sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M.Iannelli (concl. conf.); Proc. gen. App. Milano c. C. e altri. Dichiara inammissibile ricorsoavverso App. Milano, decr. 6 luglio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 1209/1210-1217/1218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200712 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
parte del giudizio di primo grado e che è rimasto invariato no
nostante la trasformazione, e pertanto, in definitiva, dallo stesso
soggetto nella sua nuova veste di società per azioni.
Per concludere, non essendosi mai estinto l'ente, non si è mai
estinta (art. 1722, n. 4, c.c.) la procura da esso, anche per l'ap
pello, rilasciata a mezzo di chi all'epoca lo rappresentava. E infondato anche il primo motivo.
La corte esclude anzitutto che possa configurare un compor tamento colpevole l'apertura della porta ad opera di un semplice facchino, anziché del portiere di notte. A prescindere infatti
dalle specifiche competenze di ciascuno di loro, non può asso
lutamente presumersi che il portiere di notte sarebbe stato in
condizione di negare l'ingresso alla donna, di rassicurante pre senza, perché elegantemente vestita, e soprattutto agli uomini
che erano con lei e che si erano tenuti accuratamente nascosti
per non destare sospetti. Anche un comportamento più diligente,
quale l'osservazione, attraverso la porta, della persona che chie
deva di entrare, peraltro in un esercizio aperto al pubblico, non
avrebbe cambiato lo sviluppo degli eventi, dacché la donna ben
poteva essere scambiata per una cliente, cui l'ora tarda non im
pediva di accedere nell'albergo per essere alloggiata in una
stanza; e tanto sarebbe bastato per far aprire la porta e consenti
re così comunque l'ingresso dei rapinatori. La circostanza quindi che un cliente, a quell'ora, fosse in at
tesa di una donna «non sposta di molto la questione», perché non vi sarebbero state ragioni per negare l'ingresso nemmeno a
una simile ospite; né vale far leva sull'assenza di un citofono,
posto che facilmente quella donna sarebbe stata accolta anche se
le avessero per avventura domandato la ragione della sua pre senza, giustificabile, come si è detto, con l'intento di prendere
alloggio nell'albergo. Escluso pertanto che aver aperto la porta senza porre doman
de e senza eseguire controlli di sorta sulla persona che inso
spettabilmente si presentava all'ingresso possa costituire in col
pa l'albergatore, la corte reputa che anche il successivo corso
degli eventi concreti un'ipotesi di forza maggiore del tutto svin
colata da un suo comportamento negligente. Infatti i rapinatori, diretti a svaligiare la cassaforte dell'albergo, cambiarono di col
po obiettivo per un fatto occasionale, ossia per una telefonata
pervenuta al portiere, in quel frangente, da parte dei due clienti
poi rapinati, la quale fornì ai malviventi il destro per accedere
alle loro stanze con la scusa di portare loro il cibo richiesto tele
fonicamente.
Nell'affermare quindi l'esonero dell'albergatore da responsa bilità ai sensi dell'art. 1785 c.c., la corte osserva conclusiva
mente che «non solo lo sviluppo dell'azione criminale è iniziato
con l'astuto ricorso all'espediente di presentare una donna al
l'ingresso, ma è poi continuato con l'uso delle armi a cui certa
mente i dipendenti dell'albergo non potevano opporsi». Ebbene, rileva il collegio, non c'è dubbio che, analogamente
a quanto comunemente si ritiene in tema di responsabilità del
vettore per la perdita delle cose consegnategli per il trasporto,
quando la stessa avvenga a causa di rapina (art. 1693 c.c.), an
che la sottrazione, compiuta con violenza o minaccia, delle cose
portate dal cliente nell'albergo può qualificarsi come forza
maggiore, non imputabile all'albergatore e idonea ad escludere
la sua responsabilità, ai sensi dell'art. 1785, n. 2, c.c., solo
quando le comprovate circostanze di tempo e di luogo in cui la
sottrazione stessa ebbe a verificarsi siano state tali da renderla
assolutamente imprevedibile e inevitabile.
Va da sé che la valutazione circa la prevedibilità ed evitabilità
della rapina costituisce giudizio di fatto che, se congruamente e
logicamente motivato, non è censurabile dal giudice di legitti mità.
Ciò premesso in punto di diritto, il ragionamento del giudice a quo appare logicamente e giuridicamente corretto e si traduce,
in sostanza, nel convincimento, adeguatamente motivato, che,
non essendoci motivi di sospetto, nessuna speciale cautela era
necessaria e che comunque, in una maniera o nell'altra, anche
se si fossero adottate maggiori cautele nell'apertura della porta
d'ingresso o nell'identificazione della donna che chiedeva di
entrare, i malviventi armati al suo seguito, determinati a com
piere una rapina, non si sarebbero lasciati scoraggiare e si sa
rebbero comunque introdotti nell'albergo, anche, se del caso,
con mezzi più persuasivi. A questa ineccepibile conclusione, di aperto riconoscimento
dell'imprevedibilità e comunque dell'inevitabilità della rapina
Il Foro Italiano — 2005.
subita dalla Biondetti Cardi, e dunque della causa esimente della
forza maggiore, la ricorrente, dal canto suo, sotto la parvenza di
denunciare inesistenti vizi di motivazione o violazioni di legge,
contrappone, in realtà, una propria personale valutazione delle
prove raccolte, sollecitandone, nel senso da essa auspicato, una
nuova lettura critica, così introducendo, nella presente fase di
legittimità, un'inammissibile istanza di riesame del merito della
causa.
E fondato invece il secondo mezzo.
La corte, nel porre a carico dell'appellata soccombente le
spese «relativamente ad entrambi i gradi di giudizio», ha violato
il principio affermato da questa Suprema corte, secondo cui il
giudice del gravame, che in via definitiva decida sull'appello avverso una sentenza non definitiva, esaurisce, con la sua pro nuncia, l'ambito del thema decidendum, chiudendo il processo davanti a sé, e pertanto deve provvedere sulle spese, ma solo su
quelle di secondo grado, restando la liquidazione delle spese di
primo grado affidata al giudice corrispondente, che dovrà prov vedervi all'atto dell'emanazione della sentenza definitiva (Cass. 16 ottobre 1987, n. 7662, id., Rep. 1987, voce Spese giudiziali civili, n. 23; conf. Cass. 19 ottobre 1993, n. 10333, id., Rep. 1993, voce cit„ n. 7).
All'errore deve riparare questa corte, cassando la sentenza
impugnata senza rinvio in relazione al motivo accolto ed elimi
nando direttamente, con decisione assunta all'uopo nel merito ai
sensi dell'art. 384, 1° comma, c.p.c., la condanna della Bion
detti Cardi al rimborso, in favore della Ciga, delle spese del
giudizio di primo grado.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M. Iannelli (conci, conf.); Proc. gen. App. Milano c. C. e
altri. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Milano, decr. 6 luglio 2001.
Potestà dei genitori — Provvedimento limitativo — Proce
dimento in camera di consiglio — Reclamo — Decreto di
inammissibilità — Ricorso straordinario per cassazione —
Inammissibilità (Cost., art. Ill; cod. civ., art. 333, 336; cod.
proc. civ., art. 739, 742 bis).
Non è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione av
verso il decreto reso in camera di consiglio dal giudice di se
condo grado, che dichiari l'inammissibilità del reclamo pro
posto contro un provvedimento limitativo della potestà dei
genitori. (1)
(1) La sentenza in rassegna è stata emanata in seguito all'esperi mento del ricorso straordinario per cassazione avverso un decreto ca
merale, adottato in seguito a reclamo proposto contro un provvedi mento limitativo della potestà dei genitori, emesso dal tribunale per i
minorenni ai sensi degli art. 333 e 336 c.c. Le sezioni unite sono intervenute a comporre un contrasto di giuris
prudenza relativo all'ammissibilità o non del ricorso straordinario di
cui all'art. Ill Cost., avverso il decreto camerale che non pronunci sul
merito del reclamo, proposto contro un provvedimento limitativo della
potestà dei genitori, ma dichiari il reclamo stesso inammissibile.
I giudici di legittimità hanno avallato il prevalente orientamento giu
risprudenziale che nega l'esperibilità del ricorso straordinario, in base
alla considerazione che, se il rimedio in questione va escluso, come af
ferma la giurisprudenza costante, per la quale v. infra, nell'ipotesi in
cui il reclamo abbia pronunciato nel merito, allora esso non può am
mettersi laddove il reclamo si sia concluso con una declaratoria d'i
nammissibilità dello stesso, non essendo configurabile, con riferimento
al diritto processuale di azione, una tutela che si discosti dal diritto so
stanziale ad esso sotteso. In senso conforme, Cass., sez. un., 3 marzo 2003, n. 3073, Foro it.,
2003,1, 2090, relativa a procedimenti in camera di consiglio in materia
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Nel 1996 al Tribunale per i mi
norenni di Milano pervenne la notizia che un genitore era so
spettato di avere compiuto abusi sessuali su una figlia la quale,
all'epoca, contava appena tre anni. Il tribunale per i minorenni
adottò un provvedimento limitativo della potestà genitoriale, di
sponendo l'allontanamento della bambina dal nucleo familiare e
l'affidamento temporaneo della stessa al comune di Milano.
Nei confronti del padre della minore fu iniziato procedimento
penale, concluso dal Tribunale di Milano con sentenza di asso
societaria, ove si afferma che, «quando il provvedimento impugnato sia
privo dei caratteri della decisorietà in senso sostanziale, (. ..), il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost, non è ammissibile neppu re se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo proces suale, quali espressione del diritto di azione, ed in particolare del diritto al riesame da parte di un giudice diverso, atteso che la pronuncia sul l'osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i pre supposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata al l'esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell'atto
giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può pertanto avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere detto atto sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei
limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel meri to».
Nello stesso senso, tra le altre pronunce, Cass. 26 febbraio 2002, n.
2776, id., 2002,1, 1718; 25 febbraio 2000, n. 2145, id.. Rep. 2000, voce
Cassazione civile, n. 48; 21 giugno 1999, n. 6241, id., 2000. I, 588, con nota di Gallo; 3 marzo 1999, n. 1766, id., Rep. 1999, voce Procedi menti cautelari, n. 100; 26 giugno 1998, n. 6315, id.. Rep. 1998, voce
Società, n. 692; 20 marzo 1998, n. 2934, ibid., voce Potestà dei genito ri, n. 9; 8 novembre 1997, n. 10999, id.. Rep. 1997, voce Possesso, n.
.57; 11 giugno 1997, n. 5226, ibid., voce Potestà dei genitori, n. 15; 9 settembre 1996, n. 8178, ibid., voce Procedimenti cautelari, n. 102; 20
aprile 1993, n. 4644, id, 1995, I, 1925; 24 agosto 1990. n. 8712, id..
Rep. 1990, voce Separazione dei coniugi, n. 24.
L'opposto indirizzo giurisprudenziale, da cui si discosta la sentenza in epigrafe, ritiene invece che, per i provvedimenti di contenuto proces suale, non possano considerarsi operanti le ragioni sottese all'orienta mento che esclude il rimedio straordinario per i decreti, pronunciati in sede di reclamo, relativi alla potestà dei genitori. Infatti, i decreti che dichiarano l'inammissibilità del reclamo inciderebbero, in via definiti va, su un diritto soggettivo di natura processuale, consistente nella pos sibilità di ottenere — attraverso l'istituto del reclamo — un riesame delle questioni valutate in primo grado, in modo ben più pregnante di
quanto sia possibile ottenere con i procedimenti di modifica o di revo ca. Ciò giustificherebbe l'ammissibilità del ricorso straordinario.
In tal senso si sono espresse: Cass. 15 dicembre 2000, n. 15834, id.,
Rep. 2001, voce Camera di consiglio, n. 12; 23 febbraio 1999, n. 1493, id., 1999, I, 1462; 10 marzo 1997, n. 2141, id., Rep. 1997, voce cit., n.
10; 11 febbraio 1997, n. 1278, ibid., n. 11; 16 marzo 1993, n. 3127, id., 1995,1, 975; 3 maggio 1991, n. 4839, id.. Rep. 1991, voce cit., nn. 6. 7; 1° aprile 1982, n. 2004, id.. Rep. 1983, voce Amministrazione control
lata, n. 49, e, per esteso. Dir. fallim., 1982, II, 1028, e Fallimento, 1982, 1426; 24 marzo 1982, n. 1857. Foro it., 1982,1, 2259.
Con riferimento alla più ampia questione relativa all'ammissibilità del ricorso straordinario in relazione a provvedimenti camerali aventi un contenuto di merito, id est incidenti direttamente sulla potestà dei
genitori in funzione di tutela dell'interesse dei minori, è opportuno ri cordare che la possibilità di esperire il rimedio avverso siffatti provve dimenti è stata oggetto di un contrasto di giurisprudenza insorto a parti re dal 1980.
Nel 1986 le sezioni unite hanno composto il contrasto, confermando il più antico e prevalente indirizzo giurisprudenziale sull'inammissibi lità del ricorso straordinario, essenzialmente in base alla considerazione che il principio della revocabilità dei provvedimenti camerali costitui sce un ostacolo insuperabile all'esperibilità del rimedio, non avendo inoltre rilievo la circostanza dell'incisione del provvedimento su status e diritti soggettivi, in quanto la statuizione sugli stessi non è atta a pre giudicare in modo definitivo ed irrimediabile le parti, che possono uti lizzare lo strumento della modifica e della revoca, senza essere vinco late da alcun giudicato: così Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6220, id., 1987, I, 3278, con nota di richiami, e Giur. it., 1987, I, 1, 1615, con nota di Uccella, e Nuova giur. civ., 1987, I, 552, con nota di Como GLIO.
Tale sentenza ha inaugurato un orientamento sul quale si è tenden zialmente assestata la giurisprudenza successiva, che costantemente af ferma che «i provvedimenti che limitino o escludano la potestà dei ge nitori naturali, ai sensi dell'art. 317 bis c.c., che pronuncino la deca denza dalla potestà sui figli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332 c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta
pregiudizievole per i figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., o che dispongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, 2° comma, 1. 4 maggio 1983 n.
Il Foro Italiano — 2005.
luzione per insussistenza del fatto, emessa il 20 dicembre 2000
su conforme richiesta del p.m. e passata in giudicato.
Dopo l'assoluzione del padre con formula piena, la madre
della bambina (mai neppur sospettata di complicità nel presunto
abuso) chiese la revoca del provvedimento limitativo della pote stà genitoriale e il reinserimento della minore nella famiglia o,
comunque, il ripristino di diretti rapporti con la stessa senza la
presenza del comune di Milano, né come affidatario né come
intermediario. Tuttavia, benché sia il comune che i servizi so
ciali ritenessero ormai inutile la loro presenza, il tribunale per i
minorenni, con decreto del 20-22 febbraio 2001, confermò l'af
fidamento della minore all'ente, ritenendo la necessità di man
tenere il controllo di esso sulla ripresa dei rapporti tra padre e
figlia. Contro il suddetto provvedimento la madre della bambina
propose reclamo alla Corte d'appello di Milano, sezione minori
e famiglia, la quale però, con decreto depositato il 6 luglio 2001, lo dichiarò inammissibile sul presupposto che il provve dimento impugnato fosse stato assunto in via provvisoria, in
quanto avente natura cautelare, interinale o istruttoria, e perciò non fosse suscettibile d'immediato ed autonomo reclamo, di
fettando del requisito dell'autonomia decisoria.
Avverso la declaratoria d'inammissibilità il procuratore gene rale della repubblica presso la Corte d'appello di Milano ha
proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., so
stenendo, in primo luogo, l'ammissibilità di tale impugnazione ed adducendo l'esistenza di una violazione di legge nel decreto
della corte territoriale, laddove essa ha affermato che il provve dimento oggetto del reclamo avrebbe avuto carattere provviso rio, sicché sarebbe stato privo di autonomia decisoria. L'ufficio
ricorrente nega tale carattere, in quanto il detto provvedimento,
privo di un termine di efficacia, sarebbe munito di effetti a tem
po indeterminato.
Gli intimati non hanno svolto in questa sede attività difensiva.
La prima sezione civile di questa corte (cui il ricorso era stato
assegnato), con ordinanza depositata il 13 aprile 2002, ha ri
chiamato il principio — non in discussione in questa sede — se
condo cui i provvedimenti di volontaria giurisdizione (e, in par ticolare, quelli, dettati a tutela dei minori, di limitazione o
esclusione della potestà dei genitori ai sensi dell'art. 317 bis
c.c.. di decadenza o reintegrazione nella potestà ex art. 330 e
332 c.c., o diretti ad ovviare ad una condotta dei genitori pre
giudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., ovvero ancora di
184 (che richiama l'art. 330 cit.), ancorché resi dal giudice di secondo
grado in esito a reclamo, non sono impugnabili con ricorso per cassa zione a norma dell'art. Ill Cost., perché sono privi dei requisiti della decisorietà (intesa come risoluzione di una controversia su diritti sog gettivi o status) e della definitività (intesa come mancanza di rimedi di versi e attitudine del provvedimento a pregiudicare, con l'efficacia pro pria del giudicato, quei diritti o quegli status), essendo revocabili in
ogni tempo per motivi originari'o sopravvenuti ed avendo la funzione non di decidere una lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi un bene della vita, ma di controllare e governare gli interessi dei minori»:
così, di recente, Cass. 8 ottobre 2002, n. 14380, Foro it., Rep. 2002, voce Impugnazioni civili, n. 100, e 2 agosto 2002, n. 11582, ibid., voce Potestà dei genitori, n. 20. Nello stesso senso, richiamate in motivazio ne della sentenza in epigrafe, Cass., sez. un., 25 gennaio 2002. n. 911, id., 2002, I, 1007, con nota di Maltese, e Famiglia e dir., 2002, 367. con nota di Porcari; 13 agosto 1999, n. 8633, Foro it.. Rep. 1999, voce cit., n. 17; 1° luglio 1998, n. 6421. id.. Rep. 1998, voce Adozione, n.
32; 5 settembre 1997, n. 8619, id.. Rep. 1997, voce Potestà dei genito ri, n. 16; sez. un. 7 maggio 1996, n. 4222, id., Rep. 1996, voce Tribu nale per i minorenni, n. 50; 28 gennaio 1995, n. 1026, id.. Rep. 1995, voce Potestà dei genitori, n. 20; 27 giugno 1994, n. 6147, id. 1995, I,
1924; 21 luglio 1990, n. 7450, id., Rep. 1991, voce cit., n. 7; sez. un. 10
giugno 1988, n. 3931, id., 1988,1, 1858. In dottrina, sui procedimenti aventi ad oggetto la tutela dei minori,
v., di recente. Proto Pisani, Ancora sul processo e sul giudice minorile
(linee di una possibile legge delega di riforma del processo minorile), id., 2003, V. 215, nonché, da ultimo, La riforma del processo relativo alla potestà parentale. Note critiche: I. - Proto Pisani, Luci e (soprat tutto) ombre del d.d.l. S/3048 di riforma dell'art. 336 c.c. II. - Sergio, Osservazioni sul d.d.l. S/3048 concernente la difesa d'ufficio nei giudi zi civili minorili e la modifica degli art. 336 e 337 c.c. in materia di
procedimenti davanti al tribunale per i minorenni. III. - Disciplina della difesa d'ufficio nei giudizi civili minorili e modifica degli art. 336 e 337 c.c. in materia di procedimenti davanti al tribunale per i mino renni (d.d.l. S/3048), id., 2005, 37 ss.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
affidamento ex art. 4, 2° comma, i. n. 184 del 1983) resi dal
giudice di secondo grado in seguito a reclamo, non sono suscet
tibili di ricorso per cassazione, in quanto privi dei requisiti della
decisorietà e definitività.
Ha aggiunto, tuttavia, che alcune sentenze di questa corte
hanno introdotto una deroga al suddetto principio, in relazione
all'ipotesi in cui la corte d'appello, pronunziando sul reclamo, abbia escluso l'esperibilità di tale rimedio giuridico, osservando
che la negazione pregiudiziale del mezzo di gravame si risolve
rebbe, a prescindere dalla consistenza delle posizioni sostanziali
coinvolte, nella violazione del diritto (di natura processuale) al
riesame da parte di un giudice sovraordinato, diritto sul quale il
decreto d'inammissibilità verrebbe ad incidere in via definitiva,
privando il soggetto interessato di una forma di tutela diversa da
quella fornita dalla revocabilità in ogni tempo dei provvedi menti di volontaria giurisdizione.
La medesima ordinanza, peraltro, ha anche ricordato che altre
e più numerose sentenze escludono in tale ipotesi la possibilità di proporre il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., sottolineando che la pronunzia sull'osservanza delle norme re
golatrici del processo ha la stessa natura dell'atto giurisdizio nale cui il processo medesimo è preordinato, in quanto la natura
strumentale delle disposizioni processuali comporta che esse
non possano essere presidiate da una tutela più forte di quella
prevista per le inerenti posizioni sostanziali; con la conseguenza che, se il provvedimento giurisdizionale sul rapporto sostanziale
è privo di decisorietà, la declaratoria d'improponibilità del gra vame non assume autonoma valenza di provvedimento deciso
rio.
In presenza di tale contrasto, la prima sezione civile di questa corte, con la menzionata ordinanza, ha rimesso gli atti al sig.
primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite.
La causa è stata quindi assegnata alle sezioni unite civili di
questa corte ed è stata chiamata all'udienza di discussione.
Motivi della decisione. — 1. - Il procuratore generale della
repubblica presso la Corte d'appello di Milano ha proposto ri
corso per cassazione, ai sensi dell'art. Ili (7° comma) Cost.,
avverso un decreto della medesima corte d'appello, che ha di
chiarato inammissibile il reclamo contro un decreto del Tribu
nale per i minorenni di Milano, pronunciato ai sensi degli art.
333-336 c.c., nel contesto delle circostanze esposte in narrativa.
2. - Fermo il punto che il decreto in questa sede impugnato è
un provvedimento di volontaria giurisdizione, si deve premette re che (come l'ordinanza della prima sezione rileva) non viene
messo in discussione l'orientamento ormai consolidato secondo
cui, in tema di tutela dei rain ori, i provvedimenti diretti a limita
re o escludere la potestà dei genitori naturali, a mente dell'art.
317 bis c.c., o che pronuncino la decadenza dalla potestà sui fi
gli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332 c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei genitori
pregiudizievole ai figli nel quadro dell'art. 333 c.c., o che di
spongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, 2° comma, 1. 4
maggio 1983 n. 184, ancorché resi dal giudice di secondo grado in esito a reclamo, non sono impugnabili con ricorso per cassa
zione a norma dell'art. Ill Cost, perché privi dei requisiti della
decisorietà (intesa come risoluzione di una controversia su di
ritti soggettivi o status) e della definitività (intesa come man
canza di rimedi diversi e nell'attitudine del provvedimento a
pregiudicare con l'efficacia propria del giudicato quei diritti e
quegli status), essendo revocabili in ogni tempo per motivi ori
ginari o sopravvenuti ed avendo la funzione non di decidere una
lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi «un bene della
vita», ma di controllare e governare gli interessi dei minori (ex
multis, Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, Foro it., 2002,
I, 1007; 13 agosto 1999, n. 8633, id., Rep. 1999, voce Potestà
dei genitori, n. 17; 1° luglio 1998, n. 6421, id.. Rep. 1998, voce
Adozione, n. 32; 5 settembre 1997, n. 8619, id.. Rep. 1997, voce
Potestà dei genitori, n. 16; sez. un. 7 maggio 1996, n. 4222, id.,
Rep. 1996, voce Tribunale per i minorenni, n. 50; 28 gennaio 1995, n. 1026, id., Rep. 1995, voce Potestà dei genitori, n. 20;
27 giugno 1994, n. 6147, id., 1995, I, 1924; 21 luglio 1990, n. 7450, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 7; sez. un. 10 giugno 1988, n.
3931, id., 1988, I, 1858; 23 ottobre 1986. n. 6220, id., 1987, I, 3278; da cui il costante orientamento sopra menzionato ha preso le mosse).
Tale orientamento, peraltro, non riguarda soltanto la tutela dei
minori ma si estende, più in generale, ai provvedimenti di giu
II Foro Italiano — 2005.
risdizione volontaria, considerati non suscettibili di ricorso
straordinario per cassazione, in quanto privi di carattere deciso
rio e non incidenti su diritti soggettivi, essendo sempre revoca
bili e modificabili per motivi di legittimità e di merito (questo orientamento concerne provvedimenti di volontaria giurisdizio ne emessi nelle più diverse materie: cfr., ex plurimis, Cass., sez.
un., 26 luglio 2002, n. 11104, id., Rep. 2003, voce Società, n.
1129, e 25 giugno 2002, n. 9231, id., 2002, I, 2303, rispettiva mente in tema di nomina dei liquidatori, da parte del presidente del tribunale, di una società di persone e di una società di capi tali; 28 marzo 2000, n. 3708, id., Rep. 2000, voce cit., n. 663, relativa a iscrizione nel registro delle imprese di deliberazione
di società; 16 giugno 2000, n. 8226, ibid., n. 770, in relazione a provvedimenti ex art. 2409 c.c.; 18 marzo 1997, n. 2399, id.,
Rep. 1997, voce Comunione e condominio, n. 78, in tema di
nomina di un amministratore della comunione ereditaria). 3. - Il contrasto, che questa corte è chiamata a comporre, ri
guarda invece un tema più circoscritto. Si tratta, cioè, di stabili
re se sia ammissibile il ricorso per cassazione (ai sensi dell'art.
111 Cost.) avverso il decreto reso dal giudice di secondo grado in materia di tutela dei minori (nella specie, provvedimento ex
art. 333 c.c.), allorché il decreto impugnato con il detto ricorso
non abbia pronunciato sul merito del reclamo contro il provve dimento del giudice di primo grado, ma abbia dichiarato l'i nammissibilità del detto reclamo.
Al riguardo, infatti, si sono manifestati due orientamenti.
Secondo il primo, il ricorso (straordinario) per cassazione di
venta ammissibile qualora il reclamo avverso il provvedimento del giudice di primo grado non abbia pronunziato nel merito, ma
sia stato definito con una declaratoria d'inammissibilità del re
clamo stesso. In questi casi — si è sostenuto — la pronuncia verrebbe ad incidere su un diritto soggettivo e, segnatamente, sul diritto soggettivo di azione (di natura processuale), volto ad
ottenere il riesame dell'atto oggetto di reclamo da parte di un
giudice diverso. Tale diritto, infatti, resterebbe compromesso in
via definitiva dalla declaratoria d'inammissibilità del reclamo
(cfr. Cass. 15 dicembre 2000, n. 15834, id., Rep. 2001, voce
Camera di consiglio, n. 12; 23 febbraio 1999, n. 1493, id., 1999,
I, 1462; 10 marzo 1997, n. 2141, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 10; 11 febbraio 1997, n. 1278, ibid., n. 11; 16 marzo 1993, n. 3127, id., 1995, I, 975; 3 maggio 1991, n. 4839, id., Rep. 1991, voce cit., n. 6; 1° aprile 1982, n. 2004, id.. Rep. 1983, voce Ammini strazióne controllata, n. 49; 24 marzo 1982, n. 1857, id., 1982,
I, 2259). L'indirizzo ermeneutico fatto proprio dalle citate decisioni
poggia sui seguenti rilievi. Per stabilire se il provvedimento del giudice d'appello, che
dichiara inammissibile il reclamo avverso un decreto emanato in
sede di giurisdizione volontaria, sia suscettibile di ricorso
straordinario per cassazione, si dovrebbe avere riguardo al piano
processuale, esaminando se il diniego di riesame del decreto
emesso dal primo giudice, motivato con la ritenuta inammissi
bilità del reclamo stesso, sia lesivo di diritti soggettivi di natura
processuale. In questo quadro la negazione dell'esperibilità del reclamo,
quando esso sia ammissibile, priverebbe il soggetto interessato
di una forma di tutela operante su un piano del tutto diverso
dalla revocabilità dei provvedimenti emessi nei procedimenti in
camera di consiglio. In particolare, la possibilità del reclamo —
estrinsecantesi in una forma di gravame idonea a consentire la
devoluzione delle stesse questioni ad organo diverso e superiore con immediatezza — non andrebbe confusa con la semplice modificabilità o revocabilità del decreto da parte dell'organo che lo abbia emesso, rispetto al quale integrerebbe una forma
ben più pregnante e concreta di tutela processuale, qualificabile
per gli interessati come vero e proprio diritto di azione di natura
processuale. La negazione pregiudiziale del reclamo, quando per contro si
ritenga il gravame stesso ammissibile, costituirebbe violazione
di tale diritto, leso in maniera definitiva (e con carattere deciso
rio) dal decreto d'inammissibilità, in quanto la generica possi bilità di revoca del decreto originario da parte dell'organo che
l'abbia emesso non sarebbe equivalente al doppio grado di va
lutazione garantito con il reclamo e, dunque, non sarebbe ido
neo a tutelare il diritto a tale valutazione.
Conclusivamente, la detta negazione, in quanto pronunciata in violazione di legge, costituirebbe provvedimento definitivo,
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PARTE PRIMA
siccome non soggetto a sua volta a reclamo (art. 739, 2° comma,
c.p.c.), lesivo in via definitiva di situazione giuridica proces suale, qualificabile come diritto (così, segnatamente, Cass. n.
3127 del 1993, cit., pronunciata in tema di provvedimenti ex art.
2409 c.c. e contenente l'esame più analitico della questione). Già in precedenza, peraltro, si era chiarito che — in tema di
dichiarata inammissibilità di reclamo, proposto ex art. 739 c.p.c. dal padre, che aveva effettuato il riconoscimento della filiazione
naturale, contro il decreto di nomina di un curatore speciale per
l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità —
l'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione andava
affermata non con riferimento al diritto sostanziale fatto valere
avverso il provvedimento di nomina del curatore speciale, bensì
con riguardo al diritto processuale di azione, garantito dall'art.
24 Cost., sul quale la pronuncia (d'inammissibilità del reclamo) aveva effetto decisorio perché ne negava l'esistenza (Cass. n.
4839 del 1991, cit.). Concetti analoghi sono stati, poi, ripresi nelle decisioni che
hanno aderito all'indirizzo ora riassunto (in particolare, Cass. n.
1278 del 1997, cit., che richiama il diritto soggettivo al rispetto delle regole processuali dirette a garantire il doppio grado del
giudizio; Cass. n. 2141 del 1997, cit., secondo cui negare il di
ritto processuale d'azione significa incidere in via definitiva su
diritti soggettivi; Cass. n. 15834 del 2000, cit., che giustifica
l'esperibilità del ricorso straordinario con la sussistenza del di
ritto processuale al riesame della decisione). Secondo l'opposto orientamento, invece, anche quando il re
clamo non abbia pronunciato nel merito, ma si sia concluso con
una declaratoria d'inammissibilità dello stesso, il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, non sarebbe ammissibile (neppure
per far valere vizi del procedimento, o in relazione a questioni di giurisdizione o di competenza), ritenendosi non configurabile una tutela per il diritto processuale di azione che si discosti dal
diritto sostanziale ad esso sotteso (tra le altre, Cass. 26 febbraio
2002, n. 2776, id., 2002, I, 1718; 25 febbraio 2000, n. 2145, id., Rep. 2000, voce Cassazione civile, n. 48; 21 giugno 1999, n.
6241, id., 2000, I, 588; 3 marzo 1999, n. 1766, id., Rep. 1999, voce Procedimenti cautelari, n. 100; 26 giugno 1998, n. 6315,
id., Rep. 1998, voce Società, n. 692; 20 marzo 1998, n. 2934,
ibid., voce Potestà dei genitori, n. 9; 8 novembre 1997, n.
10999, id., Rep. 1997, voce Possesso, n. 57; 11 giugno 1997, n.
5226, ibid., voce Potestà dei genitori, n. 15; 9 settembre 1996, n. 8178, ibid., voce Procedimenti cautelari, n. 102; 20 aprile 1993, n. 4644, id, 1995, I, 1925; 24 agosto 1990, n. 8712, id., Rep. 1990, voce Separazione di coniugi, n. 24).
4. - Il contrasto deve essere composto in senso conforme al
l'orientamento (prevalente), che nega l'esperibilità del ricorso
straordinario per cassazione nelle situazioni considerate.
Si deve premettere che questa corte, con sentenza resa a se
zioni unite n. 3073, depositata il 3 marzo 2003 (id., 2003, I,
2090), ha affermato il seguente principio di diritto: quando il
provvedimento impugnato sia privo dei caratteri della deciso rietà in senso sostanziale (come nel caso dei provvedimenti resi in tema di omologazione, iscrizione e pubblicazione di delibera zioni assembleari di società, secondo le previsioni degli art. 2411 e 2436 c.c., nella disciplina anteriore all'entrata in vigore delle norme di semplificazione dettate dall'art. 32 1. 24 novem bre 2000 n. 340), il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost, non è ammissibile, neppure se il ricorrente lamenti la
lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espres sione del diritto di azione, ed in particolare del diritto al riesame da parte di un giudice diverso, in quanto la pronuncia sull'inos
servanza di norme che regolano il processo, disciplinando i pre
supposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere
portata all'esame del giudice, ha necessariamente la medesima
natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e,
pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere l'atto giurisdizionale sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua
idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei
limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel
merito.
Ancorché formulato con riferimento a fattispecie disciplinata dal diritto delle società (sul piano sostanziale), il principio si
pone in termini analoghi anche per i provvedimenti concernenti
la tutela dei minori, sopra richiamati, in relazione ai quali il
principio medesimo deve essere ribadito.
Il Foro Italiano — 2005.
È vero, infatti, che la situazione giuridica processuale —
«estrinsecantesi in una forma di gravame atta a consentire la de
voluzione delle stesse questioni ad organo diverso e superiore con immediatezza» — integra una forma di tutela qualificabile,
per gli interessati, come vero e proprio diritto di natura proces suale (così Cass., n. 3127 del 1993, cit., in motivazione). Ed è
vero, del pari, che questa situazione giuridica, configurabile come espressione del diritto di azione, gode di tutela costituzio
nale (art. 24, 1° comma, Cost.). Nel caso in esame, però, questi principi non sono in discus
sione.
Si deve invece stabilire l'ambito entro il quale lo specifico mezzo di tutela costituito dal ricorso (straordinario) per cassa
zione possa essere esperito, avuto riguardo al disposto dell'art.
Ili, 7° comma (testo novellato), Cost., alla stregua del quale contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà perso nale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di leg
ge. Ciò nel quadro del principio consolidato in forza del quale un
provvedimento, pur se emesso non in veste di sentenza bensì di
ordinanza o di decreto, è suscettibile di ricorso straordinario per cassazione se presenti il duplice requisito della decisorietà (inte sa come risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o
status),. e della definitività (intesa come mancanza di rimedi di
versi e come attitudine del provvedimento a pregiudicare con
l'efficacia propria del giudicato quelle situazioni giuridiche). Le
due condizioni devono coesistere, in quanto è irrilevante la de
cisorietà se il provvedimento è sempre modificabile e revocabile
tanto per una nuova e diversa valutazione delle circostanze pre cedenti, quanto per il sopravvenire di nuove circostanze, nonché
per motivi di legittimità (art. 742 c.p.c.). In questi casi il prov vedimento non contiene una statuizione definitiva ed un pregiu dizio irreparabile ai diritti che vi sono coinvolti (così Cass., sez.
un., 23 ottobre 1986, n. 6220, cit., in motivazione). Orbene, in fattispecie come quella in esame (provvedimento
ex art. 333-336 c.c.), entrambi i requisiti suddetti sono esclusi (e lo stesso deve dirsi per le altre ipotesi sopra richiamate).
In primo luogo, si tratta di provvedimenti revocabili in ogni momento per dettato di legge (quanto all'art. 333 c.c., v. l'ulti
mo comma; in tema di potestà sui figli, v. gli art. 330-332). In secondo luogo, essi non decidono controversie tra parti
contrapposte, ma sono dettati a tutela e protezione degli interes
si del minore e si pongono, quindi, in funzione gestoria di tali
interessi (Cass., sez. un., n. 6220 del 1986, cit., e giurisprudenza conforme successiva). Conseguentemente, essi non incidono
con attitudine al giudicato sull'attribuzione o sulla negazione di
un bene della vita, neppure in relazione ad un arco di tempo determinato, appunto perché, potendo essere modificati o revo
cati in ogni momento, non «fanno stato» nel senso di cui all'art.
2909 c.c. né danno luogo al giudicato in senso formale (art. 324
c.p.c.). Questi caratteri non vengono meno per il fatto che la corte
territoriale, con il decreto in questa sede impugnato, invece di
pronunciare nel merito ha dichiarato inammissibile il reclamo
avverso il decreto emesso dal tribunale per i minorenni.
Infatti il diritto processuale di azione, individuato dall'orien
tamento qui non condiviso, non ha carattere proprio e fine a se
stesso, ma ha natura strumentale, in quanto è espressione di un
sistema di norme che disciplina meccanismi ed istituti diretti a
garantire che la norma sostanziale sia attuata anche nell'ipotesi di mancata cooperazione spontanea da parte di chi vi è tenuto.
Questo carattere strumentale, nel quale si esprime anche il
nesso d'interdipendenza esistente tra diritto sostanziale e pro cesso, postula che al diritto processuale di azione non può esse
re attribuita una tutela diversa e speciale rispetto a quella che la
normativa (costituzionale e ordinaria) contempla in relazione
all'atto destinato a provvedere sulla situazione sostanziale.
Si vuol dire che, se un atto non è impugnabile con ricorso
straordinario per cassazione perché privo di carattere decisorio e definitivo (nei significati suddetti), quando contiene una pro nuncia di merito, non lo è neppure quando esso si esaurisca in una pronuncia di rito, dal momento che la natura (processuale) della pronuncia non vale ad attribuirle la qualificazione deciso
ria e definitiva di cui come pronuncia di merito sarebbe stata
priva. L'atto rimane un provvedimento di volontaria giurisdi zione, al cui regime impugnatorio resta soggetto, in quanto, co
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
m'è stato puntualmente osservato, la pronunzia sull'osservanza
delle norme relative al processo non ha una valenza diversa da
quella dell'atto giurisdizionale, al quale il processo stesso è pre ordinato. La detta pronuncia è destinata a spiegare effetto sol
tanto all'interno dello specifico procedimento nel quale viene
adottata e non impedisce di chiedere la revoca o modifica del
provvedimento precedente in ordine ai rapporti tra genitori e fi
gli, nell'ambito della normativa sopra richiamata in tema di tu
tela dei minori.
L'argomento, secondo cui il carattere definitivo e decisorio
riguarderebbe il diritto processuale al riesame da parte del giu dice d'appello (diritto che sarebbe irrimediabilmente compro
messo), non è persuasivo. Esso, infatti, trascura di considerare
che quel diritto è pur sempre strumentale rispetto ad un interesse
sostanziale cui è finalizzata la protezione predisposta dall'ordi
namento, sicché non può ricevere una tutela diversa e superiore. In sostanza, come questa corte ha di recente osservato (Cass.,
sez. un., 3073/03, cit.), il diritto processuale all'impugnazione, in quanto funzionale alla tutela di situazioni di diritto sostan
ziale, non può godere di una tutela astratta, fine a sé stessa, ma
deve essere considerato in relazione alla materia e all'oggetto della controversia.
Le considerazioni che precedono consentono anche di esclu
dere la pertinenza del richiamo all'art. 24 Cost. Infatti, se il di
ritto processuale non gode di una tutela astratta fine a sé stessa, e se la situazione giuridica sostanziale implicata nel procedi mento non è incisa con carattere decisorio e definitivo dall'atto
terminale (ancorché esso contenga una declaratoria d'inammis
sibilità del gravame), la tutela giurisdizionale non subisce pre
giudizio, in quanto la parte può sempre chiedere la modifica o la
revoca dei provvedimenti in precedenza adottati.
5. - Conclusivamente, il contrasto sopra rilevato deve essere
composto alla stregua del seguente principio di diritto:
quando il provvedimento impugnato sia privo dei caratteri
della decisorietà e definitività in senso sostanziale (come nel ca
so dei provvedimenti, emessi in sede di volontaria giurisdizione, che limitino o escludano la potestà dei genitori naturali ai sensi
dell'art. 317 bis c.c., che pronuncino la decadenza dalla potestà sui figli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332
c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei
genitori pregiudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., o che
dispongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, 2° comma, 1.
n. 184 del 1983), il ricorso straordinario per cassazione di cui
all'art. 111,7° comma, Cost, non è ammissibile neppure se il ri
corrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo proces suale, quali espressione del diritto di azione, e (in particolare del
diritto al riesame da parte di un giudice diverso), in quanto la
pronunzia sull'osservanza delle norme che regolano il processo,
disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la do
manda può essere portata all'esame del giudice, ha necessaria
mente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il proces so è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di
provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quel l'atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica
processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito
soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere
riaperta la discussione sul merito.
Sulla base di tale principio il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale della repubblica presso la Corte d'ap
pello di Milano deve essere dichiarato inammissibile.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 7 marzo 2005; Pres. Fancelli, Est. Bonavitacola; Giacalone e altro (Avv.
Ponzanelli, Zeno-Zencovich) c. Amministrazione dei mo
nopoli di Stato, Ente tabacchi italiani (Avv. Lipari, Punzi).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Tabacco — Ente tabacchi italiano — Successione ai mono
poli di Stato — Danni da fumo — Azione risarcitoria —
Legittimazione passiva (Cod. proc. civ., art. Ili; d.leg. 9 lu
glio 1998 n. 283, istituzione dell'ente tabacchi italiani, art. 3).
Appello civile — Intervento — Associazione di consumatori — Inammissibilità —
Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 105,
344). Responsabilità civile — Fumatore abituale — Neoplasia con
esito letale — Nesso di causalità — Produttore di sigarette — Esercizio di attività pericolosa — Danno morale — Ri
sarcimento (Cost., art. 32; cod. civ., art. 2050; 1. 29 dicembre
1990 n. 428, disposizioni per l'adempimento di obblighi deri vanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee
(legge comunitaria per il 1990), art. 46).
L'ente tabacchi italiano è passivamente legittimato all'azione
intentata contro i monopoli di Stato per ottenere il risarci
mento dei danni subiti per la morte di un proprio congiunto
affetto da neoplasia polmonare dipendente dal fumo di siga rette, posto che durante il processo detto ente è succeduto in
tutti i rapporti, attivi e passivi, facenti capo all'amministra
zione originariamente convenuta e che in tale veste esso ha
spiegato intervento nel giudizio di appello. (1) Nella controversia risarcitoria promossa dai congiunti di un
fumatore abituale deceduto per una neoplasia polmonare, è
inammissibile l'intervento spiegato in grado di appello da
un'associazione di consumatori che, fondando la propria
pretesa sulla stessa causa dedotta dagli attori, chieda la con
danna del soggetto succeduto all'originario convenuto, in
tale veste costituitosi in giudizio, alla rifusione dei danni su
biti dal sodalizio. (2) Qualora la morte di un fumatore abituale sia attribuibile, se
ti) Secondo Cass., sez. un., 21 maggio 2003, n. 7945, Foro it., Rep. 2003, voce Procedimento civile, n. 95, la sopravvenuta istituzione, nel
corso del processo, dell'ente tabacchi italiani, investito del compito di
svolgere le attività produttive e commerciali in precedenza riservate al
l'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, e divenuto titolare dei rapporti attivi e passivi già di spettanza di detta amministrazione, dà
luogo ad un fenomeno successorio, inquadrabile, sotto il profilo pro cessuale, nell'art. 111 c.p.c.
L'operatività dell'ente tabacchi italiano era cominciata, in veste di
ente pubblico economico, il 1° marzo 1999; nel giugno del 2000, è in
tervenuta la trasformazione in società per azioni (prevista dall'art. 1, 6°
comma, d.leg. 283/98), con capitale interamente detenuto dal ministero dell'economia e delle finanze. La sentenza in epigrafe è stata depositata
quando il capitale sociale — a seguito dell'aggiudicazione della gara indetta nell'ambito del processo di dismissione delle attività pubbliche nel settore del tabacco — era stato acquisito da una società inglese
(l'operazione di concentrazione è stata autorizzata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, a condizione che l'acquirente non rin
novasse alla sua scadenza il contratto di produzione intercorrente tra l'ente tabacchi italiano ed altro produttore di sigarette: v. provv. 17 di cembre 2003, n. 12685, Bollettino, 2003, fase. 51).
Per ulteriori riferimenti sul tema, v. D. Dalfino, La successione tra enti nel processo, Torino, 2002, 447 s.
Nel senso che il successore a titolo particolare nel diritto controverso
è sempre legittimato ad intervenire nel processo, anche in appello, ai
sensi dell'art. 111 c.p.c., purché la pronuncia giurisdizionale da emet
tersi nei confronti del dante causa possa incidere (in senso positivo o
negativo) sul suo diritto, v. Cass. 18 luglio 2002, n. 10442, Foro it.,
Rep. 2002, voce Appello civile, n. 31.
(2) L'intervento in appello è ammissibile: a) quando l'avente causa o
creditore di una delle parti deduca che la sentenza già emanata — uni
tamente a quella che deve essere resa dal giudice di secondo grado —
sia l'effetto di dolo o di collusione tra le suddette parti in danno di esso
interveniente; b) quando il terzo faccia valere nel giudizio una pretesa del tutto autonoma da quella formante oggetto di contestazione tra le
parti originarie e incompatibile con la situazione giuridica accertata
dalla sentenza di primo grado o con quella che eventualmente potrebbe essere accertata dalla sentenza di appello: v. Cass. 18 marzo 2004, n.
5476, Foro it., Mass., 394; 5 marzo 2003, n. 3258, id., Rep. 2003, voce
Appello civile, n. 40; 15 novembre 2001, n. 14315, id., Rep. 2002, voce
cit., n. 28; 27 agosto 1998, n. 8500, id., Rep. 1998, voce cit., n. 24; 13
settembre 1993, n. 9486, id., 1994, I, 3157. Peraltro, nell'ipotesi in cui
l'interventore, pur essendo asseritamente titolare di un proprio autono
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