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Sezioni unite civili; sentenza 15 novembre 1960, n. 3040; Pres. Oggioni P. P., Est. Bianchi...

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Sezioni unite civili; sentenza 15 novembre 1960, n. 3040; Pres. Oggioni P. P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Pomodoro (concl. conf.); Giuntini (Avv. Angelucci, Gallo, Santoro Passarelli) c. Commissione centrale esercenti professioni sanitarie, Prefetto di Vicenza, Procuratore della Repubblica di Vicenza, Consiglio dell'Ordine dei medici della provincia di Vicenza (Avv. Accardi, Guarino) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1889/1890-1897/1898 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151087 . Accessed: 25/06/2014 08:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.28 on Wed, 25 Jun 2014 08:24:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 15 novembre 1960, n. 3040; Pres. Oggioni P. P., Est. Bianchid'Espinosa, P. M. Pomodoro (concl. conf.); Giuntini (Avv. Angelucci, Gallo, Santoro Passarelli) c.Commissione centrale esercenti professioni sanitarie, Prefetto di Vicenza, Procuratore dellaRepubblica di Vicenza, Consiglio dell'Ordine dei medici della provincia di Vicenza (Avv.Accardi, Guarino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1889/1890-1897/1898Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151087 .

Accessed: 25/06/2014 08:24

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1889 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1890

i in cui ha pronunciato sulla domanda proposta dell'I.n.a.i.l.

nei confronti del La Barbera, deve essere effettuata senza

rinvio trattandosi di una ipotesi in cui la domanda non

poteva essere proposta. Per il criterio della soccombenza, l'Istituto resistente

deve essere condannato al pagamento, in favore del ricor

rente, delle spese di questo grado del giudizio e delle prece denti fasi di merito.

Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA EI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili ; sentenza 15 novembre 1960, n. 3040 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M.

Pomodoro (conci, conf.) ; Giuntini (Avv. Angei.ucci,

Gallo, Santoro Passarelli) c. Commissione centrale

esercenti professioni sanitarie, Prefetto di Vicenza, Pro

curatore della Repubblica di Vicenza, Consiglio del

l'Ordine dei medici della provincia di Vicenza (Avv.

Accardi, Guarino).

(Gassa Comm. centrale esercenti professioni sanitarie 12 set

tembre 1959)

Professioni intellettuali — Consiglio dell'Ordine dei

medici — Provvedimenti — Impugnazione alla

Commissione eentrale esercenti professioni sa

nitarie — Decisioni — lticorso per cassazione —

Consiglio dell'Ordine — Litisconsorzio necessario

(D. 1. 13 settembre 1946 n. 233, ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e disciplina dell'eser

cizio delle professioni stesse, art. 19 ; d. pres. 5 aprile 1950 n. 221, regolamento per l'esecuzione del d. 1. 13

settembre 1946 n. 233, art. 54, 68). Professioni intellettuali — Ordine dei medici —• De

terminazione di tariffe -— Illegittimità — Con

seguenze — Fattispecie (D. 1. 13 settembre 1946 n. 233, art. 3 ; d. pres. 5 aprile 1950 n. 221, art. 38).

Il Consiglio dell'Ordine dei medici che lia emesso il provve dimento impugnato dinanzi alla Commissione centrale

per gli esercenti le professioni sanitarie è contraddit

tore necessario nel giudizio per la cassazione della decisione

della Commissione centrale. ( 1) I Consigli dell'Ordine dei medici, che non hanno facoltà di im

(1) Come è detto nel corso della motivazione, la Corte su

prema (che già con sentenza 20 luglio 1960, n. 2075, Foro it., Mass., 455, aveva affermato la legittimazione dei Consigli nelle controversie relative alla iscrizione negli albi), muta la propria giurisprudenza : contra 7 febbraio 1958, n. 383, id., Rep. 1958, voce Professioni intellettuali, n. 65 ; 3 gennaio 1958, n. 6, ibid., n. 66 ; 31 ottobre 1958, n. 3597, ibid., n. 67 ; 9 aprile 1956, n.

1033, id., Rep. 1956, voce cit., n. 25 ; 25 maggio 1956, n. 1782, ibid., n. 27 ; 9 giugno 1956, n. 2014, ibid., n. 28 ; 9 luglio 1956, n. 2545, ibid., nn. 29, 30 ; 24 ottobre 1955, n. 3462, id., Rep. 1955, voce cit., n. 27 ; 5 ottobre 1955, n. 2832, ibid., n. 28.

Per quant'altro affermato nel corso della motivazione e

precisamente :

а) L'Ordine dei medici, che pronuncia in materia disci

plinare, non è organo di giurisdizione speciale, ma organo ammi

nistrativo, che emette un provvedimento amministrativo, in senso conforme Cass. 22 ottobre 1958, n, 3393, id., Rep. 1958, voce cit., n. 52 ; 5 ottobre 1955, n. 2832, id., Rep. 1955, voce

cit., n. 25.

б) Possono impugnarsi in cassazione per violazione di

legge, ex art. Ili della Costituzione, le decisioni della Comm centrale per le professioni sanitarie : Cass. 20 maggio 1958 n. 1688, id., Rep. 1958, voce cit., n. 61 ; 27 gennaio 1959, n. 234, id., Rep. 1959, voce cit., n. 65 ; 31 gennaio 1958, n. 283, id.,

Rep. 1958, voce cit., n. 64 (precisa che il termine per ricorrere è comunque di trenta e non di sessanta giorni) ; 9 aprile 1956, n. 1033, id., Rep. 1956, voce cit., n. 24 e 25 maggio 1956, n.

1782, ibid., n. 26 ; 5 ottobre 1955, n. 2832, id., Rep. 1955, voce

cit., n. 25 ; 29 ottobre 1952, n. 3052, id., Rep. 1952, voce

cit., n. 8.

porre agli iscritti tariffe minime, non possono infliggere sanzioni disciplinari ad un sanitario sol perchè lia sti

pulato individualmente, malgrado la diffida dell'Ordine, una convenzione con un ente assistenziale (nella specie, Gassa mutua malattia per i coltivatori diretti) accettando

onorari inferiori al minimo stabilito, ma debbono accer

tare se la tariffa ridotta pattuita dal sanitario costituisca,

per la sua irrisorietà, lesione al prestigio della profes sione. (2)

La Corte, eco. — Svolgimento del processo.

— Il Con

siglio dell'Ordine dei medici di Vicenza, con decisione 26

novembre 1957, infliggeva al dott. Giuntini Carlo la san

zione disciplinare della sospensione dall'esercizio della pro fessione per mesi tre. Il Consiglio riteneva che il dott. Giun

tini avesse esercitato come medico curante in base a par ticolari e personali accordi con la Cassa mutua malattie

per i coltivatori diretti, applicando le tariffe inferiori a

quelle minime stabilite dallo stesso Consiglio ; e ciò mal

grado che, con circolare 14 giugno 1956, il Presidente del

l'Ordine dei medici di Vicenza avesse intimato a tutti i

sanitari della Provincia di sospendere immediatamente

qualsiasi rapporto con detta Cassa mutua (la quale in pre cedenza aveva comunicato allo stesso Ordine provinciale dei medici che la convenzione stipulata in precedenza doveva considerarsi sospesa, non essendo stata ratificata dalla Federazione nazionale delle casse mutue), avvertendo

fra l'altro che gli iscritti alla Cassa mutua avrebbero do

vuto essere considerati normali clienti, ai quali avrebbero

dovuto essere applicate le tariffe normali. Nella sua de

cisione, il Consiglio dell'Ordine considerava tale comporta mento del dott. Giuntini come atto disdicevole al decoro

professionale, meritevole come tale di sanzione discipli nare.

Contro tale decisione il dott. Giuntini propose tempe stivo ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ; e la Commissione, con delibera zione 15 maggio 1959, depositata il 12 settembre e notifi cata all'interessato, ai sensi dell'art. 79 decreto pres. 5 aprile 1950 n. 221, il 19 successivo, ritenne legittima la sanzione

disciplinare inflitta al sanitario, stabilendo peraltro di ridurre la sanzione, onde meglio adeguarla alla entità delle

infrazioni, a mesi due di sospensione dall'esercizio profes sionale.

La Commissione prese in esame la questione dei limiti del potere degli ordini dei medici, e della legittimità del l'azione disciplinare dagli stessi esercitata nei confronti dei

propri iscritti, i quali, attraverso convenzioni individuali con enti assistenziali, si impegnano a prestare la loro opera professionale a tariffa inferiore a quella stabilita dall'Or dine. Essa ritenne che il riconoscimento del potere tariffario

degli Ordini dei medici non potesse essere contestato, alla luce della legislazione vigente ; configurando il detto potere come manifestazione del più ampio potere di vigilanza alla conservazione del decoro e dell'indipendenza degli ordini

stessi, attribuito al Consiglio dell'Ordine dell'art. 3, lett.

b), decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233. Il decoro della

professione, infatti, non può essere disgiunto dalla fissa

zione di limiti minimi tariffari, al di sotto dei quali i com

pensi riscossi dai professionisti devono considerarsi non

adeguati ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa, ossia devono considerarsi lesivi del decoro della professione.

(2) In senso conforme, da ultimo, Cass. 18 febbraio 1959, n. 504, Foro it., 1959, I, 973 (e a col. 1525 con osservazione di Musatti, Il compenso del medico) ; 15 giugno 1959, n. 1428, ibid., 1490 (pubblicata insieme a Cass. 24 giugno 1958, n. 2250), con ampia nota di richiami. In dottrina : Giuliano, Ordini ed albi professionali, Roma, 1960, pagg. 30, 31 ; Piscione, Ordini e collegi professionali, Milano, 1959, pag. 94 ; Abienzo, Potestà

disciplinare e tariffaria degli ordini dei medici, in Giust. civ., 1959, I, 840 ; Lega, In tema di procedimento e di responsabilità disciplinari relativi all'esercizio delle professioni sanitarie, in Giur. it., 1959, I, 1, 997 ; Rabaglietti, Gli ordini dei medici nella loro funzione giurisdizionale regolamentare e normativa di tutori del decoro professionale, in Corriere amm., 1959, 1901.

Il Foro Italiano — Volume LXXXI1I — Parte I-121.

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1891 PARTE;;PRIMA 1892

L'esercizio del potere di stabilire tariffe non costituisce

quindi esercizio di attività sindacale, che sarebbe contraria

alle funzioni istituzionali degli ordini sanitari, ma è espli cazione del potere di apprezzamento, demandato all'or

gano direttivo degli Ordini, delle esigenze di vita e delle

circostanze di ambiente, atte ad assicurare a tutti gli iscritti

una libera esistenza nella collettività organizzata. Da tali premesse la Commissione centrale dedusse clie

solo l'Ordine può consentire, in vista del raggiungimento di scopi particolari, deroghe alle tariffe minime, da esso

fissate, in favore di determinate categorie di clienti ; che

il singolo iscritto non ha il potere di derogare alla tariffa,

e non può stipulare accordi individuali a condizioni più basse dei minimi tariffari ; che l'Ordine ha il diritto di

conoscere il contenuto degli accordi individuali, che siano

eventualmente stipulati dai suoi iscritti con enti, al fine di

potere esercitare la vigilanza, in difesa del decoro e dell'indi

pendenza dei professionisti. Contro la decisione della Commissione centrale il dott.

Giuntini ha proposto ricorso per cassazione, notificando il

ricorso il 16 settembre 1959 al Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale di Vicenza, alla Commissione centrale

per gli esercenti le professioni sanitarie, ed al Prefetto di

Vicenza, quest'ultimo presso il suo ufficio in detta Città.

Il ricorso veniva depositato il 5 ottobre successivo.

In data 10 dicembre 1959, il ricorrente, riconoscendo

l'irritualità della notificazione del ricorso al Prefetto presso il suo ufficio, notificava, al fine di integrare il contraddit

torio, lo stesso ricorso al Prefetto presso l'Avvocatura ge nerale dello Stato di Roma.

Gli intimati non si costituivano. L'11 novembre 1959,

invece, depositava controricorso il Consiglio dell'Ordine

dei medici della 1 rovincia di Vicenza, sostenendo in via

preliminare la propria legittimazione a resistere al ricorso ;

e chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso medesimo. Il

Primo presidente di questa Corte suprema disponeva, ai

sensi dell'art. 374 cod. proc. civ., che, per le questioni di

particolare importanza dibattute fra le parti, la Corte di

cassazione si pronunciasse a Sezioni unite.

Le parti presentavano memorie illustrative : il ricor

rente deduceva l'illegittimità dell'intervento del Consiglio dell'Ordine dei medici di Vicenza chiedendo, all'udienza

di discussione, che la Corte volesse pronunciarsi in via

preliminare sulla questione relativa alla detta legittimità. Questa Corte però, ritenuto che è principio generale

della nostra legislazione, applicabile quindi anche al pro cedimento di cassazione, che le questioni relative all'in

tervento vengano decise insieme con il merito (art. 272

cod. proc. civ.), che la facoltà, data al giudice istruttore

dal detto art. 272, di rimettere separatamente al collegio la

decisione della questione relativa all'intervento, in rela

zione alla possibilità di definire più speditamente il giudizio, non può essere configurata in Cassazione, sia per la parti colare struttura del procedimento di cassazione, sia perchè, dovendo comunque la decisione della Corte avere carattere

di pronuncia definitiva, non vi è alcun motivo di separare la decisione dell'incidente da quella di merito, non potendo essere in alcun caso la pronuncia ritardata ; con ordinanza

pronunciata all'udienza respingeva la richiesta, e disponeva che la questione preliminare relativa all'intervento fosse

decisa insieme al merito.

Motivi della decisione. — La prima questione che questa Corte suprema è chiamata a risolvere, riguarda la legitti mità dell'intervento che il Consiglio dell'Ordine di Vicenza

ha spiegato, per resistere al ricorso proposto dal dott.

Giuntini contro la decisione pronunciata dalla Commissione

centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. La que

stione, anzi, ha portata più vasta che non la sola legitti mità dell'intervento, perchè deve essere prospettata in

termini diversi : se cioè nel giudizio di cassazione il Con

siglio dell'Ordine che ha emesso il provvedimento a suo

tempo impugnato innanzi la Commissione, sia parte ne

cessaria : se, quindi, esso possa eventualmente impugnare la decisione della Commissione e ad esso debba essere no

tificato il ricorso proposto dal sanitario sottoposto a proce dimento disciplinare.

La giurisprudenza di questa Corte è stata finora orien

tata, nel senso di escludere che l'Ordine dei medici sia

legittimo contraddittore nel giudizio di cassazione ; di

negare la legittimazione dell'Ordine stesso ad impugnare le decisioni della Commissione, e di ritenere che il ricorso

per cassazione non debba essere obbligatoriamente no

tificato al Consiglio dell'Ordine (sentenze 5 ottobre 1955, n. 2832, Foro it., Eep. 1955, voce Professioni intellettuali, nn. 25, 28 ; 24 ottobre 1955, n. 3462, ibid., nn. 26, 27 ; 9

aprile 1956, n. 1033, id., Eep. 1956, voce cit., nn. 24, 25 ; 25 maggio 1956, n. 1782, ibid., nn. 26, 27 ; e 18 dicembre

1957, n. 4739, id., Eep. 1957, voce cit., nn. 69, 70). A questa soluzione la t orte pervenne, interpretando l'art. 68 rego lamento 5 aprile 1950 n. 221, secondo il quale «il ricorso

alle Sezioni unite della Corte di cassazione avverso la de

cisione della Commissione può essere proposto entro t enta

giorni dalla sua notificazione, dall'interessato, dal prefetto o dal procuratore della Eepubblica » ; in relazione anche

alle disposizioni che prescrivono la notificazione, d'ufficio, da parte della segreteria della Commissione, della deci

sione da questa pronunciata, all'interessato, al procuratore della Eepubblica ed al prefetto, ma la sola comunicazione della decisione stessa al Consiglio dell'Ordine. La Corte ebbe a considerare che le norme del citato regolamento intesero affidare la tutela dei pubblici interessi che ine riscono alle decisioni riguardanti l'esercizio delle profes sioni sanitarie, agli organi ora ricordati (prefetto e procu ratore della Eepubblica), non riconoscendo invece, per il

giudizio di cassazione, una legittimazione all'Ordine dei

medici.

E, in realtà, le disposizioni ora ricordate (art. 68 re

golamento) non consentono altra interpretazione ; special mente se confrontate con le norme atli'art. 54 (ricorso, contro le decisioni del Consiglio dell'Ordine, alla Commis

sione centrale), le quali espressamente dispongono che il

ricorso deve essere notificato anche all'autorità che ha

emesso il provvedimento impugnato (cioè, il Consiglio del

l'Ordine, o la Federazione), che perciò è legittimo contradit tore nel giudizio innanzi la Commissione. La tesi, suggerita

oggi dall'Ordine di Vicenza, che nella dizione « interessato »,

adoperata dall'art. 68, debba intendersi compreso anche

l'Ordine dei medici, e che perciò questi, se soccombente,

possa proporre ricorso in Cassazione contro la decisione della

Commissione, e sia senz'altro contraddittore necessario nel caso di ricorso proposto dal sanitario, o dal procuratore della Eepubblica, o dal prefetto, non può essere infatti accolta : essendo chiaro, dal 1° comma dello stesso art. 68

(che prescrive la notificazione della decisione « all'interes sato », e la sola comunicazione al Consiglio dell'Ordine), che la legge, con la espressione « interessato », ha inteso indicare (come uel resto può facilmente desumersi dall'in

terpretazione letterale della parola) il solo sanitario nei

riguardi del quale è stato emesso il provvedimento im

pugnato. Ciò nonostante questa Corte suprema, melius re per

pensa, ritiene di dovere, in base a considerazioni diverse, mutare il proprio precedente indirizzo ; e stabilire che il

Consiglio dell'Ordine che ha emesso il provvedimento è non soltanto legittimato a resistere al ricorso per cassa

zione, ma è parte necessaria nel giudizio innanzi la Corte

suprema (con la conseguente facoltà di impugnare per cas sazione la decisione, ad esso Consiglio sfavorevole, della

Commissione centrale). Il Consiglio dell'Ordine dei medici di Vicenza, infatti,

esattamente contesta la legittimità della disposizione del l'art. 68 già ricordato.

Non si tratta evidentemente di una questione di

legittimità costituzionale, poiché il decreto pres. 5 aprile 1950, che è un regolamento di esecuzione (autorizzato espres samente dall'art. 28 del decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233), non è « atto avente forza di legge », al quale pos sano applicarsi le norme sui giudizi di legittimità costitu zionale (art. 134 Cost.) ; ma di una questione di conformità del regolamento (atto del potere esecutivo) alla legge, questione di competenza del giudice ordinario che, ai sensi dell'art. 5 della legge sull'abolizione del contenzioso am

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ministrativo, non deve applicare il regolamento non conforme alla legge. Ed è ciò clie si riscontra nella specie.

È il caso infatti di ricordare (i principi, già fissati da

questa Corte suprema, con la sentenza5ottobre 1955, n. 2832.

cit., non formano oggetto di contestazione fra le parti) che

il Consiglio dell'Ordine dei medici,.che pronuncia in materia

disciplinare, non è organo di giurisdizione speciale, ma

organo amministrativo, che emette un provvedimento am

ministrativo. Al contrario, è organo di giurisdizione spe ciale la Commissione centrale per gli esercenti le profes sioni sanitarie, innanzi alla quale sono impugnati i provve dimenti del Consiglio ; e le decisioni della quale (pronun ciate « in nome del popolo italiano », art. 66 regol.) sono

provvedimenti giurisdizionali. Ora è chiaro (ed è espressamente confermato dall'art.

54 regol.) che, nel giudizio che si svolge innanzi al giudice

speciale (il quale ha, in materia disciplinare, giurisdizione

esclusiva), il provvedimento debba essere impugnato nei

confronti dell'organo o ente che lo stesso ha emesso, e

cioè, nella specie, nei confronti dell'Ordine dei medici, che

nel giudizio innanzi al giudice amministrativo è perciò contraddittore necessario (anche se, ovviamente, l'auto

rità che ha emesso il provvedimento non è legittimata ad

impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento me

desimo). L'art. 54 ora citato dispone che nel giudizio innanzi

la Commissione il contraddittorio deve essere integrato con l'intervento del prefetto e del procuratore della Ke

pubblica, i quali a loro volta sono legittimati ad impugnare il provvedimento ; sì che in quel giudizio si verifica un litis

consorzio necessari, essendo chiamati a parteciparvi l'in

teressato, il Consiglio dell'Ordine, il prefetto ed il procuratore della Repubblica. È evidente, di conseguenza, che, ammesso

il ricorso per cassazione contro la decisione della Commis

sione centrale, per il principio generale contenuto nella

legge processuale generale, ogni impugnazione può essere

proposta dalla parte soccombente, che ha interesse alla

riforma o all'annullamento della decisione ; ed ogni impu

gnazione deve essere proposta nei confronti di tutti coloro

che furono parti nel giudizio in cui fu emessa la decisione

impugnata (art. 100, 102, 331 cod. proc. civ.). Non è qui il

caso di esaminare la questione, prospettata dall'Ordine

resistente, se una legge possa derogare ai principi ora ricor

dati ; oppure se quei principi, riguardanti il diritto inviola

bile di difesa in ogni stato e grado del procedimento, siano

assurti a norma di efficacia costituzionale in virtù dell'art.

24 Cost., e quindi occorra una legge costituzionale per

derogare alla disposizione che assicura al soccombente il

diritto di impugnazione : e ciò perchè, nella specie, la legge

speciale (e cioè il decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233,

sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie) non ha affatto derogato alle norme stabilite dal codice di

rito civile ; anzi vi si è espressamente richiamato, allorché

(art. 19) ha stabilito che contro le decisioni della Commis

sione centrale è ammesso ricorso alle Sezioni unite della

Cassazione, a norma dell'art. 362 cod. proc. civ. (cioè per soli motivi attinenti alla giurisdizione del giudice speciale :

l'impugnazione ora è consentita, come questa Corte su

prema ha costantemente ammesso nelle sentenze già ricordate, anche per violazione di legge, in virtù del so

pravvenuto art. Ill Cost.). La legge quindi, richiamandosi

alle norme del codice di rito civile, ha indubbiamente vo

luto che il ricorso per cassazione possa essere proposto da

tutti coloro che furono parti nel giudizio innanzi al giudice

speciale ; e debba essere proposto nei confronti di tutti. La

norma regolamentare (art. 68 decreto pres. 5 aprile 1950

n. 221) volle escludere il Consiglio dell'Ordine dal giudizio di cassazione, sottraendo la facoltà di impugnare la deci

sione, e disponendo che esso non sia parte in quel giudizio. Con tale disposizione, il regolamento, anziché dettare una

norma di esecuzione della legge, introdusse una deroga alle disposizioni della legge speciale, e del codice di rito

civile : deroga non conforme alla legge stessa, e che perciò, in virtù del ricordato art. 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, deve essere disapplicata dal giudice.

Per tali motivi questa Corte suprema ritiene che, ai

sensi delle norme legislative contenute nel codice di pro cedura civile, e richiamate dall'art. 19 della legge del 1946, il ricorso per cassazione contro le decisioni della Commis sione centrale possa essere proposto anclie dal Consiglio dell'Ordine che emise il provvedimento amministrativo

impugnato ; e debba essere notificato comunque anche allo stesso Consiglio. Nel caso concreto, il difetto di notifica del ricorso al Consiglio dell'Ordine di Vicenza è evidente mente sanato dalla volontaria costituzione in giudizio dello stesso Consiglio : la cui partecipazione al giudizio di cassazione deve perciò ritenersi legittima.

Nel merito, il ricorrente segnala l'errore di diritto in cui sarebbe caduta la Commissione centrale, nel ritenere che i Consigli dell'Ordine dei medici abbiano la facoltà di imporre agli iscritti tariffe minime, sia pure a tutela del decoro della professione ; e di avere, di conseguenza, ri tenuto passibile di sanzione disciplinare un sanitario, per il solo fatto di avere stipulato individualmente una conven zione con un ente assistenziale, accettando onorari inferiori al minimo stabilito. A sostegno delle sue ragioni, il ricor rente si richiama alla costante giurisprudenza di questo Supremo collegio, secondo la quale il Consiglio dell'Ordine dei medici, istituito con finalità di interesse pubblico, non

può esercitare il potere disciplinare ad esso conferito dalla

legge a tutela di interessi meramente sindacali (sentenze 20 giugno 1955, n. 1908, Foro it., 1956, I, 1964; 18 feb

braio 1959, n. 503, id., 1959, I, 473 ; 18 febbraio 1959, n. 504, id., Rep. 1959, voce Professioni intellettuali, n. 57 ; 15 maggio 1959, n. 1425, id., 1959, I, 1490 ; 21 marzo 1959, n. 853, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 58, 59).

La Commissione centrale, pur aderendo formalmente al

principio secondo il quale dai compiti istituzionali del

Consiglio dell'Ordine esula la tutela di interessi sindacali, lia però ritenuto nella specie che il fatto del sanitario, di

avere convenuto tariffe inferiori al minimo fissato dai con

sigli, sia passibile di sanzione disciplinare, perchè l'Ordine

dei medici avrebbe un potere tariffario, al fine di tutelare il decoro e l'indipendenza nell'esercizio della professione, onde la violazione dei minimi di tariffa costituirebbe ipso iure un fatto disdicevole al decoro professionale, contem

plato nell'art. 38 regol. n. 221 del 1950, quale motivo per sot

toporre il responsabile a sanzioni disciplinari. La Corte osserva che non può accettarsi il punto di

partenza da cui la decisione impugnata ha preso le mosse ; e cioè che la legislazione attuale attribuisca al Consiglio dell'Ordine il potere di fissare tariffe per gli onorari, con

carattere assolutamente obbligatorio. Tale conclusione non

può essere tratta da nessuna disposizione legislativa vi

gente ; non dalla legge istitutiva dei Consigli dell'Ordine, la quale ha inteso ricostituire gli Ordini professionali con

finalità di interesse pubblico (compilazione e tenuta degli albi professionali ; vigilanza sulla conservazione del decoro

e della indipendenza dell'Ordine ; iniziative a carattere scien

tifico e culturale : art. 3 decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233) : sottraendo quindi alla competenza degli Ordini

tutte quelle funzioni, di carattere sindacale, o meglio di tutela degli interessi economici dei professionisti, che sono

attribuite, e non possono non essere attribuite anche nel

l'attuale ordinamento costituzionale, alle associazioni sin

dacali (art. 39 Cost.). E, d'altra parte, contrasterebbe al

principio della libertà sindacale, affermata nel citato ar

ticolo della Costituzione, l'affidare la rappresentanza

degli iscritti, per quanto riguarda i loro interessi economici, ai Consigli dell'Ordine, enti pubblici necessari. Tanto vero

ciò, che la legge ha dovuto espressamente conferire al Con

siglio dell'Ordine la facoltà di interporsi per tentare una

conciliazione nelle controversie in materia di onorari ; ed

ha subordinato tale facoltà alla espressa richiesta degli interessati (art. 3r lett. g, della legge citata).

Nè la asserita potestà tariffaria può desumersi dalle

altre disposizioni di legge ricordate dalla decisione impu

gnata. e dal resistente Consiglio dell'Ordine di Vicenza.

Non certamente dall'art. 6 legge 29 dicembre 1956 n. 1533, che dispone che le tariffe professionali dei medici, iscritti

negli elenchi delle casse mutue per l'assicurazione obbli

gatoria contro le malattie per gli artigiani, sono stabilite

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1895 PARTE PRIMA 1896

per ogni provincia tra le presidenze provinciali delle casse

mutue e l'Ordine dei medici : perchè proprio questa dispo sizione, eccezionale in materia, è la dimostrazione che la

facoltà di imporre tariffe con efficacia obbligatoria anche

verso gli estranei, non può intendersi attribuita ai Consigli

degli Ordini dalle leggi istitutive, tanto che è stata neces

saria una apposita norma di legge per riconoscerla in un

caso particolare. Lo stesso Consiglio dell'Ordine di Vicenza, del resto, riconosce che per attribuire efficacia alla tariffa

anche verso gli estranei occorre una norma specifica di

legge (ed è tale quella relativa alla tariffa degli avvocati

e procuratori, che la legge 7 novembre 1957 n. 1057 af

fida al Consiglio nazionale forense, con l'approvazione del

Ministro per la giustizia) ; ma sostiene che all'Ordine dei

medici è attribuito istituzionalmente in materia un potere

regolamentare, di carattere interno, i cui destinatari cioè

sono i sanitari iscritti all'Ordine, per i quali le tariffe stesse

sono obbligatorie, per lo meno (ed è questo il punto che

interessa l'attuale controversia) per quanto riguarda i

minimi : la violazione dei quali deve intendersi integrare un fatto contrario al decoro ed alla dignità professionale. A sostegno di tale tesi l'Ente resistente richiama alcuni

testi di legge : alcuni dei quali, però, non sono conferenti, ed altri devono ritenersi abrogati. È certamente non de

cisiva alla risoluzione della questione nel senso propugnato dal resistente la legge 30 dicembre 1958 n. 1175, che vieta

agli Ordini professionali di fissare tariffe differenziate in

favore di liberi docenti (art. 10) : norma la quale, secondo

il Consiglio resistente, costituirebbe una interpretazione autentica circa la esistenza della potestà tariffaria degli Ordini. Argomentazione alla quale è facile replicare che

la norma dell'art. 10 ha inteso riferirsi certamente a quegli Ordini professionali, cui la potestà tariffaria è attribuita

alle leggi istitutive ; ma non può essere certamente inter

pretata nel senso che abbia potuto introdurre, così indi

rettamente e a contrario, una deroga alle disposizioni che, come si è detto, non consentono agli Ordini delle profes sioni sanitarie di esercitare il potere regolamentare di

stabilire tariffe obbligatorie. E del resto quella norma, così applicata anche agli Ordini dei medici, proverebbe

troppo, perchè presupporrebbe il potere di fissare delle

tariffe anche con efficacia esterna (nei rapporti cioè tra

sanitario e cliente) : tesi questa, come si è detto, non

sostenuta in definitiva neppure dall'Ente resistente.

A sostegno della sua tesi, della vincolatività assoluta

delle tariffe per i sanitari iscritti, il Consiglio dell'Ordine

cita anche un decreto del Capo del Governo 7 agosto 1937

n. 2061, secondo il quale il Capo del Governo avrebbe

dovuto approvare le tariffe nazionali per i professionisti ; decreto che precisa che dette tariffe devono fissare il

minimo compatibile con il decoro professionale, salva la

facoltà di esercitare gratuitamente la funzione in casi

particolari. Da tale norma si dedurrebbe che l'accettare onorari

inferiori alle tariffe stabilite costituirebbe fatto lesivo del

decoro professionale, e come tale passibile di sanzione

disciplinare. Senonchè è chiaro che il decreto in questione (il quale

dispone che la tariffa, nazionale, deve essere deliberata

dalla « Corporazione » della professione, ai sensi dell'art. 10

legge 5 febbraio 1934 n. 163) presuppone in vigore ed

operante il sistema sindacale corporativo : e, in particolare, l'esistenza di una Corporazione, cui sia affidata anche la

tutela degli interessi economici del professionista. Onde

non può certo negarsi che, con la soppressione del detto

ordinamento (avvenuta con decreto legisl. 23 novembre

1944 n. 369, e disposizioni successive), il decreto in esame

sia stato abrogato, per incompatibilità con le norme poste riori ; così come deve ritenersi abogato l'art. 4, 3° comma, della legge sanitaria (r. decreto 27 luglio 1934 n. 1265), secondo il quale i sanitari condotti avevano l'obbligo di

prestare la loro opera in base a speciali tariffe, proposte

per ciascuna provincia dfill'associazione sindacale ricono

sciuta, ed approvata dal prefetto, norma che presupponeva l'esistenza di sindacati unici obbligatori. E non può soste

nersi che quelle attribuzioni, conferite a sindacati e corpo

razioni dall'ordinamento sindacale fascista, siano state

automaticamente trasferite ai ricostituiti Ordini profes

sionali, dal momento che, come si è detto, e come chiara

mente risulta dalla legge istitutiva, tali Ordini, enti pub blici necessari, sono stati ricostituiti per la tutela di pub blici interessi, e per la difesa del decoro della professione ; e non per la tutela di interessi economici o sindacali dei

professionisti. Il principio di diritto affermato dalla deci

sione impugnata (vincolatività assoluta dei minimi di

tariffa per i sanitari iscritti all'Ordine), è perciò inesatto

e perciò la decisione, la quale da quell'asserita assoluta

vincolatività trasse la conseguenza che il sanitario, il quale violi i minimi tariffari, incorre necessariamente in un illecito

disciplinare, merita di essere annullata.

Questa Corte suprema però non negò che gli Ordini

professionali abbiano la facoltà di stabilire direttive, che

servano di guida agli iscritti, nelle richieste degli onorari

dovuti per la prestazione della loro opera, indicando massimi

o minimi di tariffa. Tale facoltà, come già ebbero a rico

noscere queste Sezioni unite (sentenza 18 febbraio 1959,

n. 503, cit.) non può certo negarsi : esso deriva dagli stessi

compiti istituzionali degli Ordini, i quali d'altra parte ne fissano i limiti. Perchè è certamente lecito, nell'attività

di vigilanza alla conservazione del decoro e della indipen denza dell'Ordine (art. 3, lett. 6, decreto legisl. 13 settembre

1946 n. 223), stabilire, a titolo indicativo, i minimi di

tariffa che i sanitari ordinariamente è consigliabile che

osservino ; ma non è lecito, perchè esorbiterebbe dai com

piti istituzionali dell'Ordine, fissare le dette tariffe a tutela

di interessi sindacali (ad esempio, sorreggere una azione

intrapresa con finalità sindacali, contro determinati enti

mutualistici, o, in senso più largo, a tutela di interessi

economici dei professionisti) e tanto meno esercitare il

potere disciplinare, che spetta ai Consiglio dell'Ordine

soltanto nei limiti, già ricordati, dell'art. 38 del regola

mento, a protezione di detti interessi (ad esempio, per

disciplinare la concorrenza tra i vari professionisti). Se la violazione, da parte di un sanitario, dei mi

nimi tariffari, non può integrare di per sè una infrazione

disciplinare, purtuttavia questa Corte non può escludere

che, nel caso con< reto, l'avere accettato o convenuto con

enti mutualistici tariffe inferiori ai minimi, ed anche, come

nella specie, durante una contestazione fra Ordini dei

medici e casse mutue (contestazioni alla quale, malgrado le contrarie affermazioni dell'Ente resistente, non può certo negarsi natura di carattere sindacale : tanto vero

che la preesistente convenzione fu denunciata dalla Cassa

mutua e l'Ordine dei medici, a ritorsione, diffidò gli iscritti

dal trattare individualmente), non possa costituire quel fatto disdicevole al decoro ed al prestigio professionale, che autorizza il procedimento e le sanzioni disciplinari. Il divieto di trattare individualmente era certamente

illegittimo, perchè disposto a tutela di interessi economici ; e una sanzione disciplinare al sanitario che avrebbe potuto essere irrogata per il solo fatto di avere trasgredito ad una

imposizione, alla quale, per essere stata impartita fuori

dalla sfera istituzionale di competenza dell'Ordine, il

sanitario medesimo non era tenuto ad ottemperare. Ma

che nel caso concreto la tariffa ridotta convenuta fra

sanitario ed ente mutualistico fosse tale da costituire per la sua irrisorietà lesione del prestigio della professione, è

pur sempre possibile ; ed in questo caso legittimamente l'Ordine dei medici avrebbe esercitato, nei confronti del

sanitario responsabile, la potestà disciplinare. La decisione impugnata non deve, per i motivi suesposti,

essere cassata senza rinvio, non potendosi escludere a priori

che, pur nel corso di una controversia di carattere sindacale,

l'interessato abbia usato della libertà che gli è assicurata

in materia, in modo da ledere il prestigio della professione di medico. Sarà compito della Commissione in sede di rinvio,

compiere quella indagine (che ha completamente omesso

nella decisione impugnata), diretta a stabilire se, nel caso

concreto, l'attuale ricorrente, con la convenzione posta in essere individualmente con l'ente mutualistico, ed in

rapporto alle condizioni concretamente accettate, abbia

commesso quel fatto disdicevole al decoro professionale

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1897 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1898

il quale soltanto, ai sensi dell'art. 38 decreto pres. 5 aprile 1950 n. 221, avrebbe potuto autorizzare l'Ordine dei medici

all'esercizio della potestà disciplinare. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

I

Sezione I civile ; sentenza 3 novembre 1960, n. 2967 ; Pres.

Fragali P., Est. Akras, P. M. Colonnese (conci,

conf.) ; Eedaelli (Avv. Corsale) c. Finanze (Avv. dello

Stato Salerni).

(Conferma App. Milano 6 febbraio 1959)

Guerra (provvedimenti per la) ■— Legge 23 dicembre

1948 n. 1451, art. 1 — Ambito di applicazione (L. 23 dicembre 1948 n. 1451, termine per l'avocazione

dei profitti eccezionali di contingenza, art. 1 ; d. 1. 28

aprile 1947 n. 330, avocazione profitti eccezionali di

speculazione, art. 1). Guerra (provvedimenti per la)

— l'roiitti di contin

genza — Riscossione —- Sequestro ■— Ammis

sibilità — Limiti (E. d. 3 giugno 1943 n. 598, istitu

zione imposta straordinaria sui profitti di guerra, art. 19).

Il 2° comma dell'art. 1 legge 23 dicembre 1948 n. 1451 non

configura una nuova categoria di profitti di contingenza diversa da quelle contemplate dal decreto legisl. 28 aprile 1941r n. 330, ma è applicabile a profitti già indicati in

quest'ultima legge e che traggano origine da attività ed

operazioni implicanti comunque violazione di legge e di

regolamenti. (1) Il sequestro fiscale contemplato nell'art. 19 del t. u. 3 giugno

1943 n. 598 è applicabile anche alla procedura di accerta

tamelo e riscossione dei profitti di contingenza. (2) Sussiste il pencolo che giustifica la richiesta di sequestro in

sede d'accertamento e riscossione di profitti di contingenza,

quando si tratti di accertamento di rilevante entità. (3)

II

Sezioni unite civili ; sentenza 4 luglio 1960, n. 1754 ; Pres.

Cataldi P., Est. Pece, P. M. Criscuoli (conci, conf.) ; Venturi (Avv. Cavallo, Andrioli) c. Finanze (Avv. dello Stato Foligno).

(Cassa App. Bologna 4 aprile 1958)

Fascismo (sanzioni contro il) — l'roiitti di regime •—- Avocazione — Sequestro — Responsabilità j

aggravata —■ Aceertamento in separato giudizio — Ammissibilità — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043 ; cod. proc. civ., art. 96 ; d. 1. 1. 27 luglio 1944 n. 159, sanzioni contro il fascismo, art. 26; d. 1. 1.

26 marzo 1946 n. 134, avocazione profitti regime, art. 1).

Può chiedersi in autonomo giudizio la condanna della pub blica Amministrazione al risarcimento dei danni a titolo

di responsabilità processuale aggravata per aver fatto

eseguire sequestro conservativo a garanzia dell'avocazione

di profitti di regime riconosciuti insussistenti dal giudice amministrativo. (4)

Ottenuto sequestro conservativo a garanzia dell'avocazione di

profitti di regime, il giudice ordinario può conoscere

della pretesa responsabilità per danni della pubblica

Amministrazione, per il periodo antecedente alla pro

li) La sentenza confermata, App. Milano 6 febbraio 1959,

leggesi in Foro it., 1959, I, 1375, con nota di Morbillo, Osser vazioni in tema di profitti di contingenza.

nunzio, definitiva di insussistenza dei 'profitti avocabili, solo se si deduca un'attività arbitraria della pubblica Amministrazione, mentre per il periodo successivo deve

indagare dell'esistenza d'una eolpa nel mantenimento del

sequestro. (5)

I

La Corte, ecc. — I due ricorsi, proposti contro la stessa

sentenza, devono essere riuniti in un unico processo, sotto

il numero di ruolo più antico.

Seguendo il normale ordine logico deve precedere l'esame

del ricorso dell'Amministrazione delle finanze dello Stato,

perchè propone questioni pregiudiziali rispetto a quelle del

ricorso del Redaelli.

L'Amministrazione delle finanze denuncia, infatti, la

violazione e la falsa applicazione del 2° comma dell'art. 1

legge 23 dicembre 1948 n. 1451 in relazione ai comma 1° e

3° dello stesso articolo ed all'art. 3 della stessa legge, nonché

agli art. 1 e 3 decreto legisl. 28 aprile 1947 n. 330 ed al

l'art. 9 legge 18 giugno 1936 n. 1231 ed all'art. 360, nn. 3

e 5, cod. proc. civ. e sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, il 2° comma dell'art. 1

legge 23 dicembre 1948 n. 1451 configura una nuova ca

tegorìa di profitti di contingenza, diversa da quella con

templata dal decreto 28 aprile 1947 n. 330, riconducibile

sotto il riflesso eziologico all'illecito ed alle violazioni delle

leggi e dei regolamenti. Il motivo non è fondato. Il problema esegetico, dallo

stesso riproposto, ha ricevuto nella sentenza impugnata la sua giusta soluzione.

È esatto che il 1° comma dell'art. 1 legge 23 dicembre

1948 n. 1451 si riferisce ai profitti eccezionali di contin

genza contemplati dal decreto legisl. 28 aprile 1947 n. 330,

perchè è con esplicito riferimento ai medesimi che è stata

fissata la data (31 dicembre 1948) oltre la quale non avrebbe

dovuto essere applicata l'imposta straordinaria, ma è del

pari esatto che agli stessi profitti eccezionali di contingenza fa riferimento il 2° comma dello stesso articolo, allorché

stabilisce che « nei casi in cui i profitti eccezionali di con

tingenza traggano origine da attività ed operazioni implicanti violazioni di legge e regolamenti, essi. . . sono soggetti ad

avocazione anche se conseguiti dopo il 31 dicembre 1948 ».

Il contrario assunto dell'Amministrazione delle finanze

è resistito anzitutto dalla lettera della legge. La Corte di

merito ne ha dato ampia e chiara dimostrazione, quando ha posto in evidenza che, ove i profitti considerati dal 2°

comma fossero stati diversi da quelli contemplati dal de

creto legisl. 28 aprile 1947 n. 330, altra sarebbe stata la

loro denominazione, non potendosi consentire, senza ac

cusare il legislatore di grave improprietà nel linguaggio, che il medesimo avesse usato la stessa formula per indicare

una nuova categoria di profitti caratterizzata unicamente

dalla sua provenienza illecita, indipendentemente dalle

(2-5) In senso conforme alla quarta massima, la sentenza resa in primo grado nella controversia ora decisa dalla Cassa

zione, Trib. Bologna 29 agosto 1956, Foro it., 1956, I, 1744, con ampia nota di richiami.

L'impossibilità di proporre in giudizio autonomo la domanda di risarcimento danni ex art. 96, 2° comma, è affermata da Trib. Roma 31 marzo 1958, id., 1958, I, 885, con ampia nota

di richiami.

App. Milano 26 giugno 1957 (id., Rep. 1957, voce Guerra, n. 45) ha ritenuto che il decreto di sequestro per profitti di con

tingenza concesso dal presidente del tribunale è per natura irrevocabile e produce, quanto alla indisponibilità dei beni,

gli stessi effetti della sentenza di convalida, pur non acqui stando efficacia di giudicato.

Per riferimenti, sulla quinta massima, v. Cass. 16 luglio 1957, n. 2901, id., 1958, I, 1850.

Sulla natura del sequestro disposto a garanzia dell'avoca

zione profitti regime, Cass. 5 maggio 1951, n. 1061, id., 1951,

I, 1035, con nota di Berliri, Natura ed impugnabilità dei prov vedimenti del presidente del tribunale emessi in materia di sequestro di beni soggetti all'avocazione di profitti di regime.

La sentenza n. 1754 in epigrafe è illustrata da V. D'Orsi, in Mon. trib., 1960, 727.

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