sezione XI; decisione 14 luglio 1984, n. 7554; Pres. G. Conte, Est. Miele; Intendenza di finanzadi Roma c. GeriSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 2 (FEBBRAIO 1985), pp. 81/82-87/88Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177756 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Infondata è, invece, la richiesta tendente ad ottenere la riva
lutazione monetaria sull'indennità di buonuscita liquidata con
ritardo rispetto alla data di collocamento a riposo. La indennità di buonuscita del dipendente pubblico si differen
zia nettamente dall'indennità di anzianità di tipo privatistico.
Quest'ultima è in effetti collegata alla semplice prestazione del
lavoro, mentre la prima presuppone una certa durata del servizio,
è alimentata da un fondo formato dai contributi del datore di
lavoro ed è gestita con criteri mutualistici dall'ente di previdenza
competente. Pertanto l'indennità di buonuscita di diritto pubblico non ha
carattere di retribuzione differita ma assolve anche e precisamente una funzione previdenziale ed assistenziale (Cons. Stato, sez. V,
n. 840 del 30 settembre 1977, id., Rep. 1977, voce Impiegato dello Stato, n. 1055). Conseguentemente non è applicabile al relativo
credito il principio della rilevanza automatica della svalutazione mo
netaria, ritenuto dal Consiglio di Stato, ad. plen. n. 7 del 30 ottobre
1981 (id., 1982, III, 1) in relazione al ritardo o all'inadempimento delle prestazioni retributive.
Invero, la rilevanza automatica della svalutazione monetaria del
credito del dipendente pubblico è stata basata sulla esigenza di
sostentamento, quale connotazione essenziale della retribuzione
tanto se percepita dai dipendenti privati quanto se percepita dai
dipendenti pubblici, ma tale esigenza non sussiste per un credito
previdenziale quale è quello dell'indennità di buonuscita (Cass.
id., Rep. 1980, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 292).
Né il ricorrente ha fornito alcun elemento di prova di un
ulteriore danno subito ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c.
Per quanto considerato il ricorso va parzialmente accolto.
(Omissis) II
Diritto. — Va preliminarmente dichiarata la nullità della costi
tuzione in giudizio del comune di Campoli del Monte Taburno
che, sebbene autorizzato con apposito atto di giunta, non ha
depositato, nemmeno all'udienza pubblica, la necessaria delibera di
ratifica consiliare.
Il dr. Belgiorno, segretario del comune predetto, già sospeso dal
servizio dal 27 dicembre 1968 al 15 luglio 1973 a seguito di una
vicenda giudiziaria conclusasi con sentenza definitiva di estinzione
del reato per amnistia, e successivamente riammesso con ricono
scimento — in base al decreto prefettizio 18 ottobre 1977 — degli emolumenti non percepiti durante tale periodo di sospensione, chiede oltre all'annullamento — in via tuzioristica — dell'atto
impugnato, la declaratoria del proprio diritto a vedersi corrispon dere da pairte dell'amministrazione la residua somma del credito
principale con rivalutazione dalla data delle singole mensilità
maturate oltre agli interessi corrispettivi in misura legale sullo
stesso credito rivalutato. Il ricorso è infondato. L'interessato basa essenzialmente la sua
pretesa sulla mancata osservanza nella specie dei principi generali in materia di restitutio in integrum, osservando che, in caso di
annullamento ex tunc di un atto che sacrifica la posizione del
dipendente, la reintegrazione economica deve comportare l'attribu
zione ora per allora delle somme che lo stesso avrebbe potuto
percepire come se il rapporto non fosse stato mai sospeso, sicché,
per ristabilire l'equilibrio spezzato ed aversi una piena ed effettiva
restitutio in integrum, non era sufficiente corrispondere le somme
nel loro importo nominale, ma occorreva rivalutarle, calcolando
sulle stesse somme anche gli interessi corrispettivi. Il ricorrente in sostanza fonda cioè la sua pretesa sul presup
posto che la somma a lui dovuta sia conseguente ad un rapporto
negoziale di credito-debito nei confronti dell'amministrazione, as
sumendo, quindi la necessità che nel caso doveva essere fatto
salvo l'integrale valore del suo credito di lavoro, su cui, essendo
esso liquido ed esigibile, gli interessi corrispettivi andavano calco
lati per ciascun anno tenendo conto delia somma dovuta e di
volta in volta rivalutata.
Considera pertanto l'interessato il pagamento di quanto dovuto
gli come derivante da un rapporto sinallagmatico, con prestazione lavorativa e controprestazione retributiva, ritenendo quindi il suo
come un vero e prorio credito di lavoro.
11 collegio ritiene però di non poter condividere tale prospetta zione del ricorrente.
Nel caso in esame infatti la pretesa dell'interessato non può fondarsi sulla effettuazione di alcuna prestazione lavorativa nel
periodo suindicato di sospensione del rapporto. La natura giuridica dell'obbligazione in questione deve essere
quindi individuata in altro modo, considerando cioè alla base di
essa non un rapporto di lavoro, bensì un fatto sui generis,
collegato allo stesso rapporto di servizio sospeso, e consistente in
una prestazione dovuta dall'amministrazione a puro titolo di
indennizzo per il danno subito dal dipendente cautelarmente
sospeso e poi riammesso.
Il Foro Italiano — 1985 — Parte III- 6.
Tale pagamento viene poi determinato nel quantum, tenendo
conto delle singole mensilità retributive nominali non fruite nel
periodo di sospensione cautelare, solo perché nella legge non si
riesce ad individuare altro più adeguato parametro di riferimento.
Non si tratta nella specie pertanto — come erroneamente assume il
ricorrente — di un credito di lavoro da dover rivalutare (che ha la sua causa debendi nella prestazione lavorativa correlata
all'obbligo della retribuzione da parte dell'amministrazione), bensì di una diversa obbligazione ex lege di natura risarcitoria per il concreto riconoscimento del danno subito a seguito della
sospensione del rapporto, danno quantificato, in mancanza di altri
parametri, sulla base dei predetti criteri riferiti alle mensilità di
stipendio non godute. Deve quindi escludersi nel caso la sussistenza di un rapporto
sinallagmatico, essendo mancata la corrispettività delle prestazioni nel periodo di sospensione cautelare, in cui il ricorrente non ha
effettuato alcuna attività alle dipendenze dell'amministrazione, ed essendo il suo diritto agli emolumenti non goduti sorto solo
successivamente dopo il decreto di riammissione in servizio, a
titolo di risarcimento del danno derivato a causa della sospensione subita.
Per quanto ora esposto il collegio non può quindi ritenere nella
specie applicabile — per una restitutio in integrum integrale — il
recente orientamento della giurisprudenza concernente il ricono
scimento degli interessi sulla retribuzione e la rilevanza sulla stessa della svalutazione monetaria (Cons. Stato, ad. plen., 7 aprile 1981, n. 2, Foro it., 1981, III, 427, e 23 febbraio 1982, n. 1,
id., 1982, III, 189), orientamento che ha in particolare stabilito
che, per le somme costituenti oggetto di credito di lavoro « pur in
costanza del principio nominalistico sul quale si fondano le
prestazioni retributive a favore di pubblici dipendenti... venga senz'altro meno il principio dell'insensibilità delle obbligazioni
pecuniarie alla svalutazione monetaria» (ad. plen. n. 1/82, cit.). Deve quindi concludere il collegio che la pretesa del ricorrente,
nella sua fondamentale sostanza, non può essere accolta per le
considerazioni sopra svolte, anche perché non è possibile nella
specie applicare i principi di cui alla recente giurisprudenza ora
indicata che è riferita esclusivamente ai crediti di lavoro e alle
prestazioni retributive tardivamente erogate e non già ad altre
obbligazioni pecuniarie consistenti — come nel caso in esame —
in un pagamento di somme dovute per l'indennizzo del danno
sofferto in conseguenza della sospensione subita.
Il ricorso va pertanto respinto. (Omissis)
I
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezione XI; de
cisione 14 luglio 1984, n. 7554; Pres. G. Conte, Est. Miele; Intendenza di finanza di Roma c. Gerì.
Tributi in genere — Contenzioso tributario — Appello — Tem
pestività — Momento rilevante (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, re
visione della disciplina del contenzioso tributario, art. 22). Reddito delle persone fisiche (imposta sul) — Redditi soggetti a
tassazione separata — Indennità di buonuscita erogata dal
l'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali — Natura di reddito — Esclu
sione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e discipli na dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 1, 12).
In materia di contenzioso tributario, al fine di verificare la
tempestività dell'appello avverso la decisione di primo grado, è
rilevante solo il momento in cui l'appello stesso è proposto alla
segreteria della commissione che ha emesso la decisione impu
gnata, ed è pertanto del tutto irrilevante il momento successivo
in cui copia dell'atto di appello è notificata alla contropar te. (1)
L'indennità di buonuscita erogata dall'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali per le sue caratteristiche assistenziali ed assicurative non
ha natura di reddito e, pertanto, non è soggetta a tassazione ai
fini i.r.p.e.f. (2)
(1) Rispetto a tale particolare questione non si rinvengono preceden ti in giurisprudenza. Più in generale sulla tassatività ed inderogabilità della disposizione di cui all'art. 22 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e succ. mod., nella parte in cui prevede la presentazione dell'appello alla
segreteria della commissione tributaria che ha emesso la decisione
impugnata e la sua notificazione alla controparte ad iniziativa della
segreteria medesima, cfr. Cass. 26 settembre 1983, n. 5692, Foro it., 1984, I, 1018, con nota di Pettini.
(2-3) Pochi giorni dopo la pubblicazione della ordinanza con la
quale la Corte costituzionale ha sollevato avanti a se stessa la
questione di costituzionalità del meccanismo impositivo delle indennità di fine rapporto (ord. 20 giugno 1984, n. 179, Foro it., 1984, I, 1761) la Commissione tributaria centrale, chiamata per la prima volta a
pronunciarsi al riguardo, ha negato la natura di reddito all'indennità
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PARTE TERZA
II
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezione XI; de
cisione 14 luglio 1984, n. 7555; Pres. G. Conte, Est. Crisci; In
tendenza di finanza di Roma c. Mancini.
Reddito delle persone fìsiche (imposta sul) — Redditi soggetti a
tassazione separata — Indennità di buonuscita — Indennità pre mio di fine servizio — Natura di reddito — Esclusione
(D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, art. 1, 12).
L'indennità di buonuscita erogata dall'E.n.p.a.s. e l'indennità
premio di fine servizio erogata dal'I.n.a.d.e.l. per le proprie caratteristiche assistenziali ed assicurative non hanno natura di
reddito e, pertanto, non sono soggette a tassazione ai fini
i.r.p.e.f. (3) I
Al dott. Vinicio Gerì, già primo presidente della Corte d'appello di Roma, collocato a riposo nel 1981, veniva liquidata dall'E.n.p.a.s. la indennità di buonuscita nella misura di lire 128.742.793, sulla
quale veniva operata la ritenuta i.r.p.e.f. Assumendo che la operata ritenuta era illegittima il dott. Geri chiedeva all'intendente di
finanza di Roma il rimborso della imposta i.rjp.e.f. trattenuta. Tra
scorsi tre mesi dall'istanza, non avendo l'intendente provveduto, il
dott. Geri proponeva ricorso alla commissione tributaria di primo grado, la quale accoglieva il ricorso, dichiarando illegittima la
ritenuta e disponeva che l'ufficio distrettuale imposte provvedesse alla restituzione dell'imposta. L'intendente di finanza proponeva
appello sostenendo che l'indennità di buonuscita non è esente da
imposizione i.r.p.e.f. Il contribuente nelle sue deduzioni eccepiva che l'appello era inammissibile essendo stato proposto tardivamente. In proposito esponeva che la decisione della commissione tributa ria di primo grado era stata comunicata all'ufficio il 18 marzo
1983 e che l'appello era stato proposto il 18 maggio 1983, cioè
oltre il sessantesimo giorno dalla data della comunicazione. Al
riguardo sosteneva che la proposizione dell'appello non si ha col
solo deposito dell'impugnazione alla segreteria della commissione
tributaria ma occorre anche la notifica della impugnazione alla
di buonuscita erogata dall'E.n.p.a.s. nonché all'indennità per premio di
fine servizio erogata dall'I .n.a.d.e.l. {entrambe a beneficio dei dipenden ti pubblici) e, conseguentemente, ha ritenuto che le indennità stesse non sono assoggettabili ad imposizione ai fini i.r.p.e.f.
L'orientamento della Commissione tributaria centrale è basato sulla
convinzione che le indennità in questione, lungi dal costituire forme di
retribuzione differita e quindi un incremento di ricchezza che dà luogo ad una maggiore capacità contributiva, sono bensì assimilabili a
somme esenti ex lege dalle imposte sui redditi, quali i sussidi
corrisposti a titolo assistenziale ed i capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita (cfr., in proposito l'art. 34 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601).
A parere della Comm. trib. centrale tale assimilazione si può ricavare da alcune particolari caratteristiche delle indennità in questio ne quali quella di costituire introiti aventi natura assistenziale e
previdenziale, che vengono alimentati con contributi posti anche a carico del dipendente pubblico che per espressa disposizione di legge (art. 48, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) non costituiscono reddito imponibile, e tenuto conto del particolare meccanismo previsto per la loro corresponsione, meccanismo che per la sua aleatorità ne
evidenzia, tra l'altro, aspetti propri del contratto di assicurazio ne sulla vita.
Pertanto, le summenzionate caratteristiche delle indennità in questio ne porterebbero ad escludere che le stesse possano essere considerate
stipendio o salario differito (che il datore di lavoro accantona durante il rapporto di lavoro e corrisponde poi al dipendente alla fine del
rapporto medesimo) e quindi possano rientrare nel concetto di reddito cosi come delineato dagli art. 1 e 12 d.p.r. n. 597/73.
A tal proposito occorre invece segnalare che entrambe le riportate decisioni in obiter dictum affermano che le indennità di fine
rapporto corrisposte ai dipendenti privati presentano le caratteristiche
tipiche della retribuzione differita e pertanto rientrano nella nozione di
reddito assoggettabile ad i.r.p.e.f. Da ultimo, orientativamente sui trattamenti di fine rapporto anche alla
luce della 1. 297/82, cfr. Ghezzi-Romagnoli, Diritto del lavoro, Bologna, 1984, 260 ss., spec. 265 sull'indennità di buonuscita quale « istituto tipico del comparto statale — anche se disordinatamente esteso, con discipline sperequate, a svariati rapporti speciali di pubblico impiego (come gli au
toferrotramvieri) — e del comparto degli enti locali ed ospedalieri (qui con la denominazione di premio di servizio) ».
In senso conforme alle riportate decisioni, oltre alla giurisprudenza citata in nota alla ordinanza della Corte cost. n. 179 del 1984, cit., cfr. Comm. trib. I grado Torino 3 febbraio 1984, e Comm. trib. I grado Verbania 25 settembre 1984, entrambe massimate in Bollettino trib., 1984, 1704; inoltre si segnala la recentissima Comm. trib. centrale, sez.
XI, 20 ottobre 1984, n. 8941, riassunta in Economia e tributi, 1984, n. 1, 98. In dottrina, oltre a quanto segnalato in nota a Corte cost. n.
179 del 1984 v., da ultimo, De Sena, Sulla imponibilità dell'indennità di buonuscita, in Rass. trib., 1984, III, 207; Zoppis, Il trattamento tri
butario dell'indennità di anzianità, in Comm. trib. centrale, 1984, III, 493.
Il Foro Italiano — 1985.
controparte ad opera dell'ufficio notifica che deve effettuarsi nel
termine suddetto. Poiché solo il 18 maggio 1983 si era completato l'iter dell'impugnativa questa era tardiva perché perfezionatasi oltre il 60° giorno dalla comunicazione. Deduceva altresì che non
poteva considerarsi data della consegna dell'appello alla segreteria della commissione quella del 16 maggio 1983 risultante dal timbro
apposto all'impugnazione sulle copie di questa esistente nella
segreteria della commissione stessa, in quanto la data apposta sulla copia dell'impugnazione a lui notificata era quella del 18
maggio 1983. Nel contrasto delle due date doveva darsi preferenza a quella apposta sulla copia a lui notificata, solo questa essendo
rilevante ai fini della tempestività della impugnazione, per il
principio della ricettività della impugnazione nei riguardi dell'ap
pellato. La commissione tributaria di secondo grado con la decisione
indicata in epigrafe accoglieva la eccezione di decadenza dall'im
pugnazione per decorrenza del termine e decideva in tal senso.
Avverso questa decisione l'intendenza di finanza di Roma propone ricorso a questa commissione centrale deducendo la erroneità della decisione relativamente alla affermata inammissibilità dell'impu
gnazione per decadenza e insistendo sul motivo di merito proposto alla commissione di secondo grado.
Resiste con controricorso il dott. Gerì, che, nel mentre sostiene la fondatezza della decisione circa la inammissibilità della impu
gnazione, insiste nella tesi, accolta dalla decisione di primo grado, della intassabilità della indennità di buonuscita.
È fondato il motivo di ricorso dell'indentenza di finanza
relativo alla ritenuta decadenza dall'impugnazione. In materia tributaria il procedimento di impugnazione è regola
to compiutamente dal d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 in quanto l'art. 39 di detto d.p.r. richiama soltanto le norme del libro primo del codice di procedura civile, nel quale non sono comprese quelle sulle impugnazioni. Ciò posto va osservato che l'art. 22 d.p.r. cit. re
gola due fasi del procedimento d'impugnazione: una propria di co lui che propone l'impugnazione, l'altra affidata invece all'attività del la segreteria della commissione. Le due fasi sono autonome in
quanto non risulta affatto dalle norme del d.p.r. cit. che l'impu gnazione si possa considerare effettuata allorché si siano svolte le due fasi nel termine di legge assegnato. Invero l'art. 22 stabilisce che l'impugnazione si « propone » mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale dell'atto di appello alla segreteria della commissione entro sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione della decisione impugnata. Ora avendo la legge concesso tale termine per la proposizione dell'impugnazione, di
esso l'appellante può usufruire fino a tutto il sessantesimo giorno, cioè può proporre l'impugnazione mediante consegna o spedizione fino al sessantesimo giorno. Da ciò la conseguente osservazione che
qualora nel sessantesimo giorno avvenga la ricezione da parte della segreteria della impugnazione, la successiva attività dell'uffi
ciò regolata nel 4° comma dello stesso articolo non può che
esplicarsi oltre il sessantesimo giorno. Se fosse esatta la tesi
esposta dal contribuente in tali casi l'impugnazione dovrebbe
considerarsi tardiva, senza che però una norma della legge lo
stabilisca.
E una tale conclusione è manifestamente infondata e contraddi toria. Se fosse esatta la tesi si avrebbe una implicita riduzione del
termine per l'impugnazione in quanto l'impugnante dovrebbe
necessariamente anticipare il momento della consegna dell'impu
gnazione, dovendo calcolare il presumibile numero di giorni necessario perché venga effettuata la notificazione alla controparte. Contraddittoriamente, nel mentre si concede il termine di sessanta
giorni per l'impugnazione, questo verrebbe decurtato, il che, in
mancanza di norma di legge, non è concepibile. Dalla ora affermata dicotomia delle attività relative alla impu
gnazione, deriva l'ulteriore osservazione che l'unica data rilevante
ai fini dell'impugnazione è quella certificata al momento della
consegna o della ricezione dell'impugnazione alla segreteria della
commissione, per cui una diversa data che apparisse sull'atto
notificato alla controparte sarebbe ininfluente, poiché la notifica
zione è attività successiva alla già proposta impugnazione, essendo
essenziale a tal fine, come si è osservato, solo la data della
consegna o ricezione dell'atto da parte della segreteria. Una
consimile procedura si ha ad es. anche nel procedimento delle
controversie del lavoro in cui (art. 434 c.p.c.) l'impugnazione è
proposta mediante deposito nella cancelleria del tribunale mentre la successiva attività processuale riguarda solo la proseguibilità della impugnazione. Nel caso in esame poiché la data di ricezione
dell'atto è quella apposta sull'atto stesso consegnato alla segreteria e questa è il 16 maggio 1983, questa sola data essendo rilevante ai fini dell'impugnazione, l'impugnazione va dichiarata tempestiva. Pertanto la decisione impugnata va annullata e va esaminato il
merito dell'impugnazione proposta dall'intendenza di finanza. Essa
è infondata.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Per aversi tassazione Lr.p.e.f. della indennità di buonuscita
regolata dal t.u. 29 dicembre 1973 n. 1032, occorre che essa
costituisca reddito per il percipiente, così come stabilisce in via
generale l'art. 1 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 e viene riafferma
to nella prima parte dell'art. 12 della stessa legge. Si ha reddito
quando vi è un incremento di ricchezza, il quale dà luogo ad una
maggiore capacità contributiva del soggetto passivo, capacità con
tributiva che legittima la imposizione fiscale (art. 53 Cost.). Tale
natura del reddito rende ragione delle norme che stabiliscono che
è tassabile il reddito netto, cioè quello al netto da oneri e spese. In taluni casi il legislatore stabilisce l'esenzione fiscale di alcuni
introiti, in quanto esclude per essi il carattere di reddito, così
esenta da imposizione, tra gli altri, quanto corrisposto dallo Stato
o da altri enti pubblici a titolo assistenziale e i capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita (art. 34, 3°
comma, ed ultimo comma, questo mod. da 1. 3 novembre 1982 n.
835). Per queste ipotesi di redditi esenti, la ratio della norma sta
nel fatto che in questi casi fa difetto la natura di reddito; quale incremento di ricchezza e manifestazione di capacità contributiva, nell'un caso per lo stato di bisogno che ha originato la elargizione
pubblica, nell'altro per il carattere previdenziale del contratto di
assicurazione, avente a base il rischio vita assicurato (la sopravvi venza al momento dell'evento posto in assicurazione), situazione
che esclude una maggiore capacità contributiva del soggetto. Ciò
precisato, va osservato che le carratteristiche dei due introiti sopra esaminati si riscontrano puntualmente nelle indennità di buonusci
ta, corrisposta dall'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali. Infatti sia la
caratteristica della assistenzialità sia quella di capitale percepito in
dipendenza di contratto di assicurazione emergono dai seguenti elementi: a) la indennità di buonuscita è formata in parte con i
contributi del dipendente stesso e con quelli corrisposti dallo
Stato. Ha la finalità di assicurare al dipendente un esborso di
denaro in occasione della cessazione del rapporto di lavoro,
quando si riducono gli introiti. Fine assistenziale evidenziato dalla
norma di legge (art. 48, 1° cpv., d.p.r. cit.) che dichiara non
costituire reddito l'importo dei contributi versati, b) Tale carattere
assistenziale emerge anche dal regolamento stabilito per la corre
sponsione della indennità. Essa spetta al dipendente statale solo se
è in vita al momento della cessazione dal servizio. Se invece il
rapporto di servizio si interrompe per morte del dipendente, l'indennità non viene acquisita al suo patrimonio, e per tal fatto
non diviene trasferibile mortis causa, ma è direttamente corrispo sta a determinati congiunti (la moglie, gli orfani, i fratelli e le
sorelle) che abbiano diritto a pensione di riversibilità (art. 5 t.u.
29 dicembre 1973 n. 1032) si tratti cioè di persone in situazione
di bisogno. Inoltre l'indennità spetta solo se il dipendente abbia
diritto a pensione (art. 3 t.u. cit.). Da tutto ciò devesi arguire che
l'indennità ha non solo carattere assistenziale, ma anche di
capitale riscosso per l'avveramento di un evento futuro ed incerto
(la cessazione dal servizio con diritto a pensione, e non per causa
di morte), evidenzia cioè una caratteristica propria del contratto di
assicurazione sulla vita.
Diverso è invece il regolamento della indennità di fine lavoro
privato, regolato dal codice civile. Questa viene corrisposta dal dato
re di lavoro a suo totale carico. Di essa, sia pure con alcune limita
zioni, il lavoratore può disporre anche con testamento (art. 2122
c.c., v. sent. Corte cost. 19 gennaio 1972, n. 8, Foro it., 1972, I,
275). Tali indennità di fine lavoro presentano indubbie ca
ratteristiche di retribuzione differita e come tali sono vero reddito.
Pertanto, non avendo l'indennità di buonuscita, corrisposta ai
dipendenti statali, natura di reddito, non può essere soggetta a
tassazione i.r.p.e.f.
II
Fatto. — L'intendenza di finanza di Roma impugna la decisione
della commissione tributaria di secondo grado di Roma, sez. XI, n. 7.600 in data 29 settembre 1983 relativa al mancato rimborso
della ritenuta di acconto ijr.p.e.f. sulla indennità di buonuscita
corrisposto al dr. Armando Mancini.
Il ricorrente ufficio contesta la tardività del proprio ricorso in
secondo grado affermata nella impugnata decisione e il fondamen
to nel merito della pretesa del contribuente, sostenendo, a que st'ultimo riguardo, che l'indennità di buonuscita è, in sostanza, una
retribuzione differita in stretta relazione di causalità con la
cessazione del rapporto di lavoro, ed è quindi soggetta ad i.r.p.ei. avendo carattere reddituale.
Essendo l'indennità liquidata da un organismo diverso dallo
Stato datore di lavoro, l'ufficio sostiene inoltre che è applicabile, in caso di istanza di rimborso, l'art. 38 d.p.r. n. 602/73.
Deduce la ricorrente che il procedimento in secondo grado è
irregolare in quanto la segreteria della commissione di primo
grado, in violazione dell'art. 22 d.p.r. n. 636/72, ha trasmesso
l'atto di appello alla commissione di secondo grado prima che . jj
Il Foro Italiano — 1985.
fosse trascorso il termine di 60 giorni dalla notifica dell'appello all'altra parte. La decisione del giudice di primo grado è inoltre
nulla perché pronunciata durante la sospensione dei giudizi, disposta dall'art. 32, 3° comma, d.l. 10 luglio 1983 n. 429
convertito in 1. 7 agosto 1982 n. 516 e successive modifiche. Resiste al ricorso il contribuente, confutando le argomentazioni
dell'ufficio e chiedendo il rigetto del ricorso, con presa d'atto che è passata in giudicato, per mancanza di specifica impugnazione, la
statuizione del giudice di primo grado, relativa al rimborso della
ritenuta effettuata sull'indennità per premio di servizio corrisposto daH'I.n.a.d.e.l. (indennità diversa, sebbene analoga, all'indennità di
buonuscita corrisposta daU'E.n.p.a.s.). Con successive memorie, le parti sviluppano ulteriormente le
rispettive tesi, controdeducendo alle osservazioni proposte ex
adverso. L'intendenza di finanza, in particolare, afferma di
avere impugnato la pronuncia relativa all'indennità globalmente
liquidata al Mancini, comprensiva dell'indennità per premio di
servizio e della indennità di buonuscita, e di aver dedotto motivi che valgono per entrambe.
Diritto. — La circostanza che la segreteria della commissione
tributaria di primo grado abbia trasmesso l'atto di appello dell'in tendenza di finanza alla commissione di secondo grado prima del
termine di 60 giorni dalla notifica dell'appello al contribuente,
appare irrilevante. La norma dell'art. 22 d.p.r. n. 636/72 è infatti
dettata a favore dell'appellato (per consentirgli di proporre più
agevolmente un eventuale ricorso incidentale) e non dell'appellan te, il quale non ha quindi interesse alcuno a lamentare siffatta
eventuale irregolarità. La censura relativa è pertanto inammissibile.
Quanto al fatto che la decisione di primo grado sia stata
pronunciata durante la sospensione dei giudizi in connessione con il condono fiscale, va osservato, a parte la tardività del motivo, che la sospensione si riferisce ai processi concernenti le controver sie soggette ad estinguersi per condono, fra le quali non rientra
quella in esame.
Appare inoltre corretto, ai sensi della vigente normativa, il
procedimento seguito dal contribuente, che, in data 27 dicembre
1981, ha avanzato all'intendenza di finanza di Roma istanza di rimborso della ritenuta d'acconto subito all'atto della percezione dell'indennità di buonuscita corrisposta dall1E.n.p.ajs. e del premio di servizio corrisposto daH'I.n.a.d.e.l.
L'accenno fatto in proposito dall'appellante all'art. 38 d.p.r. n.
636/72, risulta generico e non concludente. Per ciò che concerne il preteso passaggio in giudicato della
decisione della commissione tributaria di primo grado relativa
all'illegittimità del mancato rimborso della ritenuta operata sull'in dennità del premio di servizio effettuata daH'I.n.a.d.e.l. deve rilevarsi che, nonostante la omessa menzione di tale indennità nei ricorsi proposti dall'intendenza di finanza in secondo grado e nell'attuale sede, emerge dal contenuto dei gravami che essi sono sostanzialmente diretti contro il contenuto globale della decisione di primo grado, che ha stabilito essere stata indebitamente effet tuata la ritenuta i.r.p.e.f. sia sul premio di servizio che sull'indenni tà di buonuscita — è da ritenersi dunque che le censure mosse dall'ufficio riguardino l'intera controversia, non essendo tra l'altro alcuna ragione atta a giustificare una separazione delle questioni concernenti l'una e l'altra indennità.
In base ad una interpretazione logica e non solo letterale, deve concludersi che l'attuale ricorso investa la controversia nella sua
originaria consistenza. Nell'affermare l'assoluta nullità della comunicazione della deci
sione di primo grado, l'intendenza di finanza ha prospettato circostanze (quali la mancata iscrizione sui registri di protocollo in arrivo e la mancata restituzione alla segreteria della commissio ne di primo grado del duplo per ricevuta) che andrebbero verificate ai fini di una pronuncia sull'affermata tardività del ricorso alla commissione tributaria di secondo grado.
Ritiene peraltro la sezione di potersi esimere dal provvedere al
riguardo con ordinanza istruttoria, considerato che il ricorso è
privo di fondamento nel merito.
Ai sensi dell'art. 12, lett. e, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597,
l'imposta sul reddito delle persone fisiche si applica sulle « inden nità di anzianità, di previdenza... e ogni altra somma percepita una volta tanto per la cessazione dei rapporti di lavoro dipenden te ». L'art. 46, 2° comma, dello stesso d.p.r. precisa poiché le indennità e le altre somme di cui alla lettera e) dell'art. 12
costituiscono redditi di lavoro dipendente. Secondo la tesi dell'appellante, ancorata ad una interpretazione
meramente letterale, risulterebbe dunque per espresso disposto legislativo che l'indennità di buonuscita e il premio di fine
servizio, essendo indennità di previdenza e, comunque, somme
percepite per la cessazione (cioè in connessione con, all'atto, a
seguito della cessazione) del rapporto di lavoro dipendente, devono essere assoggettate all'i.r.p.ei.
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PARTE TERZA
Se cosi fosse, la citata normativa non potrebbe sottrarsi a
numerosi dubbi di legittimità costituzionale, che sono stati in
effetti sollevati sotto vari profili da altri giudici (violazione dell'art. 76, dell'art. 3, dell'art. 38, dell'art. 53 Cost., ecc.).
Ritiene tuttavia la sezione che la legge ordinaria vada interpre
tata, fin dove è possibile, in modo che il suo significato e la sua
portata risultino non in contrasto con i precetti costituzionali e
che, nel caso in esame, sia consentito pervenire a tale risultato.
Va premesso che presupposto essenziale e imprescindibile del
l'i.r.p.e.f. è, secondo l'art. 1 d.p.r. n. 597, il possesso di un
« reddito », proveniente da qualsiasi fonte. Il che è del resto
ovvio, trattandosi di imposta sul reddito.
Tutte le successive norme del d.p.r. vanno quindi intese, per
logica coerenza e secondo l'espressa intenzione del legislatore, nel
senso restrittivo che le indennità, gli emolumenti, gli assegni, e le
somme ivi specificate, vengono assoggettati all'imposta sul reddito
proprio perché ed in quanto costituiscono reddito; sicché alcune
corresponsioni di danaro debbono considerarsi sottratte all'i.r.p.e.f.
quando, pur potendo, in astratto, essere incluse nella denomina
zione generica usata dalla norma (indennità di previdenza, somme
percepite) abbiano caratteristiche particolari e, specifiche che
escludono sicuramente la natura di reddito, e, conseguentemente siano privi di quel requisito basilare che è richiesto in via
generale dall'art. 1 come giustificazione necessaria dall'imposta. Nel caso in esame, i citati art. 12, lett. e), e 46, 1° comma,
ribadiscono l'indirizzo enunciato nell'art. 1, dichiarando, come
sopra accennato, che le indennità di anzianità, di previdenza, di
preavviso e le altre somme percepite una volta tanto per la
cessazione di rapporti di lavoro dipendente costituiscono reddito di
lavoro, cioè reddito « derivante » dal lavoro prestato alle dipenden ze e sotto la direzione di altri (art. 46, 1° comma, art. 14, 1°
comma). Deve trattarsi, pertanto, di indennità e di somme concet
tualmente configurabili come reddito causato dall'esplicazione del
lavoro dipendente, il che avviene solo quando le stesse possono essere considerate come stipendio o salario differito che il datore
di lavoro accantona durante il rapporto e corrisponde poi all'inte
ressato, in una sola attribuzione, alla fine del rapporto stesso.
Esclusivamente in tal caso la percezione delle predette somme
può rientrare nell'ambito espressamente considerato dal legislatore, cioè nel reddito individuale di lavoro, il quale è, pacificamente, l'utile che proviene dall'esercizio di una attività, e che si mani
festa sotto forma di salario, stipendio, compenso, ossia come
risultato continuativo di una serie di scambi che hanno per
oggetto l'esplicazione di prestazioni personali contro corrispettivo. È ammissibile, a questa stregua, ritenere come reddito di lavoro
dipendente l'indennità di anzianità e quella di previdenza in
quanto siano a totale carico del datore di lavoro (cfr. art. 2117 e
2120 c.c.); non, invece, quella particolare indennità di carattere
previdenziale e assistenziale che sono formate o attribuite, come
l'indennità di buonuscita, sulla base del contributo obbligatorio non solo dell'amministrazione pubblica ma anche del pubblico
dipendente ed hanno, come si vedrà, una loro speciale natura, non assimilabile al contetto del corrispettivo.
Né si dica che l'indennità di buonuscita è una indennità di
previdenza erogata alla cessazione del rapporto, conseguentemente
soggetta all'i.r.p.e.f. ai sensi degli art. 12, lett. e), e 46, 2° comma,
d.p.r. n. 597: come già accennato le indennità e le somme
genericamente indicate in tali disposizioni non costituiscono reddi
to per volere arbitrario del legislatore, ma, tenuto conto del
generale principio informatore evidenziato nell'art. 1, sono assog
gettate all'i.r.p.e.f. solo se e in quanto costituiscono reddito.
Ora, secondo la vigente normativa sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato, i contributi
che il dipendente corrisponde obbligatoriamente in misura percen tuale alla sua retribuzione non sono rimborsabili, anche se non
venga erogata l'indennità di buonuscita (art. 37, ult. comma, d.p.r. n. 1032 del 29 dicembre 1973): cosa che può accadere se il
servizio cessa prima di un biennio o quando non sia maturato il
diritto a pensione (art. 3). L'indennità di buonuscita è pari a tanti
dodicesimi dell'80 % dello stipendio, paga o retribuzione goduti all'atto della cessazione del rapporto quanti sono gli anni di
servizio computabili (art. 3 e 38); ed è incerto se il relativo
ammontare, tenuto conto delle vicende di carriera di ciascuno,
dell'impiego dei contributi scelto discrezionalmente dal fondo di
previdenza e credito, e delle variazioni del potere di acquisto della moneta nell'arco temporale dall'inizio della contribuzione alla
cessazione del servizio, corrisponda o meno al coacervo delle
contribuzioni del dipendente e della p.a. L'esistenza di contributi provenienti dallo stesso lavoratore, non
sceverabili da quelli del datore di lavoro e suscettibili di
accrescimento a seguito dell'impiego fruttifero che il fondo di
previdenza ritenga farne (art. 34 e 35), esclude che possa parlarsi di stipendio o retribuzione differita e, quindi, di reddito derivante
dal rapporto di lavoro.
Il Foro Italiano — 1985.
Sembra piuttosto, tenuto anche conto degli elementi di alcatorie tà inerenti al rapporto, che si tratti di una forma particolare di assicurazione sociale obbligatoria a sfondo mutualistico (cfr. art.
1882, 1884, 1886 c.c.), in cui le contribuzioni sono assimilabili a
premi assicurativi, e l'indennità finale, se e quando venga corri
sposta, ha, si, scopi previdenziali e assistenziali (in quanto mira a
consentire, accanto alla pensione, la disponibilità di un capitale commisurato alla posizione economica da ultimo raggiunta dal
dipendente e alla durata del servizio prestato, onde meglio fronteggiare, al termine di un'attività e di una vita, le necessità inerenti al trapasso dal servizio attivo alla quiescenza) ma si
atteggia, sostanzialmente, come capitale corrisposto al verificarsi di
un evento (cessazione dal servizio) attinente alla vita umana. E va ricordato a tal proposito, che rettamente l'art. 15 i 13 aprile 1977 n. 114 stabilisce che «i capitali percepiti in dipendenza dei contratti di assicurazione sulla vita, sono esenti dalil'i.r.p.e.f. ».
Impossibile dunque includere l'indennità di buonuscita, cosi
configurata, fra le indennità e le somme di cui all'art. 12, lett. e), d.p.r. n. 597.
Tanto ciò è vero, che l'art. 48 del citato d.p.r. (1° comma)
precisa che il reddito di lavoro dipendente, come tale soggetto ad
i.r.p.e.f. ai sensi dell'art. 1 e dell'art. 6, categ. C, è costituito da tutti i compensi ed emolumenti, comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili e a titolo di sussidio o liberalità,
percepiti dal lavoratore « in dipendenza del lavoro prestato »; cioè
erogati dal datore di lavoro a proprio esclusivo carico come
componente della controprestazione che lo stesso ritiene di corri
spondere al dipendente in considerazione del servizio prestato. Fra tali compensi non può essere compresa la indennità di buonuscita, che, oltre ad essere alimentata anche dai contributi del lavoratore, viene corrisposta, con un margine di alcatorietà, in base a criteri autonomi rispetto a quelli che presiedono alla retribuzione; in concomitanza con la cessazione del rapporto, ma non in dipen denza del lavoro prestato.
L'indennità di buonuscita, dunque, non è retribuzione accanto nata e differita, sia pure a fini previdenziali, né sussidio o liberalità del datore di lavoro, bensì un capitale (nel senso economico di ricchezza suscettibile di dar luogo alla percezione di un reddito); tale capitale è predisposto dallo Stato con il contributo obbligatorio anche del dipendente ed è corrisposto al medesimo per fini assistenziali e sociali di portata generale, che
prescindono dal rapporto prestazione lavorativa-compenso, ed e
scludono, per loro natura, che il capitale possa essere decurtato
dall'imposta sul reddito, la cui percezione per scopi di interesse
pubblico menomerebbe inevitabilmente quell'interesse pubblico specifico in vista del quale l'indennità è attribuita.
Va soggiunto che il 2° comma dell'art. 48, fugando dubbi che
potrebbero nascere, sancisce, con disposizione di manifesta ispira zione sociale, che non concorrono a formare reddito i contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore ad enti o casse aventi
(come il fondo di previdenza e assistenza) esclusivamente fini
previdenziali o assistenziali in ottemperanza a disposizioni di
legge, anziché commisurati alle retribuzioni: se, in considerazione delle accennate finalità pubbliche di assistenza e di previdenza in favore del lavoratore, le percentuali di retribuzione percepite dal
dipendente e dallo stesso corrisposte al fondo di previdenza ed
assistenza onde maturare il diritto all'indennità di buonuscita, non
costituiscono reddito assoggettabile all'i.r.p.e.f., come potrebbe esse re considerata reddito proprio l'indennità di buonuscita, cui i
contributi son preordinati? Né è fondato supporre che la norma abbia voluto sottrarre
all'i.r.p.e.f. i contributi, proprio perché l'indennità di buonuscita in
cui questi confluiscono è assoggettata all'imposta: come si è
accennato, l'entrata costituita dai contributi non è dal fondo di
previdenza e assistenza destinata specificamente e direttamente al
pagamento della indennità di buonuscita, ma entra a far parte delle sue disponibilità, che sono state impiegate a fini svariati (art. 33 d.p.r. n. 1032/73). D'altra parte, non vi è necessaria coinciden
za fra il coacervo dei contributi e dei relativi frutti e l'ammontare
dell'indennità di buonuscita. Sicché non esiste una ragione tecnica
(attinente ad eventuale doppia imposizione o altro) che possa
giustificare l'esclusione dal reddito dei contributi versati ai fini
dell'indennità di buonuscita, e l'inclusione nel reddito della stessa
indennità di buonuscita.
Deve concludersi che l'indennità di buonuscita non concorre,
per sua natura, a formare reddito, cosi come non concorrono a
formare reddito, in base alla precisazione contenuta nell'art. 48, 2°
comma, i contributi versati dal lavoratore al fine di ottenere
l'erogazione della indennità stessa. Ne consegue che detta indenni tà non è assoggettata ad i.r.p.e.f., come risulta dalla interpretazio ne logica e teleologica della norma citata (art. 12 delle preleggi) analoghe considerazioni valgono per il premio di fine servizio. Le
imposte ritenute vanno conseguentemente rimborsate. {Omissis)
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