla base di un criterio funzionale, quando, cioè, la relativa attività sia di

retta ad incidere sulla gestione del servizio. La VI sezione riprende le argomentazioni dell'adunanza plenaria che

ha chiarito che i principi di buon andamento e d'imparzialità di cui al l'art. 97 Cost., su cui si fonda il diritto di accesso ai sensi dell'art. 22 1.

241/90, rappresentano valori essenziali di riferimento dell'attività di

gestione degli interessi pubblici e, pertanto, riguardano sia l'attività fi nalizzata all'emanazione dei provvedimenti, sia l'attività di diritto pri vato di un ente pubblico (nello stesso senso, v. Tar Lazio, sez. II, 9

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PARTE TERZA 240

Diritto. — L'appello è infondato e va pertanto respinto.

A sostegno del gravame, la difesa dell'appellante adduce la

natura asseritamente privatistica di Poste italiane s.p.a., il ca

rattere prevalentemente concorrenziale dell'attività dalla stessa

espletata, nonché, ancora, l'assenza del nesso di strumentalità

tra l'attività di elaborazione e comparazione delle schede di

valutazione personale e quella di diretta gestione del servizio

pubblico. Un consapevole scrutinio delle indicate censure presuppone

la ricostruzione dei profili teorici involti nella presente vicenda

processuale. Il collegio è chiamato ad esaminare la questione, da tempo

oggetto di un dibattito mai del tutto sopito, relativa all'ostensi

bilità degli atti di diritto privato posti in essere dai gestori di

pubblici servizi: più in particolare, viene in considerazione il

maggio 2001, n. 4025, Trib. amm. reg., 2001,1, 1610; Cons. Stato, sez.

V, 8 giugno 2000, n. 3253, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 309, se condo cui l'ordinamento non ha inteso garantire alcuna «zona franca» nei confronti degli atti regolati dal diritto privato posti in essere da

un'amministrazione; sez. VI 8 marzo 2000, n. 1159, ibid., n. 310; sez. V 6 dicembre 1999, n. 2046, ibid., n. 311), sia l'attività posta in essere dal gestore del servizio pubblico, indipendentemente dall'esistenza di un titolo di concessione (cfr. Cons. Stato, sez. IV. 30 marzo 2000, n.

1821, ibid., n. 308; sez. VI 17 marzo 2000, n. 1414, ibid., n. 353; Tar

Abruzzo, sez. Pescara. 12 febbraio 2000, n. 103, ibid., n. 344). La soluzione corrisponde alla scelta normativa di cui all'art. 4, 2°

comma, 1. 3 agosto 1999 n. 265 che ha previsto che il diritto di accesso si esercita anche nei confronti dei gestori di servizio pubblico, confer mandosi così il collegamento tra diritto di accesso e attività di gestione degli interessi pubblici.

Con la pronuncia in epigrafe, la VI sezione ha, inoltre, confermato i

principi espressi dalle decisioni dell'adunanza plenaria 4 e 5/99, secon do cui, sulla base del criterio funzionale, rappresentato dalla cura degli interessi pubblici, il diritto di accesso è ammesso nei confronti dell'at tività residuale rispetto a quella di gestione in senso stretto, a seguito di una valutazione comparativa effettuata con riferimento: a) al grado di strumentalità dell'attività residuale rispetto all'attività di gestione del

servizio; b) al regime sostanziale dell'attività; c) allo svolgimento del l'attività secondo regole procedimentali assunte dal gestore e finaliz zate allo svolgimento del servizio in base ai principi di trasparenza, buona fede e correttezza. Secondo la VI sezione il criterio della stru mentalità all'interesse pubblico è dilatato quando i soggetti gestori, pur rivestendo una forma privatistica, presentano caratteri a forte impronta pubblicistica, in quanto per tali soggetti il dovere d'imparzialità deriva anche dal collegamento strutturale con il pubblico potere.

A seguito delle decisioni dell'adunanza plenaria, sono state superate le obiezioni sollevate da parte della giurisprudenza che riconosceva, in vece, il diritto di accesso in riferimento ai soli atti di natura pubblicisti ca, per perseguire obiettivi di trasparenza, contraddittorio e imparzialità nei confronti dell'amministrazione che agisce in situazione di suprema zia: Tar Lazio, sez. Latina, 27 gennaio 1999, n. 70, id., Rep. 1999, voce

cit., n. 247, cui adde Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 1999, n. 246, ibid., n. 246, secondo cui il diritto di accesso deve essere escluso nei con fronti degli atti contrattuali di natura civilistica, in quanto attività «di sancorata dall'interesse pubblico di settore istituzionalmente rimesso alle cure dell'apparato amministrativo».

A sostegno dell'indirizzo favorevole all'estensione del diritto di ac

cesso, che la decisione in rassegna ha rilevato essere «più in linea con il

quadro normativo», anche se «meritevole di ulteriore ripensamento», si

pone la definizione di documento amministrativo di cui all'art. 22, 2°

comma, 1. 241/90 che estende l'accesso agli atti «comunque utilizzati ai fini dell'attività amministrativa», definizione ampia che non consente di escludere dall'accesso gli atti disciplinati dal diritto privato (in que sto senso, v. Tar Lazio, sez. II, 18 luglio 2001, n. 6638, id., Rep. 2001, voce cit., n. 216; in senso contrario, v., tuttavia, Cons. Stato, sez. VI, 22

gennaio 2001, n. 191, ibid., n. 218, secondo cui in linea di principio il diritto di accesso viene riconosciuto in riferimento agli atti «formati»

dall'amministrazione, mentre gli atti provenienti dai soggetti privati detenuti dall'amministrazione, sono suscettibili di ostensione solo se ed in quanto «utilizzati ai fini dell'attività amministrativa» ovverosia al

lorché, indipendentemente dalla caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto un'incidenza nelle determinazioni amministrative), e l'art. 23 1. 241/90 che ricomprendeva tra i soggetti passivi dell'accesso i conces sionari (ora gestori) di servizio pubblico, normalmente operanti in re

gime di diritto privato. Sul punto, v. Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio

1997, n. 82, id.. 1997,111,254. Altra ipotesi di diritto di accesso introdotta di recente è regolata dal

l'art. 3 1. 5 marzo 2001 n. 57, che riconosce l'accesso ai soggetti che abbiano stipulato contratti di assicurazione in riferimento agli atti con

II Foro Italiano — 2003.

tema della sussumibilità entro l'ambito oggettivo di efficacia

delle generali disposizioni in materia di accesso ai documenti

amministrativi delle schede di valutazione personale utilizzate

da Poste italiane s.p.a. in seno al procedimento volto alla com

pilazione di una graduatoria che ha condotto al trasferimento

dell'odierna appellata. Giova ripercorrere in modo sintetico le tappe salienti del di

battito e gli esiti cui si è pervenuti con le decisioni 4 e 5/99 del

l'adunanza plenaria (Foro it., Rep. 1999, voce Atto amministra

tivo, n. 301, e id., 1999, III, 305). In una prima fase dell'evoluzione pretoria, prevaleva l'indi

rizzo propenso a circoscrivere la sfera oggettuale del diritto di ac

cesso ai soli atti inerenti ad attività almeno latamente riconducibi

le all'esercizio di potestà o, comunque, di strumenti pubblicistici

(Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, id., 1995, III, 604).

elusivi dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni che li riguardano, nei confronti delle imprese che operano nel settore del ramo dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità ci vile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Se entro sessanta giorni l'assicurato non è messo in condizioni di prendere visione degli atti, può rivolgersi all'Isvap.

Sul tema dell'ostensibilità degli atti posti in essere dal gestore di ser vizio pubblico, in dottrina, v. M.A. Sandulli, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 2000, aggiornamento IV, 14 ss.; C.E. Gallo - S. FoÀ, Accesso agli atti

amministrativi, voce del Digesto pubbl, Torino, aggiornamento 2000, 19 ss.; I. Petrone, Diritto di accesso e attività di diritto privato delta

pubblica amministrazione, in <www.filodiritto.com>; S. Bellomia, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi e i suoi limiti, Milano, 2000, 50 ss.; F. Caringella-R. Garofoli-M.T. Sempreviva, L'accesso ai documenti amministrativi, Milano. 1999, 128. Sul diritto di accesso, v., inoltre, A. Simonati, L'accesso amministrativo e la tutela della ri

servatezza, Trento, 2002. Da rilevare che, in motivazione, la VI sezione fa riferimento alla no

zione comunitaria di «interesse economico generale»; in base a tale no zione il gestore è assoggettato ad obblighi di esercizio e tariffari per ga rantire l'espletamento dell'attività in conformità alle norme di conti

nuità, regolarità di accesso, qualità. Sul nesso tra diritto di accesso e nozione di servizio pubblico in senso oggettivo, v. Cons. Stato, ad.

plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1, Foro it., 2000, III, 365, con osservazio ni di F. Fracchia, Giurisdizione esclusiva, servizio pubblico e specia lità del diritto amministrativo', la decisione sottolinea come «il diritto comunitario e quello interno . . . stanno sempre più eliminando i mono

poli e talvolta escludono la possibilità di ravvisare un'amministrazione 'concedente' rispetto al privato che svolge il servizio pubblico o a

quelli che lo svolgono in regime di concorrenza: in considerazione de

gli interessi collettivi coinvolti, l'ordinamento esige comunque stan dard della qualità dei servizi e delle attività imprenditoriali ... e ri chiede che l'attività del gestore sia sottoposta all'attività di vigilanza e di controllo, affinché l'interesse del pubblico sia sempre perseguito». In dottrina, cfr., nello stesso senso, V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, 64 ss., che ha evidenziato che la nozione di servizio pubblico in senso oggettivo è emersa di recente con riferi mento ad alcuni istituti, quali il diritto di accesso alle informazioni, con la finalità di tutelarne «in modo particolarmente puntuale l'esercizio (e la continuità)» e, quindi, «il soggetto che svolge il servizio diventa in differente: quel che conta è il modo di gestione del servizio».

Alla nozione oggettiva di servizio pubblico fa riferimento la giuris prudenza, tra l'altro, in riferimento all'ambito di applicazione degli art.

33, 34 e 35 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, che prevedono la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizio pubblico. In

argomento, v. Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 2001, n. 1807, Foro it.,

Rep. 2001, voce Porti, spiagge, fari, n. 32, e Urbanistica e appalti, 2001, 1105, con nota di A. Travi, Utenza di beni pubblici e utenza di servizi pubblici: un confine in evoluzione; 2 marzo 2001, n. 1206, Foro

it., 2002, III, 425, con nota di richiami e osservazioni di I. Paola, Le società per azioni a partecipazione pubblica: pubblicità dell'attività o

pubblicità dell'ente?, che ha escluso che il servizio bancoposta possa configurarsi come attività oggettivamente amministrativa.

La pronuncia in epigrafe si segnala, inoltre, in quanto richiama e conferma la precedente decisione di Cons. Stato, sez. VI, 1206/01, cit., che ha ritenuto sussistente la compatibilità tra la veste formale di so cietà di diritto privato e la natura di carattere pubblicistico di Poste ita liane s.p.a. che è interamente posseduta dallo Stato, sottoposta agli in dirizzi dettati dallo Stato, per il perseguimento dei fini pubblici.

In tema di diritto di accesso, Cons. Stato, sez. VI, ord. 22 gennaio 2002, n. 403, ibid., 225, con nota di G. D'Angelo, ha affermato che è inammissibile l'appello avverso l'ordinanza con la quale il tribunale decide in merito all'impugnativa di cui all'art. 25, 5° comma, 1. 7 ago sto 1990 n. 241, proposta in pendenza di un ricorso giurisdizionale.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

A sostegno dell'opzione indicata erano addotte tre essenziali

ragioni, la prima attenta alla ratio sottesa alla disciplina intro

dotta dalla 1. 241/90, la seconda desunta dalla formulazione let

terale delle disposizioni dalla stessa previste in tema di diritto di

accesso, la terza, infine, elaborata tenendo conto delle implica zioni di più ampia portata potenzialmente ricollegabili al pa ventato ampliamento del diritto medesimo all'attività di diritto

privato. In primo luogo, si osservava che l'esigenza di garantire l'at

tuazione degli obiettivi perseguiti con la 1. 241/90, considerata

nel suo impianto complessivo, oltre che con specifico riguardo alla disciplina del diritto di accesso, quali quelli della correttez

za, del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica am

ministrazione, si pone solo quando la pubblica amministrazione

si presenti in veste di autorità, esercitando potestà pubbliche o

godendo di situazioni di supremazia, rispetto alle quali il diritto

di accesso costituirebbe «una sorta di contrappeso». La disciplina sull'accesso è intesa quale strumento per il ri

stabilimento dell'equilibrio nel rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione: in questa prospettiva il diritto di accesso è de

stinato ad operare solo ove sussista la necessità di una perequa zione tra le posizioni, ossia nei rapporti in cui il soggetto pub blico si trovi in una condizione di potestà ed eserciti strumenti

pubblicistici. Diversamente, quando l'amministrazione scende

nell'arena del diritto privato non è configurabile un diritto di

accesso.

D'altra parte, sul versante dell'interpretazione letterale, le di

sposizioni in tema di accesso utilizzano — si sosteneva — l'ag

gettivo «amministrativo» al fine di indicare l'esercizio di pote stà pubbliche autoritative: un differente approccio interpretati

vo, oltre a risultare in contrasto con le indicate finalità sottese

all'introduzione di una generale disciplina dell'accesso, avrebbe

posto l'ente pubblico, in particolare quello economico, in una

posizione deteriore rispetto ad altri operatori economici, svol

genti la medesima attività.

Ribaltando l'impianto ermeneutico elaborato nella richiamata

decisione 412/95, la stessa quarta sezione del Consiglio di Stato

ha affermato, con decisione 82/97 (id., 1997, III, 254), l'oppo sto principio secondo cui devono ritenersi documenti ammini

strativi, in quanto tali potenziale oggetto del legittimo esercizio

del diritto di accesso garantito e disciplinato dalla 1. 241/90, non

solo quelli relativi ad atti che siano espressione di potestà pub bliche, ed in specie manifestazione di poteri autoritativi della

pubblica amministrazione, ma anche quelli relativi ad atti di di

ritto privato. Si tratta di indirizzo che, pur meritevole di ulteriore ripensa

mento, è subito apparso più in linea con il quadro normativo

complessivo. Ed invero, l'indirizzo favorevole all'estensione del diritto di

accesso agli atti di diritto privato della pubblica amministrazio

ne rinviene nell'ampia nozione di documento fornita dal 2°

comma del citato art. 22, un sostegno di diritto positivo: tale di

sposizione, infatti, qualifica come documenti, da un lato, quelli relativi ad atti, anche interni, formati dalla pubblica amministra

zione, dall'altro, quelli che, pur essendo eventualmente elabo

rati da soggetti terzi, anche privati, siano «comunque utilizzati

ai fini dell'attività amministrativa» (cfr., da ultimo, per una ri

gorosa delimitazione della portata di tale disposizione, Cons.

Stato, sez. VI, 22 gennaio 2001, n. 191, id., Rep. 2001, voce

cit., n. 218). A ciò si aggiunga che l'art. 23 1. 241/90, includendo nel no

vero dei soggetti passivi dell'accesso i «gestori» di pubblici servizi, ossia persone giuridiche, spesso aventi natura privata e,

comunque, normalmente operanti, quale che sia la natura giuri dica assunta, in regime privatistico, rappresenta un indubbio

sintomo della bontà della tesi secondo cui il diritto di accesso

può essere esercitato in relazione ad atti non aventi carattere

autoritativo, ma, al contrario, adottati nell'esercizio di un'atti

vità iure privatorum. Sulla scorta di siffatte argomentazioni, quindi, si è sostenuto

che l'attività amministrativa, cui gli art. 22 e 23 1. 241/90 cor

relano il diritto di accesso, ricomprende non solo quella di di

ritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato, «che co

stituisce cura concreta di interessi della collettività, non meno

della prima».

Il Foro Italiano — 2003.

Inaugurando un terzo ed intermedio indirizzo interpretativo, la decisione 15 gennaio 1998, n. 14, della quarta sezione del

Consiglio di Stato (id., Rep. 1998, voce cit., n. 340), dopo aver rilevato che un'applicazione ampiamente estensiva dell'indiriz

zo giurisprudenziale accolto con la citata decisione n. 82 del

1997 potrebbe «condurre ad effetti ultronei rispetto ad una cor

retta applicazione della portata dell'impianto normativo con

templato dagli art. 22 ss. 1. 241/90, arrivando a rendere ostensi

bile — sempre e comunque

— ogni tipo di documento posto in

essere da una persona giuridica di diritto pubblico o da una

pubblica amministrazione», esclude l'azionabilità del «diritto»

di accesso in relazione ad «attività esclusivamente privatistica e

del tutto disancorata dall'interesse pubblico di settore istituzio

nalmente rimesso alle cure dell'apparato amministrativo; atti

vità che si trasfonde, poi, in atti contrattuali di natura civilistica,

in ordine ai quali l'amministrazione è carente di qualsivoglia di

screzionalità amministrativa e che non possono fungere da ne

cessarie articolazioni di un procedimento amministrativo (con le

finalità pubblicistiche previste dalle relative norme)».

Questo terzo indirizzo giurisprudenziale, pur avendo avuto il

merito di introdurre un elemento di novità e rottura nel dibattito

sviluppatosi tra sostenitori dell'accessibilità della sola attività

amministrativa in senso stretto e fautori dell'ostensibilità di tutti

gli atti posti in essere o utilizzati dalla pubblica amministrazio

ne, quale che sia la natura giuridica degli stessi, ha prestato il

fianco a penetranti rilievi critici attesa la difficile possibilità di

configurare un'attività di diritto privato della pubblica ammini

strazione non finalizzata (anche solo strumentalmente) alla cura

di interessi pubblici. Ciò che in realtà non si è condiviso non è stata quindi l'av

vertita esigenza di distinguere, nell'ambito dell'attività privati stica posta in essere dalla pubblica amministrazione, quella as

soggettabile alla disciplina sull'accesso e quella, invece, da rite

nere estranea al relativo ambito di operatività, ma solo il criterio

discretivo che la citata decisione 14/98 ha coniato nel far luogo in concreto a siffatta delimitazione.

Il vero criterio da utilizzare nel distinguere tra atti rientranti

nell'ambito oggettivo della disciplina sull'accesso e atti desti

nati a rimanerne estranei deve invece essere ravvisato nella

sottoposizione o meno del soggetto, in sede di esercizio dell'at

tività di cui si chiede l'ostensione, al dovere di imparzialità. È quanto può desumersi dalla scelta legislativa di ricompren

dere tra i soggetti passivi della disciplina generale in tema di ac

cesso i concessionari (ora gestori) di pubblico servizio.

Non vi è dubbio, infatti, che le ragioni di tale inclusione non

sono affatto estranee alle più generali motivazioni che, per

espresso dettato normativo, sono alla base del riconoscimento di

un generale diritto all'accesso, tra cui l'esigenza di assicurare la

trasparenza dell'attività amministrativa e, soprattutto, il suo

svolgimento imparziale: parametri alla stregua dei quali quindi è

necessario verificare — quale che sia il regime giuridico, am

ministrativo in senso stretto o privatistico, dell'attività espletata — la sussistenza del diritto all'accesso.

Con maggiore impegno esplicativo, le ragioni di tale amplia mento della platea dei soggetti tenuti a soddisfare le istanze di

conoscenza delle risultanze della rispettiva attività vanno ricer

cate nella stessa nozione di pubblico servizio, tenendo conto pe raltro che, per esplicita previsione normativa, l'obiettivo perse

guito con il generale riconoscimento dell'accesso è fondamen

talmente quello di assicurare lo svolgimento imparziale dell'at

tività amministrativa: obiettivo, questo, rispetto al quale la co

noscenza dei meccanismi operativi dell'ente preposto al suo

esercizio, e quindi la trasparenza di quell'attività, costituisce

presupposto ritenuto indefettibile.

Ed invero, anticipando quanto si rileverà nell'esaminare la

contrastata nozione di servizio pubblico, può osservarsi che suo

tratto peculiare è costituito dall'inabdicabile sottoposizione al

canone dell'imparzialità del soggetto preposto alla gestione del

l'attività: ciò spiega la ragione dell'inclusione dei gestori di

pubblico servizio tra i soggetti sottoposti alla generale disciplina in tema di accesso dettata principalmente con riferimento alle

pubbliche amministrazioni, come noto tenute al rispetto del

principio di imparzialità per effetto di espressa previsione co

stituzionale (art. 97 Cost.). Senza ricostruire l'articolato e complesso dibattito sviluppa

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PARTE TERZA 244

tosi nel tentativo di definire i caratteri del servizio pubblico, ora

peraltro ulteriormente alimentato dall'esigenza di tracciare i

confini della nuova giurisdizione esclusiva del giudice ammini

strativo ex art. 33 d.leg. 80/98, pare sufficiente rilevare che, alla

stregua della più condivisibile teoria c.d. oggettiva, assume ri

lievo la circostanza che l'attività sia assoggettata ad una disci

plina settoriale che assicuri costantemente il conseguimento dei

fini sociali. Nell'ambito di tale opzione ricostruttiva della nozione di ser

vizio pubblico si registrano, tuttavia, differenze per nulla trascu

rabili. Un primo indirizzo, per vero sin troppo estensivo, induce a

ricomprendere nella nozione di servizio pubblico tutte le attività

in qualche modo assoggettate a forme più o meno intense di re

golamentazione pubblica. Ben si comprende come un'opzione interpretativa volta ad

estendere in tal modo il concetto in questione finisca per pre starsi, ed in fatto si è prestata, ad agevoli e convincenti rilievi

critici mossi dai fautori della opposta teoria soggettiva: quella definizione, infatti, non riesce a cogliere la linea di demarcazio

ne tra il servizio pubblico e la mera attività economica, anch'es

sa normalmente assoggettata, in linea con le previsioni costitu

zionali (art. 41), a limitazioni e vincoli di carattere pubblico.

Quell'impostazione presta il fianco, quindi, ad una sin troppo

agevole, oltre che corretta e condivisibile, obiezione: risultereb

be difficile differenziare, infatti, la semplice attività economica, anch'essa sovente assoggettata a forme più o meno penetranti di

interferenza ad opera della mano pubblica, dal vero e proprio servizio pubblico.

Su altra linea si colloca, allora, l'indirizzo che, nell'intento di

perimetrare in termini più puntuali la nozione in esame pur muovendo da un approccio di tipo oggettivo, indica i tratti che il

regime giuridico cui l'attività è assoggettata deve in concreto

presentare perché la stessa possa assumere le sembianze del ser

vizio pubblico. Non è sufficiente, infatti, che l'attività sia sottoposta a misure

di controllo, vigilanza o di mera autorizzazione da parte di

un'amministrazione pubblica. Ciò che contraddistingue l'attività qualificabile come servizio

pubblico è la necessità, ormai ricavabile da precisi riferimenti

normativi, che la stessa sia espletata in ossequio al principio di

imparzialità: non senza obliterare, a quest'ultimo riguardo, che

siffatto principio è destinato ad assumere una particolare con

formazione quando l'attività, anziché presentare i caratteri della

funzione pubblica, consiste, per l'appunto, nella prestazione di

servizi.

Ed invero, tale dovere di imparzialità si concreta in una serie

di obblighi gravanti sul gestore del servizio pubblico, tra cui, non solo quello di svolgere l'attività con caratteri di continuità e

regolarità, ma anche e soprattutto quello di non operare alcuna forma di favoritismo o discriminazione, ammettendo al servizio, o meglio alle prestazioni cui lo stesso è preordinato, tutti coloro

che vi hanno titolo, nel rispetto, peraltro, del principio di ugua

glianza dei diritti dell'utenza.

Ciò che contraddistingue, pertanto, il pubblico servizio è la

sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali, in

specie, quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'esple tamento dell'attività a norme di continuità, regolarità, capacità e

qualità, cui non potrebbe essere assoggettata, invece, una comu

ne attività economica.

Alla stregua della suindicata accezione di pubblico servizio, la riconducibilità dell'attività nell'alveo pubblicistico, lungi dal

poter essere desunta dalla semplice previsione di controlli o

programmi, postula viceversa la sua sottoposizione, evidente

mente dettata da una valutazione di particolare rilevanza delle

finalità pubbliche connesse al suo corretto espletamento, ad una

disciplina normativa che ne imponga l'esercizio in modo conti

nuativo, regolare ed imparziale. Le peculiarità che, alla stregua della suesposta ricostruzione,

il pubblico servizio deve presentare appaiono, del resto, non di

scostarsi da quelle che possono considerarsi le caratteristiche

che contraddistinguono, quantomeno sulla base di determinati

atti normativi, sia pure settoriali, la nozione comunitaria di pub blico servizio o, con maggiore precisione, «di interesse econo

mico generale».

Il Foro Italiano — 2003.

Se, quindi, la ratio del riferimento normativo contenuto nel

pre vigente art. 23 1. 241/90, ai concessionari di pubblici servizi

è quella di garantire la trasparenza di un'attività connotata, al

pari di quella propria delle tradizionali pubbliche amministra

zioni, dal doveroso rispetto del principio di imparzialità, non

appare coerente l'indirizzo che intende limitare l'ambito ogget tivo del diritto all'accesso ai soli atti emanati dal concessionario

nell'ambito del rapporto di concessione, immotivatamente

escludendo, invece, tutto ciò che, pur attenendo ai rapporti del

concessionario con la pubblica amministrazione o con altri con

cessionari o anche con privati, incide sulla concreta osservanza

da parte del concessionario medesimo del dovere di imparziali tà.

La bontà delle suesposte argomentazioni è ora, del resto, con

fermata dalla riformulazione dell'art. 23 1. 241/90, operata con

la 1. 265/99: per effetto della stessa, infatti, è abbandonato del

tutto il riferimento ai concessionari di pubblici servizi e sono ri

condotti nel novero dei soggetti passivi della disciplina in punto di accesso tutti i gestori di siffatta tipologia di attività, ancorché,

quindi, non abilitati all'esercizio della stessa in forza di appo sito provvedimento concessorio.

Alla delimitazione dell'ambito oggettuale entro cui ricono

scere l'operatività della disciplina in tema di accesso con ri

guardo agli atti posti in essere dai gestori di pubblici servizi de

ve quindi procedersi tenendo conto delle indicate ragioni sottese

alla genesi del citato art. 23 1. 241/90: non può essere più ascritto alcun rilievo dirimente al dato, meccanicistico e tenden

zialmente neutro, della veste privatistica dell'atto di cui si chie

de l'ostensione, dovendosi invece verificare se il segmento di

attività cui la documentazione da visionare si riferisce debba es

sere esercitato nel rispetto del principio di imparzialità. Orbene, a tale risultato ermeneutico sembra giungere l'organo

nomofilattico della giurisdizione amministrativa con le pronun ce nn. 4 e 5 del 1999.

Ed invero, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha sot

tolineato l'irrilevanza, in sede di delimitazione della sfera di ap

plicabilità degli art. 22 ss. 1. 241/90, del regime giuridico cui ri sulta assoggettata l'attività in relazione alla quale l'istanza

ostensiva è formulata: ciò che assume importanza, invece, è che

l'attività, ancorché di diritto privato, costituisca nella sua essen

za cura di un interesse pubblico e, soprattutto, debba essere

espletata nel rispetto del canone di imparzialità. Ciò chiarito, l'adunanza plenaria ha ritenuto di dover distin

guere tra attività privatistica della pubblica amministrazione e

attività dei privati concessionari di pubblici servizi, nonché, con

riferimento a quest'ultima, tra attività di gestione del servizio

stesso e attività residuale.

Se nessuna distinzione può essere compiuta con riguardo al

l'attività della pubblica amministrazione, posto che il rispetto dei principi costituzionali del buon andamento e dell'imparzia lità, cui la disciplina dettata dagli art. 22 ss. 1. 241/90 è esplici tamente ispirata, riguarda indifferentemente l'attività volta al

l'emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o so

no gestiti i rapporti disciplinati dal diritto privato, con riferi

mento, invece, agli atti di diritto privato adottati da soggetto in

caricato della gestione di un servizio pubblico, l'adunanza ple naria giunge ad affermare l'ostensibilità di quelli che, in quanto funzionalmente inerenti alla gestione di interessi collettivi, im

pongano l'esigenza di garantire il rispetto dei principi di impar zialità e trasparenza.

L'accesso va quindi garantito nei casi in cui una norma co

munitaria o di diritto interno imponga al gestore del pubblico servizio l'attivazione di procedimenti per la formazione delle

proprie determinazioni, in specie per la scelta dei propri con

traenti, nonché in relazione agli atti afferenti le scelte organiz zative adottate in sede di gestione del servizio: scelte poten zialmente incidenti sulla qualità del servizio stesso, sul rispetto delle norme volte a proteggere gli utenti e sul soddisfacimento

delle loro esigenze. Accanto a questa parte di attività, la cui rilevanza pubblicisti

ca è per così dire in re ipsa, l'adunanza ammette l'ostensibilità

della residuale attività espletata dal gestore di pubblico servizio

sempre che, all'esito di un giudizio di bilanciamento degli inte

ressi cui la stessa è preordinata, risulti prevalente l'interesse

pubblico rispetto a quello squisitamente imprenditoriale.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Nel tentativo di indicare i criteri alla stregua dei quali la sud

detta valutazione comparativa deve essere compiuta, l'adunanza

fa riferimento: — al grado di strumentalità dell'attività in questione rispetto

all'attività di gestione del servizio; — al regime sostanziale dell'attività; — allo svolgimento dell'attività stessa secondo regole proce

dimentali assunte dal gestore e dirette allo svolgimento del ser

vizio nel rispetto dei principi di trasparenza, buona fede e cor

rettezza.

L'adunanza plenaria, dunque, delimita l'ambito entro il quale va assicurata l'ostensibilità degli atti distinguendo a seconda

che soggetto passivo della richiesta di accesso sia un'ammini

strazione o un concessionario (ora gestore) di pubblico servizio:

pur escludendo che possa ascriversi rilievo ostativo alla natura

privatistica dell'attività con riferimento alla quale l'istanza di

visione è formulata, non desume dall'art. 23 1. 241/90, una pie na equiparazione, sul versante dell'ambito di invocabilità del

«diritto» di accesso, tra soggetti pubblici e privati, rimarcando,

per questi ultimi, la necessità che la richiesta ostensiva riguardi l'attività di gestione del servizio o, comunque, atti alla prima avvinti da un nesso di connessione, espresso mediante il riferi

mento al requisito della «strumentalità».

Al di fuori dell'attività di diretta gestione del servizio, sen

z'altro assoggettata al pieno dispiegarsi del principio di impar zialità e, quindi, del propedeutico canone della trasparenza, si

impone, per l'attività residua posta in essere dal gestore, la veri

fica, quindi, della strumentalità della stessa rispetto al momento

propriamente organizzativo e gestionale. Ciò posto, non può certo negarsi che quello della strumenta

lità sia un criterio di per sé idoneo a determinare non poche dif

ficoltà ed oscillazioni interpretative, prestandosi in astratto ad

un'applicazione quanto mai estesa, destinata a ricondurre nel

l'ambito di operatività della disciplina in tema di accesso tutta

l'attività svolta dal gestore, in qualche modo sempre connessa,

sul piano finalistico, all'attività di stretto esercizio del servizio

pubblico. Si impongono, dunque, un chiarimento ed una ridefinizione

dello stesso parametro della strumentalità volti ad evitare un'ec

cessiva dilatazione dell'ambito oggettuale di operatività della

disposizione che include i gestori di servizi pubblici tra i sog

getti passivi dell'accesso: giova al riguardo considerare quanto rilevato in merito alla logica sottesa a siffatta previsione norma

tiva, intesa a garantire la trasparenza di attività che, pur non pre sentando i caratteri della funzione pubblica di competenza del

l'amministrazione in senso classico, sono, al pari delle prime,

ontologicamente e doverosamente improntate al rispetto del

principio di imparzialità. Ritiene il collegio che in sede di applicazione del criterio

della strumentalità e di verifica, quindi, dell'effettiva estensione

dell'ambito entro cui i gestori di servizi pubblici sono tenuti a

garantire l'esercizio del diritto di accesso non possono essere

del tutto obliterate le peculiarità destinate a connotare il sog

getto preposto all'organizzazione ed all'erogazione del servizio

stesso.

Anticipando le conclusioni cui si ritiene di pervenire, può dir

si che il parametro della strumentalità va definito tenendo anche

conto dei profili propriamente soggettivi, attesa la necessità di

distinguere a seconda che il servizio sia gestito da soggetti del

tutto privati ovvero da organismi che, ad onta della veste socie

taria di recente assunta, continuino a presentare intense conno

tazioni, se non addirittura natura, pubblicistiche. Senza innescare irragionevoli discriminazioni nel regime giu

ridico proprio di soggetti parimenti deputati all'esercizio di atti

vità ascrivibili alla nozione di servizio pubblico, preme osserva

re che la conformazione in senso pubblicistico di talune struttu

re soggettive finisce inevitabilmente per ampliare il novero delle

attività nel cui esercizio si impone la rigorosa osservanza del

principio di imparzialità, nonché per condizionare l'individua

zione degli atti che, pur non direttamente afferenti la gestione del servizio, devono essere adottati nella prevalente prospettiva del perseguimento imparziale dell'interesse pubblico, talvolta

definito sulla scorta di determinazioni eteronome, non diretta

mente imputabili, cioè, al gestore stesso.

È utile, al riguardo, procedere ad una sintetica illustrazione

Il Foro Italiano — 2003.

dei tratti che caratterizzano, sul versante soggettivo, taluni ge stori di pubblici servizi e, tra questi, la società odierna appel lante: giova in particolare verificare se e fino a che punto le

anomalie che il relativo regime giuridico presenta rispetto alla

disciplina comunemente propria delle altre società incidono

sulla natura giuridica e, per quel che forse più conta, sulle con

crete modalità di espletamento della relativa attività.

Come è noto, il problema della natura giuridica, pubblica o

privata, si pone con riferimento ad una serie di enti che, pur ri

vestendo una forma tipicamente privatistica, qual è quella so

cietaria, sono dal legislatore sottoposti ad una disciplina per lar

ga parte derogatoria rispetto a quella codicistica, sintomatica, da

un lato, di un particolare e a volte penetrante legame della

struttura societaria con il soggetto pubblico, dall'altro, della sua

strumentalità rispetto al conseguimento di finalità di chiara im

pronta pubblicistica, non sempre conciliabili, peraltro, con la

causa lucrativa normalmente propria dello schema societario ti

pico. Per una corretta ed esauriente disamina del tema è utile di

stinguere tre fondamentali profili, rispettivamente attinenti al

l'ammissibilità di previsioni legislative dirette ad introdurre, per

specifiche tipologie societarie, deroghe allo schema tipico di

fonte codicistica, all'astratta configurabilità di società pubbli che, nonché, infine, all'individuazione dei parametri alla stregua dei quali verificare in concreto la sussumibilità del singolo or

ganismo a veste societaria nel paradigma pubblicistico o in

quello privatistico: profili, gli ultimi due, attentamente e almeno

in parte innovativamente scandagliati dalla decisione di questa sezione 2 marzo 2001, n. 1206, riguardante proprio l'ente Poste

s.p.a. (id., 2002, III, 425). Quanto al primo profilo, la legittimità di previsioni che, con

riguardo a talune strutture societarie, introducano deroghe di di

sciplina rispetto al modello codicistico è stata da tempo ricono

sciuta dalla Corte costituzionale: si fa riferimento alla sentenza

n. 35 del 5 febbraio 1992 (id., 1992, I, 1047) che, pur riguar dando le società finanziarie regionali ed in specie l'individua

zione dell'ambito di operatività di quel limite, frapposto al

l'esercizio della potestà legislativa regionale, costituito dalla di

sciplina dei rapporti di diritto privato, assume particolare rile

vanza per le affermazioni di principio in essa contenute sul tema

in esame.

Con la citata sentenza, la corte, nel valutare la legittimità co

stituzionale di alcune disposizioni della 1. reg. sic. 19 giugno 1991 n. 39, istitutiva di una società finanziaria interamente ca

pitalizzata dalla regione e diretta ad agevolare la ricapitalizza zione dei maggiori istituti creditizi siciliani, ha in primo luogo

inquadrato il rapporto tra tale organismo societario e l'ente re

gionale sovraordinato, qualificando le società finanziarie regio nali come «strumenti operativi» attraverso i quali l'amministra

zione persegue, in via indiretta, le finalità pubbliche «connesse

alle proprie competenze». Sulla base di siffatta ricostruzione in chiave pubblicistica

della relazione intercorrente tra strumento societario ed ente

pubblico regionale che ne possiede o sottoscrive la totalità o la

maggioranza delle azioni, la corte ha affrontato la delicata que stione del rapporto tra utilizzazione pubblicistica di uno stru

mento proprio del diritto privato, attuantesi attraverso l'introdu

zione ad opera del legislatore regionale di deroghe allo schema

societario tipico, e il generale limite frapposto alla potestà legis lativa regionale e costituito, nell'impianto costituzionale ante

riore al varo della 1. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, dal divieto di in

cidere sulla disciplina dei rapporti privati. Sul punto, la corte riconosce che il c.d. limite di diritto pri

vato possa subire un ridimensionamento, riconoscendo al legis latore regionale la potestà di introdurre deroghe alla disciplina civilistica ogni qualvolta le stesse siano esplicitamente preordi nate ad attuare la conformazione a finalità pubblicistiche dello

strumento societario e a condizione che l'ente pubblico so

vraordinato possegga la totalità o la maggioranza delle azioni; le

conclusioni cui la citata sentenza approda sono naturalmente, e

a maggior ragione, applicabili al legislatore statale cui non è

opponibile il limite rappresentato dalla disciplina dei rapporti

privati.

Superato questo primo ostacolo, occorre verificare se e quan do tali difformità di regime giuridico consentano di riconoscere

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PARTE TERZA

alla società per azioni la qualificazione pubblicistica: si tratta di

una problematica che, a causa del crescente impiego dello stru

mento delle società per azioni per il perseguimento di finalità di

interesse pubblico predeterminate sul piano legislativo, ha as

sunto via via maggior rilievo negli anni più recenti.

Si è in presenza di una problematica particolarmente delicata, la cui analisi appare densa di consistenti difficoltà determinate

proprio dal fatto che ci si trova su una linea di confine tra pub blico e privato, dovendosi conciliare con la causa lucrativa tipi ca dello schema codicistico della società per azioni l'autonoma

rilevanza nell'ambito dello stesso organismo societario dell'in

teresse pubblico. Punto di partenza dell'analisi è la constatazione della c.d.

neutralità del modello societario rispetto alle finalità che con lo

stesso si intendono perseguire.

Questo processo di neutralizzazione dello schema societario è

andato, del resto, progressivamente ampliandosi, involgendo,

per effetto dei diversi interventi legislativi, non più soltanto la

causa del contratto, bensì anche profili attinenti al momento ge netico, a quello funzionale e, infine, a quello organizzativo.

L'attenzione, quindi, va inevitabilmente spostata sull'analisi

di tale specialità di regime giuridico cui sono sottoposti, in rela

zione a ciascuno dei suindicati profili, alcuni enti a struttura so

cietaria, primi fra tutti quelli preposti, per espressa previsione

legislativa, all'espletamento di compiti di interesse pubblico:

proprio con riferimento a tali organismi si è parlato di società di

diritto speciale o singolare, connotate tanto dalla funzionalizza

zione alla realizzazione di obiettivi, indicati dallo stesso legis latore, non sempre agevolmente conciliabili con la causa socie

taria tipica, quanto dalla sottoposizione a discipline giuridiche

comportanti una più o meno intensa compressione dell'autono

mia negoziale e statutaria.

Il tema va affrontato senza farsi condizionare dal profilo no

minalistico: è necessario verificare, in particolare, se le devia

zioni dal modello societario di tipo codicistico che caratterizza

no il regime giuridico di determinate strutture societarie possano considerarsi ancora compatibili, anche se indicative di una si

tuazione di rilevanza pubblicistica, con la qualificazione privati stica delle medesime (da cui occorre pur sempre prendere le

mosse), ovvero se, comportando una consistente alterazione

dello schema societario sotto il profilo genetico, organizzativo e

funzionale, non debbano indurre, piuttosto, a ritenere che si sia

in presenza di enti a struttura societaria, ma con natura pubblici stica.

Quanto alla configurabilità in astratto di enti pubblici orga nizzati in forma societaria, si può osservare che, pur non man

cando chi, aderendo ad un orientamento negli ultimi anni reces

sivo, sostiene l'incompatibilità in via di principio tra ente pub blico e schema giuridico delle società per azioni, va progressi vamente guadagnando terreno la tesi contraria per cui è possi bile riconoscere alla società per azioni, qualora ricorrano deter

minate condizioni, natura di ente pubblico. A conforto della tesi per così dire possibilista vi è, del resto,

un preciso e testuale dato normativo: si fa riferimento all'art. 18

della legge finanziaria 22 dicembre 1984 n. 887 che, nel preve dere la costituzione dell'Age-Control s.p.a., espressamente l'ha

definita «s.p.a. con personalità giuridica di diritto pubblico». La disposizione citata costituisce argomento convincente a

sostegno della tesi favorevole all'astratta compatibilità tra

struttura societaria e natura pubblica dell'ente, essendo tale

sintesi espressamente operata dallo stesso legislatore. A tale conclusione può dirsi ormai pervenuta la stessa giuris

prudenza a seguito di un percorso culminato proprio con la ci

tata decisione 2 marzo 2001, n. 1206.

La questione è stata scandagliata, come noto, in primo luogo dal giudice delle leggi nella sentenza n. 466 del 28 dicembre

1993 {id., 1994, I, 325) al fine di verificare l'assoggettabilità degli enti economici trasformati in società per azioni, ma ancora

legati a filo doppio con l'amministrazione statale, al controllo

della Corte dei conti: controllo concernente, a tenore dell'art. 12

1. 259/58, «la gestione finanziaria degli enti pubblici ai quali l'amministrazione dello Stato o un'azienda autonoma statale

contribuisce con apporto al patrimonio in capitale o servizi ov

vero mediante concessione di garanzia finanziaria».

Orbene, la Corte costituzionale, accogliendo il ricorso propo

II Foro Italiano — 2003.

sto dalla Corte dei conti, ha sostenuto che il giudice contabile

conserva la titolarità del potere di controllo sulle società per azioni costituite a seguito della trasformazione di Iri, Eni, Enel e

Ina fino a quando permanga una partecipazione esclusiva o

maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società.

La corte, in particolare, dopo aver individuato il punctum do

lens della problematica in oggetto nella formulazione letterale

del citato art. 12, ha sostenuto di poter superare l'ostacolo frap

posto dal dato testuale facendo leva su due fondamentali argo menti.

In primo luogo, ha rilevato la necessità di superare il dato

letterale facendo luogo ad un'interpretazione dell'art. 12 tale da

«adeguarlo» al dettato costituzionale, in particolare all'art. 100,

2° comma, e alla funzione del controllo previsto da quest'ultima

disposizione, già collegata dalla stessa corte, con sentenza n. 35

del 1962 (id., 1962, I, 1055) «all'interesse preminente dello

Stato (costituzionalmente rilevante per l'art. 100 Cost.) che sia

no soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che

gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al

giudizio del parlamento»: tale finalità, ha rimarcato la corte

nella sentenza 466/93, «può giustificare la permanenza del con

trollo in questione anche nei confronti delle nuove società» fino

a quando la gestione delle stesse possa incidere sul bilancio

statale.

Il secondo argomento utilizzato per superare il riferimento te

stuale operato dall'art. 12 agli «enti pubblici» è quello dello

stemperamento, sul piano tanto normativo quanto giurispruden ziale, della dicotomia tra ente pubblico e società di diritto pri vato, desunto alla stregua di una triplice considerazione: il cre

scente impiego della società per azioni per perseguire finalità di

interesse pubblico, l'adesione comunitaria ad una nozione «so

stanziale» d'impresa pubblica, l'accertata possibilità di indivi

duare nelle nuove società per azioni derivate dai precedenti enti

pubblici «connotazioni proprie della loro originaria natura pub blicistica».

Nella motivazione della sentenza, pur cogliendosi spunti di

grande interesse (quali, in particolare, la rilevazione di tratti

pubblicistici nelle società per azioni derivanti dall'intervenuta

trasformazione dei precedenti enti pubblici, nonché, anche, la

constatazione della natura di «diritto speciale» riconosciuta a

dette società), non si rinviene ancora l'espressa affermazione

della natura pubblica delle stesse: affermazione, peraltro, a rigo re necessaria per dare soluzione alla questione interpretativa in

nescata dal citato art. 12 1. 259/58, laddove limita ai soli «enti

pubblici» quella specifica forma di sindacato demandata al giu dice contabile.

La questione della natura giuridica delle società per azioni de

rivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici e de

gli enti di gestione è stata esaminata in sede giurisprudenziale anche al fine di dare soluzione ad altra fondamentale implica zione, quella della individuazione del giudice deputato a cono

scere le controversie in cui tali enti siano coinvolti: la questione è stata esaminata prima che il panorama normativo fosse com

pletamente stravolto per effetto del varo del d.leg. 80/98.

Si fa riferimento, in particolare, alla decisione n. 498 del 20

maggio 1995 (id.. Rep. 1995, voce Ferrovie e tramvie, n. 86) con cui la sesta sezione del Consiglio di Stato ha dovuto preli minarmente stabilire se le controversie riguardanti i contratti di

appalto stipulati dalle Ferrovie dello Stato, trasformate in so

cietà per azioni per effetto di delibera del Cipe, adottata a norma

dell'art. 18 1. 359/92, rientrassero nell'ambito giurisdizionale del giudice ordinario ovvero in quello del giudice amministrati

vo.

Nel motivare la dichiarata sussistenza della giurisdizione del

giudice amministrativo sulla controversia promossa avverso la

delibera del direttore generale delle Ferrovie s.p.a. di affida

mento a trattativa privata dell'esecuzione dei lavori per il rinno

vamento dell'armamentario ferroviario per il quinquennio 1993

1997, il Consiglio di Stato ha, in primo luogo, rilevato che «la

Ferrovie dello Stato s.p.a. concreta una figura sui generis di

concessionario ex lege a contenuto vincolato e cioè definito per relationem ai compiti di cui era già titolare l'ente Ferrovie dello

Stato», osservando che si è in presenza di «una classica conces

sione traslativa nella quale le finalità pubblicistiche di cui è at

tributario il concedente vengono realizzate dal concessionario»:

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

quest'ultimo, pertanto, assume la veste di sostituto e organo in

diretto della pubblica amministrazione, i cui atti sono da consi

derare soggettivamente e oggettivamente amministrativi.

Sennonché, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto

di dover ricercare un'ulteriore ragione giustificativa dell'affer

mata giurisdizione del giudice amministrativo, quasi mostrando

di essere mossa dall'intento di estendere l'efficacia della deci

sione adottata a tutti gli enti societari sorti a seguito della priva tizzazione formale, a prescindere, quindi, dalla sussistenza o

meno di un atto concessorio: ha esaminato, pertanto, la com

plessa questione della natura giuridica delle suddette società.

E in questa seconda parte del percorso argomentativo che è

consentito cogliere alcuni interessanti rilievi concernenti la que stione della natura giuridica delle società derivanti dalla tra

sformazione degli enti economici.

Dopo aver richiamato la citata pronuncia del giudice costitu

zionale, ha concluso rilevando che tali società, affidatarie della

cura di rilevanti interessi pubblici, conservano inalterata la pro

pria connotazione pubblicistica con la conseguenza che, «mal

grado la trasformazione, sono destinate a rimanere (pubbliche) in quanto di rilevanza strategica o perché temporaneamente sotto il controllo pubblico. In tali fattispecie è lecito concludere

che l'adozione della forma societaria si presenta come modulo

per rendere l'attività economica più efficace e più funzionale, fermo restando che l'impresa mantiene sotto molteplici profili uno spiccato rilievo pubblicistico».

Il Consiglio di Stato, pertanto, spingendosi oltre quanto so

stenuto dal giudice costituzionale, che era giunto a sostenere la

conservazione, da parte delle società in questione, di connota

zioni pubblicistiche, espressamente afferma che le stesse, nono

stante l'intervenuta trasformazione degli enti pubblici economi

ci e degli enti di gestione da cui derivano, sono destinate a ri

manere pubbliche: vi è, pertanto, nella pronuncia del giudice amministrativo quell'ulteriore passaggio la cui mancanza ha ca

ratterizzato la sentenza 466/93 della Corte costituzionale.

Il percorso giurisprudenziale sembra ormai giunto al suo na

turale traguardo con la decisione 2 marzo 2001, n. 1206 con la

quale questa sezione, dopo avere escluso che la controversia af

ferente la legittimità degli atti adottati dalle Poste italiane s.p.a. nell'ambito di una procedura concorsuale per la scelta del for

nitore di assegni postali da destinare all'espletamento del servi

zio di bancoposta sia riconducibile entro i confini della giurisdi zione esclusiva ex art. 33 d.leg. 80/98, che, nella nuova formu

lazione introdotta dall'art. 7 1. 205/00, ha riguardo ai pubblici servizi afferenti non già il credito, ma la «vigilanza sul credito», l'ha ricondotta nella generale giurisdizione di legittimità del

giudice amministrativo.

Esclusa l'applicabilità al caso di specie dei nuovi criteri di ri

parto, la sesta sezione si è infatti impegnata nel verificare la so

stenibilità della giurisdizione amministrativa sulla scorta di un

differente approccio, inteso a scorgere nella società Poste italia

ne i connotati propri dell'ente pubblico e a qualificare, quindi, come soggettivamente, oltre che oggettivamente, amministrativi

gli atti dalla stessa adottati in seno alla procedura di gara esple tata per l'aggiudicazione della fornitura degli assegni di conto

corrente postale. Le peculiarità della fattispecie hanno indotto ad affrontare il

profilo afferente la giurisdizione focalizzando la questione della

configurabilità, nell'ambito dell'ordinamento nazionale, di enti

pubblici a struttura societaria.

Trattandosi, infatti, di appalto di fornitura di importo inferiore

alla soglia implicante l'operatività della disciplina di fonte eu

ropea, la sezione non ha potuto ascrivere rilievo decisivo e cen

trale, in sede di scrutinio della natura soggettivamente ammini

strativa degli atti di gara, alla incasellabilità, pure riconosciuta

dal collegio, delle Poste s.p.a. nella nozione comunitaria di or

ganismo di diritto pubblico (cfr., al riguardo, Cons. Stato, sez.

VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, id., 1999, III, 178): ha dovuto, quindi, dare soluzione alla questione di giurisdizione utilizzando

principalmente i parametri di individuazione della natura pub blica dell'ente elaborati entro i confini nazionali.

Al riguardo, non solo si è espressamente escluso che «la sem

plice veste formale di s.p.a. sia idonea a trasformare la natura

pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo maggioritario dell'azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rile

vanti interessi pubblici», ma si è valorizzato, nel corroborare

Il Foro Italiano — 2003.

l'indirizzo favorevole all'astratta configurabilità di enti pubblici a struttura societaria, l'art. 18, 9° comma, 1. 887/84: disposizio ne che, come rilevato, qualifica l'Age-Control s.p.a. come

«s.p.a. con personalità giuridica di diritto pubblico». Il vero problema, in realtà, non è tanto nell'ammettere in

astratto la configurabilità di un tal genere di enti pubblici,

quanto quello di verificare in concreto quando e alla stregua di

quali criteri sia possibile ricondurre nella sfera del pubblico i

singoli organismi societari sottoposti ad un regime giuridico in

parte divergente da quello di tipo codicistico.

Ben si comprende, infatti, che una mera deviazione rispetto alla disciplina ordinaria, per quanto indicativa di una certa rile

vanza pubblicistica, propria di quel determinato organismo so

cietario, non può considerarsi per ciò solo sufficiente a tal fine, se non affiancata da una serie di anomalie di struttura e di fun

zionamento tali da denotare lo stretto legame della società al

l'ente pubblico e la reale capacità di quest'ultimo di incidere

dall'esterno — e non semplicemente mediante il normale fun

zionamento dei meccanismi societari — sull'attività dell'ente, sì da garantirne la coerenza rispetto alle finalità pubbliche che

attraverso lo stesso si intende perseguire. Il semplice riconoscimento legislativo, in capo all'ente pub

blico, del potere di nomina dei componenti del consiglio di am

ministrazione della società, per esempio, se certo è sintomatico

del rilievo in senso lato pubblicistico che la società stessa pre senta, non può tuttavia indurre, singolarmente considerato, a

qualificare come pubblico l'ente societario medesimo, non

comportando un'alterazione dei normali meccanismi di funzio

namento propri del modello: ed invero, una volta nominato, l'amministratore entra a far parte della società, all'interno della

quale dovrà operare, in assenza di ulteriori anomalie di funzio

namento legislativamente contemplate, secondo le regole codi

cistiche e a prescindere dall'originario rapporto fiduciario che

ha determinato la sua nomina.

È quanto, del resto, sostenuto dalle sezioni unite della Cassa

zione con riferimento alle società per azioni a capitale pubblico locale maggioritario.

Con sentenza 6 maggio 1995, n. 4991 (id., Rep. 1996, voce

Comune, n. 419) il giudice della giurisdizione ha accolto la tesi

della natura privatistica delle società in parola che, quali perso ne giuridiche private, operano «nell'esercizio della propria au

tonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubbli co»: il rapporto tra la società e l'ente locale « è di assoluta auto

nomia, sicché non è consentito al comune incidere unilateral

mente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività

della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi

o discrezionali».

La Suprema corte, in particolare, lungi dall'escludere in radi

ce e aprioristicamente la natura pubblicistica della società a pre valente partecipazione pubblica in ragione, appunto, della loro

veste societaria, e quasi mostrando di condividere l'orienta

mento secondo cui il riconoscimento di tale natura richiede la

previsione di regole di organizzazione e di funzionamento com

portanti una consistente alterazione del modello societario tipi co, sostengono

— nell'argomentare la natura privatistica

— che

la legge non introduce «alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici isti

tuiti dall'ente locale ... La posizione del comune all'interno

della società è unicamente quella di socio di maggioranza, deri

vante dalla 'prevalenza' del capitale da esso conferito; e sol

tanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funziona

mento della società, ... avvalendosi non già di poteri pubblici stici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal di

ritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina

comunale presenti negli organi della società (v. art. 2459 c.c.)».

Ciò posto, è necessario osservare che anche nella giurispru denza meno recente, se, per un verso, è stata esclusa la natura

pubblica della società per azioni quando questa, pur interamente

patrimonializzata e quindi gestita dai pubblici poteri, titolari

della totalità delle azioni, non è però sottoposta ad una discipli na speciale tale da caratterizzarne in senso pubblicistico la natu

ra, per altro verso, è emersa la tendenza a riconoscere carattere

pubblico a quelle società assoggettate ad una disciplina legisla tiva volta, da un lato, ad imporre loro il perseguimento di un

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PARTE TERZA 252

determinato fine, dall'altro, ad introdurre deroghe in senso pub blicistico al regime tipico delle società per azioni.

In ambito dottrinale, superata la tesi ostile all'astratta ammis

sibilità di società pubbliche, si è delineata una diversità di ve

dute in sede di individuazione dei concreti parametri alla stre

gua dei quali acclarare la natura pubblica del singolo organismo societario.

Al riguardo, si sono registrati due fondamentali indirizzi.

Per il primo, implicante un'estensione del novero degli enti

pubblici a struttura societaria, va esclusa la natura privata per tutte le società per azioni istituite con atto legislativo che ne

determina quanto meno la denominazione, lo scopo e la neces

saria pertinenza ad un soggetto pubblico per una quota almeno

maggioritaria, perché in tal caso l'esistenza e la destinazione

funzionale della figura soggettiva è predeterminata con atto

normativo e resta indisponibile alla volontà dei propri organi deliberativi.

Su altro fronte, si è osservato che l'istituzione per legge o, su

specifica autorizzazione legislativa, ad opera di una pubblica amministrazione, la determinazione in via legislativa di deno

minazione e scopo, nonché, infine, la prescritta pertinenza della

società all'ente pubblico per una quota maggioritaria, se certo

rappresentano il nucleo indefettibile di requisiti di cui occorre

verificare l'esistenza onde procedere ad una qualificazione in

senso pubblicistico dell'organismo societario, non esauriscono,

ancora, il novero degli elementi necessari a far transitare nel

l'alveo pubblicistico un ente avente forma tipicamente privati stica: si è sostenuto, quindi, che l'indicazione legislativa nel

senso della forma societaria dell'ente, pur non incompatibile con una qualificazione pubblicistica, impone all'interprete un

ulteriore sforzo, volto alla ricerca di elementi sintomatici della

pubblicità dell'ente destinati ad integrare quelli formulati nel

tentativo di dare una soluzione alla più generale problematica della concreta individuazione degli enti pubblici.

Alla stregua dell'orientamento più restrittivo, pertanto, è ne

cessario che il regime giuridico cui la singola società è in con

creto sottoposta si caratterizzi per la previsione di regole di or

ganizzazione e funzionamento che, oltre a costituire una consi

stente alterazione del modello societario tipico (comportando una compressione della autonomia funzionale e statutaria degli

organismi societari), rivelino, al tempo stesso, la completa attra

zione nell'orbita pubblicistica dell'ente societario.

Si fa riferimento, in particolare, all'attribuzione legislativa, in

capo a soggetti pubblici diversi da quelli che rivestono all'inter

no della struttura societaria la qualità di soci, di potestà il cui

esercizio è destinato inevitabilmente a produrre effetti sulle

fondamentali determinazioni degli organi societari: è quanto si

verifica per molti enti assoggettati ad un processo di privatizza zione meramente formale, non ancora seguito da una privatizza zione sostanziale.

Questa seconda opzione ermeneutica è stata fatta propria dal

Consiglio di Stato che, riconosciuta la configurabilità nel nostro

ordinamento di enti pubblici con forma societaria, ha elaborato i

criteri destinati, in sede applicativa, ad orientare l'interprete nel

discernere tra società private e società pubbliche.

L'impianto motivazionale della citata decisione 2 marzo

2001, n. 1206 è interamente connotato dal corretto sforzo diretto ad individuare le anomalie che, sul piano genetico, organizzati vo e funzionale, caratterizzano la società Poste italiane.

Già sotto il profilo genetico la società deriva dalla «trasfor

mazione» del precedente ente, prevista dall'art. 1, 2° comma, 1.

71/94 ed attuata con delibera Cipe del 18 dicembre 1997: la

stessa costituzione della struttura societaria in questione, per tanto, è avvenuta non per effetto di un contratto o comunque di

un atto di autonomia, bensì di «un intervento legislativo ed in

assenza di una pluralità di soci».

Quanto al funzionamento dell'organismo societario, il Consi

glio di Stato passa in rassegna le norme che disciplinano la ti

tolarità e, in particolar modo, l'esercizio dei diritti dell'azioni

sta.

Si tratta di previsioni dirette ad introdurre, con riguardo alle

Poste s.p.a., peculiarità di funzionamento nella sostanza non

dissimili da quelle contemplate dall'art. 15, 2° comma, 1.

359/92, così come modificato dal d.l. 23 aprile 1993 n. 118,

convertito, con modificazioni, nella 1. 23 giugno 1993 n. 202, in

Il Foro Italiano — 2003.

forza della quale il ministro del tesoro, al quale è stata attribuita

la titolarità delle azioni delle società rivenienti dalla privatizza zione formale dei precedenti enti di gestione e degli altri enti

economici, esercita i diritti dell'azionista secondo le direttive

del presidente del consiglio, d'intesa con il ministro del bilancio

e della programmazione economica e con il ministro dell'indu

stria, del commercio e dell'artigianato. Con riferimento a siffatta previsione di carattere generale,

non si era mancato di porre in risalto, per un verso, la natura

pubblica delle «direttive» e dell'intesa, per altro verso, il rico

noscimento in capo al presidente del consiglio ed ai ministri in

essa indicati della legittimazione all'esercizio dei poteri dell'as

semblea: legittimazione che non deriva dal diritto di proprietà

privata delle azioni (che non hanno) e che quindi non può essere

ricondotto ad altro che alla loro posizione di autorità politiche. Dalla previsione dell'obbligo del ministro del tesoro di eser

citare i diritti dell'azionista d'intesa con altri ministri consegue che le concrete modalità di tale esercizio non sono il risultato di

autonome determinazioni del socio, ossia del titolare delle azio

ni, bensì del concerto tra lo stesso e altri soggetti del tutto estra

nei, almeno formalmente, alla struttura organizzativa dell'ente

societario.

Sempre con riguardo alle società derivanti dalle prime priva tizzazioni formali, si era rimarcato che, in forza dell'art. 16 1.

359/92, il ministro del tesoro deve predisporre e trasmettere, d'intesa con altri ministri, al presidente del consiglio un pro

gramma di riordino delle partecipazioni di cui all'art. 15 stessa

legge: programma inteso alla valorizzazione delle partecipazioni nelle società in questione «anche attraverso la previsione di ces

sioni di attività e rami di aziende, scambi di partecipazioni, fu

sioni, incorporazioni e ogni altro atto necessario al riordino» e

sul quale le competenti commissioni parlamentari esprimono il

proprio parere prima che sia approvato dal consiglio dei mini

stri.

Come è evidente, quindi, il ministro del tesoro, titolare delle

azioni delle società derivate dalla «trasformazione» degli enti di

gestione, appare fortemente condizionato, nell'esercizio dei suoi

diritti di azionista, dall'obbligo di tener conto delle direttive del

presidente del consiglio, dell'intesa da raggiungere con altri mi

nistri, nonché, ancora, più a monte, del programma di riordino

elaborato in sede pubblica: si è senza alcun dubbio in presenza di importanti deroghe rispetto al regime societario tipico che, nel comportare una consistente alterazione dei normali meccani

smi di funzionamento degli organismi societari de quibus e una

compressione di non poco conto dell'autonomia funzionale de

gli organi societari con potestà deliberante (derivante dall'aver

almeno in parte vincolato le procedure ordinarie di formazione

della volontà sociale ad intese e soprattutto ad un atto — il pro

gramma — elaborati in sede pubblicistica), costituiscono dati

normativi il cui rilievo non è consentito sottovalutare nel verifi

care la natura privata o pubblica delle società in questione. Lo stesso circuito logico è ora seguito dal Consiglio di Stato

con specifico riferimento alla società Poste italiane.

Con l'intento di dimostrare la stretta strumentalità della so

cietà al perseguimento di finalità pubblicistiche e la sua persi stente attrazione in orbita pubblicistica, la sesta sezione pone in

risalto quelle deroghe rispetto al modello societario tipico intro

dotte con lo scopo di consentire alla mano pubblica di «indiriz

zare le attività societarie a fini di interesse pubblico generale» senza seguire i normali meccanismi di funzionamento delle

strutture societarie.

In particolare, si è rimarcato che «l'unico azionista (ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica) non

esercita i propri diritti autonomamente, ma d'intesa con il mini

stro delle comunicazioni»: ministro, quest'ultimo, cui, pertanto, si riconosce titolo per incidere sulle scelte gestionali ad onta

della sue estraneità alla compagine societaria.

Proseguendo nell'indicazione delle anomalie di regime giuri dico, questa sezione ha osservato che «lo stesso statuto è defi

nito congiuntamente dai due ministeri», ulteriormente eviden

ziando che «la società è tenuta a stipulare con il ministero delle

comunicazioni un contratto di programma, che tenga conto delle

direttive del presidente del consiglio dei ministri»: peculiarità di

disciplina che, complessivamente considerate, inducono il giù

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

dice amministrativo a concludere nel senso della «completa at

trazione nell'orbita pubblicistica della s.p.a.». Le suesposte argomentazioni intese a rimarcare le peculiarità

riscontrabili nel regime giuridico delle società in questione e, in

particolare, delle Poste italiane s.p.a. assumono un rilievo diri

mente in sede di soluzione della presente vicenda processuale. Le indicate anomalie di struttura e di funzionamento, sen

z'altro idonee a porre in risalto lo stretto legame della società al

potere pubblico e la reale capacità di quest'ultimo di incidere

dall'esterno — e non semplicemente mediante il normale fun

zionamento dei meccanismi societari — sull'attività dell'ente, sì da garantirne la coerenza rispetto alle finalità pubbliche che

attraverso lo stesso si intende perseguire, non possono non as

sumere rilievo nel delimitare l'estensione dell'ambito di attività

posto in essere da Poste s.p.a. che, in quanto assoggettata al pa rametro dell'imparzialità, deve reputarsi ostensibile ai sensi

della generale disciplina in tema di accesso.

Giova, al riguardo, tenere conto di quanto sostenuto dalla

adunanza plenaria nelle decisioni nn. 4 e 5 del 1999, con le

quali è stata affermata l'integrale sottoposizione alla disciplina in tema di accesso dell'attività propria delle pubbliche ammini

strazioni, senza che assuma alcun rilievo la distinzione tra sfera

pubblica e privata della stessa: sullo sfondo di tale ricostruzione

vi è l'assunto secondo cui l'attività di diritto privato dell'ammi

nistrazione non è attività libera se non in senso formale, non è, in altri termini, manifestazione di intrinseca volontà di soddisfa

cimento dei propri interessi alla stregua dell'autonomia privata, ma resta al contrario vincolata in funzione di un interesse col

lettivo il cui appagamento è proiezione dell'essenza stessa del

I ' amministrazione.

È il vincolo di scopo, infatti, l'elemento che consente di di

stinguere l'attività amministrativa, anche se esercitata nelle

forme del diritto privato, da quella di un soggetto qualsiasi,

comportandone l'assoggettamento ai precetti di trasparenza e di

imparzialità posti a fondamento dell'intera disciplina sull'ac

cesso ai documenti.

Ove si limitasse l'operatività del principio costituzionale di

imparzialità ad alcune delle attività dell'amministrazione «si

accetterebbe in realtà che l'imparzialità non sia l'appannaggio che di una parte circoscritta della complessiva attività ammini

strativa, di guisa che questa, considerata appunto nel suo com

plesso, non potrebbe seriamente dirsi imparziale». Di tali rilievi, validi con riguardo alle amministrazioni in sen

so classico, è necessario fare adeguata applicazione nel delimi

tare il segmento di attività in relazione al quale i gestori di pub blici servizi sono tenuti ad assicurare il dispiegarsi del principio di trasparenza.

Se nessun dubbio può sorgere con riguardo all'attività pro

priamente gestionale, certamente ostensibile quali che siano le

peculiarità proprie del soggetto preposto all'esercizio del servi

zio, più complessa risulta la selezione delle residue attività da

assoggettare al principio di trasparenza in quanto strumentali al

perseguimento imparziale dell'interesse pubblico sotteso alla

gestione stessa.

Orbene, la particolare conformazione pubblicistica di taluni

gestori, tra cui certo l'odierna appellante, in uno alle indicate

anomalie di struttura e di funzionamento sintomatiche del persi stente e stretto legame tra gli stessi e la mano pubblica, oltre che

della reale capacità di quest'ultima di incidere dall'esterno — e

non semplicemente mediante il normale funzionamento dei

meccanismi societari — sull'attività del gestore, sì da garantirne la coerenza rispetto alle finalità pubbliche che attraverso lo stes

so si intende perseguire, non possono non condizionare l'indivi

duazione delle operazioni che, pur non riguardanti la gestione in

senso stretto, sono da considerare avvinte alla stessa da un nesso

di strumentalità.

In altri termini, la strumentalità delle residuali attività rispetto all'efficace gestione va intesa in senso più elastico allorché

l'organismo societario deputato all'espletamento del servizio

sia sottoposto — in forza dello statuto giuridico che disciplina i

profili soggettivi dell'ente, prima ancora che quelli oggettivi concernenti l'attività — ad un vincolo di scopo, attestante la sua

necessaria funzionalizzazione ad un interesse, di tipo spiccata mente pubblico, definito sulla scorta di determinazioni proprie di soggetti estranei alla compagine societaria.

II Foro Italiano — 2003.

È quanto si verifica con riguardo alle Poste s.p.a., attese le

rimarcate anomalie di disciplina. Da un lato, infatti, l'unico azionista (ministro del tesoro, del

bilancio e della programmazione economica) non esercita i pro

pri diritti autonomamente, ma di intesa con il ministro delle co

municazioni: ministro, quest'ultimo, cui, pertanto, si riconosce

titolo per incidere sulle scelte gestionali ad onta della sue estra

neità alla compagine societaria.

Dall'altro, lo stesso statuto è definito congiuntamente dai due

ministri, con uno dei quali (quello per così dire esterno alla

piattaforma organizzativa) la società è tenuta a stipulare un

contratto di programma, che tenga peraltro conto delle direttive

del presidente del consiglio dei ministri.

La strumentalità all'interesse pubblico sotteso alla gestione del servizio pubblico, quindi, se certo va ridimensionata allor

ché il gestore sia un soggetto del tutto privato, tenuto, pur nel

dovuto rispetto degli obblighi di servizio, al perseguimento di

finalità sue proprie, non può non subire una scontata dilatazione

quando la gestione è affidata a soggetti a forte impronta, se non

addirittura a natura pubblica; si tratta, infatti, di soggetti per i

quali il dovere di imparzialità riviene non solo dalla natura del

l'attività espletata, ma anche dal persistente collegamento strutturale con il potere pubblico.

In questa accezione allargata di strumentalità non può non

rientrare l'attività in relazione alla quale è stata presentata nel

caso di specie la richiesta di accesso, in prima battuta respinta dalla società odierna appellante.

Ed invero, l'attività di elaborazione delle schede di valutazio

ne personale utilizzate da Poste italiane s.p.a. in seno al proce dimento volto alla compilazione di una graduatoria suscettibile

di incidere sulla scelta del personale da assegnare ad una sede, anziché ad un'altra, non può non essere improntata al rispetto di

quel principio di imparzialità destinato a condizionare il modus

operandi dell'organismo in questione, anche per quel che attie

ne alle determinazioni non direttamente riguardanti la gestione, ma in qualche modo intese al perseguimento efficace dell'inte

resse pubblico a quella sotteso: si è al cospetto, infatti, di atti

vità di cui non è possibile escludere l'incidenza potenziale sulla

qualità di un servizio, il cui rilievo pubblicistico va valutato te

nendo conto non solo della dimensione oggettiva, ma anche di

quella propriamente soggettiva. L'illustrata ricostruzione induce, quindi, a reputare non per

suasive le censure con le quali la difesa dell'appellante deduce

la natura asseritamente privatistica di Poste italiane s.p.a., il ca

rattere prevalentemente concorrenziale dell'attività dalla stessa

espletata, nonché, ancora, l'assenza del nesso di strumentalità

tra l'attività di elaborazione e comparazione delle schede di

valutazione personale e quella di diretta gestione del servizio

pubblico; parimenti ininfluente risulta la dedotta privatizzazione del rapporto di lavoro, come del resto già sostenuto da questa

sezione, ancorché con riguardo agli atti dell'amministrazione in

senso classico (8 marzo 2000, n. 1159, id., Rep. 2000, voce Atto

amministrativo, n. 310).

L'appello va dunque respinto.

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