Sezioni unite civili; sentenza 15 novembre 1960, n. 3040; Pres. Oggioni P. P., Est. Bianchid'Espinosa, P. M. Pomodoro (concl. conf.); Giuntini (Avv. Angelucci, Gallo, Santoro Passarelli) c.Commissione centrale esercenti professioni sanitarie, Prefetto di Vicenza, Procuratore dellaRepubblica di Vicenza, Consiglio dell'Ordine dei medici della provincia di Vicenza (Avv.Accardi, Guarino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1889/1890-1897/1898Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151087 .
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1889 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1890
i in cui ha pronunciato sulla domanda proposta dell'I.n.a.i.l.
nei confronti del La Barbera, deve essere effettuata senza
rinvio trattandosi di una ipotesi in cui la domanda non
poteva essere proposta. Per il criterio della soccombenza, l'Istituto resistente
deve essere condannato al pagamento, in favore del ricor
rente, delle spese di questo grado del giudizio e delle prece denti fasi di merito.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA EI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 15 novembre 1960, n. 3040 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M.
Pomodoro (conci, conf.) ; Giuntini (Avv. Angei.ucci,
Gallo, Santoro Passarelli) c. Commissione centrale
esercenti professioni sanitarie, Prefetto di Vicenza, Pro
curatore della Repubblica di Vicenza, Consiglio del
l'Ordine dei medici della provincia di Vicenza (Avv.
Accardi, Guarino).
(Gassa Comm. centrale esercenti professioni sanitarie 12 set
tembre 1959)
Professioni intellettuali — Consiglio dell'Ordine dei
medici — Provvedimenti — Impugnazione alla
Commissione eentrale esercenti professioni sa
nitarie — Decisioni — lticorso per cassazione —
Consiglio dell'Ordine — Litisconsorzio necessario
(D. 1. 13 settembre 1946 n. 233, ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e disciplina dell'eser
cizio delle professioni stesse, art. 19 ; d. pres. 5 aprile 1950 n. 221, regolamento per l'esecuzione del d. 1. 13
settembre 1946 n. 233, art. 54, 68). Professioni intellettuali — Ordine dei medici —• De
terminazione di tariffe -— Illegittimità — Con
seguenze — Fattispecie (D. 1. 13 settembre 1946 n. 233, art. 3 ; d. pres. 5 aprile 1950 n. 221, art. 38).
Il Consiglio dell'Ordine dei medici che lia emesso il provve dimento impugnato dinanzi alla Commissione centrale
per gli esercenti le professioni sanitarie è contraddit
tore necessario nel giudizio per la cassazione della decisione
della Commissione centrale. ( 1) I Consigli dell'Ordine dei medici, che non hanno facoltà di im
(1) Come è detto nel corso della motivazione, la Corte su
prema (che già con sentenza 20 luglio 1960, n. 2075, Foro it., Mass., 455, aveva affermato la legittimazione dei Consigli nelle controversie relative alla iscrizione negli albi), muta la propria giurisprudenza : contra 7 febbraio 1958, n. 383, id., Rep. 1958, voce Professioni intellettuali, n. 65 ; 3 gennaio 1958, n. 6, ibid., n. 66 ; 31 ottobre 1958, n. 3597, ibid., n. 67 ; 9 aprile 1956, n.
1033, id., Rep. 1956, voce cit., n. 25 ; 25 maggio 1956, n. 1782, ibid., n. 27 ; 9 giugno 1956, n. 2014, ibid., n. 28 ; 9 luglio 1956, n. 2545, ibid., nn. 29, 30 ; 24 ottobre 1955, n. 3462, id., Rep. 1955, voce cit., n. 27 ; 5 ottobre 1955, n. 2832, ibid., n. 28.
Per quant'altro affermato nel corso della motivazione e
precisamente :
а) L'Ordine dei medici, che pronuncia in materia disci
plinare, non è organo di giurisdizione speciale, ma organo ammi
nistrativo, che emette un provvedimento amministrativo, in senso conforme Cass. 22 ottobre 1958, n, 3393, id., Rep. 1958, voce cit., n. 52 ; 5 ottobre 1955, n. 2832, id., Rep. 1955, voce
cit., n. 25.
б) Possono impugnarsi in cassazione per violazione di
legge, ex art. Ili della Costituzione, le decisioni della Comm centrale per le professioni sanitarie : Cass. 20 maggio 1958 n. 1688, id., Rep. 1958, voce cit., n. 61 ; 27 gennaio 1959, n. 234, id., Rep. 1959, voce cit., n. 65 ; 31 gennaio 1958, n. 283, id.,
Rep. 1958, voce cit., n. 64 (precisa che il termine per ricorrere è comunque di trenta e non di sessanta giorni) ; 9 aprile 1956, n. 1033, id., Rep. 1956, voce cit., n. 24 e 25 maggio 1956, n.
1782, ibid., n. 26 ; 5 ottobre 1955, n. 2832, id., Rep. 1955, voce
cit., n. 25 ; 29 ottobre 1952, n. 3052, id., Rep. 1952, voce
cit., n. 8.
porre agli iscritti tariffe minime, non possono infliggere sanzioni disciplinari ad un sanitario sol perchè lia sti
pulato individualmente, malgrado la diffida dell'Ordine, una convenzione con un ente assistenziale (nella specie, Gassa mutua malattia per i coltivatori diretti) accettando
onorari inferiori al minimo stabilito, ma debbono accer
tare se la tariffa ridotta pattuita dal sanitario costituisca,
per la sua irrisorietà, lesione al prestigio della profes sione. (2)
La Corte, eco. — Svolgimento del processo.
— Il Con
siglio dell'Ordine dei medici di Vicenza, con decisione 26
novembre 1957, infliggeva al dott. Giuntini Carlo la san
zione disciplinare della sospensione dall'esercizio della pro fessione per mesi tre. Il Consiglio riteneva che il dott. Giun
tini avesse esercitato come medico curante in base a par ticolari e personali accordi con la Cassa mutua malattie
per i coltivatori diretti, applicando le tariffe inferiori a
quelle minime stabilite dallo stesso Consiglio ; e ciò mal
grado che, con circolare 14 giugno 1956, il Presidente del
l'Ordine dei medici di Vicenza avesse intimato a tutti i
sanitari della Provincia di sospendere immediatamente
qualsiasi rapporto con detta Cassa mutua (la quale in pre cedenza aveva comunicato allo stesso Ordine provinciale dei medici che la convenzione stipulata in precedenza doveva considerarsi sospesa, non essendo stata ratificata dalla Federazione nazionale delle casse mutue), avvertendo
fra l'altro che gli iscritti alla Cassa mutua avrebbero do
vuto essere considerati normali clienti, ai quali avrebbero
dovuto essere applicate le tariffe normali. Nella sua de
cisione, il Consiglio dell'Ordine considerava tale comporta mento del dott. Giuntini come atto disdicevole al decoro
professionale, meritevole come tale di sanzione discipli nare.
Contro tale decisione il dott. Giuntini propose tempe stivo ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ; e la Commissione, con delibera zione 15 maggio 1959, depositata il 12 settembre e notifi cata all'interessato, ai sensi dell'art. 79 decreto pres. 5 aprile 1950 n. 221, il 19 successivo, ritenne legittima la sanzione
disciplinare inflitta al sanitario, stabilendo peraltro di ridurre la sanzione, onde meglio adeguarla alla entità delle
infrazioni, a mesi due di sospensione dall'esercizio profes sionale.
La Commissione prese in esame la questione dei limiti del potere degli ordini dei medici, e della legittimità del l'azione disciplinare dagli stessi esercitata nei confronti dei
propri iscritti, i quali, attraverso convenzioni individuali con enti assistenziali, si impegnano a prestare la loro opera professionale a tariffa inferiore a quella stabilita dall'Or dine. Essa ritenne che il riconoscimento del potere tariffario
degli Ordini dei medici non potesse essere contestato, alla luce della legislazione vigente ; configurando il detto potere come manifestazione del più ampio potere di vigilanza alla conservazione del decoro e dell'indipendenza degli ordini
stessi, attribuito al Consiglio dell'Ordine dell'art. 3, lett.
b), decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233. Il decoro della
professione, infatti, non può essere disgiunto dalla fissa
zione di limiti minimi tariffari, al di sotto dei quali i com
pensi riscossi dai professionisti devono considerarsi non
adeguati ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa, ossia devono considerarsi lesivi del decoro della professione.
(2) In senso conforme, da ultimo, Cass. 18 febbraio 1959, n. 504, Foro it., 1959, I, 973 (e a col. 1525 con osservazione di Musatti, Il compenso del medico) ; 15 giugno 1959, n. 1428, ibid., 1490 (pubblicata insieme a Cass. 24 giugno 1958, n. 2250), con ampia nota di richiami. In dottrina : Giuliano, Ordini ed albi professionali, Roma, 1960, pagg. 30, 31 ; Piscione, Ordini e collegi professionali, Milano, 1959, pag. 94 ; Abienzo, Potestà
disciplinare e tariffaria degli ordini dei medici, in Giust. civ., 1959, I, 840 ; Lega, In tema di procedimento e di responsabilità disciplinari relativi all'esercizio delle professioni sanitarie, in Giur. it., 1959, I, 1, 997 ; Rabaglietti, Gli ordini dei medici nella loro funzione giurisdizionale regolamentare e normativa di tutori del decoro professionale, in Corriere amm., 1959, 1901.
Il Foro Italiano — Volume LXXXI1I — Parte I-121.
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1891 PARTE;;PRIMA 1892
L'esercizio del potere di stabilire tariffe non costituisce
quindi esercizio di attività sindacale, che sarebbe contraria
alle funzioni istituzionali degli ordini sanitari, ma è espli cazione del potere di apprezzamento, demandato all'or
gano direttivo degli Ordini, delle esigenze di vita e delle
circostanze di ambiente, atte ad assicurare a tutti gli iscritti
una libera esistenza nella collettività organizzata. Da tali premesse la Commissione centrale dedusse clie
solo l'Ordine può consentire, in vista del raggiungimento di scopi particolari, deroghe alle tariffe minime, da esso
fissate, in favore di determinate categorie di clienti ; che
il singolo iscritto non ha il potere di derogare alla tariffa,
e non può stipulare accordi individuali a condizioni più basse dei minimi tariffari ; che l'Ordine ha il diritto di
conoscere il contenuto degli accordi individuali, che siano
eventualmente stipulati dai suoi iscritti con enti, al fine di
potere esercitare la vigilanza, in difesa del decoro e dell'indi
pendenza dei professionisti. Contro la decisione della Commissione centrale il dott.
Giuntini ha proposto ricorso per cassazione, notificando il
ricorso il 16 settembre 1959 al Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Vicenza, alla Commissione centrale
per gli esercenti le professioni sanitarie, ed al Prefetto di
Vicenza, quest'ultimo presso il suo ufficio in detta Città.
Il ricorso veniva depositato il 5 ottobre successivo.
In data 10 dicembre 1959, il ricorrente, riconoscendo
l'irritualità della notificazione del ricorso al Prefetto presso il suo ufficio, notificava, al fine di integrare il contraddit
torio, lo stesso ricorso al Prefetto presso l'Avvocatura ge nerale dello Stato di Roma.
Gli intimati non si costituivano. L'11 novembre 1959,
invece, depositava controricorso il Consiglio dell'Ordine
dei medici della 1 rovincia di Vicenza, sostenendo in via
preliminare la propria legittimazione a resistere al ricorso ;
e chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso medesimo. Il
Primo presidente di questa Corte suprema disponeva, ai
sensi dell'art. 374 cod. proc. civ., che, per le questioni di
particolare importanza dibattute fra le parti, la Corte di
cassazione si pronunciasse a Sezioni unite.
Le parti presentavano memorie illustrative : il ricor
rente deduceva l'illegittimità dell'intervento del Consiglio dell'Ordine dei medici di Vicenza chiedendo, all'udienza
di discussione, che la Corte volesse pronunciarsi in via
preliminare sulla questione relativa alla detta legittimità. Questa Corte però, ritenuto che è principio generale
della nostra legislazione, applicabile quindi anche al pro cedimento di cassazione, che le questioni relative all'in
tervento vengano decise insieme con il merito (art. 272
cod. proc. civ.), che la facoltà, data al giudice istruttore
dal detto art. 272, di rimettere separatamente al collegio la
decisione della questione relativa all'intervento, in rela
zione alla possibilità di definire più speditamente il giudizio, non può essere configurata in Cassazione, sia per la parti colare struttura del procedimento di cassazione, sia perchè, dovendo comunque la decisione della Corte avere carattere
di pronuncia definitiva, non vi è alcun motivo di separare la decisione dell'incidente da quella di merito, non potendo essere in alcun caso la pronuncia ritardata ; con ordinanza
pronunciata all'udienza respingeva la richiesta, e disponeva che la questione preliminare relativa all'intervento fosse
decisa insieme al merito.
Motivi della decisione. — La prima questione che questa Corte suprema è chiamata a risolvere, riguarda la legitti mità dell'intervento che il Consiglio dell'Ordine di Vicenza
ha spiegato, per resistere al ricorso proposto dal dott.
Giuntini contro la decisione pronunciata dalla Commissione
centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. La que
stione, anzi, ha portata più vasta che non la sola legitti mità dell'intervento, perchè deve essere prospettata in
termini diversi : se cioè nel giudizio di cassazione il Con
siglio dell'Ordine che ha emesso il provvedimento a suo
tempo impugnato innanzi la Commissione, sia parte ne
cessaria : se, quindi, esso possa eventualmente impugnare la decisione della Commissione e ad esso debba essere no
tificato il ricorso proposto dal sanitario sottoposto a proce dimento disciplinare.
La giurisprudenza di questa Corte è stata finora orien
tata, nel senso di escludere che l'Ordine dei medici sia
legittimo contraddittore nel giudizio di cassazione ; di
negare la legittimazione dell'Ordine stesso ad impugnare le decisioni della Commissione, e di ritenere che il ricorso
per cassazione non debba essere obbligatoriamente no
tificato al Consiglio dell'Ordine (sentenze 5 ottobre 1955, n. 2832, Foro it., Eep. 1955, voce Professioni intellettuali, nn. 25, 28 ; 24 ottobre 1955, n. 3462, ibid., nn. 26, 27 ; 9
aprile 1956, n. 1033, id., Eep. 1956, voce cit., nn. 24, 25 ; 25 maggio 1956, n. 1782, ibid., nn. 26, 27 ; e 18 dicembre
1957, n. 4739, id., Eep. 1957, voce cit., nn. 69, 70). A questa soluzione la t orte pervenne, interpretando l'art. 68 rego lamento 5 aprile 1950 n. 221, secondo il quale «il ricorso
alle Sezioni unite della Corte di cassazione avverso la de
cisione della Commissione può essere proposto entro t enta
giorni dalla sua notificazione, dall'interessato, dal prefetto o dal procuratore della Eepubblica » ; in relazione anche
alle disposizioni che prescrivono la notificazione, d'ufficio, da parte della segreteria della Commissione, della deci
sione da questa pronunciata, all'interessato, al procuratore della Eepubblica ed al prefetto, ma la sola comunicazione della decisione stessa al Consiglio dell'Ordine. La Corte ebbe a considerare che le norme del citato regolamento intesero affidare la tutela dei pubblici interessi che ine riscono alle decisioni riguardanti l'esercizio delle profes sioni sanitarie, agli organi ora ricordati (prefetto e procu ratore della Eepubblica), non riconoscendo invece, per il
giudizio di cassazione, una legittimazione all'Ordine dei
medici.
E, in realtà, le disposizioni ora ricordate (art. 68 re
golamento) non consentono altra interpretazione ; special mente se confrontate con le norme atli'art. 54 (ricorso, contro le decisioni del Consiglio dell'Ordine, alla Commis
sione centrale), le quali espressamente dispongono che il
ricorso deve essere notificato anche all'autorità che ha
emesso il provvedimento impugnato (cioè, il Consiglio del
l'Ordine, o la Federazione), che perciò è legittimo contradit tore nel giudizio innanzi la Commissione. La tesi, suggerita
oggi dall'Ordine di Vicenza, che nella dizione « interessato »,
adoperata dall'art. 68, debba intendersi compreso anche
l'Ordine dei medici, e che perciò questi, se soccombente,
possa proporre ricorso in Cassazione contro la decisione della
Commissione, e sia senz'altro contraddittore necessario nel caso di ricorso proposto dal sanitario, o dal procuratore della Eepubblica, o dal prefetto, non può essere infatti accolta : essendo chiaro, dal 1° comma dello stesso art. 68
(che prescrive la notificazione della decisione « all'interes sato », e la sola comunicazione al Consiglio dell'Ordine), che la legge, con la espressione « interessato », ha inteso indicare (come uel resto può facilmente desumersi dall'in
terpretazione letterale della parola) il solo sanitario nei
riguardi del quale è stato emesso il provvedimento im
pugnato. Ciò nonostante questa Corte suprema, melius re per
pensa, ritiene di dovere, in base a considerazioni diverse, mutare il proprio precedente indirizzo ; e stabilire che il
Consiglio dell'Ordine che ha emesso il provvedimento è non soltanto legittimato a resistere al ricorso per cassa
zione, ma è parte necessaria nel giudizio innanzi la Corte
suprema (con la conseguente facoltà di impugnare per cas sazione la decisione, ad esso Consiglio sfavorevole, della
Commissione centrale). Il Consiglio dell'Ordine dei medici di Vicenza, infatti,
esattamente contesta la legittimità della disposizione del l'art. 68 già ricordato.
Non si tratta evidentemente di una questione di
legittimità costituzionale, poiché il decreto pres. 5 aprile 1950, che è un regolamento di esecuzione (autorizzato espres samente dall'art. 28 del decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233), non è « atto avente forza di legge », al quale pos sano applicarsi le norme sui giudizi di legittimità costitu zionale (art. 134 Cost.) ; ma di una questione di conformità del regolamento (atto del potere esecutivo) alla legge, questione di competenza del giudice ordinario che, ai sensi dell'art. 5 della legge sull'abolizione del contenzioso am
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ministrativo, non deve applicare il regolamento non conforme alla legge. Ed è ciò clie si riscontra nella specie.
È il caso infatti di ricordare (i principi, già fissati da
questa Corte suprema, con la sentenza5ottobre 1955, n. 2832.
cit., non formano oggetto di contestazione fra le parti) che
il Consiglio dell'Ordine dei medici,.che pronuncia in materia
disciplinare, non è organo di giurisdizione speciale, ma
organo amministrativo, che emette un provvedimento am
ministrativo. Al contrario, è organo di giurisdizione spe ciale la Commissione centrale per gli esercenti le profes sioni sanitarie, innanzi alla quale sono impugnati i provve dimenti del Consiglio ; e le decisioni della quale (pronun ciate « in nome del popolo italiano », art. 66 regol.) sono
provvedimenti giurisdizionali. Ora è chiaro (ed è espressamente confermato dall'art.
54 regol.) che, nel giudizio che si svolge innanzi al giudice
speciale (il quale ha, in materia disciplinare, giurisdizione
esclusiva), il provvedimento debba essere impugnato nei
confronti dell'organo o ente che lo stesso ha emesso, e
cioè, nella specie, nei confronti dell'Ordine dei medici, che
nel giudizio innanzi al giudice amministrativo è perciò contraddittore necessario (anche se, ovviamente, l'auto
rità che ha emesso il provvedimento non è legittimata ad
impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento me
desimo). L'art. 54 ora citato dispone che nel giudizio innanzi
la Commissione il contraddittorio deve essere integrato con l'intervento del prefetto e del procuratore della Ke
pubblica, i quali a loro volta sono legittimati ad impugnare il provvedimento ; sì che in quel giudizio si verifica un litis
consorzio necessari, essendo chiamati a parteciparvi l'in
teressato, il Consiglio dell'Ordine, il prefetto ed il procuratore della Repubblica. È evidente, di conseguenza, che, ammesso
il ricorso per cassazione contro la decisione della Commis
sione centrale, per il principio generale contenuto nella
legge processuale generale, ogni impugnazione può essere
proposta dalla parte soccombente, che ha interesse alla
riforma o all'annullamento della decisione ; ed ogni impu
gnazione deve essere proposta nei confronti di tutti coloro
che furono parti nel giudizio in cui fu emessa la decisione
impugnata (art. 100, 102, 331 cod. proc. civ.). Non è qui il
caso di esaminare la questione, prospettata dall'Ordine
resistente, se una legge possa derogare ai principi ora ricor
dati ; oppure se quei principi, riguardanti il diritto inviola
bile di difesa in ogni stato e grado del procedimento, siano
assurti a norma di efficacia costituzionale in virtù dell'art.
24 Cost., e quindi occorra una legge costituzionale per
derogare alla disposizione che assicura al soccombente il
diritto di impugnazione : e ciò perchè, nella specie, la legge
speciale (e cioè il decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233,
sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie) non ha affatto derogato alle norme stabilite dal codice di
rito civile ; anzi vi si è espressamente richiamato, allorché
(art. 19) ha stabilito che contro le decisioni della Commis
sione centrale è ammesso ricorso alle Sezioni unite della
Cassazione, a norma dell'art. 362 cod. proc. civ. (cioè per soli motivi attinenti alla giurisdizione del giudice speciale :
l'impugnazione ora è consentita, come questa Corte su
prema ha costantemente ammesso nelle sentenze già ricordate, anche per violazione di legge, in virtù del so
pravvenuto art. Ill Cost.). La legge quindi, richiamandosi
alle norme del codice di rito civile, ha indubbiamente vo
luto che il ricorso per cassazione possa essere proposto da
tutti coloro che furono parti nel giudizio innanzi al giudice
speciale ; e debba essere proposto nei confronti di tutti. La
norma regolamentare (art. 68 decreto pres. 5 aprile 1950
n. 221) volle escludere il Consiglio dell'Ordine dal giudizio di cassazione, sottraendo la facoltà di impugnare la deci
sione, e disponendo che esso non sia parte in quel giudizio. Con tale disposizione, il regolamento, anziché dettare una
norma di esecuzione della legge, introdusse una deroga alle disposizioni della legge speciale, e del codice di rito
civile : deroga non conforme alla legge stessa, e che perciò, in virtù del ricordato art. 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, deve essere disapplicata dal giudice.
Per tali motivi questa Corte suprema ritiene che, ai
sensi delle norme legislative contenute nel codice di pro cedura civile, e richiamate dall'art. 19 della legge del 1946, il ricorso per cassazione contro le decisioni della Commis sione centrale possa essere proposto anclie dal Consiglio dell'Ordine che emise il provvedimento amministrativo
impugnato ; e debba essere notificato comunque anche allo stesso Consiglio. Nel caso concreto, il difetto di notifica del ricorso al Consiglio dell'Ordine di Vicenza è evidente mente sanato dalla volontaria costituzione in giudizio dello stesso Consiglio : la cui partecipazione al giudizio di cassazione deve perciò ritenersi legittima.
Nel merito, il ricorrente segnala l'errore di diritto in cui sarebbe caduta la Commissione centrale, nel ritenere che i Consigli dell'Ordine dei medici abbiano la facoltà di imporre agli iscritti tariffe minime, sia pure a tutela del decoro della professione ; e di avere, di conseguenza, ri tenuto passibile di sanzione disciplinare un sanitario, per il solo fatto di avere stipulato individualmente una conven zione con un ente assistenziale, accettando onorari inferiori al minimo stabilito. A sostegno delle sue ragioni, il ricor rente si richiama alla costante giurisprudenza di questo Supremo collegio, secondo la quale il Consiglio dell'Ordine dei medici, istituito con finalità di interesse pubblico, non
può esercitare il potere disciplinare ad esso conferito dalla
legge a tutela di interessi meramente sindacali (sentenze 20 giugno 1955, n. 1908, Foro it., 1956, I, 1964; 18 feb
braio 1959, n. 503, id., 1959, I, 473 ; 18 febbraio 1959, n. 504, id., Rep. 1959, voce Professioni intellettuali, n. 57 ; 15 maggio 1959, n. 1425, id., 1959, I, 1490 ; 21 marzo 1959, n. 853, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 58, 59).
La Commissione centrale, pur aderendo formalmente al
principio secondo il quale dai compiti istituzionali del
Consiglio dell'Ordine esula la tutela di interessi sindacali, lia però ritenuto nella specie che il fatto del sanitario, di
avere convenuto tariffe inferiori al minimo fissato dai con
sigli, sia passibile di sanzione disciplinare, perchè l'Ordine
dei medici avrebbe un potere tariffario, al fine di tutelare il decoro e l'indipendenza nell'esercizio della professione, onde la violazione dei minimi di tariffa costituirebbe ipso iure un fatto disdicevole al decoro professionale, contem
plato nell'art. 38 regol. n. 221 del 1950, quale motivo per sot
toporre il responsabile a sanzioni disciplinari. La Corte osserva che non può accettarsi il punto di
partenza da cui la decisione impugnata ha preso le mosse ; e cioè che la legislazione attuale attribuisca al Consiglio dell'Ordine il potere di fissare tariffe per gli onorari, con
carattere assolutamente obbligatorio. Tale conclusione non
può essere tratta da nessuna disposizione legislativa vi
gente ; non dalla legge istitutiva dei Consigli dell'Ordine, la quale ha inteso ricostituire gli Ordini professionali con
finalità di interesse pubblico (compilazione e tenuta degli albi professionali ; vigilanza sulla conservazione del decoro
e della indipendenza dell'Ordine ; iniziative a carattere scien
tifico e culturale : art. 3 decreto legisl. 13 settembre 1946 n. 233) : sottraendo quindi alla competenza degli Ordini
tutte quelle funzioni, di carattere sindacale, o meglio di tutela degli interessi economici dei professionisti, che sono
attribuite, e non possono non essere attribuite anche nel
l'attuale ordinamento costituzionale, alle associazioni sin
dacali (art. 39 Cost.). E, d'altra parte, contrasterebbe al
principio della libertà sindacale, affermata nel citato ar
ticolo della Costituzione, l'affidare la rappresentanza
degli iscritti, per quanto riguarda i loro interessi economici, ai Consigli dell'Ordine, enti pubblici necessari. Tanto vero
ciò, che la legge ha dovuto espressamente conferire al Con
siglio dell'Ordine la facoltà di interporsi per tentare una
conciliazione nelle controversie in materia di onorari ; ed
ha subordinato tale facoltà alla espressa richiesta degli interessati (art. 3r lett. g, della legge citata).
Nè la asserita potestà tariffaria può desumersi dalle
altre disposizioni di legge ricordate dalla decisione impu
gnata. e dal resistente Consiglio dell'Ordine di Vicenza.
Non certamente dall'art. 6 legge 29 dicembre 1956 n. 1533, che dispone che le tariffe professionali dei medici, iscritti
negli elenchi delle casse mutue per l'assicurazione obbli
gatoria contro le malattie per gli artigiani, sono stabilite
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1895 PARTE PRIMA 1896
per ogni provincia tra le presidenze provinciali delle casse
mutue e l'Ordine dei medici : perchè proprio questa dispo sizione, eccezionale in materia, è la dimostrazione che la
facoltà di imporre tariffe con efficacia obbligatoria anche
verso gli estranei, non può intendersi attribuita ai Consigli
degli Ordini dalle leggi istitutive, tanto che è stata neces
saria una apposita norma di legge per riconoscerla in un
caso particolare. Lo stesso Consiglio dell'Ordine di Vicenza, del resto, riconosce che per attribuire efficacia alla tariffa
anche verso gli estranei occorre una norma specifica di
legge (ed è tale quella relativa alla tariffa degli avvocati
e procuratori, che la legge 7 novembre 1957 n. 1057 af
fida al Consiglio nazionale forense, con l'approvazione del
Ministro per la giustizia) ; ma sostiene che all'Ordine dei
medici è attribuito istituzionalmente in materia un potere
regolamentare, di carattere interno, i cui destinatari cioè
sono i sanitari iscritti all'Ordine, per i quali le tariffe stesse
sono obbligatorie, per lo meno (ed è questo il punto che
interessa l'attuale controversia) per quanto riguarda i
minimi : la violazione dei quali deve intendersi integrare un fatto contrario al decoro ed alla dignità professionale. A sostegno di tale tesi l'Ente resistente richiama alcuni
testi di legge : alcuni dei quali, però, non sono conferenti, ed altri devono ritenersi abrogati. È certamente non de
cisiva alla risoluzione della questione nel senso propugnato dal resistente la legge 30 dicembre 1958 n. 1175, che vieta
agli Ordini professionali di fissare tariffe differenziate in
favore di liberi docenti (art. 10) : norma la quale, secondo
il Consiglio resistente, costituirebbe una interpretazione autentica circa la esistenza della potestà tariffaria degli Ordini. Argomentazione alla quale è facile replicare che
la norma dell'art. 10 ha inteso riferirsi certamente a quegli Ordini professionali, cui la potestà tariffaria è attribuita
alle leggi istitutive ; ma non può essere certamente inter
pretata nel senso che abbia potuto introdurre, così indi
rettamente e a contrario, una deroga alle disposizioni che, come si è detto, non consentono agli Ordini delle profes sioni sanitarie di esercitare il potere regolamentare di
stabilire tariffe obbligatorie. E del resto quella norma, così applicata anche agli Ordini dei medici, proverebbe
troppo, perchè presupporrebbe il potere di fissare delle
tariffe anche con efficacia esterna (nei rapporti cioè tra
sanitario e cliente) : tesi questa, come si è detto, non
sostenuta in definitiva neppure dall'Ente resistente.
A sostegno della sua tesi, della vincolatività assoluta
delle tariffe per i sanitari iscritti, il Consiglio dell'Ordine
cita anche un decreto del Capo del Governo 7 agosto 1937
n. 2061, secondo il quale il Capo del Governo avrebbe
dovuto approvare le tariffe nazionali per i professionisti ; decreto che precisa che dette tariffe devono fissare il
minimo compatibile con il decoro professionale, salva la
facoltà di esercitare gratuitamente la funzione in casi
particolari. Da tale norma si dedurrebbe che l'accettare onorari
inferiori alle tariffe stabilite costituirebbe fatto lesivo del
decoro professionale, e come tale passibile di sanzione
disciplinare. Senonchè è chiaro che il decreto in questione (il quale
dispone che la tariffa, nazionale, deve essere deliberata
dalla « Corporazione » della professione, ai sensi dell'art. 10
legge 5 febbraio 1934 n. 163) presuppone in vigore ed
operante il sistema sindacale corporativo : e, in particolare, l'esistenza di una Corporazione, cui sia affidata anche la
tutela degli interessi economici del professionista. Onde
non può certo negarsi che, con la soppressione del detto
ordinamento (avvenuta con decreto legisl. 23 novembre
1944 n. 369, e disposizioni successive), il decreto in esame
sia stato abrogato, per incompatibilità con le norme poste riori ; così come deve ritenersi abogato l'art. 4, 3° comma, della legge sanitaria (r. decreto 27 luglio 1934 n. 1265), secondo il quale i sanitari condotti avevano l'obbligo di
prestare la loro opera in base a speciali tariffe, proposte
per ciascuna provincia dfill'associazione sindacale ricono
sciuta, ed approvata dal prefetto, norma che presupponeva l'esistenza di sindacati unici obbligatori. E non può soste
nersi che quelle attribuzioni, conferite a sindacati e corpo
razioni dall'ordinamento sindacale fascista, siano state
automaticamente trasferite ai ricostituiti Ordini profes
sionali, dal momento che, come si è detto, e come chiara
mente risulta dalla legge istitutiva, tali Ordini, enti pub blici necessari, sono stati ricostituiti per la tutela di pub blici interessi, e per la difesa del decoro della professione ; e non per la tutela di interessi economici o sindacali dei
professionisti. Il principio di diritto affermato dalla deci
sione impugnata (vincolatività assoluta dei minimi di
tariffa per i sanitari iscritti all'Ordine), è perciò inesatto
e perciò la decisione, la quale da quell'asserita assoluta
vincolatività trasse la conseguenza che il sanitario, il quale violi i minimi tariffari, incorre necessariamente in un illecito
disciplinare, merita di essere annullata.
Questa Corte suprema però non negò che gli Ordini
professionali abbiano la facoltà di stabilire direttive, che
servano di guida agli iscritti, nelle richieste degli onorari
dovuti per la prestazione della loro opera, indicando massimi
o minimi di tariffa. Tale facoltà, come già ebbero a rico
noscere queste Sezioni unite (sentenza 18 febbraio 1959,
n. 503, cit.) non può certo negarsi : esso deriva dagli stessi
compiti istituzionali degli Ordini, i quali d'altra parte ne fissano i limiti. Perchè è certamente lecito, nell'attività
di vigilanza alla conservazione del decoro e della indipen denza dell'Ordine (art. 3, lett. 6, decreto legisl. 13 settembre
1946 n. 223), stabilire, a titolo indicativo, i minimi di
tariffa che i sanitari ordinariamente è consigliabile che
osservino ; ma non è lecito, perchè esorbiterebbe dai com
piti istituzionali dell'Ordine, fissare le dette tariffe a tutela
di interessi sindacali (ad esempio, sorreggere una azione
intrapresa con finalità sindacali, contro determinati enti
mutualistici, o, in senso più largo, a tutela di interessi
economici dei professionisti) e tanto meno esercitare il
potere disciplinare, che spetta ai Consiglio dell'Ordine
soltanto nei limiti, già ricordati, dell'art. 38 del regola
mento, a protezione di detti interessi (ad esempio, per
disciplinare la concorrenza tra i vari professionisti). Se la violazione, da parte di un sanitario, dei mi
nimi tariffari, non può integrare di per sè una infrazione
disciplinare, purtuttavia questa Corte non può escludere
che, nel caso con< reto, l'avere accettato o convenuto con
enti mutualistici tariffe inferiori ai minimi, ed anche, come
nella specie, durante una contestazione fra Ordini dei
medici e casse mutue (contestazioni alla quale, malgrado le contrarie affermazioni dell'Ente resistente, non può certo negarsi natura di carattere sindacale : tanto vero
che la preesistente convenzione fu denunciata dalla Cassa
mutua e l'Ordine dei medici, a ritorsione, diffidò gli iscritti
dal trattare individualmente), non possa costituire quel fatto disdicevole al decoro ed al prestigio professionale, che autorizza il procedimento e le sanzioni disciplinari. Il divieto di trattare individualmente era certamente
illegittimo, perchè disposto a tutela di interessi economici ; e una sanzione disciplinare al sanitario che avrebbe potuto essere irrogata per il solo fatto di avere trasgredito ad una
imposizione, alla quale, per essere stata impartita fuori
dalla sfera istituzionale di competenza dell'Ordine, il
sanitario medesimo non era tenuto ad ottemperare. Ma
che nel caso concreto la tariffa ridotta convenuta fra
sanitario ed ente mutualistico fosse tale da costituire per la sua irrisorietà lesione del prestigio della professione, è
pur sempre possibile ; ed in questo caso legittimamente l'Ordine dei medici avrebbe esercitato, nei confronti del
sanitario responsabile, la potestà disciplinare. La decisione impugnata non deve, per i motivi suesposti,
essere cassata senza rinvio, non potendosi escludere a priori
che, pur nel corso di una controversia di carattere sindacale,
l'interessato abbia usato della libertà che gli è assicurata
in materia, in modo da ledere il prestigio della professione di medico. Sarà compito della Commissione in sede di rinvio,
compiere quella indagine (che ha completamente omesso
nella decisione impugnata), diretta a stabilire se, nel caso
concreto, l'attuale ricorrente, con la convenzione posta in essere individualmente con l'ente mutualistico, ed in
rapporto alle condizioni concretamente accettate, abbia
commesso quel fatto disdicevole al decoro professionale
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1897 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1898
il quale soltanto, ai sensi dell'art. 38 decreto pres. 5 aprile 1950 n. 221, avrebbe potuto autorizzare l'Ordine dei medici
all'esercizio della potestà disciplinare. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
I
Sezione I civile ; sentenza 3 novembre 1960, n. 2967 ; Pres.
Fragali P., Est. Akras, P. M. Colonnese (conci,
conf.) ; Eedaelli (Avv. Corsale) c. Finanze (Avv. dello
Stato Salerni).
(Conferma App. Milano 6 febbraio 1959)
Guerra (provvedimenti per la) ■— Legge 23 dicembre
1948 n. 1451, art. 1 — Ambito di applicazione (L. 23 dicembre 1948 n. 1451, termine per l'avocazione
dei profitti eccezionali di contingenza, art. 1 ; d. 1. 28
aprile 1947 n. 330, avocazione profitti eccezionali di
speculazione, art. 1). Guerra (provvedimenti per la)
— l'roiitti di contin
genza — Riscossione —- Sequestro ■— Ammis
sibilità — Limiti (E. d. 3 giugno 1943 n. 598, istitu
zione imposta straordinaria sui profitti di guerra, art. 19).
Il 2° comma dell'art. 1 legge 23 dicembre 1948 n. 1451 non
configura una nuova categoria di profitti di contingenza diversa da quelle contemplate dal decreto legisl. 28 aprile 1941r n. 330, ma è applicabile a profitti già indicati in
quest'ultima legge e che traggano origine da attività ed
operazioni implicanti comunque violazione di legge e di
regolamenti. (1) Il sequestro fiscale contemplato nell'art. 19 del t. u. 3 giugno
1943 n. 598 è applicabile anche alla procedura di accerta
tamelo e riscossione dei profitti di contingenza. (2) Sussiste il pencolo che giustifica la richiesta di sequestro in
sede d'accertamento e riscossione di profitti di contingenza,
quando si tratti di accertamento di rilevante entità. (3)
II
Sezioni unite civili ; sentenza 4 luglio 1960, n. 1754 ; Pres.
Cataldi P., Est. Pece, P. M. Criscuoli (conci, conf.) ; Venturi (Avv. Cavallo, Andrioli) c. Finanze (Avv. dello Stato Foligno).
(Cassa App. Bologna 4 aprile 1958)
Fascismo (sanzioni contro il) — l'roiitti di regime •—- Avocazione — Sequestro — Responsabilità j
aggravata —■ Aceertamento in separato giudizio — Ammissibilità — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043 ; cod. proc. civ., art. 96 ; d. 1. 1. 27 luglio 1944 n. 159, sanzioni contro il fascismo, art. 26; d. 1. 1.
26 marzo 1946 n. 134, avocazione profitti regime, art. 1).
Può chiedersi in autonomo giudizio la condanna della pub blica Amministrazione al risarcimento dei danni a titolo
di responsabilità processuale aggravata per aver fatto
eseguire sequestro conservativo a garanzia dell'avocazione
di profitti di regime riconosciuti insussistenti dal giudice amministrativo. (4)
Ottenuto sequestro conservativo a garanzia dell'avocazione di
profitti di regime, il giudice ordinario può conoscere
della pretesa responsabilità per danni della pubblica
Amministrazione, per il periodo antecedente alla pro
li) La sentenza confermata, App. Milano 6 febbraio 1959,
leggesi in Foro it., 1959, I, 1375, con nota di Morbillo, Osser vazioni in tema di profitti di contingenza.
nunzio, definitiva di insussistenza dei 'profitti avocabili, solo se si deduca un'attività arbitraria della pubblica Amministrazione, mentre per il periodo successivo deve
indagare dell'esistenza d'una eolpa nel mantenimento del
sequestro. (5)
I
La Corte, ecc. — I due ricorsi, proposti contro la stessa
sentenza, devono essere riuniti in un unico processo, sotto
il numero di ruolo più antico.
Seguendo il normale ordine logico deve precedere l'esame
del ricorso dell'Amministrazione delle finanze dello Stato,
perchè propone questioni pregiudiziali rispetto a quelle del
ricorso del Redaelli.
L'Amministrazione delle finanze denuncia, infatti, la
violazione e la falsa applicazione del 2° comma dell'art. 1
legge 23 dicembre 1948 n. 1451 in relazione ai comma 1° e
3° dello stesso articolo ed all'art. 3 della stessa legge, nonché
agli art. 1 e 3 decreto legisl. 28 aprile 1947 n. 330 ed al
l'art. 9 legge 18 giugno 1936 n. 1231 ed all'art. 360, nn. 3
e 5, cod. proc. civ. e sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, il 2° comma dell'art. 1
legge 23 dicembre 1948 n. 1451 configura una nuova ca
tegorìa di profitti di contingenza, diversa da quella con
templata dal decreto 28 aprile 1947 n. 330, riconducibile
sotto il riflesso eziologico all'illecito ed alle violazioni delle
leggi e dei regolamenti. Il motivo non è fondato. Il problema esegetico, dallo
stesso riproposto, ha ricevuto nella sentenza impugnata la sua giusta soluzione.
È esatto che il 1° comma dell'art. 1 legge 23 dicembre
1948 n. 1451 si riferisce ai profitti eccezionali di contin
genza contemplati dal decreto legisl. 28 aprile 1947 n. 330,
perchè è con esplicito riferimento ai medesimi che è stata
fissata la data (31 dicembre 1948) oltre la quale non avrebbe
dovuto essere applicata l'imposta straordinaria, ma è del
pari esatto che agli stessi profitti eccezionali di contingenza fa riferimento il 2° comma dello stesso articolo, allorché
stabilisce che « nei casi in cui i profitti eccezionali di con
tingenza traggano origine da attività ed operazioni implicanti violazioni di legge e regolamenti, essi. . . sono soggetti ad
avocazione anche se conseguiti dopo il 31 dicembre 1948 ».
Il contrario assunto dell'Amministrazione delle finanze
è resistito anzitutto dalla lettera della legge. La Corte di
merito ne ha dato ampia e chiara dimostrazione, quando ha posto in evidenza che, ove i profitti considerati dal 2°
comma fossero stati diversi da quelli contemplati dal de
creto legisl. 28 aprile 1947 n. 330, altra sarebbe stata la
loro denominazione, non potendosi consentire, senza ac
cusare il legislatore di grave improprietà nel linguaggio, che il medesimo avesse usato la stessa formula per indicare
una nuova categoria di profitti caratterizzata unicamente
dalla sua provenienza illecita, indipendentemente dalle
(2-5) In senso conforme alla quarta massima, la sentenza resa in primo grado nella controversia ora decisa dalla Cassa
zione, Trib. Bologna 29 agosto 1956, Foro it., 1956, I, 1744, con ampia nota di richiami.
L'impossibilità di proporre in giudizio autonomo la domanda di risarcimento danni ex art. 96, 2° comma, è affermata da Trib. Roma 31 marzo 1958, id., 1958, I, 885, con ampia nota
di richiami.
App. Milano 26 giugno 1957 (id., Rep. 1957, voce Guerra, n. 45) ha ritenuto che il decreto di sequestro per profitti di con
tingenza concesso dal presidente del tribunale è per natura irrevocabile e produce, quanto alla indisponibilità dei beni,
gli stessi effetti della sentenza di convalida, pur non acqui stando efficacia di giudicato.
Per riferimenti, sulla quinta massima, v. Cass. 16 luglio 1957, n. 2901, id., 1958, I, 1850.
Sulla natura del sequestro disposto a garanzia dell'avoca
zione profitti regime, Cass. 5 maggio 1951, n. 1061, id., 1951,
I, 1035, con nota di Berliri, Natura ed impugnabilità dei prov vedimenti del presidente del tribunale emessi in materia di sequestro di beni soggetti all'avocazione di profitti di regime.
La sentenza n. 1754 in epigrafe è illustrata da V. D'Orsi, in Mon. trib., 1960, 727.
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