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sezioni unite civili; sentenza 12 marzo 1999, n. 129/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M....

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sezioni unite civili; sentenza 12 marzo 1999, n. 129/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M. Carnevali (concl. conf.); De Donno (Avv. Pellegrino) c. Consiglio ordine avvocati di Lecce. Cassa Cons. naz. forense 17 luglio 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1169/1170-1177/1178 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195375 . Accessed: 28/06/2014 19:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.103 on Sat, 28 Jun 2014 19:04:07 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 12 marzo 1999, n. 129/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M.Carnevali (concl. conf.); De Donno (Avv. Pellegrino) c. Consiglio ordine avvocati di Lecce. CassaCons. naz. forense 17 luglio 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1169/1170-1177/1178Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195375 .

Accessed: 28/06/2014 19:04

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ovviamente non essendo una figura di recesso prevista speci ficamente dalla legge a favore del fideiussore, come per altre

figure contrattuali, essa sarà operante se è pattiziamente previ sta (e nei termini del patto) ed opererà solo dal momento in cui viene a conoscenza della banca (art. 1373 c.c.).

Nella fattispecie è pacifico tra le parti ed emerge dalla senten za impugnata che il fideiussore aveva per contratto facoltà di

recesso, sia pure da esercitare con la forma scritta.

5.1. - Va ora esaminata la vexata quaestio della responsabili tà della banca per informazioni inesatte, ed in particolare se detto comportamento sia contrario alla correttezza e buona fede.

In tema di responsabilità aquiliana, si ritiene pacificamente che per il particolare status dell'imprenditore bancario, facente

parte del sistema bancario, ispirato a regole di trasparenza ed

alla corretta gestione del credito, questi, ove ritenga (o sia tenu

to) di fornire una notizia, non può fornire informazioni inesat

te, rispondendo, in questo caso dei danni causati ingiustamente ex art. 2043 c.c., in quanto con detto suo comportamento è

venuto meno al dovere di correttezza e buona fede ledendo il

diritto del soggetto che riceve la notizia falsa a determinarsi

liberamente nello svolgimento dell'attività negoziale relativa al

patrimonio (Cass. 4 maggio 1982, n. 2765, id., 1982, I, 2864; 7 febbraio 1979, n. 820, id., Rep. 1979, voce Banca, n. 56; 13 luglio 1967, n. 1742, id., Rep. 1967, voce cit., nn. 51, 52).

5.2. - Se le inesatte informazioni fornite dalla banca, in as

senza di un rapporto contrattuale con il soggetto che le riceve, danno luogo a responsabilità aquiliana della stessa, in presenza di un rapporto contrattuale fondano ovviamente una responsa bilità contrattuale, ove esse abbiano impedito alla controparte di determinarsi liberamente nell'esercizio di un diritto contrat

tualmente previsto o, più in generale, abbiano causato un danno.

Infatti, a maggior ragione nei rapporti contrattuali, lo status

di imprenditore bancario, per l'affidamento che crea nella con

troparte, impone al primo di comportarsi secondo le regole del

la trasparenza, della corretta gestione del credito e degli ele

mentari canoni di diligenza, schiettezza e solidarietà.

6. - Senonché, una volta ritenuto che la violazione del dovere

di comportarsi con correttezza e buona fede da parte della ban

ca dà luogo a responsabilità contrattuale della stessa, la conse

guenza di ciò non è, come pure a volte si è sostenuto in tema

di fideiussione in favore di una banca (Cass. 1° luglio 1998, n. 6414, id., Mass., 727; 6 dicembre 1994, n. 10448, id., Rep.

1994, voce Fideiussione, n. 56; 18 luglio 1989, n. 3362, id.,

1989, I, 2750) e come sostiene anche il ricorrente, l'inefficacia

del contratto che lega il soggetto alla banca, ma l'obbligo del

risarcimento del danno a carico della banca ed a favore dell'al

tro contraente, secondo i principi generali che regolano la re

sponsabilità contrattuale.

Infatti non ha base normativa sostenere che qualora una del

le parti non si comporti secondo buona fede e correttezza nel

l'esecuzione del contratto, il contratto stesso diventa inefficace.

È, invece, pacifico in dottrina che la violazione dell'obbligo di comportamento secondo buona fede di cui all'art. 1375 c.c.

dà luogo (solo) ad una responsabilità contrattuale, ancorché la

fonte di tale obbligazione sia legale, e non all'inefficacia del

contratto cui è connessa. 7. - Ne consegue che nella fattispecie è errata in diritto la

censura del ricorrente, secondo cui stante le assunte inesatte in

formazioni della banca in merito alla forma per l'esercizio del

diritto di recesso, la fideiussione in questione era divenuta inef

ficace o inoperante. L'eventuale comportamento non corretto né di buona fede

della banca, ove provato e ritenuto tale dai giudici di merito, avrebbe potuto fondare non l'inefficacia della fideiussione azio

nata dalla banca, ma solo una responsabilità contrattuale di

quest'ultima, con il conseguente obbligo di risarcimento del

danno.

Invero, come risulta dalle conclusioni rese in secondo grado e riportate nella sentenza di appello, il ricorrente nelle fasi di

merito, chiedeva che fosse revocato il decreto ingiuntivo oppo

sto, per la nullità, invalidità ed inefficacia della fideiussione, con condanna generica della banca al risarcimento del danno.

Senonché in questa sede di legittimità le censure avverso la

sentenza di appello non attengono al mancato accoglimento della

domanda di condanna generica al risarcimento del danno, ma

esclusivamente al punto di non aver ritenuto inefficace la fi

deiussione, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo

opposto. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 mar

zo 1999, n. 129/SU; Pres. Panzarani, Est. Evangelista, P.M.

Carnevali (conci, conf.); De Donno (Aw. Pellegrino) c.

Consiglio ordine avvocati di Lecce. Cassa Cons. naz. forense 17 luglio 1998.

Avvocato — Avvocato con funzioni di vice pretore onorario — Iscrizione all'albo professionale — Compatibilità (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di

avvocato e di procuratore, art. 3, 26, 37; r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento giudiziario, art. 32, 34).

Lo svolgimento onorario di funzioni giudiziarie, in qualità di

vice pretore, anche presso le preture circondariali e, quindi, anche al di fuori dell'ipotesi di reggenza, con modalità di svol

gimento che non siano meramente vicarie ed occasionali, con

gestione diretta di un ruolo di cause e collateralità rispetto

all'opera dei magistrati togati, nonché con diritto al conse

guimento di un trattamento economico, non è incompatibile con la conservazione dell'iscrizione nell'albo degli avvocati

e con la conseguente legittimazione all'esercizio della profes sione forense. (1)

Svolgimento del processo. — Con provvedimento in data 4

dicembre 1996, il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Lecce disponeva la cancellazione dall'albo, ai sensi dell'art. 37 r.d.

27 novembre 1933 n. 1578, dell'avv. Tiziana De Donno, per

incompatibilità derivante dall'esercizio, da parte di quest'ulti

ma, delle funzioni di vice pretore onorario presso la locale pre tura circondariale.

Con decisione depositata in segreteria il 17 luglio 1998 (Foro

it., 1998, III, 430), il Consiglio nazionale forense rigettava il

ricorso proposto dall'interessata avverso il provvedimento sud

detto, osservando, in particolare che: — una situazione di incompatibilità, ancorché non prevista

da specifiche disposizioni, può desumersi da un'interpretazione storica e sistematica del coacervo di regole rilevanti per la disci

plina della materia considerata, come nel caso dei rapporti fra

l'esercizio di funzioni giurisdizionali e quello della professione

forense; — in tal senso rileva, in primo luogo il principio generale

sancito dall'art. 16 ord. giud. approvato con r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, che inibisce ai magistrati di assumere pubblici o

privati uffici, ovvero di esercitare professioni; — un'eccezione alla regola dell'incompatibilità è bensì sanci

ta dall'art. 32, 1° comma, stesso r.d. del 1941, con riguardo al caso degli avvocati che siano nominati vice pretori onorari, ma essa, ai sensi del successivo art. 34, 2° comma — ove si

stabilisce che questi giudici onorari non possono tenere udien

za, se non in caso di assenza o impedimento del titolare dell'uf

ficio — risulta espressamente limitata all'esercizio dell'incarico

onorario in funzione meramente suppletiva e non sovrapponibi le a quella dei giudici togati, vale a dire quale effetto di un'in

(1) Cons. naz. forense 17 luglio 1998, riformata dalla riportata sen

tenza, leggesi in Foro it., 1998, III, 430, con nota di richiami. L'«esercito» dei vice pretori e vice procuratori onorari può «gioire»,

avendo la Suprema corte confermato la compatibilità dell'iscrizione al l'albo professionale con le funzioni di giudice onorario «svolte» con la stessa intensità (e modalità) del giudice togato (ma con «compensi» irrisori e mortificanti). In realtà, c'è ben poco da gioire, considerata

l'opposizione sia della magistratura (che si oppone al loro arruolamen to straordinario, ma non al loro inserimento stabile nelle tabelle dei tribunali ed alla «intensità» delle prestazioni «onorarie»), che dell'av vocatura (che si oppone nell'interesse della giustizia e non certo per

propri interessi «particolari»). Considerato P«esercito» dei giudici onorari (l'organico è di 2.513 per

i vice pretori e di 1.530 per i vice procuratori e cioè complessivamente di 4.043, quasi il cinquanta per cento dell'organico della magistratura togata), le modalità di svolgimento delle funzioni giudiziarie (e le limi

tate incompatibilità previste), nell'interesse superiore della giustizia, della

magistratura e dell'avvocatura, è necessario (ed opportuno), dopo il

principio di «compatibilità» affermato dalla riportata sentenza, sia un

rafforzamento del parere che il consiglio dell'ordine degli avvocati deve

dare sulle proposte di nomina, che un'attenta vigilanza degli organi locali dell'avvocatura (consigli dell'ordine) e della magistratura, per evi

tare quella confusione dei ruoli che mina la credibilità della giustizia. [L. Carbone]

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1171 PARTE PRIMA

vestitura occasionale e provvisoria, per lo svolgimento di speci fiche attività;

— si tratta, pertanto, di un'eccezione che non può riguardare i vice pretori onorari che abbiano un proprio ruolo di cause,

svolgano stabilmente funzioni giurisdizionali, anche ai fini di

integrazione dei collegi giudicanti, ed abbiano, per tale ragione, diritto ad una retribuzione: queste attribuzioni sono, invece, pro

prie di una figura di magistrato onorario alternativa a quella del magistrato togato, derivante dall'istituzione delle preture cir

condariali e dalla correlata abrogazione delle disposizioni che

legittimavano la prassi della c.d. «reggenza»; — ad eliminare l'incompatibilità che si crea con riguardo a

questa speciale figura di giudice onorario, come non può invo

carsi il richiamo all'art. 32 ord. giud., così non è sufficiente

il rimedio prescritto dal Csm, con propria circolare del 7 luglio

1997, estensiva ai vice pretori del regime di incompatibilità par ziale stabilito dalla legge per i giudici di pace che svolgano an

che la professione forense: invero, in difetto di una norma espres sa che ammetta la compatibilità, non può la regola opposta, desumibile dal sistema, essere sovvertita in forza di un provve dimento amministrativo;

— infine, un'autonoma ragione di incompatibilità, riconduci

bile all'art. 3 della legge professionale deriva dal fatto che l'at

tività dei vice pretori onorari è compensata con un'indennità, la cui erogazione a carico del bilancio dello Stato determina

una situazione di palese contrasto con la libertà e l'indipenden za dell'avvocatura.

Contro questa decisione l'interessata ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e ritualmente notificato al pro curatore generale presso questa corte, nonché al consiglio del

l'ordine. Nessuno degli intimati resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso, che

ha ad oggetto la violazione degli art. 32 e 34, 2° comma, r.d.

30 gennaio 1941 n. 12, nonché la violazione e falsa applicazione del d.p.r. 22 settembre 1988 n. 449, del d.leg. 28 luglio 1989

n. 273, del d.leg. 2 febbraio 1990 n. 15, del d.l. 18 ottobre

1995 n. 432, convertito in 1. 20 dicembre 1995 n. 534, si osser

va, in particolare, che: — l'incompatibilità fra esercizio dell'avvocatura e svolgimen

to di funzioni giurisdizionali non è assoluta, numerose essendo

le eccezioni e non sempre ad esse ricollegandosi il carattere pre cario, occasionale o puramente vicario di tale svolgimento;

— le attuali forme di utilizzazione dei vice pretori onorari

non costituiscono affatto il fondamento di una nuova figura, sottratta all'espressa previsione di compatibilità desumibile dal

combinato disposto degli art. 32 e 34 ord. giud., ivi preveden dosi la flessibilità della disposizione sul ruolo suppletivo dei detti

magistrati onorari, in coerenza con la necessità, anche costitu

zionalmente rilevante, di assicurare il buon andamento dell'am

ministrazione della giustizia, e senza alterazione del connotato della precarietà dell'incarico, risultando normativamente sanci ta la limitata durata di quelle forme, correlate a situazioni di

sovraccarico degli uffici.

Col secondo motivo, denunciandosi eccesso di potere, si ascrive a vizio dell'impugnata decisione l'avere trascurato che la circo lare del Csm, con la quale è stato esteso ai vice pretori onorari esercenti la professione forense il regime limitativo stabilito dal la legge per i giudici di pace scelti fra gli avvocati, risponde appunto all'esigenza di circondare anche l'attività della prima di tali categorie di magistrati delle cautele atte a prevenire inde

bite commistioni di ruoli e costituisce esercizio di un potere pa ranormativo spettante all'organo di autogoverno, tanto più in

presenza di una consistente utilizzazione dei margini di flessibi

lità della norma di previsione della funzione vicaria della detta

categoria. Col terzo motivo, infine, denunciando violazione dell'art. 3

della legge professionale forense ed ancora eccesso di potere, il ricorrente osserva che l'indennità corrisposta ai vice pretori onorari non costituisce uno stipendio, vale a dire quella forma di trattamento economico rispetto alla quale è prevista l'incom

patibilità. Gli esposti motivi di ricorso, che, per la loro connessione,

possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati. È avviso della corte che: a) il vigente diritto positivo non

esibisce alcun principio generale di assoluta incompatibilità fra l'esercizio di funzioni giudiziarie e lo svolgimento della profes sione forense; b) la disciplina specificamente dettata per i vice

Il Foro Italiano — 1999.

pretori onorari e la sua evoluzione contengono, all'opposto, una

espressa previsione di compatibilità, non circoscrivibile al caso

in cui le funzioni giurisdizionali vengano svolte in via meramen

te vicaria ed occasionale; c) l'ordinamento professionale non

consente di fondare autonomamente una regola di incompatibi

lità, né di rilievo generale, né di portata limitata al caso ora detto.

A fondamento del rilievo di cui al primo punto, possono in

dicarsi più situazioni nelle quali è previsto il conferimento di

funzioni giudiziarie ad avvocati iscritti nell'albo professionale, senza che ciò ne comporti la cancellazione per incompatibilità.

A norma dell'art. 5 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 545, sull'ordi

namento degli organi speciali di giurisdizione tributaria, posso no essere nominati giudici delle commissioni tributarie regionali

gli «iscritti negli albi professionali degli avvocati . . .», per i quali è prevista esclusivamente, ai sensi del successivo art. 8, lett. /)» l'incompatibilità con l'esercizio, in qualsiasi forma, del

l'assistenza e della rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l'amministrazione finanziaria o nelle controversie di carat

tere tributario.

L'ufficio del giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all'ordine giudiziario (art. 1, 2° comma, 1. 21 novembre 1991 n. 374), il quale, se avvocato, può conti

nuare l'esercizio della professione forense, salvo che davanti al

l'ufficio cui appartiene o che si tratti di assistere o difendere

le parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio, nei

successivi gradi di giudizio (art. 8 bis 1. n. 374 del 1991, cit., come introdotto dall'art. 11, 1° comma, d.l. 7 ottobre 1994

n. 571, convertito in 1. 6 dicembre 1994 n. 673, che ha abrogato il 2° comma dell'art. 8, ove si prevedeva che gli avvocati non

potessero esercitare le funzioni di giudici di pace nel distretto

di corte d'appello nel quale esercitano la professione forense). Ai sensi dell'art. 9 1. 22 luglio 1997 n. 276 (disposizioni per

la definizione del contenzioso civile pendente: nomina dei giudi ci onorari aggregati e istituzione delle sezioni stralcio nei tribu

nali ordinari), come modificato dal d.l. 21 settembre 1998 n.

328, convertito in 1. 18 novembre 1998 n. 398, gli avvocati che

ottengano la nomina suddetta non per questo perdono la legitti mazione all'esercizio della professione forense, essendo, invece

la cancellazione dall'albo prevista nella sola ipotesi in cui l'in

carico onorario debba essere svolto nello stesso distretto nel cui

ambito ha sede il consiglio dell'ordine presso il quale il profes sionista sia iscritto al momento della nomina medesima. Men

tre, quando la nomina non comporta cancellazione, è prevista unicamente la limitazione consistente nell'impossibilità di eser

citare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari del

distretto nel cui ambito ha sede il tribunale presso il quale si

svolge l'incarico onorario (art. 5, comma 2 bis, 1. n. 276 del

1997, cit.), nonché davanti al tribunale ove ha sede il consiglio dell'ordine di appartenenza al momento della nomina o nei cin

que anni precedenti, salvo che il circondario del tribunale non

comprenda una popolazione superiore a cinquecentomila abi

tanti (2° comma). Le situazioni riferite sono tutt'altro che marginali, poiché at

tengono ad interi e vasti settori della giurisdizione, nonché a

diffuse, molteplici e rilevanti competenze, che, nella maggior parte dei casi, sono anche esercitate esclusivamente da giudici onorari; riguardano, inoltre, magistrati ai quali è attribuita la

titolarità diretta dell'ufficio e non quella di funzioni meramente

vicarie, sicché ne consegue la gestione, da parte di ciascuno di

essi, di un proprio «ruolo» di cause; sono, infine, tutte relative

ad incarichi continuativi, di consistente durata.

Vero è che la persistente legittimazione all'esercizio della pro fessione forense è, nelle medesime situazioni, circondata da cau

tele che si compendiano nelle riferite limitazioni derivanti dal

l'oggetto delle controversie, dalla localizzazione delle medesime

o dall'identità dei litiganti; ma è vero del pari che in questi termini si concreta un mero coordinamento del cumulo della

suddetta persistenza con la contemporanea investitura delle fun

zioni giurisdizionali, al fine di garantire l'imparzialità del giudi ce e, quindi, con disciplina il cui contenuto risulta qualitativa mente assimilabile a quello proprio delle norme in tema di asten

sione e ricusazione ed il cui effetto si risolve nell'integrazione di queste ultime, senza che se ne possa ricavare un indice signi ficativo di assoluta incompatibilità dei termini del potenziale conflitto, in questa guisa composto.

Con riguardo al secondo aspetto della questione, la corte os

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

serva che erroneamente il Consiglio nazionale forense configura un sistema nel quale la continuità di esercizio delle funzioni

giudiziarie da parte del vice pretore onorario è priva di uno

specifico riconoscimento di compatibilità con la persistente le

gittimazione allo svolgimento dell'attività professionale. L'assunto è sostenuto attraverso la correlazione fra l'art. 32,

1° comma (ove espressamente si prevede che possano consegui re la nomina i «procuratori esercenti») e l'art. 34, 1° comma, ord. giud. approvato con r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 (ove si

stabilisce che i vice pretori onorari «non possono, di regola, tenere udienze se non nei casi di mancanza o di impedimento del titolare e degli altri pretori»), dalla quale discenderebbe la

limitazione della detta previsione al caso in cui l'investitura del

le funzioni giudiziarie risulti meramente interinale e suppletiva, cioè occasionale e provvisoria, con conseguente impossibilità di

una sua estensione alla diversa ipotesi di sostituzione permanen

te, caratterizzata, come nella specie, dall'assegnazione al giudi ce onorario di un proprio ruolo e da una sostanziale assimila

zione della funzione, formalmente onoraria, a quella propria del giudice togato.

In contrario, come già riconosciuto da questa corte con sen

tenza 23 novembre 1992, n. 12509 (id., 1993, I, 421), si rileva

che un assunto del genere propone una lettura dell'art. 34 cit.

indebitamente riduttiva (e, nella sostanza, vanificante) del valo

re da attribuire all'inciso «di regola» contenuto nella norma

in esame e non preteribile o emarginabile senza che di quest'ul tima risulti pregiudicata la corretta individuazione della com

plessiva portata precettiva e dell'effettivo suo significato, che, senza apprezzabili margini di incertezza, è, ad avviso del colle

gio, questo: di norma, i vice pretori onorari possono tenere udien

za solo per supplire alle assenze prevedibilmente di breve durata

dei giudici togati; ma ciò non esclude, anzi implica (diversa mente l'inciso non avrebbe senso), che, là dove particolari esi

genze dell'ufficio cui sono assegnati lo impongano, i primi, in

dipendentemente dall'ipotesi di incarico o di reggenza (già pre

viste, rispettivamente, dall'art. 32, cpv., e dall'art. 101 r.d.

12/41), possono essere utilizzati in via permanente o continuati

va (come solitamente accade nei casi di incompletezza dell'orga nico o di carico eccessivo degli affari).

Né la frequenza statistica di questo impiego più largo si por

ge, a rigore, come sovvertitrice del preteso rapporto di eccezio

nalità rispetto all'utilizzazione occasionale, trattandosi di distinte

eventualità ancorate a presupposti diversi, in presenza dei quali,

quindi, ciascuna è, nel proprio ambito, destinata ad operare normalmente. Quel che conta, comunque, è che, al contrario

di quanto il giudice a quo sostiene, anche l'utilizzazione perma nente dei vice pretori onorari, attesa la latitudine virtualmente

illimitata delle attribuzioni giurisdizionali di cui essi, al pari del

pretore e titolare e dei magistrati in sottordine, sono investiti, rientra nel contenuto (implicito) dell'art. 34, dal quale, dunque, non può essere disinvoltamente espunta per farne una costru

zione separata, priva di riscontro normativo, nel tentativo di

ricollegarvi la conseguenza dell'incompatibilità col persistente esercizio della professione forense.

Argomento risolutivo, a conferma della correttezza di questa

prospettiva ermeneutica, si rinviene nell'evoluzione della disci

plina della categoria dei magistrati onorari qui considerati.

Invero, l'art. 35 d.leg. 19 febbraio 1998 n. 51 (recante «nor

me in materia di istituzione del giudice unico di primo grado»),

dopo avere stabilito che gli attuali vice pretori sono addetti di

diritto, quali giudici onorari, ai tribunali cui vengono trasferite

le funzioni dei soppressi uffici di provenienza (1° comma), pre vede (2° comma) che il regime delle incompatibilità dettato per

la nuova categoria di magistrati onorari dall'art. 42 quater r.d.

30 gennaio 1941 n. 12, come introdotto dall'art. 8 stesso d.leg.

sopra citato, operi soltanto a decorrere dalla scadenza del trien

nio (corrispondente alla durata dell'incarico: art. 42 quinquies

ord. giud., risultante dalla medesima norma citata da ultimo)

in corso «data di efficacia» di tale decreto.

La norma richiamata dispone (al 2° comma) che «gli avvoca

ti ed i praticanti ammessi al patrocinio non possono esercitare

la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel

circondario del tribunale presso il quale svolgono le funzioni

di giudice onorario e non possono rappresentare o difendere

le parti, nelle fasi successive, in procedimenti svoltisi davanti

ai medesimi uffici».

Il Foro Italiano — 1999.

In questo contesto, l'avere differito alla data suddetta il limi

te (il cui carattere parziale costituisce, peraltro, ulteriore confer ma delle considerazioni già svolte con più generale riguardo al

problema della cumulabilità delle funzioni) così introdotto alle

possibilità di esercizio della professione forense, in concomitan

za con lo svolgimento dell'esecuzione dell'incarico onorario, co

stituisce, nella sostanza, un'interpretazione autentica della pree sistente normativa in materia nel senso dell'assenza di un qual

sivoglia regime di incompatibilità per quella stessa categoria di

professionisti che, trasmigrando nella nuova posizione, si trova

assoggettata non immediatamente al diverso regime dal quale

quest'ultima risulta, in parte qua, caratterizzata.

La relazione ministeriale illustrativa del decreto legislativo sul

l'istituzione del giudice unico, al punto 1.3.2., dedicato ai «giu dici onorari», imputando l'introduzione del limite di cui sopra

all'«accoglimento di istanze diffuse, provenienti in special mo

do dal mondo dell'avvocatura, nell'ambito della quale è emersa

viva preoccupazione per i rischi di commistione e confusione

dei ruoli connessi all'esercizio contemporaneo dell'attività pro fessionale e di quella giurisdizionale», conferma la novità dell'i

stituto e lascia, con chiarezza, intendere come esso si iscriva

pur sempre in un quadro di negazione dell'incompatibilità di

principio fra l'esercizio della professione forense e quello della

funzione giurisdizionale, talché, nel contemperamento delle con

trapposte esigenze delle categorie professionali e del regolare funzionamento della giustizia, il limite circondariale dell'incom

patibilità costituisce anche il massimo livello attingibile a tutela

delle prime, senza «comprimere oltre misura i serbatoi di reclu

tamento» del personale della magistratura onoraria.

L'art. 10 d.leg. n. 51 del 1998 ha, peraltro, anche introdotto

l'art. 43 bis r.d. n. 12 del 1941, il cui 2° comma, nel riprodur

re, per i giudici onorari, in termini sostanzialmente identici, il

2° comma dell'art. 34 stesso r.d., dettato per i vice pretori, circa le condizioni in presenza delle quali essi possono «tenere

udienza», ha, tuttavia, soppresso l'inciso «di regola». La soppressione, che, come avverte la già citata relazione mi

nisteriale, è diretta ad «evitare abusi nell'utilizzazione dei magi strati onorari quando le funzioni possono essere svolte da quelli

ordinari», certamente riduce — ancorché solo de futuro e, quindi con disposizione non invocabile in relazione alla posizione dei

vice pretori, rispetto alla quale il giudice a quo ha argomentato la propria statuizione — i margini di flessibilità della disposi zione, ma nulla toglie, se non in termini di incidenza statistica

del fenomeno, al rilievo che, ancora una volta, il legislatore, in coerenza con l'orientamento manifestato nelle altre occasioni

sopra ricordate, si ispira ad un principio di compatibilità con

trollata dell'esercizio professionale con l'esecuzione dell'incari

co onorario, ancorché svolto con apprezzabile continuità ed in

funzione integrativa delle risorse personali dell'ufficio di appar tenenza.

Invero, potendo, comunque, quest'ultimo essere conferito in

caso, non solo di «impedimento», ma anche di «mancanza»,

devono, nell'ambito delle ipotesi configurate dalla norma di pre

visione, pur sempre ricomprendersi quelle situazioni eccezionali

di sproporzione fra organici degli uffici e domanda di giustizia,

rispetto alle quali un ugualmente eccezionale ricorso all'impiego della magistratura onoraria, conserva, nella sostanza, una fun

zione «suppletiva» e costituisce misura «sicuramente apprezza

bile, nell'attuale situazione di sovraccarico degli uffici, in fun

zione dell'efficienza dell'amministrazione della giustizia», con

riguardo alla quale non può omettersi di rispettare il principio di «buon andamento», sancito dall'art. 97 Cost. (arg. ex Corte

cost. 6 aprile 1998, n. 103, id., 1998, I, 2362), senza che se

ne possa dedurre l'istituzione praeter legem di una speciale fi

gura di giudice onorario, con riguardo alla quale non sia invo

cabile la previsione espressa di compatibilità con l'esercizio del

la professione forense, ancorché nei limiti sopra indicati.

In questo quadro di emergenza, che è, di per sé, anche indice

di provvisorietà, si iscrive, del resto, la norma transitoria di

cui all'art. 245 d.leg. n. 51 del 1998, ove si prevede che le di

sposizioni in forza delle quali possono essere addetti al tribuna

le onorario ed alla procura della repubblica presso il tribunale

ordinario magistrati onorari, operano fino a quando non sarà

attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della

magistratura onoraria, a norma dell'art. 106, 2°comma, Cost.,

e comunque non oltre cinque anni dalla data di efficacia dello

stesso decreto legislativo.

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PARTE PRIMA

Con più specifico riguardo allo status del vice pretore onora

rio ed alla luce delle considerazioni che precedono, è, poi, an

che agevole osservare che l'intervenuta abrogazione (art. 7 d.leg. 28 luglio 1989 n. 273) dell'art. 101 ord. giud. di cui al r.d. n. 12 del 1941, vale a dire della disposizione che fondava l'isti

tuto della «reggenza», mentre conferma il carattere eccezionale

della residua possibilità del ricorso all'opera dei suddetti magi strati — che, nei termini esposti, deve, tuttavia, ritenersi non

preclusiva di un'utilizzazione che non sia meramente vicaria di

magistrati ordinari e soltanto occasionale —, nulla toglie al fon

damento positivo somministrato, alla compatibilità dell'eserci zio della professione forense con siffatte forme di utilizzazione, dal combinato disposto del non abrogato 1° comma dell'art.

32 e dell'art. 34, 2° comma, stesso r.d., nonché dalle illustrate

disposizioni cui resta affidata la successiva disciplina della

materia.

E, d'altra parte, è sintomatico, in tal senso, da un lato, che

l'abrogazione dell'istituto suddetto sia avvenuta nello stesso con testo di quella del 2° comma del citato art. 32 (art. 4, 5° com

ma, d.leg. n. 273 del 1989), ove si regolava la posizione dei vice pretori incaricati, non ammessi all'esercizio della professio ne forense; e, dall'altro lato, che l'attuale testo dell'art. 34, an corché introdotto dall'art. 6 d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448

(vale a dire proprio in sede di quella disciplina istitutiva delle

preture circondariali, cui sono conseguite, per effetto delle ri

cordate disposizioni di attuazione, le suddette abrogazioni), ab bia nondimeno conservato la previgente previsione di flessibilità

(insita nel già ricordato inciso «di regola») dell'impiego di ma

gistrati onorari in rapporto a quelli ordinari. In questo quadro normativo di riferimento, l'intervento del

Consiglio superiore della magistratura, inteso ad ottenere dai vice pretori, utilizzabili nelle esposte forme, l'impegno a limita re l'esercizio della propria attività professionale in termini ana

loghi a quelli espressamente previsti dalla legge per i giudici di pace, costituisce corretto esercizio della funzione, spettante all'organo di autogoverno, di garanzia dell'indipendenza della

magistratura, in quanto risulta di segno coerente con l'impianto complessivo della vigente disciplina della magistratura onora

ria, tanto da essere stato sostanzialmente recepito dallo stesso

legislatore, allorché, come si è detto, ha dettato le norme di coordinamento del passaggio dalla figura del vice pretore a quella del giudice onorario, nel contesto del provvedimento istitutivo del «giudice unico».

In effetti, anche la Corte costituzionale, nel dichiarare, con sentenza 5 aprile 1971, n. 71 (id., 1971, I, 1174) non fondata la questione di legittimità delle disposizioni che consentivano l'esercizio della professione forense ai vice pretori onorari (ai quali, come esattamente ricorda lo stesso giudice a quo, già all'epoca, il consiglio superiore richiedeva, in conformità di pro pria circolare in tal senso, l'impegno a non trattare cause presso la pretura), in considerazione della «importanza e delicatezza delle funzioni giudiziarie cui i vice pretori sono chiamati», ave va esplicitamente fatto cenno al potere del consiglio stesso di

disporre «ogni cautela nell'accertare che detta attività non pos sa determinare, tenendosi anche conto delle caratteristiche del

l'ambiente, pericoli di parzialità nell'esercizio delle funzioni giu diziarie».

Né, da altro angolo visuale, può omettersi di notare come non secondario presidio del corretto coordinamento, fra l'eser cizio di funzioni giudiziarie e la persistente legittimazione allo svolgimento della libera professione forense, debba, infine, rav visarsi nell'elevato contenuto etico-sociale delle rispettive respon sabilità e nella corrispondente pregnanza dei modelli deontolo

gici dei comportamenti ascrivibili ad esercizio dell'una o dell'al tra e perseguibili, in caso di violazioni, secondo i criteri specifi camente rilevanti in ciascuno dei due ordinamenti di riferimen to e senza reciproche interferenze.

Passando, poi, all'esame dell'ultimo dei profili della questio ne identificati in premessa, la corte non può che ribadire il pro prio costante orientamento, secondo cui l'attività svolta da av vocati nella qualità di vice pretori onorari, anche se continuati

va, non si inquadra nel modello del rapporto di lavoro

subordinato, atteso il carattere onorario dell'incarico e la pecu liarità della relativa disciplina, anche sotto il profilo del tratta mento economico, di guisa che il detto professionista non ha diritto all'applicazione di istituti retributivi tipici di quel rap porto, non rilevando in contrario la circostanza che tale tratta

li Foro Italiano — 1999.

mento venga eventualmente determinato in riferimento allo sti

pendio dei magistrati (come già il combinato disposto dalle 1.

n. 217 del 1974 e n. 516 del 1977), poiché si tratterebbe pur

sempre di un richiamo compiuto a soli fini di individuazione

di un parametro e non per assimilare il rapporto onorario a

quello proprio degli stessi magistrati (Cass. 19 novembre 1993, n. 11413, id., Rep. 1993, voce Ordinamento giudiziario, n. 142; 27 aprile 1992, n. 5008, id., 1992, I, 3005; sez. un. 21 febbraio 1991, n. 1845, id., Rep. 1991, voce cit., n. 129; 16 dicembre 1987, n. 9315, id., Rep. 1987, voce cit., n. 100).

In effetti, costituisce ius receptum (adde alle sentenze testé

citate; Cass., sez. un., 8 gennaio 1975, n. 27, id., 1975, I, 569; 7 ottobre 1982, n. 5129, id., 1983, I, 1852; 20 marzo 1985, n. 2033, id., 1985, I, 1652; 14 gennaio 1992, n. 363, id., 1992, I, 2004) che la figura del funzionario onorario, che ha carattere

residuale rispetto a quella del pubblico dipendente senza che,

peraltro, possa ipotizzarsi un tertium genus, neppure sotto il

profilo della parasubordinazione, si configura ogni qualvolta esista un rapporto di servizio con attribuzione di funzioni pub bliche, ma manchino gli elementi caratterizzanti dell'impiego pub blico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali

(che si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una

scelta politico-discrezionale), l'inserimento strutturale del dipen dente nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazio

ne (rispetto all'inserimento meramente funzionale del funziona

rio onorario), lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego (che si contrappone ad una di

sciplina del rapporto di funzionario onorario derivante presso ché esclusivamente dall'atto di conferimento dell'incarico e dal

la natura dello stesso), il carattere retributivo, perché inserito in un rapporto sinallagmatico, del compenso percepito dal pub blico dipendente (rispetto al carattere indennitario e di ristoro delle spese rivestito dal compenso percepito dal funzionario ono

rario), la durata tendenzialmente indeterminata del rapporto di

pubblico impiego (a fronte della normale temporaneità dell'in carico onorario).

E sulla base di questi rilievi, le sezioni unite hanno ribadito, da ultimo con sentenza 9 novembre 1998, n. 11272 (id., 1999, I, 439), che la magistratura onoraria, nelle sue varie articolazio

ni, non si sottrae alla logica del delineato schema, che ne postu la l'estraneità al modello sia del rapporto di lavoro dipendente strido sensu, sia di un più generico rapporto di servizio che si caratterizzi per una sostanziale sovrapposizione alla condizio ne propria dei magistrati di carriera: e ciò pur quando il ricorso alla funzione onoraria si presenti quantitativamente consistente, risulti assoggettato al sistema tabellare di assegnazione dei rela tivi incarichi, assoggetti i giudici onorari ai doveri, alle respon sabilità ed ai controlli che sono propri dei magistrati ordinari.

In quest'ordine di idee, per la cui revisione la decisione impu gnata non offre alcun elemento decisivo, diviene ineludibile la constatazione dell'estraneità della condizione del vice pretore onorario al novero di quelle che l'art. 3 dell'ordinamento pro fessionale forense identifica come cause di incompatibilità e, in particolare, alle situazioni richiamate nel 2° comma della nor

ma, ove facendosi espressa menzione della percezione di una «retribuzione» e precisandosi che la stessa, per rilevare ai detti

fini, deve concretarsi nell'erogazione di uno «stipendio», si fa uso di concetti tecnicamente riferibili al rapporto di impiego e non utilmente richiamabili quante volte, come nel caso di spe cie, il trattamento economico riservato alla persona onerata di un munus pubblico si concreti in una prestazione di natura in

dennitaria, correlata cioè alla sua funzione di reintegrazione della

perdita economica presumibilmente derivante dalle minori pos sibilità di dedizione dell'interessato alla sua attività professionale.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguen te cassazione della decisione impugnata e rinvio della causa al

giudice per la medesima fornito di giurisdizione, il quale si at terrà, nella nuova decisione, al seguente principio di diritto: «Lo

svolgimento onorario di funzioni giudiziarie, in qualità di vice

pretore, anche presso le preture circondariali e, quindi, anche al di fuori dell'ipotesi di 'reggenza', già disciplinata dall'art. 101 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, poi abrogato dall'art. 7 d.leg. 28 luglio 1989 n. 273, non è incompatibile con la conservazione dell'iscrizione nell'albo degli avvocati e con la conseguente le

gittimazione all'esercizio (ancorché nei limiti risultanti dagli im

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

pegni richiesti dal Consiglio superiore della magistratura nell'e

sercizio dei suoi poteri di tutela dell'autonomia ed indipendenza dell'ordine giudiziario ed in conformità ai principi che ispirano la complessiva disciplina di legge in ordine alle cautele da osser

varsi ai fini della nomina di magistrati onorari che siffatta legit timazione conservano) della libera professione forense, senza

che possa contrariamente argomentarsi con riguardo a modalità

di quello svolgimento che non siano meramente vicarie ed occa

sionali, ma comportino, in relazione alla contingente situazione

di necessità ed emergenza degli uffici giudiziari e per fini costi

tuzionalmente indeclinabili di migliore risposta alla domanda

di giustizia, gestione diretta di un ruolo di cause e collateralità

rispetto all'opera dei magistrati 'togati', nonché diritto al con

seguimento di un trattamento economico, che per la sua natura

indennitaria non è riconducibile al concetto tecnico di retribu

zione, né, comunque, si ricollega ad un rapporto che presenti le caratteristiche dell'impiego o altre desumibili dall'art. 3 r.d.l.

27 novembre 1933 n. 1578, convertito, con modificazioni, in

1. 22 gennaio 1934 n. 36, sì da potere, quindi, rilevare ai sensi

e per gli effetti di cui all'art. 37 stesso r.d.l. del 1933».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 marzo

1999, n. 1973; Pres. De Tommaso, Est. Dell'Anno, P.M.

Fedeli (conci, conf.); Bertolini (Aw. Garlatti) c. Inps (Aw. De Angelis, Bajrbaria, Pescosolido). Cassa Trib. Milano 12

luglio 1997.

Previdenza e assistenza sociale — Pensione — Quota aggiuntiva — Retribuzione pensionabile — Fattispecie (L. 3 giugno 1975

n. 160, norme per il miglioramento dei trattamenti pensioni stici e per il collegamento alla dinamica salariale, art. 26; 1.

29 maggio 1982 n. 297, disciplina del trattamento di fine rap

porto e norme in materia pensionistica, art. 3; 1. 11 marzo

1988 n. 67, disposizioni per la formazione del bilancio annua

le e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988), art. 21;

d.l. 21 marzo 1988 n. 86, norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del ministero del la

voro e della previdenza sociale, art. 3; 1. 20 maggio 1988 n.

160, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 21 mar

zo 1988 n. 86, art. 1).

La quota aggiuntiva di pensione che, ai sensi dell'art. 21, 60

comma, l. 11 marzo 1988 n. 67, autenticamente interpretato dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. 21 marzo 1988 n. 86, converti

to, con modificazioni, dalla l. 20 maggio 1988 n. 160, va com

misurata, con decorrenza 1 ° gennaio 1988, in percentuali de

crescenti alla retribuzione imponibile eccedente il limite mas

simo pensionabile, si calcola sulla retribuzione pensionabile determinata in base alla normativa vigente alla data di origi naria maturazione del diritto a pensione (nella specie, la Su

prema corte ha escluso che la quota aggiuntiva afferente a

trattamento pensionistico maturato e liquidato anteriormente

al 1° luglio 1982 possa calcolarsi in base alla retribuzione pen

sionabile determinata ai sensi dell'art. 3, 8° comma, l. 29

maggio 1982 n. 297, non ancora in vigore alla data di decor

renza originaria della pensione). (1)

(1) In senso conforme, v. Cass. 24 novembre 1995, n. 12137, Foro

it., Rep. 1996, voce Previdenza sociale, n. 596; 11 maggio 1996, n.

4446, ibid., n. 579, e 8 maggio 1996, n. 4314, ibid., n. 587, secondo

cui la quota aggiuntiva prevista dall'art. 21, 6° comma, 1. 11 marzo

1988 n. 67, autenticamente interpretato dall'art. 3, comma 2 bis, d.l.

21 marzo 1988 n. 86, convertito, con modificazioni, dalla 1. 20 maggio 1988 n. 160, non è una pensione a sé stante, ma costituisce parte inte

II Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 17 novembre

1993, Bettolini Giovanni — premesso che era titolare, dal mese

di giugno del 1981, di pensione di anzianità a carico dell'Istitu

to nazionale della previdenza sociale, riliquidatagli ai sensi del

l'art. 21 1. n. 67 del 1988 venendo lasciato inalterato l'importo della medesima mentre questo doveva essere aumentato sin dal

l'inizio e operarsi sui relativi incrementi la perequazione — con

venne in giudizio, avanti al Pretore di Milano, l'ente previden

ziale, chiedendone la condanna a corrispondergli gli aumenti

negatigli e gli arretrati con interessi e rivalutazione.

Costituitosi il contraddittorio, il pretore, previo espletamento di consulenza tecnica, accolse la domanda con pronuncia resa

il 31 luglio 1995. Nei confronti di questa propose appello l'ente, che ne lamen

tò la erroneità deducendo che il giudice di primo grado non

aveva tenuto conto che il comma 2 bis dell'art. 3 d.l. n. 86

del 1988 (convertito, con modificazioni, nella 1. n. 160 dello

stesso anno) — con il quale si era fornita la interpretazione autentica della norma sopra citata — aveva disposto nel senso

che la retribuzione pensionabile va calcolata sulla media delle

retribuzioni imponibili e pensionabili, rivalutate secondo i crite

ri dettati dall'I 1° comma dell'art. 3 1. n. 297 del 1982, e relative

alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione, deri

vandone che, essendo, nella concreta fattispecie, la media infe

riore al tetto, nulla sarebbe spettato all'istante.

Il tribunale, aderendo a questa tesi, in riforma di quanto de

ciso in primo grado, ha rigettato la domanda con la sentenza

indicata in epigrafe, avverso la quale il Bertolini ha interposto ricorso chiedendone la cassazione con atto sostenuto da un

motivo.

L'Istituto nazionale della previdenza sociale resiste con con

troricorso.

Motivi della decisione. — Con l'unica ragione di censura — denunciando, ai sensi dei nn. 3 e 5 del 1° comma dell'art.

360 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 2 bis (ree

tius, art. 3, comma 2 bis) d.l. 21 marzo 1988 n. 86 (convertito nella 1. 20 maggio 1988 n. 160), 21 1. 11 marzo 1988 n. 67,

3 1. 25 (rectius, 29) maggio 1982 n. 297 e 26 1. n. 160 del 1975 — il ricorrente deduce che erroneamente si è ritenuta operante, nella specie, la regola dettata dall'art. 2 bis 1. n. 160 del 1988,

nel cui ambito temporale di applicazione rientrano le pensioni

liquidate successivamente alla data del 30 giugno 1982, dovendo

invece valere la disciplina antecedente (1. n. 160 del 1975) ver

tendosi in ipotesi di trattamento pensionistico maturato e liqui dato nell'anno 1981, conseguendone che doveva invece farsi ri

corso al criterio della media retributiva da calcolarsi sui tre anni

di retribuzione più favorevoli negli ultimi dieci anni di lavoro,

con esclusione (anno solare per anno solare) di quelle eccedenti

il massimale in vigore nell'anno del pensionamento. Il rilievo è fondato.

grante della pensione originaria, sicché la rivalutazione della retribuzio

ne pensionabile deve essere riferita alla data di decorrenza della pensio ne così come originariamente liquidata.

Corte cost. 14 luglio 1988, n. 822, id., 1991, I, 335, con nota di

richiami, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, 8° com

ma, 1. 29 maggio 1982 n. 297, nella parte in cui non prevedeva per i lavoratori prossimi alla pensione o già pensionati il mantenimento

dei criteri di liquidazione dettati dal previgente art. 26, 3° comma, 1.

3 giugno 1975, n. 160.

L'applicabilità dell'art. 21, 6° comma, 1. n. 67 del 1988, cit., anche

alle pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1998 è stata reitera

tamente affermata dalla Corte costituzionale (sent. 22 febbraio 1990, n. 72, id., Rep. 1990, voce cit., n. 611, e Dir. lav., 1990, II, 110, con

nota di Ravajoli; ord. 4 aprile 1990, n. 171, Foro it., Rep. 1991, voce

cit., n. 790; ord. 31 luglio 1990, n. 401, ibid., n. 789; ord. 9 marzo

1992, n. 99, id., Rep. 1992, voce cit., n. 616; sent. 5 luglio 1995, n.

296, id., Rep. 1995, voce cit., n. 607) e dalla Corte di cassazione (sent. 13 gennaio 1998, nn. 220-235, id., Mass., 23; 11 ottobre 1997, n. 9929,

id., Rep. 1997, voce cit., n. 864; 6 novembre 1996, n. 9687, id., Rep.

1996, voce cit., n. 577; 13 agosto 1996, n. 7540, ibid., n. 578; 12 no

vembre 1992, n. 12170, id., Rep. 1993, voce cit., n. 564). Nel senso che relativamente ai crediti aventi ad oggetto la quota ag

giuntiva ex art. 21, 6° comma, 1. n. 67 del 1988, cit., per le pensioni

liquidate anteriormente al 1° gennaio 1988, la rivalutazione monetaria

e gli interessi legali decorrono dal centoventesimo giorno successivo a

tale data, cfr. Cass. 20 febbraio 1997, n. 1551, id., Rep. 1997, voce

cit., n. 860.

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