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sezione XI; decisione 14 luglio 1984, n. 7554; Pres. G. Conte, Est. Miele; Intendenza di finanza di...

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sezione XI; decisione 14 luglio 1984, n. 7554; Pres. G. Conte, Est. Miele; Intendenza di finanza di Roma c. Geri Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 2 (FEBBRAIO 1985), pp. 81/82-87/88 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177756 . Accessed: 28/06/2014 13:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.130 on Sat, 28 Jun 2014 13:28:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione XI; decisione 14 luglio 1984, n. 7554; Pres. G. Conte, Est. Miele; Intendenza di finanzadi Roma c. GeriSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 2 (FEBBRAIO 1985), pp. 81/82-87/88Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177756 .

Accessed: 28/06/2014 13:28

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Infondata è, invece, la richiesta tendente ad ottenere la riva

lutazione monetaria sull'indennità di buonuscita liquidata con

ritardo rispetto alla data di collocamento a riposo. La indennità di buonuscita del dipendente pubblico si differen

zia nettamente dall'indennità di anzianità di tipo privatistico.

Quest'ultima è in effetti collegata alla semplice prestazione del

lavoro, mentre la prima presuppone una certa durata del servizio,

è alimentata da un fondo formato dai contributi del datore di

lavoro ed è gestita con criteri mutualistici dall'ente di previdenza

competente. Pertanto l'indennità di buonuscita di diritto pubblico non ha

carattere di retribuzione differita ma assolve anche e precisamente una funzione previdenziale ed assistenziale (Cons. Stato, sez. V,

n. 840 del 30 settembre 1977, id., Rep. 1977, voce Impiegato dello Stato, n. 1055). Conseguentemente non è applicabile al relativo

credito il principio della rilevanza automatica della svalutazione mo

netaria, ritenuto dal Consiglio di Stato, ad. plen. n. 7 del 30 ottobre

1981 (id., 1982, III, 1) in relazione al ritardo o all'inadempimento delle prestazioni retributive.

Invero, la rilevanza automatica della svalutazione monetaria del

credito del dipendente pubblico è stata basata sulla esigenza di

sostentamento, quale connotazione essenziale della retribuzione

tanto se percepita dai dipendenti privati quanto se percepita dai

dipendenti pubblici, ma tale esigenza non sussiste per un credito

previdenziale quale è quello dell'indennità di buonuscita (Cass.

id., Rep. 1980, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 292).

Né il ricorrente ha fornito alcun elemento di prova di un

ulteriore danno subito ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c.

Per quanto considerato il ricorso va parzialmente accolto.

(Omissis) II

Diritto. — Va preliminarmente dichiarata la nullità della costi

tuzione in giudizio del comune di Campoli del Monte Taburno

che, sebbene autorizzato con apposito atto di giunta, non ha

depositato, nemmeno all'udienza pubblica, la necessaria delibera di

ratifica consiliare.

Il dr. Belgiorno, segretario del comune predetto, già sospeso dal

servizio dal 27 dicembre 1968 al 15 luglio 1973 a seguito di una

vicenda giudiziaria conclusasi con sentenza definitiva di estinzione

del reato per amnistia, e successivamente riammesso con ricono

scimento — in base al decreto prefettizio 18 ottobre 1977 — degli emolumenti non percepiti durante tale periodo di sospensione, chiede oltre all'annullamento — in via tuzioristica — dell'atto

impugnato, la declaratoria del proprio diritto a vedersi corrispon dere da pairte dell'amministrazione la residua somma del credito

principale con rivalutazione dalla data delle singole mensilità

maturate oltre agli interessi corrispettivi in misura legale sullo

stesso credito rivalutato. Il ricorso è infondato. L'interessato basa essenzialmente la sua

pretesa sulla mancata osservanza nella specie dei principi generali in materia di restitutio in integrum, osservando che, in caso di

annullamento ex tunc di un atto che sacrifica la posizione del

dipendente, la reintegrazione economica deve comportare l'attribu

zione ora per allora delle somme che lo stesso avrebbe potuto

percepire come se il rapporto non fosse stato mai sospeso, sicché,

per ristabilire l'equilibrio spezzato ed aversi una piena ed effettiva

restitutio in integrum, non era sufficiente corrispondere le somme

nel loro importo nominale, ma occorreva rivalutarle, calcolando

sulle stesse somme anche gli interessi corrispettivi. Il ricorrente in sostanza fonda cioè la sua pretesa sul presup

posto che la somma a lui dovuta sia conseguente ad un rapporto

negoziale di credito-debito nei confronti dell'amministrazione, as

sumendo, quindi la necessità che nel caso doveva essere fatto

salvo l'integrale valore del suo credito di lavoro, su cui, essendo

esso liquido ed esigibile, gli interessi corrispettivi andavano calco

lati per ciascun anno tenendo conto delia somma dovuta e di

volta in volta rivalutata.

Considera pertanto l'interessato il pagamento di quanto dovuto

gli come derivante da un rapporto sinallagmatico, con prestazione lavorativa e controprestazione retributiva, ritenendo quindi il suo

come un vero e prorio credito di lavoro.

11 collegio ritiene però di non poter condividere tale prospetta zione del ricorrente.

Nel caso in esame infatti la pretesa dell'interessato non può fondarsi sulla effettuazione di alcuna prestazione lavorativa nel

periodo suindicato di sospensione del rapporto. La natura giuridica dell'obbligazione in questione deve essere

quindi individuata in altro modo, considerando cioè alla base di

essa non un rapporto di lavoro, bensì un fatto sui generis,

collegato allo stesso rapporto di servizio sospeso, e consistente in

una prestazione dovuta dall'amministrazione a puro titolo di

indennizzo per il danno subito dal dipendente cautelarmente

sospeso e poi riammesso.

Il Foro Italiano — 1985 — Parte III- 6.

Tale pagamento viene poi determinato nel quantum, tenendo

conto delle singole mensilità retributive nominali non fruite nel

periodo di sospensione cautelare, solo perché nella legge non si

riesce ad individuare altro più adeguato parametro di riferimento.

Non si tratta nella specie pertanto — come erroneamente assume il

ricorrente — di un credito di lavoro da dover rivalutare (che ha la sua causa debendi nella prestazione lavorativa correlata

all'obbligo della retribuzione da parte dell'amministrazione), bensì di una diversa obbligazione ex lege di natura risarcitoria per il concreto riconoscimento del danno subito a seguito della

sospensione del rapporto, danno quantificato, in mancanza di altri

parametri, sulla base dei predetti criteri riferiti alle mensilità di

stipendio non godute. Deve quindi escludersi nel caso la sussistenza di un rapporto

sinallagmatico, essendo mancata la corrispettività delle prestazioni nel periodo di sospensione cautelare, in cui il ricorrente non ha

effettuato alcuna attività alle dipendenze dell'amministrazione, ed essendo il suo diritto agli emolumenti non goduti sorto solo

successivamente dopo il decreto di riammissione in servizio, a

titolo di risarcimento del danno derivato a causa della sospensione subita.

Per quanto ora esposto il collegio non può quindi ritenere nella

specie applicabile — per una restitutio in integrum integrale — il

recente orientamento della giurisprudenza concernente il ricono

scimento degli interessi sulla retribuzione e la rilevanza sulla stessa della svalutazione monetaria (Cons. Stato, ad. plen., 7 aprile 1981, n. 2, Foro it., 1981, III, 427, e 23 febbraio 1982, n. 1,

id., 1982, III, 189), orientamento che ha in particolare stabilito

che, per le somme costituenti oggetto di credito di lavoro « pur in

costanza del principio nominalistico sul quale si fondano le

prestazioni retributive a favore di pubblici dipendenti... venga senz'altro meno il principio dell'insensibilità delle obbligazioni

pecuniarie alla svalutazione monetaria» (ad. plen. n. 1/82, cit.). Deve quindi concludere il collegio che la pretesa del ricorrente,

nella sua fondamentale sostanza, non può essere accolta per le

considerazioni sopra svolte, anche perché non è possibile nella

specie applicare i principi di cui alla recente giurisprudenza ora

indicata che è riferita esclusivamente ai crediti di lavoro e alle

prestazioni retributive tardivamente erogate e non già ad altre

obbligazioni pecuniarie consistenti — come nel caso in esame —

in un pagamento di somme dovute per l'indennizzo del danno

sofferto in conseguenza della sospensione subita.

Il ricorso va pertanto respinto. (Omissis)

I

COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezione XI; de

cisione 14 luglio 1984, n. 7554; Pres. G. Conte, Est. Miele; Intendenza di finanza di Roma c. Gerì.

Tributi in genere — Contenzioso tributario — Appello — Tem

pestività — Momento rilevante (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, re

visione della disciplina del contenzioso tributario, art. 22). Reddito delle persone fisiche (imposta sul) — Redditi soggetti a

tassazione separata — Indennità di buonuscita erogata dal

l'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali — Natura di reddito — Esclu

sione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e discipli na dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 1, 12).

In materia di contenzioso tributario, al fine di verificare la

tempestività dell'appello avverso la decisione di primo grado, è

rilevante solo il momento in cui l'appello stesso è proposto alla

segreteria della commissione che ha emesso la decisione impu

gnata, ed è pertanto del tutto irrilevante il momento successivo

in cui copia dell'atto di appello è notificata alla contropar te. (1)

L'indennità di buonuscita erogata dall'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali per le sue caratteristiche assistenziali ed assicurative non

ha natura di reddito e, pertanto, non è soggetta a tassazione ai

fini i.r.p.e.f. (2)

(1) Rispetto a tale particolare questione non si rinvengono preceden ti in giurisprudenza. Più in generale sulla tassatività ed inderogabilità della disposizione di cui all'art. 22 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e succ. mod., nella parte in cui prevede la presentazione dell'appello alla

segreteria della commissione tributaria che ha emesso la decisione

impugnata e la sua notificazione alla controparte ad iniziativa della

segreteria medesima, cfr. Cass. 26 settembre 1983, n. 5692, Foro it., 1984, I, 1018, con nota di Pettini.

(2-3) Pochi giorni dopo la pubblicazione della ordinanza con la

quale la Corte costituzionale ha sollevato avanti a se stessa la

questione di costituzionalità del meccanismo impositivo delle indennità di fine rapporto (ord. 20 giugno 1984, n. 179, Foro it., 1984, I, 1761) la Commissione tributaria centrale, chiamata per la prima volta a

pronunciarsi al riguardo, ha negato la natura di reddito all'indennità

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PARTE TERZA

II

COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezione XI; de

cisione 14 luglio 1984, n. 7555; Pres. G. Conte, Est. Crisci; In

tendenza di finanza di Roma c. Mancini.

Reddito delle persone fìsiche (imposta sul) — Redditi soggetti a

tassazione separata — Indennità di buonuscita — Indennità pre mio di fine servizio — Natura di reddito — Esclusione

(D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, art. 1, 12).

L'indennità di buonuscita erogata dall'E.n.p.a.s. e l'indennità

premio di fine servizio erogata dal'I.n.a.d.e.l. per le proprie caratteristiche assistenziali ed assicurative non hanno natura di

reddito e, pertanto, non sono soggette a tassazione ai fini

i.r.p.e.f. (3) I

Al dott. Vinicio Gerì, già primo presidente della Corte d'appello di Roma, collocato a riposo nel 1981, veniva liquidata dall'E.n.p.a.s. la indennità di buonuscita nella misura di lire 128.742.793, sulla

quale veniva operata la ritenuta i.r.p.e.f. Assumendo che la operata ritenuta era illegittima il dott. Geri chiedeva all'intendente di

finanza di Roma il rimborso della imposta i.rjp.e.f. trattenuta. Tra

scorsi tre mesi dall'istanza, non avendo l'intendente provveduto, il

dott. Geri proponeva ricorso alla commissione tributaria di primo grado, la quale accoglieva il ricorso, dichiarando illegittima la

ritenuta e disponeva che l'ufficio distrettuale imposte provvedesse alla restituzione dell'imposta. L'intendente di finanza proponeva

appello sostenendo che l'indennità di buonuscita non è esente da

imposizione i.r.p.e.f. Il contribuente nelle sue deduzioni eccepiva che l'appello era inammissibile essendo stato proposto tardivamente. In proposito esponeva che la decisione della commissione tributa ria di primo grado era stata comunicata all'ufficio il 18 marzo

1983 e che l'appello era stato proposto il 18 maggio 1983, cioè

oltre il sessantesimo giorno dalla data della comunicazione. Al

riguardo sosteneva che la proposizione dell'appello non si ha col

solo deposito dell'impugnazione alla segreteria della commissione

tributaria ma occorre anche la notifica della impugnazione alla

di buonuscita erogata dall'E.n.p.a.s. nonché all'indennità per premio di

fine servizio erogata dall'I .n.a.d.e.l. {entrambe a beneficio dei dipenden ti pubblici) e, conseguentemente, ha ritenuto che le indennità stesse non sono assoggettabili ad imposizione ai fini i.r.p.e.f.

L'orientamento della Commissione tributaria centrale è basato sulla

convinzione che le indennità in questione, lungi dal costituire forme di

retribuzione differita e quindi un incremento di ricchezza che dà luogo ad una maggiore capacità contributiva, sono bensì assimilabili a

somme esenti ex lege dalle imposte sui redditi, quali i sussidi

corrisposti a titolo assistenziale ed i capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita (cfr., in proposito l'art. 34 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601).

A parere della Comm. trib. centrale tale assimilazione si può ricavare da alcune particolari caratteristiche delle indennità in questio ne quali quella di costituire introiti aventi natura assistenziale e

previdenziale, che vengono alimentati con contributi posti anche a carico del dipendente pubblico che per espressa disposizione di legge (art. 48, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) non costituiscono reddito imponibile, e tenuto conto del particolare meccanismo previsto per la loro corresponsione, meccanismo che per la sua aleatorità ne

evidenzia, tra l'altro, aspetti propri del contratto di assicurazio ne sulla vita.

Pertanto, le summenzionate caratteristiche delle indennità in questio ne porterebbero ad escludere che le stesse possano essere considerate

stipendio o salario differito (che il datore di lavoro accantona durante il rapporto di lavoro e corrisponde poi al dipendente alla fine del

rapporto medesimo) e quindi possano rientrare nel concetto di reddito cosi come delineato dagli art. 1 e 12 d.p.r. n. 597/73.

A tal proposito occorre invece segnalare che entrambe le riportate decisioni in obiter dictum affermano che le indennità di fine

rapporto corrisposte ai dipendenti privati presentano le caratteristiche

tipiche della retribuzione differita e pertanto rientrano nella nozione di

reddito assoggettabile ad i.r.p.e.f. Da ultimo, orientativamente sui trattamenti di fine rapporto anche alla

luce della 1. 297/82, cfr. Ghezzi-Romagnoli, Diritto del lavoro, Bologna, 1984, 260 ss., spec. 265 sull'indennità di buonuscita quale « istituto tipico del comparto statale — anche se disordinatamente esteso, con discipline sperequate, a svariati rapporti speciali di pubblico impiego (come gli au

toferrotramvieri) — e del comparto degli enti locali ed ospedalieri (qui con la denominazione di premio di servizio) ».

In senso conforme alle riportate decisioni, oltre alla giurisprudenza citata in nota alla ordinanza della Corte cost. n. 179 del 1984, cit., cfr. Comm. trib. I grado Torino 3 febbraio 1984, e Comm. trib. I grado Verbania 25 settembre 1984, entrambe massimate in Bollettino trib., 1984, 1704; inoltre si segnala la recentissima Comm. trib. centrale, sez.

XI, 20 ottobre 1984, n. 8941, riassunta in Economia e tributi, 1984, n. 1, 98. In dottrina, oltre a quanto segnalato in nota a Corte cost. n.

179 del 1984 v., da ultimo, De Sena, Sulla imponibilità dell'indennità di buonuscita, in Rass. trib., 1984, III, 207; Zoppis, Il trattamento tri

butario dell'indennità di anzianità, in Comm. trib. centrale, 1984, III, 493.

Il Foro Italiano — 1985.

controparte ad opera dell'ufficio notifica che deve effettuarsi nel

termine suddetto. Poiché solo il 18 maggio 1983 si era completato l'iter dell'impugnativa questa era tardiva perché perfezionatasi oltre il 60° giorno dalla comunicazione. Deduceva altresì che non

poteva considerarsi data della consegna dell'appello alla segreteria della commissione quella del 16 maggio 1983 risultante dal timbro

apposto all'impugnazione sulle copie di questa esistente nella

segreteria della commissione stessa, in quanto la data apposta sulla copia dell'impugnazione a lui notificata era quella del 18

maggio 1983. Nel contrasto delle due date doveva darsi preferenza a quella apposta sulla copia a lui notificata, solo questa essendo

rilevante ai fini della tempestività della impugnazione, per il

principio della ricettività della impugnazione nei riguardi dell'ap

pellato. La commissione tributaria di secondo grado con la decisione

indicata in epigrafe accoglieva la eccezione di decadenza dall'im

pugnazione per decorrenza del termine e decideva in tal senso.

Avverso questa decisione l'intendenza di finanza di Roma propone ricorso a questa commissione centrale deducendo la erroneità della decisione relativamente alla affermata inammissibilità dell'impu

gnazione per decadenza e insistendo sul motivo di merito proposto alla commissione di secondo grado.

Resiste con controricorso il dott. Gerì, che, nel mentre sostiene la fondatezza della decisione circa la inammissibilità della impu

gnazione, insiste nella tesi, accolta dalla decisione di primo grado, della intassabilità della indennità di buonuscita.

È fondato il motivo di ricorso dell'indentenza di finanza

relativo alla ritenuta decadenza dall'impugnazione. In materia tributaria il procedimento di impugnazione è regola

to compiutamente dal d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 in quanto l'art. 39 di detto d.p.r. richiama soltanto le norme del libro primo del codice di procedura civile, nel quale non sono comprese quelle sulle impugnazioni. Ciò posto va osservato che l'art. 22 d.p.r. cit. re

gola due fasi del procedimento d'impugnazione: una propria di co lui che propone l'impugnazione, l'altra affidata invece all'attività del la segreteria della commissione. Le due fasi sono autonome in

quanto non risulta affatto dalle norme del d.p.r. cit. che l'impu gnazione si possa considerare effettuata allorché si siano svolte le due fasi nel termine di legge assegnato. Invero l'art. 22 stabilisce che l'impugnazione si « propone » mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale dell'atto di appello alla segreteria della commissione entro sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione della decisione impugnata. Ora avendo la legge concesso tale termine per la proposizione dell'impugnazione, di

esso l'appellante può usufruire fino a tutto il sessantesimo giorno, cioè può proporre l'impugnazione mediante consegna o spedizione fino al sessantesimo giorno. Da ciò la conseguente osservazione che

qualora nel sessantesimo giorno avvenga la ricezione da parte della segreteria della impugnazione, la successiva attività dell'uffi

ciò regolata nel 4° comma dello stesso articolo non può che

esplicarsi oltre il sessantesimo giorno. Se fosse esatta la tesi

esposta dal contribuente in tali casi l'impugnazione dovrebbe

considerarsi tardiva, senza che però una norma della legge lo

stabilisca.

E una tale conclusione è manifestamente infondata e contraddi toria. Se fosse esatta la tesi si avrebbe una implicita riduzione del

termine per l'impugnazione in quanto l'impugnante dovrebbe

necessariamente anticipare il momento della consegna dell'impu

gnazione, dovendo calcolare il presumibile numero di giorni necessario perché venga effettuata la notificazione alla controparte. Contraddittoriamente, nel mentre si concede il termine di sessanta

giorni per l'impugnazione, questo verrebbe decurtato, il che, in

mancanza di norma di legge, non è concepibile. Dalla ora affermata dicotomia delle attività relative alla impu

gnazione, deriva l'ulteriore osservazione che l'unica data rilevante

ai fini dell'impugnazione è quella certificata al momento della

consegna o della ricezione dell'impugnazione alla segreteria della

commissione, per cui una diversa data che apparisse sull'atto

notificato alla controparte sarebbe ininfluente, poiché la notifica

zione è attività successiva alla già proposta impugnazione, essendo

essenziale a tal fine, come si è osservato, solo la data della

consegna o ricezione dell'atto da parte della segreteria. Una

consimile procedura si ha ad es. anche nel procedimento delle

controversie del lavoro in cui (art. 434 c.p.c.) l'impugnazione è

proposta mediante deposito nella cancelleria del tribunale mentre la successiva attività processuale riguarda solo la proseguibilità della impugnazione. Nel caso in esame poiché la data di ricezione

dell'atto è quella apposta sull'atto stesso consegnato alla segreteria e questa è il 16 maggio 1983, questa sola data essendo rilevante ai fini dell'impugnazione, l'impugnazione va dichiarata tempestiva. Pertanto la decisione impugnata va annullata e va esaminato il

merito dell'impugnazione proposta dall'intendenza di finanza. Essa

è infondata.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Per aversi tassazione Lr.p.e.f. della indennità di buonuscita

regolata dal t.u. 29 dicembre 1973 n. 1032, occorre che essa

costituisca reddito per il percipiente, così come stabilisce in via

generale l'art. 1 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 e viene riafferma

to nella prima parte dell'art. 12 della stessa legge. Si ha reddito

quando vi è un incremento di ricchezza, il quale dà luogo ad una

maggiore capacità contributiva del soggetto passivo, capacità con

tributiva che legittima la imposizione fiscale (art. 53 Cost.). Tale

natura del reddito rende ragione delle norme che stabiliscono che

è tassabile il reddito netto, cioè quello al netto da oneri e spese. In taluni casi il legislatore stabilisce l'esenzione fiscale di alcuni

introiti, in quanto esclude per essi il carattere di reddito, così

esenta da imposizione, tra gli altri, quanto corrisposto dallo Stato

o da altri enti pubblici a titolo assistenziale e i capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita (art. 34, 3°

comma, ed ultimo comma, questo mod. da 1. 3 novembre 1982 n.

835). Per queste ipotesi di redditi esenti, la ratio della norma sta

nel fatto che in questi casi fa difetto la natura di reddito; quale incremento di ricchezza e manifestazione di capacità contributiva, nell'un caso per lo stato di bisogno che ha originato la elargizione

pubblica, nell'altro per il carattere previdenziale del contratto di

assicurazione, avente a base il rischio vita assicurato (la sopravvi venza al momento dell'evento posto in assicurazione), situazione

che esclude una maggiore capacità contributiva del soggetto. Ciò

precisato, va osservato che le carratteristiche dei due introiti sopra esaminati si riscontrano puntualmente nelle indennità di buonusci

ta, corrisposta dall'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali. Infatti sia la

caratteristica della assistenzialità sia quella di capitale percepito in

dipendenza di contratto di assicurazione emergono dai seguenti elementi: a) la indennità di buonuscita è formata in parte con i

contributi del dipendente stesso e con quelli corrisposti dallo

Stato. Ha la finalità di assicurare al dipendente un esborso di

denaro in occasione della cessazione del rapporto di lavoro,

quando si riducono gli introiti. Fine assistenziale evidenziato dalla

norma di legge (art. 48, 1° cpv., d.p.r. cit.) che dichiara non

costituire reddito l'importo dei contributi versati, b) Tale carattere

assistenziale emerge anche dal regolamento stabilito per la corre

sponsione della indennità. Essa spetta al dipendente statale solo se

è in vita al momento della cessazione dal servizio. Se invece il

rapporto di servizio si interrompe per morte del dipendente, l'indennità non viene acquisita al suo patrimonio, e per tal fatto

non diviene trasferibile mortis causa, ma è direttamente corrispo sta a determinati congiunti (la moglie, gli orfani, i fratelli e le

sorelle) che abbiano diritto a pensione di riversibilità (art. 5 t.u.

29 dicembre 1973 n. 1032) si tratti cioè di persone in situazione

di bisogno. Inoltre l'indennità spetta solo se il dipendente abbia

diritto a pensione (art. 3 t.u. cit.). Da tutto ciò devesi arguire che

l'indennità ha non solo carattere assistenziale, ma anche di

capitale riscosso per l'avveramento di un evento futuro ed incerto

(la cessazione dal servizio con diritto a pensione, e non per causa

di morte), evidenzia cioè una caratteristica propria del contratto di

assicurazione sulla vita.

Diverso è invece il regolamento della indennità di fine lavoro

privato, regolato dal codice civile. Questa viene corrisposta dal dato

re di lavoro a suo totale carico. Di essa, sia pure con alcune limita

zioni, il lavoratore può disporre anche con testamento (art. 2122

c.c., v. sent. Corte cost. 19 gennaio 1972, n. 8, Foro it., 1972, I,

275). Tali indennità di fine lavoro presentano indubbie ca

ratteristiche di retribuzione differita e come tali sono vero reddito.

Pertanto, non avendo l'indennità di buonuscita, corrisposta ai

dipendenti statali, natura di reddito, non può essere soggetta a

tassazione i.r.p.e.f.

II

Fatto. — L'intendenza di finanza di Roma impugna la decisione

della commissione tributaria di secondo grado di Roma, sez. XI, n. 7.600 in data 29 settembre 1983 relativa al mancato rimborso

della ritenuta di acconto ijr.p.e.f. sulla indennità di buonuscita

corrisposto al dr. Armando Mancini.

Il ricorrente ufficio contesta la tardività del proprio ricorso in

secondo grado affermata nella impugnata decisione e il fondamen

to nel merito della pretesa del contribuente, sostenendo, a que st'ultimo riguardo, che l'indennità di buonuscita è, in sostanza, una

retribuzione differita in stretta relazione di causalità con la

cessazione del rapporto di lavoro, ed è quindi soggetta ad i.r.p.ei. avendo carattere reddituale.

Essendo l'indennità liquidata da un organismo diverso dallo

Stato datore di lavoro, l'ufficio sostiene inoltre che è applicabile, in caso di istanza di rimborso, l'art. 38 d.p.r. n. 602/73.

Deduce la ricorrente che il procedimento in secondo grado è

irregolare in quanto la segreteria della commissione di primo

grado, in violazione dell'art. 22 d.p.r. n. 636/72, ha trasmesso

l'atto di appello alla commissione di secondo grado prima che . jj

Il Foro Italiano — 1985.

fosse trascorso il termine di 60 giorni dalla notifica dell'appello all'altra parte. La decisione del giudice di primo grado è inoltre

nulla perché pronunciata durante la sospensione dei giudizi, disposta dall'art. 32, 3° comma, d.l. 10 luglio 1983 n. 429

convertito in 1. 7 agosto 1982 n. 516 e successive modifiche. Resiste al ricorso il contribuente, confutando le argomentazioni

dell'ufficio e chiedendo il rigetto del ricorso, con presa d'atto che è passata in giudicato, per mancanza di specifica impugnazione, la

statuizione del giudice di primo grado, relativa al rimborso della

ritenuta effettuata sull'indennità per premio di servizio corrisposto daH'I.n.a.d.e.l. (indennità diversa, sebbene analoga, all'indennità di

buonuscita corrisposta daU'E.n.p.a.s.). Con successive memorie, le parti sviluppano ulteriormente le

rispettive tesi, controdeducendo alle osservazioni proposte ex

adverso. L'intendenza di finanza, in particolare, afferma di

avere impugnato la pronuncia relativa all'indennità globalmente

liquidata al Mancini, comprensiva dell'indennità per premio di

servizio e della indennità di buonuscita, e di aver dedotto motivi che valgono per entrambe.

Diritto. — La circostanza che la segreteria della commissione

tributaria di primo grado abbia trasmesso l'atto di appello dell'in tendenza di finanza alla commissione di secondo grado prima del

termine di 60 giorni dalla notifica dell'appello al contribuente,

appare irrilevante. La norma dell'art. 22 d.p.r. n. 636/72 è infatti

dettata a favore dell'appellato (per consentirgli di proporre più

agevolmente un eventuale ricorso incidentale) e non dell'appellan te, il quale non ha quindi interesse alcuno a lamentare siffatta

eventuale irregolarità. La censura relativa è pertanto inammissibile.

Quanto al fatto che la decisione di primo grado sia stata

pronunciata durante la sospensione dei giudizi in connessione con il condono fiscale, va osservato, a parte la tardività del motivo, che la sospensione si riferisce ai processi concernenti le controver sie soggette ad estinguersi per condono, fra le quali non rientra

quella in esame.

Appare inoltre corretto, ai sensi della vigente normativa, il

procedimento seguito dal contribuente, che, in data 27 dicembre

1981, ha avanzato all'intendenza di finanza di Roma istanza di rimborso della ritenuta d'acconto subito all'atto della percezione dell'indennità di buonuscita corrisposta dall1E.n.p.ajs. e del premio di servizio corrisposto daH'I.n.a.d.e.l.

L'accenno fatto in proposito dall'appellante all'art. 38 d.p.r. n.

636/72, risulta generico e non concludente. Per ciò che concerne il preteso passaggio in giudicato della

decisione della commissione tributaria di primo grado relativa

all'illegittimità del mancato rimborso della ritenuta operata sull'in dennità del premio di servizio effettuata daH'I.n.a.d.e.l. deve rilevarsi che, nonostante la omessa menzione di tale indennità nei ricorsi proposti dall'intendenza di finanza in secondo grado e nell'attuale sede, emerge dal contenuto dei gravami che essi sono sostanzialmente diretti contro il contenuto globale della decisione di primo grado, che ha stabilito essere stata indebitamente effet tuata la ritenuta i.r.p.e.f. sia sul premio di servizio che sull'indenni tà di buonuscita — è da ritenersi dunque che le censure mosse dall'ufficio riguardino l'intera controversia, non essendo tra l'altro alcuna ragione atta a giustificare una separazione delle questioni concernenti l'una e l'altra indennità.

In base ad una interpretazione logica e non solo letterale, deve concludersi che l'attuale ricorso investa la controversia nella sua

originaria consistenza. Nell'affermare l'assoluta nullità della comunicazione della deci

sione di primo grado, l'intendenza di finanza ha prospettato circostanze (quali la mancata iscrizione sui registri di protocollo in arrivo e la mancata restituzione alla segreteria della commissio ne di primo grado del duplo per ricevuta) che andrebbero verificate ai fini di una pronuncia sull'affermata tardività del ricorso alla commissione tributaria di secondo grado.

Ritiene peraltro la sezione di potersi esimere dal provvedere al

riguardo con ordinanza istruttoria, considerato che il ricorso è

privo di fondamento nel merito.

Ai sensi dell'art. 12, lett. e, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597,

l'imposta sul reddito delle persone fisiche si applica sulle « inden nità di anzianità, di previdenza... e ogni altra somma percepita una volta tanto per la cessazione dei rapporti di lavoro dipenden te ». L'art. 46, 2° comma, dello stesso d.p.r. precisa poiché le indennità e le altre somme di cui alla lettera e) dell'art. 12

costituiscono redditi di lavoro dipendente. Secondo la tesi dell'appellante, ancorata ad una interpretazione

meramente letterale, risulterebbe dunque per espresso disposto legislativo che l'indennità di buonuscita e il premio di fine

servizio, essendo indennità di previdenza e, comunque, somme

percepite per la cessazione (cioè in connessione con, all'atto, a

seguito della cessazione) del rapporto di lavoro dipendente, devono essere assoggettate all'i.r.p.ei.

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PARTE TERZA

Se cosi fosse, la citata normativa non potrebbe sottrarsi a

numerosi dubbi di legittimità costituzionale, che sono stati in

effetti sollevati sotto vari profili da altri giudici (violazione dell'art. 76, dell'art. 3, dell'art. 38, dell'art. 53 Cost., ecc.).

Ritiene tuttavia la sezione che la legge ordinaria vada interpre

tata, fin dove è possibile, in modo che il suo significato e la sua

portata risultino non in contrasto con i precetti costituzionali e

che, nel caso in esame, sia consentito pervenire a tale risultato.

Va premesso che presupposto essenziale e imprescindibile del

l'i.r.p.e.f. è, secondo l'art. 1 d.p.r. n. 597, il possesso di un

« reddito », proveniente da qualsiasi fonte. Il che è del resto

ovvio, trattandosi di imposta sul reddito.

Tutte le successive norme del d.p.r. vanno quindi intese, per

logica coerenza e secondo l'espressa intenzione del legislatore, nel

senso restrittivo che le indennità, gli emolumenti, gli assegni, e le

somme ivi specificate, vengono assoggettati all'imposta sul reddito

proprio perché ed in quanto costituiscono reddito; sicché alcune

corresponsioni di danaro debbono considerarsi sottratte all'i.r.p.e.f.

quando, pur potendo, in astratto, essere incluse nella denomina

zione generica usata dalla norma (indennità di previdenza, somme

percepite) abbiano caratteristiche particolari e, specifiche che

escludono sicuramente la natura di reddito, e, conseguentemente siano privi di quel requisito basilare che è richiesto in via

generale dall'art. 1 come giustificazione necessaria dall'imposta. Nel caso in esame, i citati art. 12, lett. e), e 46, 1° comma,

ribadiscono l'indirizzo enunciato nell'art. 1, dichiarando, come

sopra accennato, che le indennità di anzianità, di previdenza, di

preavviso e le altre somme percepite una volta tanto per la

cessazione di rapporti di lavoro dipendente costituiscono reddito di

lavoro, cioè reddito « derivante » dal lavoro prestato alle dipenden ze e sotto la direzione di altri (art. 46, 1° comma, art. 14, 1°

comma). Deve trattarsi, pertanto, di indennità e di somme concet

tualmente configurabili come reddito causato dall'esplicazione del

lavoro dipendente, il che avviene solo quando le stesse possono essere considerate come stipendio o salario differito che il datore

di lavoro accantona durante il rapporto e corrisponde poi all'inte

ressato, in una sola attribuzione, alla fine del rapporto stesso.

Esclusivamente in tal caso la percezione delle predette somme

può rientrare nell'ambito espressamente considerato dal legislatore, cioè nel reddito individuale di lavoro, il quale è, pacificamente, l'utile che proviene dall'esercizio di una attività, e che si mani

festa sotto forma di salario, stipendio, compenso, ossia come

risultato continuativo di una serie di scambi che hanno per

oggetto l'esplicazione di prestazioni personali contro corrispettivo. È ammissibile, a questa stregua, ritenere come reddito di lavoro

dipendente l'indennità di anzianità e quella di previdenza in

quanto siano a totale carico del datore di lavoro (cfr. art. 2117 e

2120 c.c.); non, invece, quella particolare indennità di carattere

previdenziale e assistenziale che sono formate o attribuite, come

l'indennità di buonuscita, sulla base del contributo obbligatorio non solo dell'amministrazione pubblica ma anche del pubblico

dipendente ed hanno, come si vedrà, una loro speciale natura, non assimilabile al contetto del corrispettivo.

Né si dica che l'indennità di buonuscita è una indennità di

previdenza erogata alla cessazione del rapporto, conseguentemente

soggetta all'i.r.p.e.f. ai sensi degli art. 12, lett. e), e 46, 2° comma,

d.p.r. n. 597: come già accennato le indennità e le somme

genericamente indicate in tali disposizioni non costituiscono reddi

to per volere arbitrario del legislatore, ma, tenuto conto del

generale principio informatore evidenziato nell'art. 1, sono assog

gettate all'i.r.p.e.f. solo se e in quanto costituiscono reddito.

Ora, secondo la vigente normativa sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato, i contributi

che il dipendente corrisponde obbligatoriamente in misura percen tuale alla sua retribuzione non sono rimborsabili, anche se non

venga erogata l'indennità di buonuscita (art. 37, ult. comma, d.p.r. n. 1032 del 29 dicembre 1973): cosa che può accadere se il

servizio cessa prima di un biennio o quando non sia maturato il

diritto a pensione (art. 3). L'indennità di buonuscita è pari a tanti

dodicesimi dell'80 % dello stipendio, paga o retribuzione goduti all'atto della cessazione del rapporto quanti sono gli anni di

servizio computabili (art. 3 e 38); ed è incerto se il relativo

ammontare, tenuto conto delle vicende di carriera di ciascuno,

dell'impiego dei contributi scelto discrezionalmente dal fondo di

previdenza e credito, e delle variazioni del potere di acquisto della moneta nell'arco temporale dall'inizio della contribuzione alla

cessazione del servizio, corrisponda o meno al coacervo delle

contribuzioni del dipendente e della p.a. L'esistenza di contributi provenienti dallo stesso lavoratore, non

sceverabili da quelli del datore di lavoro e suscettibili di

accrescimento a seguito dell'impiego fruttifero che il fondo di

previdenza ritenga farne (art. 34 e 35), esclude che possa parlarsi di stipendio o retribuzione differita e, quindi, di reddito derivante

dal rapporto di lavoro.

Il Foro Italiano — 1985.

Sembra piuttosto, tenuto anche conto degli elementi di alcatorie tà inerenti al rapporto, che si tratti di una forma particolare di assicurazione sociale obbligatoria a sfondo mutualistico (cfr. art.

1882, 1884, 1886 c.c.), in cui le contribuzioni sono assimilabili a

premi assicurativi, e l'indennità finale, se e quando venga corri

sposta, ha, si, scopi previdenziali e assistenziali (in quanto mira a

consentire, accanto alla pensione, la disponibilità di un capitale commisurato alla posizione economica da ultimo raggiunta dal

dipendente e alla durata del servizio prestato, onde meglio fronteggiare, al termine di un'attività e di una vita, le necessità inerenti al trapasso dal servizio attivo alla quiescenza) ma si

atteggia, sostanzialmente, come capitale corrisposto al verificarsi di

un evento (cessazione dal servizio) attinente alla vita umana. E va ricordato a tal proposito, che rettamente l'art. 15 i 13 aprile 1977 n. 114 stabilisce che «i capitali percepiti in dipendenza dei contratti di assicurazione sulla vita, sono esenti dalil'i.r.p.e.f. ».

Impossibile dunque includere l'indennità di buonuscita, cosi

configurata, fra le indennità e le somme di cui all'art. 12, lett. e), d.p.r. n. 597.

Tanto ciò è vero, che l'art. 48 del citato d.p.r. (1° comma)

precisa che il reddito di lavoro dipendente, come tale soggetto ad

i.r.p.e.f. ai sensi dell'art. 1 e dell'art. 6, categ. C, è costituito da tutti i compensi ed emolumenti, comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili e a titolo di sussidio o liberalità,

percepiti dal lavoratore « in dipendenza del lavoro prestato »; cioè

erogati dal datore di lavoro a proprio esclusivo carico come

componente della controprestazione che lo stesso ritiene di corri

spondere al dipendente in considerazione del servizio prestato. Fra tali compensi non può essere compresa la indennità di buonuscita, che, oltre ad essere alimentata anche dai contributi del lavoratore, viene corrisposta, con un margine di alcatorietà, in base a criteri autonomi rispetto a quelli che presiedono alla retribuzione; in concomitanza con la cessazione del rapporto, ma non in dipen denza del lavoro prestato.

L'indennità di buonuscita, dunque, non è retribuzione accanto nata e differita, sia pure a fini previdenziali, né sussidio o liberalità del datore di lavoro, bensì un capitale (nel senso economico di ricchezza suscettibile di dar luogo alla percezione di un reddito); tale capitale è predisposto dallo Stato con il contributo obbligatorio anche del dipendente ed è corrisposto al medesimo per fini assistenziali e sociali di portata generale, che

prescindono dal rapporto prestazione lavorativa-compenso, ed e

scludono, per loro natura, che il capitale possa essere decurtato

dall'imposta sul reddito, la cui percezione per scopi di interesse

pubblico menomerebbe inevitabilmente quell'interesse pubblico specifico in vista del quale l'indennità è attribuita.

Va soggiunto che il 2° comma dell'art. 48, fugando dubbi che

potrebbero nascere, sancisce, con disposizione di manifesta ispira zione sociale, che non concorrono a formare reddito i contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore ad enti o casse aventi

(come il fondo di previdenza e assistenza) esclusivamente fini

previdenziali o assistenziali in ottemperanza a disposizioni di

legge, anziché commisurati alle retribuzioni: se, in considerazione delle accennate finalità pubbliche di assistenza e di previdenza in favore del lavoratore, le percentuali di retribuzione percepite dal

dipendente e dallo stesso corrisposte al fondo di previdenza ed

assistenza onde maturare il diritto all'indennità di buonuscita, non

costituiscono reddito assoggettabile all'i.r.p.e.f., come potrebbe esse re considerata reddito proprio l'indennità di buonuscita, cui i

contributi son preordinati? Né è fondato supporre che la norma abbia voluto sottrarre

all'i.r.p.e.f. i contributi, proprio perché l'indennità di buonuscita in

cui questi confluiscono è assoggettata all'imposta: come si è

accennato, l'entrata costituita dai contributi non è dal fondo di

previdenza e assistenza destinata specificamente e direttamente al

pagamento della indennità di buonuscita, ma entra a far parte delle sue disponibilità, che sono state impiegate a fini svariati (art. 33 d.p.r. n. 1032/73). D'altra parte, non vi è necessaria coinciden

za fra il coacervo dei contributi e dei relativi frutti e l'ammontare

dell'indennità di buonuscita. Sicché non esiste una ragione tecnica

(attinente ad eventuale doppia imposizione o altro) che possa

giustificare l'esclusione dal reddito dei contributi versati ai fini

dell'indennità di buonuscita, e l'inclusione nel reddito della stessa

indennità di buonuscita.

Deve concludersi che l'indennità di buonuscita non concorre,

per sua natura, a formare reddito, cosi come non concorrono a

formare reddito, in base alla precisazione contenuta nell'art. 48, 2°

comma, i contributi versati dal lavoratore al fine di ottenere

l'erogazione della indennità stessa. Ne consegue che detta indenni tà non è assoggettata ad i.r.p.e.f., come risulta dalla interpretazio ne logica e teleologica della norma citata (art. 12 delle preleggi) analoghe considerazioni valgono per il premio di fine servizio. Le

imposte ritenute vanno conseguentemente rimborsate. {Omissis)

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