+ All Categories
Home > Documents > sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M....

sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M....

Date post: 27-Jan-2017
Category:
Upload: phungthuy
View: 216 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
6
sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Proc. gen. App. Milano c. C. e altri. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Milano, decr. 6 luglio 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 1209/1210-1217/1218 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200712 . Accessed: 25/06/2014 09:31 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M.Iannelli (concl. conf.); Proc. gen. App. Milano c. C. e altri. Dichiara inammissibile ricorsoavverso App. Milano, decr. 6 luglio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 1209/1210-1217/1218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200712 .

Accessed: 25/06/2014 09:31

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

parte del giudizio di primo grado e che è rimasto invariato no

nostante la trasformazione, e pertanto, in definitiva, dallo stesso

soggetto nella sua nuova veste di società per azioni.

Per concludere, non essendosi mai estinto l'ente, non si è mai

estinta (art. 1722, n. 4, c.c.) la procura da esso, anche per l'ap

pello, rilasciata a mezzo di chi all'epoca lo rappresentava. E infondato anche il primo motivo.

La corte esclude anzitutto che possa configurare un compor tamento colpevole l'apertura della porta ad opera di un semplice facchino, anziché del portiere di notte. A prescindere infatti

dalle specifiche competenze di ciascuno di loro, non può asso

lutamente presumersi che il portiere di notte sarebbe stato in

condizione di negare l'ingresso alla donna, di rassicurante pre senza, perché elegantemente vestita, e soprattutto agli uomini

che erano con lei e che si erano tenuti accuratamente nascosti

per non destare sospetti. Anche un comportamento più diligente,

quale l'osservazione, attraverso la porta, della persona che chie

deva di entrare, peraltro in un esercizio aperto al pubblico, non

avrebbe cambiato lo sviluppo degli eventi, dacché la donna ben

poteva essere scambiata per una cliente, cui l'ora tarda non im

pediva di accedere nell'albergo per essere alloggiata in una

stanza; e tanto sarebbe bastato per far aprire la porta e consenti

re così comunque l'ingresso dei rapinatori. La circostanza quindi che un cliente, a quell'ora, fosse in at

tesa di una donna «non sposta di molto la questione», perché non vi sarebbero state ragioni per negare l'ingresso nemmeno a

una simile ospite; né vale far leva sull'assenza di un citofono,

posto che facilmente quella donna sarebbe stata accolta anche se

le avessero per avventura domandato la ragione della sua pre senza, giustificabile, come si è detto, con l'intento di prendere

alloggio nell'albergo. Escluso pertanto che aver aperto la porta senza porre doman

de e senza eseguire controlli di sorta sulla persona che inso

spettabilmente si presentava all'ingresso possa costituire in col

pa l'albergatore, la corte reputa che anche il successivo corso

degli eventi concreti un'ipotesi di forza maggiore del tutto svin

colata da un suo comportamento negligente. Infatti i rapinatori, diretti a svaligiare la cassaforte dell'albergo, cambiarono di col

po obiettivo per un fatto occasionale, ossia per una telefonata

pervenuta al portiere, in quel frangente, da parte dei due clienti

poi rapinati, la quale fornì ai malviventi il destro per accedere

alle loro stanze con la scusa di portare loro il cibo richiesto tele

fonicamente.

Nell'affermare quindi l'esonero dell'albergatore da responsa bilità ai sensi dell'art. 1785 c.c., la corte osserva conclusiva

mente che «non solo lo sviluppo dell'azione criminale è iniziato

con l'astuto ricorso all'espediente di presentare una donna al

l'ingresso, ma è poi continuato con l'uso delle armi a cui certa

mente i dipendenti dell'albergo non potevano opporsi». Ebbene, rileva il collegio, non c'è dubbio che, analogamente

a quanto comunemente si ritiene in tema di responsabilità del

vettore per la perdita delle cose consegnategli per il trasporto,

quando la stessa avvenga a causa di rapina (art. 1693 c.c.), an

che la sottrazione, compiuta con violenza o minaccia, delle cose

portate dal cliente nell'albergo può qualificarsi come forza

maggiore, non imputabile all'albergatore e idonea ad escludere

la sua responsabilità, ai sensi dell'art. 1785, n. 2, c.c., solo

quando le comprovate circostanze di tempo e di luogo in cui la

sottrazione stessa ebbe a verificarsi siano state tali da renderla

assolutamente imprevedibile e inevitabile.

Va da sé che la valutazione circa la prevedibilità ed evitabilità

della rapina costituisce giudizio di fatto che, se congruamente e

logicamente motivato, non è censurabile dal giudice di legitti mità.

Ciò premesso in punto di diritto, il ragionamento del giudice a quo appare logicamente e giuridicamente corretto e si traduce,

in sostanza, nel convincimento, adeguatamente motivato, che,

non essendoci motivi di sospetto, nessuna speciale cautela era

necessaria e che comunque, in una maniera o nell'altra, anche

se si fossero adottate maggiori cautele nell'apertura della porta

d'ingresso o nell'identificazione della donna che chiedeva di

entrare, i malviventi armati al suo seguito, determinati a com

piere una rapina, non si sarebbero lasciati scoraggiare e si sa

rebbero comunque introdotti nell'albergo, anche, se del caso,

con mezzi più persuasivi. A questa ineccepibile conclusione, di aperto riconoscimento

dell'imprevedibilità e comunque dell'inevitabilità della rapina

Il Foro Italiano — 2005.

subita dalla Biondetti Cardi, e dunque della causa esimente della

forza maggiore, la ricorrente, dal canto suo, sotto la parvenza di

denunciare inesistenti vizi di motivazione o violazioni di legge,

contrappone, in realtà, una propria personale valutazione delle

prove raccolte, sollecitandone, nel senso da essa auspicato, una

nuova lettura critica, così introducendo, nella presente fase di

legittimità, un'inammissibile istanza di riesame del merito della

causa.

E fondato invece il secondo mezzo.

La corte, nel porre a carico dell'appellata soccombente le

spese «relativamente ad entrambi i gradi di giudizio», ha violato

il principio affermato da questa Suprema corte, secondo cui il

giudice del gravame, che in via definitiva decida sull'appello avverso una sentenza non definitiva, esaurisce, con la sua pro nuncia, l'ambito del thema decidendum, chiudendo il processo davanti a sé, e pertanto deve provvedere sulle spese, ma solo su

quelle di secondo grado, restando la liquidazione delle spese di

primo grado affidata al giudice corrispondente, che dovrà prov vedervi all'atto dell'emanazione della sentenza definitiva (Cass. 16 ottobre 1987, n. 7662, id., Rep. 1987, voce Spese giudiziali civili, n. 23; conf. Cass. 19 ottobre 1993, n. 10333, id., Rep. 1993, voce cit„ n. 7).

All'errore deve riparare questa corte, cassando la sentenza

impugnata senza rinvio in relazione al motivo accolto ed elimi

nando direttamente, con decisione assunta all'uopo nel merito ai

sensi dell'art. 384, 1° comma, c.p.c., la condanna della Bion

detti Cardi al rimborso, in favore della Ciga, delle spese del

giudizio di primo grado.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 luglio 2003, n. 11026; Pres. Delli Priscoli, Est. Criscuolo, P.M. Iannelli (conci, conf.); Proc. gen. App. Milano c. C. e

altri. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Milano, decr. 6 luglio 2001.

Potestà dei genitori — Provvedimento limitativo — Proce

dimento in camera di consiglio — Reclamo — Decreto di

inammissibilità — Ricorso straordinario per cassazione —

Inammissibilità (Cost., art. Ill; cod. civ., art. 333, 336; cod.

proc. civ., art. 739, 742 bis).

Non è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione av

verso il decreto reso in camera di consiglio dal giudice di se

condo grado, che dichiari l'inammissibilità del reclamo pro

posto contro un provvedimento limitativo della potestà dei

genitori. (1)

(1) La sentenza in rassegna è stata emanata in seguito all'esperi mento del ricorso straordinario per cassazione avverso un decreto ca

merale, adottato in seguito a reclamo proposto contro un provvedi mento limitativo della potestà dei genitori, emesso dal tribunale per i

minorenni ai sensi degli art. 333 e 336 c.c. Le sezioni unite sono intervenute a comporre un contrasto di giuris

prudenza relativo all'ammissibilità o non del ricorso straordinario di

cui all'art. Ill Cost., avverso il decreto camerale che non pronunci sul

merito del reclamo, proposto contro un provvedimento limitativo della

potestà dei genitori, ma dichiari il reclamo stesso inammissibile.

I giudici di legittimità hanno avallato il prevalente orientamento giu

risprudenziale che nega l'esperibilità del ricorso straordinario, in base

alla considerazione che, se il rimedio in questione va escluso, come af

ferma la giurisprudenza costante, per la quale v. infra, nell'ipotesi in

cui il reclamo abbia pronunciato nel merito, allora esso non può am

mettersi laddove il reclamo si sia concluso con una declaratoria d'i

nammissibilità dello stesso, non essendo configurabile, con riferimento

al diritto processuale di azione, una tutela che si discosti dal diritto so

stanziale ad esso sotteso. In senso conforme, Cass., sez. un., 3 marzo 2003, n. 3073, Foro it.,

2003,1, 2090, relativa a procedimenti in camera di consiglio in materia

This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — Nel 1996 al Tribunale per i mi

norenni di Milano pervenne la notizia che un genitore era so

spettato di avere compiuto abusi sessuali su una figlia la quale,

all'epoca, contava appena tre anni. Il tribunale per i minorenni

adottò un provvedimento limitativo della potestà genitoriale, di

sponendo l'allontanamento della bambina dal nucleo familiare e

l'affidamento temporaneo della stessa al comune di Milano.

Nei confronti del padre della minore fu iniziato procedimento

penale, concluso dal Tribunale di Milano con sentenza di asso

societaria, ove si afferma che, «quando il provvedimento impugnato sia

privo dei caratteri della decisorietà in senso sostanziale, (. ..), il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost, non è ammissibile neppu re se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo proces suale, quali espressione del diritto di azione, ed in particolare del diritto al riesame da parte di un giudice diverso, atteso che la pronuncia sul l'osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i pre supposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata al l'esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell'atto

giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può pertanto avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere detto atto sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei

limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel meri to».

Nello stesso senso, tra le altre pronunce, Cass. 26 febbraio 2002, n.

2776, id., 2002,1, 1718; 25 febbraio 2000, n. 2145, id.. Rep. 2000, voce

Cassazione civile, n. 48; 21 giugno 1999, n. 6241, id., 2000. I, 588, con nota di Gallo; 3 marzo 1999, n. 1766, id., Rep. 1999, voce Procedi menti cautelari, n. 100; 26 giugno 1998, n. 6315, id.. Rep. 1998, voce

Società, n. 692; 20 marzo 1998, n. 2934, ibid., voce Potestà dei genito ri, n. 9; 8 novembre 1997, n. 10999, id.. Rep. 1997, voce Possesso, n.

.57; 11 giugno 1997, n. 5226, ibid., voce Potestà dei genitori, n. 15; 9 settembre 1996, n. 8178, ibid., voce Procedimenti cautelari, n. 102; 20

aprile 1993, n. 4644, id, 1995, I, 1925; 24 agosto 1990. n. 8712, id..

Rep. 1990, voce Separazione dei coniugi, n. 24.

L'opposto indirizzo giurisprudenziale, da cui si discosta la sentenza in epigrafe, ritiene invece che, per i provvedimenti di contenuto proces suale, non possano considerarsi operanti le ragioni sottese all'orienta mento che esclude il rimedio straordinario per i decreti, pronunciati in sede di reclamo, relativi alla potestà dei genitori. Infatti, i decreti che dichiarano l'inammissibilità del reclamo inciderebbero, in via definiti va, su un diritto soggettivo di natura processuale, consistente nella pos sibilità di ottenere — attraverso l'istituto del reclamo — un riesame delle questioni valutate in primo grado, in modo ben più pregnante di

quanto sia possibile ottenere con i procedimenti di modifica o di revo ca. Ciò giustificherebbe l'ammissibilità del ricorso straordinario.

In tal senso si sono espresse: Cass. 15 dicembre 2000, n. 15834, id.,

Rep. 2001, voce Camera di consiglio, n. 12; 23 febbraio 1999, n. 1493, id., 1999, I, 1462; 10 marzo 1997, n. 2141, id., Rep. 1997, voce cit., n.

10; 11 febbraio 1997, n. 1278, ibid., n. 11; 16 marzo 1993, n. 3127, id., 1995,1, 975; 3 maggio 1991, n. 4839, id.. Rep. 1991, voce cit., nn. 6. 7; 1° aprile 1982, n. 2004, id.. Rep. 1983, voce Amministrazione control

lata, n. 49, e, per esteso. Dir. fallim., 1982, II, 1028, e Fallimento, 1982, 1426; 24 marzo 1982, n. 1857. Foro it., 1982,1, 2259.

Con riferimento alla più ampia questione relativa all'ammissibilità del ricorso straordinario in relazione a provvedimenti camerali aventi un contenuto di merito, id est incidenti direttamente sulla potestà dei

genitori in funzione di tutela dell'interesse dei minori, è opportuno ri cordare che la possibilità di esperire il rimedio avverso siffatti provve dimenti è stata oggetto di un contrasto di giurisprudenza insorto a parti re dal 1980.

Nel 1986 le sezioni unite hanno composto il contrasto, confermando il più antico e prevalente indirizzo giurisprudenziale sull'inammissibi lità del ricorso straordinario, essenzialmente in base alla considerazione che il principio della revocabilità dei provvedimenti camerali costitui sce un ostacolo insuperabile all'esperibilità del rimedio, non avendo inoltre rilievo la circostanza dell'incisione del provvedimento su status e diritti soggettivi, in quanto la statuizione sugli stessi non è atta a pre giudicare in modo definitivo ed irrimediabile le parti, che possono uti lizzare lo strumento della modifica e della revoca, senza essere vinco late da alcun giudicato: così Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6220, id., 1987, I, 3278, con nota di richiami, e Giur. it., 1987, I, 1, 1615, con nota di Uccella, e Nuova giur. civ., 1987, I, 552, con nota di Como GLIO.

Tale sentenza ha inaugurato un orientamento sul quale si è tenden zialmente assestata la giurisprudenza successiva, che costantemente af ferma che «i provvedimenti che limitino o escludano la potestà dei ge nitori naturali, ai sensi dell'art. 317 bis c.c., che pronuncino la deca denza dalla potestà sui figli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332 c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta

pregiudizievole per i figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., o che dispongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, 2° comma, 1. 4 maggio 1983 n.

Il Foro Italiano — 2005.

luzione per insussistenza del fatto, emessa il 20 dicembre 2000

su conforme richiesta del p.m. e passata in giudicato.

Dopo l'assoluzione del padre con formula piena, la madre

della bambina (mai neppur sospettata di complicità nel presunto

abuso) chiese la revoca del provvedimento limitativo della pote stà genitoriale e il reinserimento della minore nella famiglia o,

comunque, il ripristino di diretti rapporti con la stessa senza la

presenza del comune di Milano, né come affidatario né come

intermediario. Tuttavia, benché sia il comune che i servizi so

ciali ritenessero ormai inutile la loro presenza, il tribunale per i

minorenni, con decreto del 20-22 febbraio 2001, confermò l'af

fidamento della minore all'ente, ritenendo la necessità di man

tenere il controllo di esso sulla ripresa dei rapporti tra padre e

figlia. Contro il suddetto provvedimento la madre della bambina

propose reclamo alla Corte d'appello di Milano, sezione minori

e famiglia, la quale però, con decreto depositato il 6 luglio 2001, lo dichiarò inammissibile sul presupposto che il provve dimento impugnato fosse stato assunto in via provvisoria, in

quanto avente natura cautelare, interinale o istruttoria, e perciò non fosse suscettibile d'immediato ed autonomo reclamo, di

fettando del requisito dell'autonomia decisoria.

Avverso la declaratoria d'inammissibilità il procuratore gene rale della repubblica presso la Corte d'appello di Milano ha

proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., so

stenendo, in primo luogo, l'ammissibilità di tale impugnazione ed adducendo l'esistenza di una violazione di legge nel decreto

della corte territoriale, laddove essa ha affermato che il provve dimento oggetto del reclamo avrebbe avuto carattere provviso rio, sicché sarebbe stato privo di autonomia decisoria. L'ufficio

ricorrente nega tale carattere, in quanto il detto provvedimento,

privo di un termine di efficacia, sarebbe munito di effetti a tem

po indeterminato.

Gli intimati non hanno svolto in questa sede attività difensiva.

La prima sezione civile di questa corte (cui il ricorso era stato

assegnato), con ordinanza depositata il 13 aprile 2002, ha ri

chiamato il principio — non in discussione in questa sede — se

condo cui i provvedimenti di volontaria giurisdizione (e, in par ticolare, quelli, dettati a tutela dei minori, di limitazione o

esclusione della potestà dei genitori ai sensi dell'art. 317 bis

c.c.. di decadenza o reintegrazione nella potestà ex art. 330 e

332 c.c., o diretti ad ovviare ad una condotta dei genitori pre

giudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., ovvero ancora di

184 (che richiama l'art. 330 cit.), ancorché resi dal giudice di secondo

grado in esito a reclamo, non sono impugnabili con ricorso per cassa zione a norma dell'art. Ill Cost., perché sono privi dei requisiti della decisorietà (intesa come risoluzione di una controversia su diritti sog gettivi o status) e della definitività (intesa come mancanza di rimedi di versi e attitudine del provvedimento a pregiudicare, con l'efficacia pro pria del giudicato, quei diritti o quegli status), essendo revocabili in

ogni tempo per motivi originari'o sopravvenuti ed avendo la funzione non di decidere una lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi un bene della vita, ma di controllare e governare gli interessi dei minori»:

così, di recente, Cass. 8 ottobre 2002, n. 14380, Foro it., Rep. 2002, voce Impugnazioni civili, n. 100, e 2 agosto 2002, n. 11582, ibid., voce Potestà dei genitori, n. 20. Nello stesso senso, richiamate in motivazio ne della sentenza in epigrafe, Cass., sez. un., 25 gennaio 2002. n. 911, id., 2002, I, 1007, con nota di Maltese, e Famiglia e dir., 2002, 367. con nota di Porcari; 13 agosto 1999, n. 8633, Foro it.. Rep. 1999, voce cit., n. 17; 1° luglio 1998, n. 6421. id.. Rep. 1998, voce Adozione, n.

32; 5 settembre 1997, n. 8619, id.. Rep. 1997, voce Potestà dei genito ri, n. 16; sez. un. 7 maggio 1996, n. 4222, id., Rep. 1996, voce Tribu nale per i minorenni, n. 50; 28 gennaio 1995, n. 1026, id.. Rep. 1995, voce Potestà dei genitori, n. 20; 27 giugno 1994, n. 6147, id. 1995, I,

1924; 21 luglio 1990, n. 7450, id., Rep. 1991, voce cit., n. 7; sez. un. 10

giugno 1988, n. 3931, id., 1988,1, 1858. In dottrina, sui procedimenti aventi ad oggetto la tutela dei minori,

v., di recente. Proto Pisani, Ancora sul processo e sul giudice minorile

(linee di una possibile legge delega di riforma del processo minorile), id., 2003, V. 215, nonché, da ultimo, La riforma del processo relativo alla potestà parentale. Note critiche: I. - Proto Pisani, Luci e (soprat tutto) ombre del d.d.l. S/3048 di riforma dell'art. 336 c.c. II. - Sergio, Osservazioni sul d.d.l. S/3048 concernente la difesa d'ufficio nei giudi zi civili minorili e la modifica degli art. 336 e 337 c.c. in materia di

procedimenti davanti al tribunale per i minorenni. III. - Disciplina della difesa d'ufficio nei giudizi civili minorili e modifica degli art. 336 e 337 c.c. in materia di procedimenti davanti al tribunale per i mino renni (d.d.l. S/3048), id., 2005, 37 ss.

This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

affidamento ex art. 4, 2° comma, i. n. 184 del 1983) resi dal

giudice di secondo grado in seguito a reclamo, non sono suscet

tibili di ricorso per cassazione, in quanto privi dei requisiti della

decisorietà e definitività.

Ha aggiunto, tuttavia, che alcune sentenze di questa corte

hanno introdotto una deroga al suddetto principio, in relazione

all'ipotesi in cui la corte d'appello, pronunziando sul reclamo, abbia escluso l'esperibilità di tale rimedio giuridico, osservando

che la negazione pregiudiziale del mezzo di gravame si risolve

rebbe, a prescindere dalla consistenza delle posizioni sostanziali

coinvolte, nella violazione del diritto (di natura processuale) al

riesame da parte di un giudice sovraordinato, diritto sul quale il

decreto d'inammissibilità verrebbe ad incidere in via definitiva,

privando il soggetto interessato di una forma di tutela diversa da

quella fornita dalla revocabilità in ogni tempo dei provvedi menti di volontaria giurisdizione.

La medesima ordinanza, peraltro, ha anche ricordato che altre

e più numerose sentenze escludono in tale ipotesi la possibilità di proporre il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., sottolineando che la pronunzia sull'osservanza delle norme re

golatrici del processo ha la stessa natura dell'atto giurisdizio nale cui il processo medesimo è preordinato, in quanto la natura

strumentale delle disposizioni processuali comporta che esse

non possano essere presidiate da una tutela più forte di quella

prevista per le inerenti posizioni sostanziali; con la conseguenza che, se il provvedimento giurisdizionale sul rapporto sostanziale

è privo di decisorietà, la declaratoria d'improponibilità del gra vame non assume autonoma valenza di provvedimento deciso

rio.

In presenza di tale contrasto, la prima sezione civile di questa corte, con la menzionata ordinanza, ha rimesso gli atti al sig.

primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite.

La causa è stata quindi assegnata alle sezioni unite civili di

questa corte ed è stata chiamata all'udienza di discussione.

Motivi della decisione. — 1. - Il procuratore generale della

repubblica presso la Corte d'appello di Milano ha proposto ri

corso per cassazione, ai sensi dell'art. Ili (7° comma) Cost.,

avverso un decreto della medesima corte d'appello, che ha di

chiarato inammissibile il reclamo contro un decreto del Tribu

nale per i minorenni di Milano, pronunciato ai sensi degli art.

333-336 c.c., nel contesto delle circostanze esposte in narrativa.

2. - Fermo il punto che il decreto in questa sede impugnato è

un provvedimento di volontaria giurisdizione, si deve premette re che (come l'ordinanza della prima sezione rileva) non viene

messo in discussione l'orientamento ormai consolidato secondo

cui, in tema di tutela dei rain ori, i provvedimenti diretti a limita

re o escludere la potestà dei genitori naturali, a mente dell'art.

317 bis c.c., o che pronuncino la decadenza dalla potestà sui fi

gli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332 c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei genitori

pregiudizievole ai figli nel quadro dell'art. 333 c.c., o che di

spongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, 2° comma, 1. 4

maggio 1983 n. 184, ancorché resi dal giudice di secondo grado in esito a reclamo, non sono impugnabili con ricorso per cassa

zione a norma dell'art. Ill Cost, perché privi dei requisiti della

decisorietà (intesa come risoluzione di una controversia su di

ritti soggettivi o status) e della definitività (intesa come man

canza di rimedi diversi e nell'attitudine del provvedimento a

pregiudicare con l'efficacia propria del giudicato quei diritti e

quegli status), essendo revocabili in ogni tempo per motivi ori

ginari o sopravvenuti ed avendo la funzione non di decidere una

lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi «un bene della

vita», ma di controllare e governare gli interessi dei minori (ex

multis, Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, Foro it., 2002,

I, 1007; 13 agosto 1999, n. 8633, id., Rep. 1999, voce Potestà

dei genitori, n. 17; 1° luglio 1998, n. 6421, id.. Rep. 1998, voce

Adozione, n. 32; 5 settembre 1997, n. 8619, id.. Rep. 1997, voce

Potestà dei genitori, n. 16; sez. un. 7 maggio 1996, n. 4222, id.,

Rep. 1996, voce Tribunale per i minorenni, n. 50; 28 gennaio 1995, n. 1026, id., Rep. 1995, voce Potestà dei genitori, n. 20;

27 giugno 1994, n. 6147, id., 1995, I, 1924; 21 luglio 1990, n. 7450, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 7; sez. un. 10 giugno 1988, n.

3931, id., 1988, I, 1858; 23 ottobre 1986. n. 6220, id., 1987, I, 3278; da cui il costante orientamento sopra menzionato ha preso le mosse).

Tale orientamento, peraltro, non riguarda soltanto la tutela dei

minori ma si estende, più in generale, ai provvedimenti di giu

II Foro Italiano — 2005.

risdizione volontaria, considerati non suscettibili di ricorso

straordinario per cassazione, in quanto privi di carattere deciso

rio e non incidenti su diritti soggettivi, essendo sempre revoca

bili e modificabili per motivi di legittimità e di merito (questo orientamento concerne provvedimenti di volontaria giurisdizio ne emessi nelle più diverse materie: cfr., ex plurimis, Cass., sez.

un., 26 luglio 2002, n. 11104, id., Rep. 2003, voce Società, n.

1129, e 25 giugno 2002, n. 9231, id., 2002, I, 2303, rispettiva mente in tema di nomina dei liquidatori, da parte del presidente del tribunale, di una società di persone e di una società di capi tali; 28 marzo 2000, n. 3708, id., Rep. 2000, voce cit., n. 663, relativa a iscrizione nel registro delle imprese di deliberazione

di società; 16 giugno 2000, n. 8226, ibid., n. 770, in relazione a provvedimenti ex art. 2409 c.c.; 18 marzo 1997, n. 2399, id.,

Rep. 1997, voce Comunione e condominio, n. 78, in tema di

nomina di un amministratore della comunione ereditaria). 3. - Il contrasto, che questa corte è chiamata a comporre, ri

guarda invece un tema più circoscritto. Si tratta, cioè, di stabili

re se sia ammissibile il ricorso per cassazione (ai sensi dell'art.

111 Cost.) avverso il decreto reso dal giudice di secondo grado in materia di tutela dei minori (nella specie, provvedimento ex

art. 333 c.c.), allorché il decreto impugnato con il detto ricorso

non abbia pronunciato sul merito del reclamo contro il provve dimento del giudice di primo grado, ma abbia dichiarato l'i nammissibilità del detto reclamo.

Al riguardo, infatti, si sono manifestati due orientamenti.

Secondo il primo, il ricorso (straordinario) per cassazione di

venta ammissibile qualora il reclamo avverso il provvedimento del giudice di primo grado non abbia pronunziato nel merito, ma

sia stato definito con una declaratoria d'inammissibilità del re

clamo stesso. In questi casi — si è sostenuto — la pronuncia verrebbe ad incidere su un diritto soggettivo e, segnatamente, sul diritto soggettivo di azione (di natura processuale), volto ad

ottenere il riesame dell'atto oggetto di reclamo da parte di un

giudice diverso. Tale diritto, infatti, resterebbe compromesso in

via definitiva dalla declaratoria d'inammissibilità del reclamo

(cfr. Cass. 15 dicembre 2000, n. 15834, id., Rep. 2001, voce

Camera di consiglio, n. 12; 23 febbraio 1999, n. 1493, id., 1999,

I, 1462; 10 marzo 1997, n. 2141, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 10; 11 febbraio 1997, n. 1278, ibid., n. 11; 16 marzo 1993, n. 3127, id., 1995, I, 975; 3 maggio 1991, n. 4839, id., Rep. 1991, voce cit., n. 6; 1° aprile 1982, n. 2004, id.. Rep. 1983, voce Ammini strazióne controllata, n. 49; 24 marzo 1982, n. 1857, id., 1982,

I, 2259). L'indirizzo ermeneutico fatto proprio dalle citate decisioni

poggia sui seguenti rilievi. Per stabilire se il provvedimento del giudice d'appello, che

dichiara inammissibile il reclamo avverso un decreto emanato in

sede di giurisdizione volontaria, sia suscettibile di ricorso

straordinario per cassazione, si dovrebbe avere riguardo al piano

processuale, esaminando se il diniego di riesame del decreto

emesso dal primo giudice, motivato con la ritenuta inammissi

bilità del reclamo stesso, sia lesivo di diritti soggettivi di natura

processuale. In questo quadro la negazione dell'esperibilità del reclamo,

quando esso sia ammissibile, priverebbe il soggetto interessato

di una forma di tutela operante su un piano del tutto diverso

dalla revocabilità dei provvedimenti emessi nei procedimenti in

camera di consiglio. In particolare, la possibilità del reclamo —

estrinsecantesi in una forma di gravame idonea a consentire la

devoluzione delle stesse questioni ad organo diverso e superiore con immediatezza — non andrebbe confusa con la semplice modificabilità o revocabilità del decreto da parte dell'organo che lo abbia emesso, rispetto al quale integrerebbe una forma

ben più pregnante e concreta di tutela processuale, qualificabile

per gli interessati come vero e proprio diritto di azione di natura

processuale. La negazione pregiudiziale del reclamo, quando per contro si

ritenga il gravame stesso ammissibile, costituirebbe violazione

di tale diritto, leso in maniera definitiva (e con carattere deciso

rio) dal decreto d'inammissibilità, in quanto la generica possi bilità di revoca del decreto originario da parte dell'organo che

l'abbia emesso non sarebbe equivalente al doppio grado di va

lutazione garantito con il reclamo e, dunque, non sarebbe ido

neo a tutelare il diritto a tale valutazione.

Conclusivamente, la detta negazione, in quanto pronunciata in violazione di legge, costituirebbe provvedimento definitivo,

This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

PARTE PRIMA

siccome non soggetto a sua volta a reclamo (art. 739, 2° comma,

c.p.c.), lesivo in via definitiva di situazione giuridica proces suale, qualificabile come diritto (così, segnatamente, Cass. n.

3127 del 1993, cit., pronunciata in tema di provvedimenti ex art.

2409 c.c. e contenente l'esame più analitico della questione). Già in precedenza, peraltro, si era chiarito che — in tema di

dichiarata inammissibilità di reclamo, proposto ex art. 739 c.p.c. dal padre, che aveva effettuato il riconoscimento della filiazione

naturale, contro il decreto di nomina di un curatore speciale per

l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità —

l'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione andava

affermata non con riferimento al diritto sostanziale fatto valere

avverso il provvedimento di nomina del curatore speciale, bensì

con riguardo al diritto processuale di azione, garantito dall'art.

24 Cost., sul quale la pronuncia (d'inammissibilità del reclamo) aveva effetto decisorio perché ne negava l'esistenza (Cass. n.

4839 del 1991, cit.). Concetti analoghi sono stati, poi, ripresi nelle decisioni che

hanno aderito all'indirizzo ora riassunto (in particolare, Cass. n.

1278 del 1997, cit., che richiama il diritto soggettivo al rispetto delle regole processuali dirette a garantire il doppio grado del

giudizio; Cass. n. 2141 del 1997, cit., secondo cui negare il di

ritto processuale d'azione significa incidere in via definitiva su

diritti soggettivi; Cass. n. 15834 del 2000, cit., che giustifica

l'esperibilità del ricorso straordinario con la sussistenza del di

ritto processuale al riesame della decisione). Secondo l'opposto orientamento, invece, anche quando il re

clamo non abbia pronunciato nel merito, ma si sia concluso con

una declaratoria d'inammissibilità dello stesso, il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, non sarebbe ammissibile (neppure

per far valere vizi del procedimento, o in relazione a questioni di giurisdizione o di competenza), ritenendosi non configurabile una tutela per il diritto processuale di azione che si discosti dal

diritto sostanziale ad esso sotteso (tra le altre, Cass. 26 febbraio

2002, n. 2776, id., 2002, I, 1718; 25 febbraio 2000, n. 2145, id., Rep. 2000, voce Cassazione civile, n. 48; 21 giugno 1999, n.

6241, id., 2000, I, 588; 3 marzo 1999, n. 1766, id., Rep. 1999, voce Procedimenti cautelari, n. 100; 26 giugno 1998, n. 6315,

id., Rep. 1998, voce Società, n. 692; 20 marzo 1998, n. 2934,

ibid., voce Potestà dei genitori, n. 9; 8 novembre 1997, n.

10999, id., Rep. 1997, voce Possesso, n. 57; 11 giugno 1997, n.

5226, ibid., voce Potestà dei genitori, n. 15; 9 settembre 1996, n. 8178, ibid., voce Procedimenti cautelari, n. 102; 20 aprile 1993, n. 4644, id, 1995, I, 1925; 24 agosto 1990, n. 8712, id., Rep. 1990, voce Separazione di coniugi, n. 24).

4. - Il contrasto deve essere composto in senso conforme al

l'orientamento (prevalente), che nega l'esperibilità del ricorso

straordinario per cassazione nelle situazioni considerate.

Si deve premettere che questa corte, con sentenza resa a se

zioni unite n. 3073, depositata il 3 marzo 2003 (id., 2003, I,

2090), ha affermato il seguente principio di diritto: quando il

provvedimento impugnato sia privo dei caratteri della deciso rietà in senso sostanziale (come nel caso dei provvedimenti resi in tema di omologazione, iscrizione e pubblicazione di delibera zioni assembleari di società, secondo le previsioni degli art. 2411 e 2436 c.c., nella disciplina anteriore all'entrata in vigore delle norme di semplificazione dettate dall'art. 32 1. 24 novem bre 2000 n. 340), il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost, non è ammissibile, neppure se il ricorrente lamenti la

lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espres sione del diritto di azione, ed in particolare del diritto al riesame da parte di un giudice diverso, in quanto la pronuncia sull'inos

servanza di norme che regolano il processo, disciplinando i pre

supposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere

portata all'esame del giudice, ha necessariamente la medesima

natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e,

pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere l'atto giurisdizionale sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua

idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei

limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel

merito.

Ancorché formulato con riferimento a fattispecie disciplinata dal diritto delle società (sul piano sostanziale), il principio si

pone in termini analoghi anche per i provvedimenti concernenti

la tutela dei minori, sopra richiamati, in relazione ai quali il

principio medesimo deve essere ribadito.

Il Foro Italiano — 2005.

È vero, infatti, che la situazione giuridica processuale —

«estrinsecantesi in una forma di gravame atta a consentire la de

voluzione delle stesse questioni ad organo diverso e superiore con immediatezza» — integra una forma di tutela qualificabile,

per gli interessati, come vero e proprio diritto di natura proces suale (così Cass., n. 3127 del 1993, cit., in motivazione). Ed è

vero, del pari, che questa situazione giuridica, configurabile come espressione del diritto di azione, gode di tutela costituzio

nale (art. 24, 1° comma, Cost.). Nel caso in esame, però, questi principi non sono in discus

sione.

Si deve invece stabilire l'ambito entro il quale lo specifico mezzo di tutela costituito dal ricorso (straordinario) per cassa

zione possa essere esperito, avuto riguardo al disposto dell'art.

Ili, 7° comma (testo novellato), Cost., alla stregua del quale contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà perso nale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di leg

ge. Ciò nel quadro del principio consolidato in forza del quale un

provvedimento, pur se emesso non in veste di sentenza bensì di

ordinanza o di decreto, è suscettibile di ricorso straordinario per cassazione se presenti il duplice requisito della decisorietà (inte sa come risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o

status),. e della definitività (intesa come mancanza di rimedi di

versi e come attitudine del provvedimento a pregiudicare con

l'efficacia propria del giudicato quelle situazioni giuridiche). Le

due condizioni devono coesistere, in quanto è irrilevante la de

cisorietà se il provvedimento è sempre modificabile e revocabile

tanto per una nuova e diversa valutazione delle circostanze pre cedenti, quanto per il sopravvenire di nuove circostanze, nonché

per motivi di legittimità (art. 742 c.p.c.). In questi casi il prov vedimento non contiene una statuizione definitiva ed un pregiu dizio irreparabile ai diritti che vi sono coinvolti (così Cass., sez.

un., 23 ottobre 1986, n. 6220, cit., in motivazione). Orbene, in fattispecie come quella in esame (provvedimento

ex art. 333-336 c.c.), entrambi i requisiti suddetti sono esclusi (e lo stesso deve dirsi per le altre ipotesi sopra richiamate).

In primo luogo, si tratta di provvedimenti revocabili in ogni momento per dettato di legge (quanto all'art. 333 c.c., v. l'ulti

mo comma; in tema di potestà sui figli, v. gli art. 330-332). In secondo luogo, essi non decidono controversie tra parti

contrapposte, ma sono dettati a tutela e protezione degli interes

si del minore e si pongono, quindi, in funzione gestoria di tali

interessi (Cass., sez. un., n. 6220 del 1986, cit., e giurisprudenza conforme successiva). Conseguentemente, essi non incidono

con attitudine al giudicato sull'attribuzione o sulla negazione di

un bene della vita, neppure in relazione ad un arco di tempo determinato, appunto perché, potendo essere modificati o revo

cati in ogni momento, non «fanno stato» nel senso di cui all'art.

2909 c.c. né danno luogo al giudicato in senso formale (art. 324

c.p.c.). Questi caratteri non vengono meno per il fatto che la corte

territoriale, con il decreto in questa sede impugnato, invece di

pronunciare nel merito ha dichiarato inammissibile il reclamo

avverso il decreto emesso dal tribunale per i minorenni.

Infatti il diritto processuale di azione, individuato dall'orien

tamento qui non condiviso, non ha carattere proprio e fine a se

stesso, ma ha natura strumentale, in quanto è espressione di un

sistema di norme che disciplina meccanismi ed istituti diretti a

garantire che la norma sostanziale sia attuata anche nell'ipotesi di mancata cooperazione spontanea da parte di chi vi è tenuto.

Questo carattere strumentale, nel quale si esprime anche il

nesso d'interdipendenza esistente tra diritto sostanziale e pro cesso, postula che al diritto processuale di azione non può esse

re attribuita una tutela diversa e speciale rispetto a quella che la

normativa (costituzionale e ordinaria) contempla in relazione

all'atto destinato a provvedere sulla situazione sostanziale.

Si vuol dire che, se un atto non è impugnabile con ricorso

straordinario per cassazione perché privo di carattere decisorio e definitivo (nei significati suddetti), quando contiene una pro nuncia di merito, non lo è neppure quando esso si esaurisca in una pronuncia di rito, dal momento che la natura (processuale) della pronuncia non vale ad attribuirle la qualificazione deciso

ria e definitiva di cui come pronuncia di merito sarebbe stata

priva. L'atto rimane un provvedimento di volontaria giurisdi zione, al cui regime impugnatorio resta soggetto, in quanto, co

This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

m'è stato puntualmente osservato, la pronunzia sull'osservanza

delle norme relative al processo non ha una valenza diversa da

quella dell'atto giurisdizionale, al quale il processo stesso è pre ordinato. La detta pronuncia è destinata a spiegare effetto sol

tanto all'interno dello specifico procedimento nel quale viene

adottata e non impedisce di chiedere la revoca o modifica del

provvedimento precedente in ordine ai rapporti tra genitori e fi

gli, nell'ambito della normativa sopra richiamata in tema di tu

tela dei minori.

L'argomento, secondo cui il carattere definitivo e decisorio

riguarderebbe il diritto processuale al riesame da parte del giu dice d'appello (diritto che sarebbe irrimediabilmente compro

messo), non è persuasivo. Esso, infatti, trascura di considerare

che quel diritto è pur sempre strumentale rispetto ad un interesse

sostanziale cui è finalizzata la protezione predisposta dall'ordi

namento, sicché non può ricevere una tutela diversa e superiore. In sostanza, come questa corte ha di recente osservato (Cass.,

sez. un., 3073/03, cit.), il diritto processuale all'impugnazione, in quanto funzionale alla tutela di situazioni di diritto sostan

ziale, non può godere di una tutela astratta, fine a sé stessa, ma

deve essere considerato in relazione alla materia e all'oggetto della controversia.

Le considerazioni che precedono consentono anche di esclu

dere la pertinenza del richiamo all'art. 24 Cost. Infatti, se il di

ritto processuale non gode di una tutela astratta fine a sé stessa, e se la situazione giuridica sostanziale implicata nel procedi mento non è incisa con carattere decisorio e definitivo dall'atto

terminale (ancorché esso contenga una declaratoria d'inammis

sibilità del gravame), la tutela giurisdizionale non subisce pre

giudizio, in quanto la parte può sempre chiedere la modifica o la

revoca dei provvedimenti in precedenza adottati.

5. - Conclusivamente, il contrasto sopra rilevato deve essere

composto alla stregua del seguente principio di diritto:

quando il provvedimento impugnato sia privo dei caratteri

della decisorietà e definitività in senso sostanziale (come nel ca

so dei provvedimenti, emessi in sede di volontaria giurisdizione, che limitino o escludano la potestà dei genitori naturali ai sensi

dell'art. 317 bis c.c., che pronuncino la decadenza dalla potestà sui figli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332

c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei

genitori pregiudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., o che

dispongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, 2° comma, 1.

n. 184 del 1983), il ricorso straordinario per cassazione di cui

all'art. 111,7° comma, Cost, non è ammissibile neppure se il ri

corrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo proces suale, quali espressione del diritto di azione, e (in particolare del

diritto al riesame da parte di un giudice diverso), in quanto la

pronunzia sull'osservanza delle norme che regolano il processo,

disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la do

manda può essere portata all'esame del giudice, ha necessaria

mente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il proces so è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di

provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quel l'atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica

processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito

soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere

riaperta la discussione sul merito.

Sulla base di tale principio il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale della repubblica presso la Corte d'ap

pello di Milano deve essere dichiarato inammissibile.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 7 marzo 2005; Pres. Fancelli, Est. Bonavitacola; Giacalone e altro (Avv.

Ponzanelli, Zeno-Zencovich) c. Amministrazione dei mo

nopoli di Stato, Ente tabacchi italiani (Avv. Lipari, Punzi).

CORTE D'APPELLO DI ROMA;

Tabacco — Ente tabacchi italiano — Successione ai mono

poli di Stato — Danni da fumo — Azione risarcitoria —

Legittimazione passiva (Cod. proc. civ., art. Ili; d.leg. 9 lu

glio 1998 n. 283, istituzione dell'ente tabacchi italiani, art. 3).

Appello civile — Intervento — Associazione di consumatori — Inammissibilità —

Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 105,

344). Responsabilità civile — Fumatore abituale — Neoplasia con

esito letale — Nesso di causalità — Produttore di sigarette — Esercizio di attività pericolosa — Danno morale — Ri

sarcimento (Cost., art. 32; cod. civ., art. 2050; 1. 29 dicembre

1990 n. 428, disposizioni per l'adempimento di obblighi deri vanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee

(legge comunitaria per il 1990), art. 46).

L'ente tabacchi italiano è passivamente legittimato all'azione

intentata contro i monopoli di Stato per ottenere il risarci

mento dei danni subiti per la morte di un proprio congiunto

affetto da neoplasia polmonare dipendente dal fumo di siga rette, posto che durante il processo detto ente è succeduto in

tutti i rapporti, attivi e passivi, facenti capo all'amministra

zione originariamente convenuta e che in tale veste esso ha

spiegato intervento nel giudizio di appello. (1) Nella controversia risarcitoria promossa dai congiunti di un

fumatore abituale deceduto per una neoplasia polmonare, è

inammissibile l'intervento spiegato in grado di appello da

un'associazione di consumatori che, fondando la propria

pretesa sulla stessa causa dedotta dagli attori, chieda la con

danna del soggetto succeduto all'originario convenuto, in

tale veste costituitosi in giudizio, alla rifusione dei danni su

biti dal sodalizio. (2) Qualora la morte di un fumatore abituale sia attribuibile, se

ti) Secondo Cass., sez. un., 21 maggio 2003, n. 7945, Foro it., Rep. 2003, voce Procedimento civile, n. 95, la sopravvenuta istituzione, nel

corso del processo, dell'ente tabacchi italiani, investito del compito di

svolgere le attività produttive e commerciali in precedenza riservate al

l'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, e divenuto titolare dei rapporti attivi e passivi già di spettanza di detta amministrazione, dà

luogo ad un fenomeno successorio, inquadrabile, sotto il profilo pro cessuale, nell'art. 111 c.p.c.

L'operatività dell'ente tabacchi italiano era cominciata, in veste di

ente pubblico economico, il 1° marzo 1999; nel giugno del 2000, è in

tervenuta la trasformazione in società per azioni (prevista dall'art. 1, 6°

comma, d.leg. 283/98), con capitale interamente detenuto dal ministero dell'economia e delle finanze. La sentenza in epigrafe è stata depositata

quando il capitale sociale — a seguito dell'aggiudicazione della gara indetta nell'ambito del processo di dismissione delle attività pubbliche nel settore del tabacco — era stato acquisito da una società inglese

(l'operazione di concentrazione è stata autorizzata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, a condizione che l'acquirente non rin

novasse alla sua scadenza il contratto di produzione intercorrente tra l'ente tabacchi italiano ed altro produttore di sigarette: v. provv. 17 di cembre 2003, n. 12685, Bollettino, 2003, fase. 51).

Per ulteriori riferimenti sul tema, v. D. Dalfino, La successione tra enti nel processo, Torino, 2002, 447 s.

Nel senso che il successore a titolo particolare nel diritto controverso

è sempre legittimato ad intervenire nel processo, anche in appello, ai

sensi dell'art. 111 c.p.c., purché la pronuncia giurisdizionale da emet

tersi nei confronti del dante causa possa incidere (in senso positivo o

negativo) sul suo diritto, v. Cass. 18 luglio 2002, n. 10442, Foro it.,

Rep. 2002, voce Appello civile, n. 31.

(2) L'intervento in appello è ammissibile: a) quando l'avente causa o

creditore di una delle parti deduca che la sentenza già emanata — uni

tamente a quella che deve essere resa dal giudice di secondo grado —

sia l'effetto di dolo o di collusione tra le suddette parti in danno di esso

interveniente; b) quando il terzo faccia valere nel giudizio una pretesa del tutto autonoma da quella formante oggetto di contestazione tra le

parti originarie e incompatibile con la situazione giuridica accertata

dalla sentenza di primo grado o con quella che eventualmente potrebbe essere accertata dalla sentenza di appello: v. Cass. 18 marzo 2004, n.

5476, Foro it., Mass., 394; 5 marzo 2003, n. 3258, id., Rep. 2003, voce

Appello civile, n. 40; 15 novembre 2001, n. 14315, id., Rep. 2002, voce

cit., n. 28; 27 agosto 1998, n. 8500, id., Rep. 1998, voce cit., n. 24; 13

settembre 1993, n. 9486, id., 1994, I, 3157. Peraltro, nell'ipotesi in cui

l'interventore, pur essendo asseritamente titolare di un proprio autono

This content downloaded from 185.2.32.36 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended