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sezioni unite civili; sentenza 14 gennaio 1987, n. 189; Pres. Tamburrino, Est. R. Sgroi, P.M....

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sezioni unite civili; sentenza 14 gennaio 1987, n. 189; Pres. Tamburrino, Est. R. Sgroi, P.M. Caristo (concl. conf.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Mataloni) c. Regione Veneto (Avv. Lorenzoni, Gatti Badoer) e Ditta Passadore; Ditta Passadore (Avv. Manzi, Rizzieri) c. Regione Veneto e Min. tesoro. Conferma App. Venezia 7 febbraio 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 1 (GENNAIO 1987), pp. 31/32-39/40 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179540 . Accessed: 28/06/2014 16:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.93 on Sat, 28 Jun 2014 16:28:42 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite civili; sentenza 14 gennaio 1987, n. 189; Pres. Tamburrino, Est. R. Sgroi, P.M. Caristo (concl. conf.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Mataloni) c. Regione Veneto (Avv.

sezioni unite civili; sentenza 14 gennaio 1987, n. 189; Pres. Tamburrino, Est. R. Sgroi, P.M.Caristo (concl. conf.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Mataloni) c. Regione Veneto (Avv.Lorenzoni, Gatti Badoer) e Ditta Passadore; Ditta Passadore (Avv. Manzi, Rizzieri) c. RegioneVeneto e Min. tesoro. Conferma App. Venezia 7 febbraio 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 1 (GENNAIO 1987), pp. 31/32-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179540 .

Accessed: 28/06/2014 16:28

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PARTE PRIMA

3 marzo 1934 n. 383, richiamando la distinzione fra spese obbliga torie e facoltative recentemente abolita (art. 7 d.l. 10 novembre 1978

n. 702), pone a carico del comune anche le spese concernanti l'«uf

ficio del conciliatore».

4. - Tanto il Consiglio di Stato, quanto la Corte d'appello di Mi

lano, impugnano gli art. 1, 2 e 3 1. n. 392 del 1941 — e quest'ultima anche l'art. 91, lett. d), n. 1, t.u. n. 383 del 1934 — in riferimento

agli art. 5, 110, 128 Cost., ritenendo che le relative norme costitui

scono fondamento dell'accollo ai comuni, nei quali hanno sede uf

fici giudiziari, delle spese necessarie per la provvista e la

manutenzione dei locali ad uso dei detti uffici. Ed al riguardo cosi

argomentano: a) l'art. 128 Cost, affida la determinazione delle fun

zioni dei comuni (e delle province) a «leggi generali», che ne garan tiscono l'autonomia nell'ambito dei principi, e gli art. 5 e 128 Cost., riconoscendo il comune come circoscrizione territoriale autonoma, danno rilievo costituzionale alle relazioni tra le funzioni ed il terri

torio e, quindi, alla competenza locale, nel senso che l'autonomia

è garantita per ciascun comune nei limiti territoriali che gli son pro

pri. Il legislatore, insomma, nel determinare le funzioni dei comu

ni, trova «la sua naturale e logica dimensione in quei limiti

territoriali» e non può, conseguentemente, attribuire loro «funzio

ni o, più genericamente, compiti eccedenti in tutto o in parte i limi

ti della loro autonomia»; b) gli invocati art. 5 e 128 Cost., risultano

violati altresì', sia per il fatto che l'accollo delle spese per attività

estranee priva l'autonomia comunale «dell'autodeterminazione circa

la ripartizione della spesa e la provvista delle corrispondenti entra

te in ordine al complesso delle funzioni determinate in altra sede

legislativa», nonché «della possibilità del controllo sulle risorse ne

cessarie per l'assolvimento del complesso delle funzioni istituzio

nali tipiche», sia per il fatto che a tali spese non siano chiamati a

partecipare gli altri enti «nella cui sfera . . . abbiano rilevanza» le

funzioni ed i compiti in discorso, cioè gli altri comuni compresi nella

circoscrizione giudiziaria; c) ma è violato anche l'art. 110 Cost., il

quale attribuendo al ministro della giustizia «l'organizzazione . . .

dei servizi relativi alla giustizia» — e provvista e manutenzione dei

locali per gli uffici giudiziari rientrano nella «organizzazione» —

indica che spetta allo Stato di provvedere ai locali per detti uffici, con conseguente esclusione di ogni onere a carico dei comuni.

5. - La questione non può dirsi fondata.

Lo Stato può amministrare, sia direttamente, cioè attraverso pro

pri organi, sia indirettamente, cioè attraverso enti, fra i quali in pri mo luogo quelli territoriali, che sono ripartizioni della complessiva struttura della repubblica. E che questo possa, per l'esercizio delle

sue funzioni amministrative, valersi degli uffici dei comuni (oltre che delle province e degli altri enti locali), è nella logica e nella tra

dizione dello Stato unitario, il quale è, per espresso dettato costitu

zionale (art. 5 ), tenuto ad attuare, «nei servizi che dipendono» da

esso, «il più ampio decentramento amministrativo» e che altrimen

ti dovrebbe creare, anche nelle località più decentrate, propri ed ap

positi organi tecnici, costituendo cosi un doppione di quelli degli enti territoriali. La Costituzione ha enunciato espressamente tale

principio, rispondente altresì a quello dell'onere di buona ammini

strazione (art. 97 Cost.), solo a riguardo delle regioni, trattandosi

di entità di nuova istituzione, cui ha ritenuto opportuno segnare l'in

dirizzo nell'esercizio dell'attività amministrativa. Ne consegue che — a parte la non pertinenza nella specie dell'art. 110 Cost., dettato

per segnare il confine tra le competenze del Consiglio superiore della

magistratura e quelle del ministro della giustizia — l'affidamento

ai comuni del compito di fornire, arredare, custodire i locali per

gli uffici giudiziari, provvedendo anche ai servizi necessari per il fun

zionamento di questi, non viola gli art. 5 e 128 Cost.

Detti articoli non risultano violati neppure in conseguenza del

l'accollo ai comuni delle spese all'uopo occorrenti. Va tenuto, in

fatti, presente: in primo luogo, che la legge impugnata obbliga lo

Stato a corrispondere annualmente ai comuni un contributo, che

di regola copre la maggior parte delle spese; in secondo luogo, che

allo stato attuale dell'ordinamento ormai la finanza locale è in gran

parte finanza derivata; da ultimo, che presentemente lo Stato prov vede ad risanamento dei bilanci comunali.

6. - Deve dichiararsi inammissibile la «questione di legittimità co

stituzionale delle norme degli art. 2, 3° e 4° comma, e 3, 3° com

ma, 1. 24 aprile 1941 n. 392, per contrasto con l'art. 3 Cost.», sollevata dal Tribunale di Roma (r.o. 579/78) nel corso della con

troversia tra l'amminstrazione finanziaria ed il comune di Prosino

ne. Secondo il giudice a quo, il principio d'eguaglianza sarebbe

violato, perchè, mentre nel caso di immobili demaniali già adibiti

Il Foro Italiano — 1987.

a sede di uffici giudiziari è riconosciuto ai comuni il diritto sogget tivo all'automatico adeguamento al contributo, tale diritto è nega

to, quando trattisi, come nella specie, di palazzi di giustizia costruiti

successivamente alla legge de qua. Senonché, sembra essere sfuggi to al Tribunale di Roma che la disposizione dalla quale in effetti

deriverebbe la disparità di trattamento (art. 3,3° comma) in rela

zione all'art. 2 (3° e 4° comma) aveva carattere contingente, cioè

era stata adottata per operare esclusivamente nel primo periodo di

applicazione della legge, come esattamente rileva l'avvocatura del

lo Stato.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi in epi

grafe: a) dichiara non fondata la questione di legittimità costitu

zionale degli art. 1, 2 e 3 1. 24 aprile 1941 n. 392, sollevata dal

Consiglio di Stato (r.o. n. 689/80) e dalla Corte d'appello di Mila no (r.o. 922/83), in riferimento agli art. 5, 110 e 128 Cost.; b) di chiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

91, lett. d), n. 1, t.u. 3 marzo 1934 n. 383, sollevata dalla Corte

d'appello di Milano in riferimento agli art. 5, 110 e 128 Cost.; c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale de

gli art. 2, 3° e 4° comma, e 3, 3° comma, 1. 24 aprile 1941 n. 392

sollevata dal Tribunale di Roma (r.o. n. 579/78), in riferimento al

l'art. 3 Cost.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 14 gen naio 1987, n. 189; Pres. Tamburrino, Est. R. Sgroi, P.M.

Caristo (conci, conf.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Maialo

ni) c. Regione Veneto (Avv. Lorenzoni, Gatti Badoer) e Dit

ta Passatore; Ditta Passadore (Avv. Manzi, Rizzieri) c. Re

gione Veneto e Min. tesoro. Conferma App. Venezia 7 feb braio 1984.

CORTE DI CASSAZIONE;

Gioventù italiana — Soppressione — Trasferimento di rapporti — Successione della regione — Controversia — Decadenza (L. 4 dicembre 1956 n. 1404, soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma

costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interes

santi la finanza statale, art. 8, 9, 13; 1. 18 novembre 1975 n.

764, soppressione dell'ente « Gioventù italiana », art. 1, 2) Gioventù italiana — Soppressione — Trasferimento di rapporti

— Appalti esauriti — Successione della regione — Esclusione — Ufficio liquidazione presso il ministero del tesoro — Spet tanza (Cod. civ., art. 31, 1104, 1123; disp. att. cod. civ., art.

63; 1. 4 dicembre 1956 n. 1404, art. 10, 13, 14, 15; 1. 18 novem

bre 1975 n. 764, art. 1, 2, 9).

La controversia, diretta a stabilire se un credito insorto verso

l'ente « Gioventù italiana » debba far carico, dopo la soppres sione dell'ente medesimo a norma della I. 18 novembre 1975

n. 764, alla regione, in qualità di successore nelle sue funzioni e nei suoi beni, ovvero all'amministrazione del tesoro, nell'am

bito della procedura liquidatoria di cui alla l. 4 dicembre 1956

n. 1404, esula dalla previsione dell'art. 9 di tale ultima legge, circa la decadenza del creditore per la mancata impugnazione

(entro trenta giorni) del diniego di ammissione delle proprie

ragioni al passivo di detta liquidazione, tenuto conto che la

causa coinvolge necessariamente il predetto ente territoriale, estraneo alla liquidazione stessa. (1)

A seguito della soppressione dell'ente « Gioventù italiana », a nor

ma della I. 18 novembre 1975 n. 764, i debiti dal medesimo

contratti per l'appalto di opere edili, che siano state ultimate in data anteriore all'entrata in vigore della citata legge, fanno carico all'amministrazione del tesoro, nell'ambito della proce dura liquidatoria di cui alla l. 4 dicembre 1956 n. 1404, non

alla regione a cui viene trasferito l'immobile, atteso che tale

trasferimento si estende alle sole obbligazioni inerenti all'im

(1-2) Le sezioni unite risolvono il contrasto creatosi per le opposte de cisioni della sezione prima 27 febbraio 1985, n. 1713, Foro it., 1985, I, 1259, e 29 maggio 1982, n. 3318, id., Rep. 1982, voce Gioventù italia

na, n. 1; conformi, fra le altre, sempre del medesimo estensore della sentenza in epigrafe, le sentenze delle sezioni unite 14 gennaio 1987, n. 197, 1° ottobre 1986, n. 5824, 28 luglio 1986, n. 4821 e 7 luglio 1986, n. 4440, inedite; per ogni altro riferimento si rimanda alla cit. nota

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

mobile stesso, cioè a quelle nelle quali il bene costituisca elemen

to di riferimento oggettivo del debito, e non può comprendere,

quindi, l'obbligo del committente verso l'appaltatore al compen so di lavori non più in corso. (2)

Motivi della decisione. — I ricorsi devono essere riuniti (art. 335

c.p.c.). L'amministrazione del tesoro col primo motivo deduce la viola

zione e falsa applicazione degli art. 1 e 2 1. 18 novembre 1975 n.

764 (art. 360, n. 3, c.p.c.) e l'insufficienza di motivazione (art. 360, n. 5), osservando che l'interpretazione data dalla corte d'appello all'ultimo comma dell'art. 2 cit. renderebbe la norma superflua per ché i diritti reali gravanti sull'immobile e di norma i contratti di lo

cazione ne seguono la proprietà. La formula adottata sta ad indicare

una successione che comprende tutti i rapporti, attivi e passivi, che

comunque si riferiscono agli immobili trasferiti; e quindi anche con

cernenti lavori di ristrutturazione, riattazione e manutenzione, che

non possono non considerarsi « inerenti » agli immobili, indipen dentemente dal fatto che detti lavori, alla data del trasferimento, fossero in corso o da ultimare, restando da liquidare e regolare i

crediti e debiti relativi. Il ministero osserva, in ordine all'art. 1 legge cit., che fra le atti

vità svolte della G.I. vi era anche quello di gestire i beni di sua pro

prietà, per cui non è possibile escludere che anche tale attività abbia

formato oggetto di trasferimento.

Tutto ciò che attiene all'amministrazione ed alla gestione degli immobili — conclude l'amministrazione — ivi compresi i crediti ed

i debiti relativi ai lavori suddetti, è rimasto estraneo alla liquidazio ne ed è stato attribuito alla competenza (e legittimazione) delle

regioni. Il motivo è infondato. La tesi ivi sostenuta è stata accolta da questa

Corte con sentenza della I sez. 27 febbraio 1985, n. 1713 (Foro it.,

1985, I, 1259). Per comporre il contrasto con le diverse afferma

zioni contenute nella sentenza della medesima sezione, 29 maggio

1982, n. 3318 (id., Rep. 1982, voce Gioventù italiana, n. 1), la que stione è stata rimessa a queste sezione unite.

Nella sentenza più recente la soluzione è sostenuta da due ar

gomentazioni. La prima consiste nell'affermata quasi totale estra

neità della disciplina della 1. n. 1404 del 1956 rispetto a quella

prevista dalla 1. n. 764 del 1975, perché l'intento legislativo è

stato quello di procedere non all'eliminazione totale dei compiti e delle attività dell'ente e, quindi, alla liquidazione generale del

patrimonio, ma quello di sopprimere l'ente in quanto nazionale,

operante cioè sull'intero territorio della repubblica, per sostituir

lo, in modo decentrato, con le regioni e con le province di Trento

e Bolzano. Per la realizzazione di tale scopo il legislatore ha di

sposto il trasferimento dei compiti istituzionali e delle attività in

atto della Gioventù italiana agli enti suindicati, trasferendo altre

sì' gli immobili, con gli arredamenti e le attrezzature, siti nei ri

spettivi territori (salvo alcuni immobili indicati nella tab. A, tra

sferiti allo Stato); pertanto non sussisteva la possibilità di una

liquidazione generale della G.I., né dell'attività liquidatoria pro

pria dell'ufficio liquidazione, consistente soprattutto nell'aliena

zione dei beni (art. 10 1. n. 1404) al fine di sostituire una massa

attiva per il soddisfacimento delle ragioni di credito altrui. Per

tanto l'ultimo comma dell'art. 2 1. n. 764 dispone il trasferimento

di tutte le situazioni relative ai beni trasferiti, sia che riguardasse ro poteri e diritti di natura reale, sia che si riferissero a diritti

e doveri di natura obbligatoria, anche per situazioni e rapporti

pregressi non ancora definiti al momento del trasferimento del

bene. Tale ratio interpretativa, secondo la sentenza citata, trova

conforto in un principio dell'ordinamento, secondo il quale gli enti ai quali sono devoluti i beni di altri enti dichiarati estinti

o soppressi sono tenuti a soddisfare le ragioni dei creditori in

proporzione e nei limiti di ciò che hanno ricevuto (art. 31 c.c.). Ad avviso di queste sezioni unite, nessuna delle suddette argo

mentazioni si può condividere. La seconda non può avere atti

nenza alla specie, perché l'art. 31 c.c. riguarda « i creditori che

durante la liquidazione non hanno fatto valere il loro 'credito' »

e cioè quei creditori la cui posizione è regolata (in modo diverso

e specifico, con conseguente impossibilità di applicare la norma

generale del codice) dall'art. 13, 4° comma, 1. n. 1404 del 1956

a Cass. 1713/85, cui adde, in tema di successione fra enti pubblici, Cass.

12 aprile 1986, n. 2583 (per l'A.n.m.i.l.), id., 1986, I, 2793, con nota

di ulteriori richiami.

Il Foro Italiano — 1987 — Parte I-I.

che dispone che i suddetti creditori hanno facoltà di chiedere en

tro un termine perentorio stabilito dalla norma il soddisfacimen

to del loro diritto sull'eventuale avanzo della gestione liquidato

ria; avanzo che a sua volta è regolato dall'art. 14 che dispone, da un canto, la devoluzione allo Stato (salva l'esistenza di norme

speciali) degli avanzi finali delle liquidazioni degli enti e, dall'al tro canto, l'inclusione degli stessi in un conto di tesoreria dal

quale potranno essere eseguiti i prelevamenti per la copertura dei

disavanzi, ai fini della sistemazione di singole liquidazioni defici tarie previste dall'art. 15. Si deve sottolineare che l'art. 15 pone detti prelevamenti per la copertura dei disavanzi in alternativa

rispetto alla liquidazione coatta amministrativa, per cui si deve

affermare che, se non si fa luogo alla liquidazione coatta, la co

pertura dei disavanzi è un obbligo a carico del ministero del teso

ro, in quanto all'espressione « il ministero può stabilire interventi

finanziari mediante prelevamenti sul fondo di cui all'art. 14 »

riguarda il momento discrezionale della scelta fra prelevamenti e liquidazione coatta; ma, se non si fa luogo a quest'ultima pro

cedura, come non si è fatto luogo nei confronti della G.I., la

copertura delle liquidazioni deficitarie diventa un obbligo, a tute

la del diritto soggettivo di credito, che non può essere sacrificato

da norme finanziarie o di contabilità, secondo la costante giuri

sprudenza di questa corte (cfr. Cass. 17 gennaio 1980, n. 384,

id., 1980, I, 958; 13 maggio 1983, n. 3271, id., Rep. 1983, voce Locazione, n. 483; 1° luglio 1985, n. 3934, id., Rep. 1985, voce

Contratti della p.a., n. 109). Di conseguenza, la seconda argomentazione si risolve nella pri

ma, e cioè nella postulata quasi totale inapplicabilità della legge del 1956 alla liquidazione della Gioventù italiana. Ma — a parte

quanto si dirà — è intanto subito da rimarcare il puntuale richia

mo che la legge del 1975 sulla G.I. fa all'art. 14 della legge del

1956, e cioè a quella norma che si è dimostrato essere in stretto

collegamento con la regolamentazione dei crediti dell'ente liqui dato. L'art. 9 della legge del 1975 stabilisce che « alle occorrenze

relative alla liquidazione dell'ente, comprese quelle connesse alle

previsioni di cui al precedente art. 7, 3° comma (e cioè all'impor to delle indennità di anzianità del personale maturate all'atto del

trasferimento da ciascun dipendente, sia trasferito alle regioni, sia trasferito allo Stato; importo che è tutto a carico dell'ufficio

liquidazioni) si provvede con la disponibilità del conto di tesore

ria di cui all'art. 14 della legge n. 1404, in favore del quale, nei

limiti da stabilirsi con la legge di bilancio, saranno conferiti ap

positi apporti a carico del ministero del tesoro. Un primo appor to è stabilito in lire 10 miliardi ».

La suddetta norma è fondamentale nell'interpretazione della

legge sulla G.I., perché provvede alle occorrenze finanziarie della

liquidazione dell'ente, proprio in relazione alla premessa indubi

tabile da cui è partita la sentenza n. 1713/85, per trarne però

conseguenze che non sono necessarie. La premessa è che gli im

mobili della G.I. non sono soggetti all'alienazione prevista dalla

legge del 1956 per pagare i debiti (art. 10), ma sono sottratti

alla procedura di liquidazione e (tranne quelli di cui alla tab.

A) sono trasferiti alle regioni, con vincolo di destinazione per i compiti istituzionali trasferiti (art. 2, 1° comma) e per il soddi sfacimento delle esigenze sociali delle popolazioni (art. 2, 3° com

ma). Da tale premessa non può trarsi la conseguenza che tutti

i debiti passati inerenti alla gestione degli immobili, precedente alla legge del 1975, sono trasferiti alle regioni che li acquistano, mentre per converso lo Stato — che non acquista quel patrimo nio — non potrebbe assumersi quei debiti, senza una controparti ta di mezzi finanziari per il loro pagamento. Si osserva, in con

trario, che l'argomentazione è inesatta proprio sotto il profilo finanziario e di contabilità pubblica nella cui ottica è svolta (tan to è vero che è rivolta allo scopo di escludere il dubbio di incosti

tuzionalità della legge n. 764, per l'incisione negativa di essa sul

l'autonomia finanziaria delle regioni, garantita dall'art. 119 Cost.). Si vedrà che proprio la garanzia costituzionale di tale autonomia

impone un'interpretazione diversa; ma intanto è da dire che la

correlazione fra debiti ed immobili trasferiti può porsi con ri

guardo all'interpretazione letterale e sistematica dell'art. 2, ma

non sotto il profilo contabile/finanziario. Da un canto, infatti,

ha esattamente osservato la difesa della regione, quei beni non

sono stati trasferiti per pagare i debiti, ma per il raggiungimento di funzioni e servizi pubblici affidati alle regioni; dall'altro can

to, lo Stato può pagare i debiti mediante la copertura finanziaria

di cui all'art. 9, la cui portata imperativa (« saranno conferiti ... ») è evidente e risulta coerente con la già rilevata obbligatorietà del

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PARTE PRIMA

la predisposizione dei mezzi finanziari per il pagamento dei debiti

che lo Stato si assume, per la loro qualità di diritti soggettivi che non possono essere affievoliti da norme finanziarie di bilan

cio (se non si fa luogo alla liquidazione coatta amministrativa

dell'ente).

Deve, pertanto, escludersi che il richiamo alla legge del 1956

debba essere limitato in maniera più incisiva di quanto non risulti

già dell'espressa salvezza delle diverse disposizioni della legge del

1975 (art. 1, 2° comma). In particolare, ai sensi dell'art. 3 della

legge del 1956 l'ufficio liquidazioni deve prendere in consegna le attività della G.I. diverse dal patrimonio immobiliare, con i

rispettivi arredamenti ed attrezzature (art. 2, 2° comma) e diverse

dalle situazioni attive (e passive) inerenti agli immobili, arreda

menti ed attrezzature (art. 2, ult. comma). Per interpretare il campo di estensione delle situazioni non at

tribuite all'ufficio liquidazioni ed in cui, quindi, subentrano le regioni che diventano proprietarie degli immobili, non può pre scindersi (oltre che da una valutazione dell'espressione « ineren

ti »), dal sistema complessivo in cui si inquadra la legge del 1975.

Come è stato notato dalla dottrina che si è occupata dell'impo nente fenomeno del trasferimento di funzioni, servizi e beni dallo

Stato (o da altri enti) alle regioni (o altri enti) regolato dalle leggi che sono state emanate fra il 1970 e il 1977, anche la legge sulla

G.I. è compresa in tale insieme di trasferimenti (il che spiega

perché un ente già soppresso nel 1943, ma di fatto operante, è

stato di nuovo oggetto dell'attenzione del legislatore proprio nel

1975). La prima delle leggi suddette è la n. 281 del 16 maggio 1970,

di cui rileva l'art. 18: « i decreti legislativi di cui all'articolo pre cedente determinano, con effetto dal 1° gennaio dell'anno suc

cessivo alla loro entrata in vigore, la conseguente soppressione o riduzione da apportare agli stanziamenti inscritti nei singoli sta

ti di previsione della spesa dei ministeri competenti, nonché l'am

montare delle spese aggiuntive connesse al trasferimento delle fun

zioni attribuite alle regioni, individuandone i relativi mezzi di co pertura »; nonché l'art. 8 a cui si richiamano gli ulteriori commi

dell'art. 18, sul « fondo »; e l'art. 11 sul trasferimento dei beni.

Il trasferimento è stato completato in base alla 1. 22 luglio 1975

n. 382 (v. art. 1, lett. /: « provvedere, in relazione alle funzioni

trasferite, alla soppressione dei capitoli dello stato di previsione della spesa, diretta e indiretta, del bilancio dello Stato, relativi

alle funzioni trasferite ed al corrispondente incremento delle en

trate e dei fondi previsti dalla 1. 16 maggio 1970 n. 281 »). La

delega è stata attuata con il d.p.r. n. 616 del 1977 che all'art.

117, mod. dalla 1. n. 641 del 1978, prevede il trasferimento alle

regioni di immobili degli enti soppressi, mentre i residui beni,

compresi il numerario ed i titoli di credito, sono attribuiti all'uf

ficio liquidazioni di cui alla 1. n. 1404/56, il quale provvede altre

sì ad assumere le eventuali passività, per la cui copertura il mini

stero del tesoro, se necessario, può destinare i proventi dei beni

patrimoniali degli enti soppressi, che affluiscono al fondo di cui

all'art. 9 1. 16 maggio 1970 n. 281.

Si può dare per acquisito il fondamentale principio secondo

cui ogni legge di trasferimento di funzioni, di servizi e di beni

si è preoccupata di assicurare che le regioni destinatarie avessero

la provvista del fabbisogno finanziario corrispondente allo scopo di poter erogare le relative spese nel rispetto dei principi della

contabilità delle regioni (d.p.r. 3 dicembre 1970 n. 1171 e 1. 19

maggio 1976 n. 335), fondati sull'equilibrio fra il totale dei paga menti autorizzati ed il totale delle entrate (art. 4 1. n. 335). La

necessità di attribuire alle regioni l'autosufficienza finanziaria per

adempiere ai propri compiti risulta dall'art. 119 Cost, e sarebbe

in contrasto con la suddetta norma che la legge imponesse alle

regioni il pagamento di spese collegate con una precedente deci

sione inerente alla loro formazione, sottratta del tutto all'autono

mia della regione e cioè a quel procedimento decisionale nel qua le si valuta anche l'esistenza dei fondi necessari. Una legge che

trasferisce debiti creati da altri enti, in epoche anteriori, alle re

gioni che — non avendo partecipato alla deliberazione degli atti

produttivi di spesa — non hanno potuto provvedere agli stanzia

menti di bilancio necessari, sarebbe in contrasto con tali principi fondamentali. Il collegamento con un patrimonio immobiliare tra

sferito non è decisivo, perché la corrispondenza fra le spese fatte

per detto patrimonio e la sua titolarità corrisponde ad un'ottica

privatistica, nella quale è connaturata la conversione in denaro

dei beni, per il soddisfacimento dei debiti; ma nella contabilità

pubblica la previsione delle spese di conservazione e migliora

li Foro Italiano — 1987.

mento dei beni posseduti ha riguardo, invece, a fondi di denaro

iscritti in bilancio. Per converso, si è già sottolineato come, nei

confronti dello Stato, l'art. 9 della 1. n. 764 assolva alla funzione

di provvedere alle occorrenze finanziarie per l'estinzione dei debi

ti assunti. Si veda anche Cass. 4 luglio 1985, n. 4023 (id., 1986,

I, 45), in tema di scioglimento dell'O.m.m.i. A ciò si aggiunga che neppure nel campo privatistico le spese

di miglioramento e conservazione dei beni si qualificano come

« obbligazioni propter rem », all'infuori della disciplina della co

munione e del condominio, di guisa che il cessionario dell'immo

bile — al di fuori dell'applicabilità delle norme degli art. 1104

c.c. e 63 disp. att. c.c. — non risponde verso l'appaltatore di

lavori ordinati dal precedente proprietario salvo un patto specifico. Le considerazioni fatte assumono una notevole importanza, per

ché si tratta di regolare una successione fra enti pubblici, nella

quale devono rispettarsi le esigenze pubblicistiche della contabili

tà, soprattutto quando deve essere rispettato un principio costitu

zionale che deve servire da guida nell'interpretazione della legge. Le espressioni usate dall'ultimo comma dell'art. 2 della legge

n. 764 si trovano anche nel 2° comma dell'art. 14 d.p.r. 30 di

cembre 1972 n. 1036, contenente norme sugli enti operanti nel

settore dell'edilizia popolare pubblica: gli istituti autonomi pro vinciali per le case popolari, dal momento della devoluzione dei

beni immobili di proprietà degli enti soppressi, subentrano nella

titolarità di tutte le situazioni attive o passive e nei rapporti pro cessuali inerenti agli immobili di cui hanno acquistato la proprie tà. Deve notarsi l'evidente similarità delle situazioni che si sono

intese regolare, ma deve sottolinearsi anche l'ulteriore normativa

del d.p.r. n. 1036 del 1972: l'art. 15 dispone che gli I.a.c.p. su

bentrano in tutti i rapporti di natura sostanziale e processuale concernenti le costruzioni in corso di realizzazione da parte degli enti soppressi, mentre il 3° comma prevede la trasmissione della

documentazione relativa. Si potrebbe osservare che, con la tesi

sostenuta dal ministero del tesoro, tale norma sarebbe stata su

perflua, perché i rapporti relativi alle costruzioni (sui terreni degli enti soppressi, trasferiti ex art. 14) sarebbero rapporti inerenti

agli immobili e quindi trasferiti ex art. 14, e pertanto, se la legge ha avvertito la necessità di disporre con separata norma il loro

trasferimento, ciò dovrebbe significare che li ha considerati auto

nomi, in quanto non inerenti agli immobili. Ma tale conclusione

sarebbe affrettata. Infatti, l'art. 16 che prevede proprio l'inter

vento dell'ufficio liquidazioni di cui alla 1. n. 1404/56 dispone: « Sono esclusi dalla liquidazione gli immobili trasferiti agli I.a.c.p. nonché le situazioni attive e passive di qualsiasi natura inerenti

alle costruzioni in corso di realizzazione da parte degli enti sop

pressi ». Il vocabolo « inerenti » è usato per quei rapporti con

trattuali obbligatori per i quali l'art. 15 aveva usato l'espressione « concernenti », il che significa che il legislatore non ha usato

il termine « inerenti » nel suo significato più tecnico e specifico, nel quale l'immobile costituisce il termine di identificazione del

rapporto anche sotto il profilo della coincidenza della titolarità

soggettiva del rapporto e dell'immobile (oneri reali, obbligazioni

propter reni), ma in un significato più ampio, tanto da poter essere sostituito — con Io stesso effetto — dall'espressione « con

cernenti » che indica una semplice relazione col contenuto del

l'obbligazione presa in considerazione. Per esempio, nella loca

zione l'immobile è oggetto del rapporto obbligatorio di godimen

to; ma anche nell'appalto (di costruzione, di rifacimento, di ma

nutenzione) l'immobile costituisce termine di riferimento oggetti vo del contenuto delle obbligazioni contrattuali ed indubbiamen

te si tratta di rapporto che concerne l'immobile. La più articolata

normativa presa a raffronto ha dimostrato che l'inerenza e la

concernenza sono indifferentemente valutate, con gli stessi risul

tati. Lo stesso metro di valutazione dell'espressione usata dalla

legge del 1975 sulla G.I. non può essere affatto escluso, sol che

si pensi che, limitatamente ai rapporti per i quali l'inerenza è

pacifica (diritti reali, oneri reali, obbligazioni propter rem), la disposizione sarebbe stata superflua, perché si tratta di rapporti che seguono la proprietà. Anche per le locazioni la norma sareb

be stata superflua, perché la qualità di ente pubblico non econo

mico del precedente proprietario avrebbe comportato la necessità

di un atto di data certa per l'esistenza della locazione, opponibile all'avente causa (art. 1599, 1° comma, c.c.).

Per limitarsi agli appalti, che interessano la presente causa, si

osserva che un rapporto può considerarsi inerente all'immobile

trasferito, quando quest'ultimo costituisce elemento di riferimen

to oggettivo dell'obbligazione e cioè rileva nell'ambito della pre

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stazione che è oggetto del contratto. Quando, invece, la presta zione dell'appaltatore si è esaurita col compimento dell'opera, cessa la rilevanza del riferimento all'immobile, perché è pendente fra le parti soltanto l'obbligazione di pagare il corrispettivo, esi

gibile dopo l'accettazione dell'opera. Si deve pertanto fare una

distinzione nell'ambito dei rapporti di appalto, fra quelli già ese

guiti e quelli ancora in corso con riguardo alla prestazione del

l'appaltatore. Nei primi residua soltanto un'obbligazione di pa

gamento di una somma di denaro che non si può considerare

inerente all'immobile trasferito che non ha più rilievo nell'ogget to della prestazione, costituita da una somma di denaro. Nei se

condi, l'immobile costituisce ancora termine di riferimento ogget tivo della prestazione dovuta ed essi pertanto possono conside

rarsi inerenti. È da sottolineare che l'elemento « tempo » nell'ap

palto può assumere un diverso rilievo, come intervallo puramente

pratico necessario per eseguire l'opera, senza che il contratto di

venti di durata; ovvero come elemento che rende l'esecuzione pe riodica o continuata. Nella dizione dell'ultimo comma dell'art.

2 della legge del 1975 l'elemento temporale (nell'ampia accezione

suddetta) non è privo di rilievo: l'espressione « dal momento del

trasferimento » sarebbe pleonastica se avesse il significato di mo

mento in cui si verifica il subentro della regione alla G.I., perché tale momento coincide col trasferimento dell'immobile, avente ef

fetto dalla data dell'entrata in vigore della legge (come è pacifico tra le parti). Essa indica, invece, una discriminazione fra situa

zioni per le quali il subentro si verifica o non si verifica.

Non si può opporre, in contrario, il rilievo che la successione

riguarda anche i rapporti processuali in corso, che hanno per og

getto (ovviamente) situazioni passate, perché detti rapporti pro cessuali sono soltanto quelli « inerenti » agli immobili, arreda

menti ed attrezzature, per cui anche per essi risorge il problema

interpretativo che si sta esaminando.

La tesi già esposta, secondo cui il diverso stadio a cui è giunto un rapporto già posto in essere dall'ente G.I. ha rilievo per stabi

lire l'inerenza, e cioè per accertare se l'immobile costituisca anco

ra, al momento del trasferimento, un termine di riferimento obiet

tivo del rapporto, dà invece un preciso significato a tale espres sione.

Se al momento del trasferimento della proprietà l'inerenza è

ancora in atto, i rapporti (o, come dice la legge, le situazioni

attive o passive, e quindi anche le singole prestazioni di un più

complesso rapporto) si trasferiscono; se tale inerenza non esiste

più, perché è in essere soltanto un'obbligazione di pagamento del corrispettivo, avente un oggetto già liquidato o da liquidare in somma di denaro, secondo i criteri desumibili dal contratto

posto in essere in passato dall'ente, a tale liquidazione provvede il ministero del tesoro. La suddetta interpretazione, mentre valo

rizza gli indici letterali risultanti dalla norma, si armonizza con

la già affermata esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria della

regione, non trasferendole una spesa deliberata dall'epte di pro

venienza, senza alcuna possibilità di interferire sui provvedimenti che producono la spesa stessa e di deliberare sulla provvista dei

mezzi finanziari occorrenti, in quanto la legittimità della delibe

razione di spesa, nella contabilità pubblica, comporta l'indicazio

ne di tali mezzi in una fase anteriore all'esecuzione degli atti che

la producono. Per un rapporto in corso è invece possibile tale collegamento

fra atto deliberativo (con indicazione dei mezzi di pagamento) ed atto esecutivo produttivo della spesa, nonché l'utilizzazione

dei mezzi opportuni di revisione, risoluzione, ecc.

Poiché nella specie, secondo le risultanze della sentenza impu

gnata, si trattava di lavori già eseguiti in data anteriore alla legge del 1975 ed il rapporto pendeva limitatamente al pagamento del

prezzo, tale rapporto non può considerarsi « inerente » all'im

mobile trasferito alla regione Veneto, non essendo più in corso

la prestazione dell'appaltatore, e deve essere liquidato dal mini

stero del tesoro.

Con il secondo motivo l'amministrazione deduce la violazione

e falsa applicazione degli art. 8 e 9 1. 4 dicembre 1956 n. 1404

(art. 360, n. 3, c.p.c.) nonché l'insufficienza e contraddittorietà

di motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.), osservando che l'istanza

del 25 febbraio 1976 era un'istanza di riconoscimento di credito

ai sensi dell'art. 8 della legge n. 1404, proveniente dalla ditta

interessata, per cui è indubbio che una nota dell'ufficio liquida

zioni, in risposta all'istanza, con la quale si comunicava che il

credito non era di pertinenza dell'ufficio, ma di un terzo, era

un provvedimento di rigetto dell'ammissione del credito (al pari

Il Foro Italiano — 1987.

di ogni altro provvedimento negativo, quale che ne fosse la moti

vazione) e, come tale, soggetto al termine perentorio d'impugna zione. Le parti, nel procedimento di liquidazione, sono in posi zione paritetica e l'azione giudiziaria ha semplice funzione di ac

certamento del diritto contestato, mentre i termini di decadenza

dell'art. 8 e dell'art. 9 sono finalizzati al sollecito svolgimento ed alla massima economicità della procedura.

La ricorrente rileva anche il vizio di motivazione della senten

za, quando afferma che la nota non aveva forma e contenuto

di provvedimento decisorio: quanto alla forma, l'art. 9 non ri

chiede forme particolari, salvo quella della raccomandata con A.R., nella specie osservata. Ne è esatto che con la comunicazione il

ministero si poneva al di fuori della procedura di liquidazione,

negando che sussistessero le condizioni per attivarla in relazione

a quel credito (come se la procedura si attivasse in relazione a

singoli crediti e se non fosse vero, invece, che essi si insinuano in una procedura già attivata); ed il dichiarare di non essere debi

tore è già il risultato di un esame di merito, per quanto di compe tenza dell'organo, che esaurisce (salvo il ricorso al g.o.) ogni

potere-dovere decisorio sulla domanda.

Infine — conclude l'amministrazione — il termine di decaden

za opera quando la contestazione cade sulla titolarità del credito,

perché anche in tal caso sussistono le esigenze di sollecita defini

zione delle controversie, in funzione delle quali il termine è stato

stabilito. Il motivo è infondato. Si deve premettere che la decadenza com

minata dall'art. 9, per inosservanza del termine (espressamente

qualificato perentorio) per proporre ricorso all'a.g.o. non colpi sce il diritto di credito, il quale sopravvive, come risulta dall'art.

13, 4° comma, 1. n. 1404 del 1956. Invero, il creditore che fa

scadere il termine dell'art. 9 e quindi non partecipa alla liquida

zione, una volta chiusa quest'ultima ex art. 13, può far valere

il suo credito sugli avanzi della gestione che affluiscono al fondo

del tesoro che — come si è già rilevato supra — serve per ripiana re i debiti delle liquidazioni deficitarie, in alternativa rispetto alla

liquidazione coatta amministrativa.

Si tratta di una decadenza che riguarda soltanto l'inserimento

della procedura amministrativa di liquidazione, allo scopo (ten

denziale) di assicurare la rapidità di svolgimento (cfr. Cass. n.

4070 del 1984, id., 1984, I, 2388) e che non attiene — nonostante

l'improprietà della legge che usa i termini « decisione » e « ricor

so » — all'impugnativa di un provvedimento amministrativo. In

vero, si tratta della definizione di rapporti di credito e debito

che si svolgono su un piano paritario e la « decisione » dell'uffi

cio liquidazioni non è un provvedimento che possa incidere sul

diritto, bensì' un semplice riconoscimento o disconoscimento, da

parte del soggetto designato come debitore dalla legge, del credi

to fatto valere. Pertanto, nella logica originaria della legge del

1956, anche il disconoscimento basato sull'assunto che il debito

non è imputabile all'ente liquidato e — di conseguenza — all'uf

ficio liquidazioni, deve essere contraddetto col ricorso al giudice nel termine perentorio stabilito dall'art. 9. Anche la « titolarità »

del credito attiene alla sussistenza del diritto di partecipazione alla liquidazione e la sua esclusione non può trattarsi in modo

diverso da come è disciplinata l'esclusione per l'asserito difetto

di altri elementi (il titolo o la prova del credito; il suo ammonta

re; la sua persistente efficacia per insussistenza di una causa di

estinzione, ecc.).

Tuttavia, la corte ritiene che tale logica originaria della legge non possa applicarsi al presente caso, che è diverso dall'ipotesi di estraneità del debito rispetto all'ente liquidato (ipotesi che rientra

nella legge del 1956 perché riguarda sempre l'alternativa fra la

partecipazione al concorso dei creditori dell'ente totalmente liqui dato e la non partecipazione al suddetto concorso).

La questione sollevata nella specie, invece, non attiene all'e

straneità del debito rispetto all'ente, ma — sul presupposto con

trario della sua riferibilità all'ente liquidato — tende a stabilire

se il debito è stato trasferito all'ente regionale che succede nei

compiti istituzionali e nelle attività dell'ente, ovvero se è escluso

da tale successione deve essere pertanto liquidato dall'ufficio del

ministero. Per risolvere tale questione in sede giudiziaria con ef

fetto vincolante nei riguardi tanto della regione interessata quan

to del ministero è necessaria la partecipazione al medesimo giudi zio di entrambi; in difetto di ciò, invero, la pronuncia giudiziaria non sarebbe opponibile al soggetto non partecipante al giudizio. Il necessario coinvolgimento al giudizio della regione comporta la manifesta estraneità del caso alla normale previsione dell'art.

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PARTE PRIMA

9 della legge del 1956 e quindi l'inapplicabilità della decadenza

ivi prevista. Invero, in considerazione della brevità del termine

(trenta giorni) l'interessato sarebbe costretto a citare in giudizio anche la regione (o, comunque, il ministero, con successiva inte

grazione del contraddittorio nei confronti della regione) senza avere

a disposizione il tempo ragionevolmente occorrente per chiedere

alla regione, in via stragiudizionale, la comunicazione delle sue

determinazioni in proposito. D'altra parte, nei confronti della re

gione il giudizio non riguarderebbe affatto la partecipazione ad

alcuna liquidazione, perché la regione non « liquida » i debiti

ad essa attribuiti dalla legge, ma se li assume come successore

e li paga al di fuori di ogni procedura concorsuale. Non vi è,

pertanto, alcuna esigenza che nei confronti della regione siano

stabiliti dei termini per la partecipazione ad una procedura che

non la riguarda affatto. Si tratta di una normale tutela in giudi zio del credito, da farsi valere in via alternativa (e non solidale) 0 nei confronti della regione o nei confronti dell'ufficio liquida

zioni, e ad essa deve applicarsi la disciplina generale, perché la

regione è estranea alla procedura di liquidazione che giustifica 1 termini di decadenza stabiliti e, nel contempo, la negazione stra

giudiziale del debito da parte della regione crea l'interesse ad agi re contro lo Stato.

Corretta nei sensi suesposti (art. 384 c.p.c.) la motivazione in

diritto della sentenza, resta fermo il suo dispositivo conforme a

legge. Col ricorso incidentale la ditta chiede la cassazione della sen

tenza per la parte relativa all'esonero della regione Veneto dal

l'obbligazione passiva, cosi testualmente motivando: « L'artifi

ciosità delle argomentazioni dell'amministrazione dello Stato e della

regione Veneto sorreggono ad una più rigorosa interpretazione della legge che nell'incertezza della reale portata giuridica delle

norme e di r.d.l. inattuati non può che confermare il principio fondamentale della solidarietà a fronte di un'obbligazione, il cui

mancato pagamento verrebbe a concretarsi in un atto contra ius,

trattandosi di illecito arricchimento, apparendo logica la previsio ne normativa che può e deve legittimamente essere ricavata, non

da concezioni privatistiche che non possono trovare ingresso in

materia pubblicistica, anche se appare possibile esprimere qual che riserva, ma del dettato del richiamato art. 1 ».

Il ricorso è infondato. Nell'esaminare il ricorso principale si

sono dimostrate le ragioni per le quali il debito di cui si tratta

fa capo all'ufficio liquidazioni e non è stato trasferito alle regio

ni, per cui manca in radice la possibilità di affermare una respon sabilità solidale della regione, alla quale il pagamento non può richiedersi neppure per un supposto titolo di arricchimento, po sto che le spese per l'immobile sono state fatte in data anteriore

al suo trasferimento alla regione e che, inoltre, sono inapplicabi

li, perché dettate soltanto in materia di comunione e di condomi

nio degli edifici, le disposizioni degli art. 1104, 3° comma, 1123

c.c. e 63, 2° comma, disp. att. c.c. sulla responsabilità solidale

dei cessionari partecipanti alla comunione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 dicembre

1986, n. 7148; Pres. ed est. Maltese, P.M. Grossi (conci, conf.); Cassa centrale di risparmio V. E. per le province siciliane (Aw. Maniscalco Basile) c. Fall. Gulì ( Avv. Sangiorgi Mancuso).

Conferma App. Palermo 1° dicembre 1983.

Fallimento — Credito fondiario — Ammissione al passivo degli interessi — Principio' del concorso sostanziale — Operatività

(Cod. civ., art. 2855; r.d. 16 luglio 1905 n. 646, t.u. sul credito

fondiario, art. 41, 42, 52, 55, 61; r.d. 16 marzo 1942 n. 267,

disciplina del fallimento, art. 52, 54, 55; 1. 17 agosto 1974 n.

397, norme per la determinazione dei tassi di interesse per i

finanziamenti agevolati e del tasso di mora per i mutui fondia

ri, art. 2).

Poiché nessuna deroga, esplicita o implicita, al principio di dirit

to sostanziale della par condicio creditorum è prevista dall'art.

52, 1° comma, l. fall., le disposizioni di cui agli art. 54 e 55 l. fall., che limitano la prelazione ipotecaria sugli interessi ri

chiamando la disciplina stabilita dall'art. 2855, 3° comma, c.c., sono operanti, senza riserva alcuna, per tutti i creditori concor

renti, compresi gli istituti di credito fondiario, ditalché, in caso

di fallimento del mutuatario, dopo l'annata in corso alla data

del fallimento a tali istituti spettano, con collocazione nello stesso

Il Foro Italiano — 1987.

grado ipotecario, gli interessi nella misura legale del cinque per

cento e non quelli previsti dal t.u. 16 luglio 1905 n. 646 o dalla

I. 17 agosto 1974 n. 397, che per i mutui fondiari stabilisce

la misura degli interessi con riferimento al tasso di sconto mag

giorato di quattro punti, salvo le modifiche disposte con decre

to del ministro del tesoro. (1)

(1) La Cassazione ha risolto il problema relativo al regime degli inte

ressi spettanti agli istituti di credito fondiario, in caso di fallimento del

mutuatario, ribadendo la piena e indiscriminata operatività del principio del concorso sostanziale, già affermato con le sentenze 25 ottobre 1973, n. 2734, Foro it., 1974, I, 96, e 10 novembre 1981, n. 5944, id., 1982,

I, 1343, citate in motivazione, con le quali è stato stabilito che il computo

degli interessi sui mutui fondiari è regolato dall'art. 54 1. fall, ed è quindi soggetto alla disciplina dettata dall'art. 2855, 3° comma, c.c. La novità della sentenza riportata è data dal fatto che la Cassazione ha affrontato

per la prima volta la questione relativa al rapporto tra la disciplina degli interessi nella procedura concorsuale e la normativa posta dall'art. 2 1. 17 agosto 1974 n. 397, attribuendo prevalenza alla prima ed escludendo,

quindi, che, per il periodo successivo all'annata in corso alla data del

fallimento, agli istituti di credito fondario possano competere gli interessi

fissati a norma della predetta legge (tasso di sconto maggiorato di quat tro punti, salvo le modifiche disposte con decreto del ministro del teso

ro). Una diversa soluzione è stata seguita da Trib. Roma 13 luglio 1985, Fallimento, 1986, 216, e 15 ottobre 1980, Foro it., 1981, I, 2565, secondo

cui il riferimento dell'art. 2855 c.c. alla misura legale degli interessi di

mora deve intendersi compiuto non all'art. 1284 c.c., che stabilisce il

tasso del cinque per cento, ma all'art. 2 1. 397/74, che rappresenta la

fonte di una specifica normativa sui tassi di mora per i mutui fondiari. In linea con la sentenza riportata, la giurisprudenza di merito ha rite

nuto applicabile a tutti i crediti, compresi quelli che traggono origine da mutui fondiari, la normativa risultante dal combinato disposto degli art. 54, 3° comma, 1. fall, e 2855 c.c., inferendone che agli istituti di credito fondiario spettano, con collocazione nello stesso grado ipoteca rio, soltanto gli interessi al tasso legale del cinque per cento di cui all'art. 1284: Trib. Torino 6 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce Fallimento, n.

307; Trib. Lecce 6 febbraio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., 287; App. Napoli 21 gennaio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., 248; Trib. Palermo 24 dicembre 1980, ibid., n. 249. Per una soluzione intermedia v. App. Catania 2 giugno 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 352; Trib. Catania 17 giugno 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 462; Trib. Catania 14 mag

gio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 250, secondo cui l'istituto di credi

to fondiario ha diritto, nell'ipotesi di fallimento del mutuatario, agli inte

ressi moratori previsti convenzionalmente, ma, per il periodo successivo all'annata in corso alla data del fallimento, la prelazione ipotecaria è

operante nei limiti del cinque per cento, mentre per la parte eccedente il tasso legale gli interessi devono essere collocati in chirografo. Su que st'ultimo punto cfr. altresì' App. Palermo 5 ottobre 1985 e Trib. Lecce

17 marzo 1986, Fallimento, 1986, 1352 e — in senso lucidamente critico — Manferoce, Sull'ammissibilità al passivo delta differenza tra il tasso

convenzionale e quello legale degli interessi prodotti dai crediti ipotecari e pignoratizi, ibid., 1360.

In dottrina, in senso conforme a Cass. 7148/1986, v. Silvestri, in II

sindacato giurisdizionale sull'intermediazione creditizia, atti del convegno svoltosi in Capri il 23 e il 24 giugno 1984 a cura del Centro studi finanza ed economia, Napoli, 1985, 277 ss.; Bonfante, Domanda di ammissione al passivo e normativa sul credito fondiario, in Giur. comm., 1978, II, 895: per la prevalenza della normativa sugli interessi contenuta nel t.u. 646/1905 cfr., invece, Oppo, Il privilegio del credito fondiario oggi, in

Riv. dir. civ., 1983, II, 410 ss.; Neri, Istituti di credito fondiario e falli mento del mutuatario: il regime degli interessi, in Giur. comm., 1982, I, 269; Moglie, Normativa della legge fallimentare e normativa sul credi

to fondiario, in Banca, borsa, ecc., 1978, II, 195. Per un'analisi ricostruttiva dell'opera di raccordo compiuta dalla giuri

sprudenza della Cassazione tra normativa sul credito fondiario e legge fallimentare con una serie di pronunce tendenti alla ricerca di un equili brio tra le peculiari esigenze sottese alla disciplina dettata dal t.u. del 1905 e il rispetto del principio della parità di trattamento tra tutti i credi tori concorrenti:

— Cass. 30 gennaio 1985, n. 582, Foro it., 1985, I, 1725, secondo cui il potere degli istituti di credito fondiario di procedere ad espropria zione singolare anche in pendenza del fallimento non preclude agli organi fallimentari la possibilità di procedere alla vendita coattiva degli immobili

ipotecati e il concorso tra i due procedimenti espropriativi va risolto in base all'anteriorità del provvedimento di vendita: sulle interferenze con

seguenti alla vendita dei beni disposta nelle due procedure coattive v. Trib. Prato 27 febbraio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 525; Trib. Roma 19 luglio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 522, e in dottrina, in nota a Cass. 582/85, G. Costantino, Sui rapporti tra fallimento, espro priazione per credito fondiario ed esecuzione esattoriale, id., 1985, I, 1725; Bozza, Il difficile coordinamento tra la normativa sul credito fondiario e quella fallimentare, in Dir. fallim., 1985, II, 369; Carnacini, Sulla vendita fallimentare del bene ipotecato dal credito fondiario, in Riv. trim, dir. e proc. civ., 1985, 246; Padovini, Concorso della liquidazione falli mentare con l'azione esecutiva immobiliare degli istituti di credito fondia rio?, in Riv. dir. civ., 1985, II, 575;

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