Sezioni unite civili; sentenza 16 luglio 1983, n. 4895; Pres. Gambogi, Est. Lo Surdo, P. M. Fabi(concl. conf.); Fantini e altri (Avv. Paone) c. Comune di Roma (Avv. Galanti). Conferma App.Roma 5 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 2783/2784-2787/2788Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175432 .
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2783 PARTE PRIMA 2784
valutazione discrezionale dell'ente concedente, questo, ove ne ricorrano le condizioni, dovrebbe ritenersi obbligato a vendere l'immobile richiestogli.
Peraltro, è del pari agevole considerare come un notevole
margine di discrezionalità, che consente all'ente, in alcuni casi, di sottrarsi alla vendita, sia rimasto, anche dopo la riforma del
1962, essendo stata mantenuta la previsione della quota di riserva.
Di fronte a tale discrezionalità dell'amministrazione si pone, quindi, il problema, proposto all'esame di queste sezioni unite ai fini della risoluzione del delineato profilo di giurisdizione, se —
restando salva, in presenza di un alloggio astrattamente suscettivo di cessione in proprietà per la sussistenza delle condizioni obiet tive all'uopo richieste, la facoltà discrezionale dell'amministrazio ne di includerlo nella quota di riserva — la pretesa dell'assegna tario abbia natura di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
L'incidenza della quota di riserva nella economia del riscatto — pur essendo stata la sua rilevanza ben avvertita dal legislatore (dai lavori preparatori della 1. del 1962 è stato rilevare i vari orientamenti emersi in ordine alla opportunità o non di conser
vare la detta quota ed ai diversi criteri suggeriti per la costitu zione della stessa [rotazione, mobilità degli alloggi, ecc.]; vedi, in
Atti della IX commissione della Camera dei deputati, anni
1958-1963, p. 680 ss., gli interventi degli onorevoli Degli Occhi. De Pasquale, Venturini, Misefari, Cervone e Magri) — è causa di
notevoli perplessità (potendo essere incluso nella quota di riserva
qualsiasi alloggio che risulti già assegnato o da assegnare in uso). L'esame del problema proposto esige la determinazione della
relazione rapportuale intercorrente tra la pretesa degli assegnatari al riscatto ed il potere dell'ente di riservarsi in proprietà alcuni
alloggi. Va, innanzitutto, rilevato come la indiscriminata assoggettabilità
di tutti gli alloggi economici e popolari all'inclusione in riserva, consacrata nella normativa dettata dal d.p.r. del 1959 e dalla 1.
del 1962, implichi che fino a quando l'ente proprietario non abbia provveduto a costituire la quota, nessuno degli assegnatari
possa pretendere — vale a dire ottenere anche contro la volontà
dell'ente — il trasferimento in proprietà della casa concessagli in
assegnazione, non risultando se la stessa sia o no alienabile (cfr., in tal senso, Cass. 14 maggio 1980, n. 3173, id., Rep. 1980, voce Edilizia popolare ed economica, n. 166).
Va, poi, considerato come la formazione della quota di riserva — effettuata non a posteriori con il residuo degli appartamenti non richiesti in proprietà dagli assegnatari, ma a priori, mediante
la scelta discrezionale degli immobili da conservare al patrimonio dell'ente concedente al fine di assicurare i mezzi necessari all'e
spletamento dei compiti ad esso affidati — valga a privare gli
assegnatari degli alloggi in essa inclusi della possibilità di accede
re al riscatto.
Prima della formazione della quota di riserva, quindi, l'asse
gnatario non può far valere un diritto al trasferimento, essendo esso investito soltanto di una posizione soggettiva di interesse
legittimo, suscettibile di trasformarsi in diritto soggettivo, esclusi
vamente, dopo la formazione della quota, in ordine agli immobili che nella riserva non siano stati ricompresi.
Per modo che — insorgendo in favore degli assegnatari di case economiche e popolari il diritto alla cessione in proprietà, ex art. 4 d.p.r. n. 2 del 1959 (nel testo sostituito dall'art. 2 1. n. 231 del
1962), al momeno dell'assegnazione dell'alloggio, riguardando il
tempo di esercizio del riscatto il 2° comma dell'art. 10 del cit. decreto (nel testo sostituito dall'art. 7 della su richiamata legge), il quale stabilisce che, dopo la partecipazione ad essi da parte degli enti concedenti della notizia degli alloggi compresi nella
quota di riserva, gli assegnatari degli alloggi non compresi in detta quota possono chiedere la cessione in proprietà degli alloggi di cui sono in godimento, va rilevato come tra l'at
tribuzione a tutti gli assegnatari del diritto ad acquistare la
proprietà della casa e la possibilità di esercitare il diritto stesso si ponga il potere dell'amministrazione di rifiutare il trasferimen to di un certo numero di alloggi, includendoli nella quota di
riserva, al fine di conservarli al proprio patrimonio per il
perseguimento dei fini istituzionali.
L'esercizio di tale potere discrezionale, affievolendo il diritto
degli assegnatari degli alloggi ricompresi nella quota di riserva, consente la tutela della posizione dell'assegnatario come interesse
legittimo innanzi al giudice amministrativo.
Pertanto, ove l'amministrazione non includa l'alloggio nella cosiddetta quota di riserva e lasci lo stesso al di fuori dell'area interessata da detta quota, la situazione giuridica soggettiva di cui è investito l'assegnatario, essendo configurabile come diritto
soggettivo perfetto, riceve diretta ed immediata tutela, anche nei
confronti dell'amministrazione, in virtù di norme cosiddette di
relazione, innanzi al giudice ordinario.
Ove, invece, si verifichi l'ipotesi contraria, e cioè che l'ammi
nistrazione, avvalendosi del suo discrezionale potere autoritativo di scelta, ricomprenda l'alloggio nella quota di riserva, all'asse
gnatario non può che riconoscersi una posizione di interesse
legittimo, vale a dire l'interesse alla legittimità dell'azione ammi
nistrativa, tutelabile innanzi al giudice amministrativo per viola zione di norme cosiddette di azione (quali quelle relative all'eser cizio del potere di inclusione degli alloggi nella quota di riserva, alle sue modalità ed alla proporzione fra gli alloggi alienabili e
quelli da riservare al patrimonio dell'ente per la continuazione della funzione istituzionale).
E, a conforto di quanto affermato, vale ricordare come, ai fini
della corretta soluzione del tema proposto, non siano utilizzabili le precedenti decisioni di queste sezioni unite n. 3100 del 2 ottobre 1975 (id., 1976, I, 74) e n. 599 del 26 gennaio 1979 (id., 1979, I, 2410), le quali hanno affermato la giurisdizione dell'auto rità giudiziaria ordinaria, giacché mentre la prima si riferisce ad
alloggi (costruiti dall'I.n.c.i.s. su terreno dell'accademia navale di
Livorno) considerati nell'art. 2 d.p.r. n. 2 del 1959 (e non nel
successivo art. 3), posto che i criteri, in base ai quali un alloggio deve ritenersi appartenente ad una delle categorie indicate in detto articolo sono esclusivamente tecnici e giuridici, e quindi valutabili dal giudice ordinario, la seconda (riguardante alloggi costruiti dall'istituto autonomo per le case popolari per i dipen denti del comune di Roma, non rientrante fra gli enti indicati
nell'art. 3 d.p.r. n. 2 del 1959) ha imposto il criterio discrimina torio delle giurisdizioni (ordinaria ed amministrativa) sulla pro spettazione, e non sulla natura della situazione giuridica soggetti va protetta.
Per modo che deve ritenersi che la discriminazione della
giurisdizione, e la individuazione delle posizioni giuridiche spet tanti, nei diversi momenti, all'assegnatario in ordine alla cessione in proprietà dell'alloggio concessogli in godimento, debbano esse re operate (non in base alla circostanza che la richiesta della
cessione sia stata prospettata prima o dopo la formazione della
quota, ma) in base alla circostanza se l'amministrazione abbia esercitato o no, nel caso concreto, il potere discrezionale di
riservare l'alloggio al suo patrimonio, ricomprendendo lo stesso nella cosiddetta quota di riserva.
Pertanto, in caso di inclusione dell'alloggio nella riserva, la tutela accordata all'assegnatario è quella dell'interesse legittimo innanzi al giudice amministrativo (soltanto, nel caso in cui la
negazione della cessione in proprietà sia conseguente all'illegitti ma inclusione dell'alloggio nella riserva, accertata dal giudice amministrativo, potrebbe riconoscersi all'assegnatario il titolo
per chiedere al giudice ordinario il risarcimento dei danni). Ora — poiché, nell'ipotesi di specie, gli alloggi oggetto di
causa, concessi dall'I.a.c.p. di Palermo agli assegantari in locazio ne semplice, sono stati inclusi dall'ente concedente nella quota di
riserva di cui al 1" comma dell'art. 3 d.p.r. n. 2 del 1959 (come sostituito dall'art. 2 1. n. 231 del 1962) — deve ritenersi che, essendo gli assegnatari ricorrenti, portatori di meri interessi legit timi (e non di diritti soggettivi perfetti) tesi ad ottenere il trasferimento degli immobili goduti in locazione, competente a conoscere della controversia relativa alla pretesa alla cessione in
proprietà degli alloggi fatta valere in giudizio sia il giudice amministrativo, e non il giudice ordinario.
Deve, quindi, concludersi che correttamente il Tribunale di Palermo abbia affermato la giurisdizione del giudice amministra tivo e declinato la propria competenza giurisdizionale in ordine alla vertenza portata al suo esame in merito alla pretesa di trasferimento di proprietà degli alloggi assegnati ai ricorrenti.
In definitiva, il conflitto negativo di giurisdizione fra il Tribu nale ordinario di Palermo ed il Consiglio di giustizia amministra tiva per la regione siciliana, denunciato ex art. 362, 2° comma, c.p.c., va risolto nel senso che debba riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il ricorso per cassazione proposto dai ricorrenti va, perciò, rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 16 lu
glio 1983, n. 4895; Pres. Gambogi, Est. Lo Surdo, P. M. Fabi
(conci, conf.); Fantini e altri (Avv. Paone) c. Comune di Roma
(Aw. Galanti). Conferma App. Roma 5 maggio 1979.
Espropriazione per pubblico interesse — Mancata utilizzazione del bene espropriato — Retrocessione totale e parziale — Criterio distintivo — Fattispecie (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropria zioni per causa di pubblica utilità, art. 60, 63).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Espropriazione per pubblico interesse — Parziale realizzazione
dell'opera — Pretesa alla retrocessione della parte inutilizzata —
Giurisdizione amministrativa (L. 25 giugno 1865 n. 2359, art.
60, 61, 63).
Il criterio discretivo tra l'ipotesi di retrocessione totale e quella di retrocessione parziale di cui, rispettivamente, agli art. 63 e 60 l. n. 2359/1865, va ravvisato nella diversa causa che ha
determinato l'inutilizzazione del bene espropriato, nel senso che
ricorre la prima ipotesi quando l'inutilizzazione del bene derivi
dalla mancata tempestiva realizzazione dell'opera programmata, ovvero dal compimento di un'opera qualitativamente diversa, mentre si verifica la seconda ipotesi allorché l'opera stessa sia
stata effettuata, pur se in termini quantitativamente ridotti
rispetto a quelli in origine previsti (nella specie, è stato
ritenuto che la costruzione di due strade costituisse una par ziale realizzazione della sistemazione edilizia della zona espro
priata, che aveva motivato la dichiarazione di pubblica utilità, e non opera diversa). {1)
Il diritto alla retrocessione parziale del bene espropriato, rimasto
in parte inutilizzato, sorge solo dopo che l'espropriante abbia
dichiarato, con pronuncia che non ammette equipollenti né può essere sostituita da un accertamento del giudice ordinario, che
i beni relitti non servono più per l'opera pubblica; prima di
tale dichiarazione non è configurabile, a favore dell'espropriato, se non una posizione di interesse legittimo tutelabile dinanzi al
giudice amministrativo. (2)
(1) In senso conforme, v., da ultimo, Cass. 20 novembre 1982, n.
6257, Foro it., Rep. 1982, voce Espropriazione per p.i., n. 170; 12
giugno 1979, n. 3308, id., Rep. 1979, voce cit., n. 223. In dottrina, cons. Saitta, La retrocessione dei beni espropriati, Milano, 1974; v.,
anche, A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli,
1982, 770; Cardarelli, Variante al piano regolatore particolareggiato e
retrocessione di immobile ex' art. 63 l. 25 giungo 1865 n. 2359, in
Riv. giur. edilizia, 1978, I, 687; Baraldi, La retrocessione dei beni
espropriati per pubblico interesse, in Nuova rass., 1971, 187; Spagna, Retrocessione parziale e retrocessione totale, in Riv. giur. edilizia, 1970, I, 32.
La ratio dell'istituto della retrocessione parziale fa leva sulla finalità di ricostituire l'originaria unità fondiaria; pertanto, soggetto legittimato è l'espropriato che sia ancora proprietario della parte residua del fondo e non anche colui nei confronti del quale sia stata attuata
l'espropriazione totale del bene: cosi T.A.R. Lazio, sez. I, 3 marzo
1982, n. 224, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 172; Cass. 11 giugno 1980, n. 3708, id., Rep. 1980, voce cit., n. 235; contra in dottrina, Saitta, op. cit., 51, a parere del quale la legge non subordina al
possesso di un ulteriore requisito, oltre la qualità di proprietario espropriato, la legittimazione a domandare la retrocessione.
Per qualche riferimento, in tema di impossibilità di disporre la
retrocessione per avvenuto impiego del bene nella realizzazione di una diversa opera pubblica, v. Cass. 26 aprile 1979, n. 2406, Foro it., 1980, I, 163, con osservazioni di M. Grossi.
Sulla sopravvivenza e compatibilità dell'istituto in esame con la
1. 22 ottobre 1971 n. 865, v. Baraldi, Retrocessione e prelazione nell'ordinamento espropriativo per causa di pubblico interesse, in Nuova rass., 1976, 2413; Caracciolo La Grotteria, Il diritto di
prelazione nell'ordinamento espropriativo di cui alla l. 22 ottobre 1971 n. 865, in Foro amm., 1975, II, 15.
(2) In senso conforme v., tra le più recenti, Cass. 12 giugno 1979, n. 3308, cit.; 18 gennaio 1977, n. 239, Foro it., Rep. 1977, voce
Espropriazione per p.i., n. 77; 14 febbraio 1975, n. 574, id., Rep. 1975, voce cit., n. 75; 28 giugno 1975, n. 2550, ibid., nn. 297, 298; 16
maggio 1973, n. 1483, id., 1973, I, 850, con nota contraria di F.
Satta (per il quale gli art. 60 e 61 1. 2359/1865 disciplinano due
fattispecie differenti, avendo riguardo il primo alla retrocessione ami
chevole e concordata, l'altro a quella decisa unilateralmente dalla p.a.; per cui, nel primo caso, sarebbe ammissibile l'adozione di una
procedura informale). La retrocessione non determina la cessazione di efficacia del decreto
espropriativo; ne consegue che il diritto dell'espropriato nasce ex nunc
(cosi Cons. Stato, sez. IV, 17 novembre 1981, n. 885, id., Rep. 1982, voce cit., n. 38; Cass. 20 maggio 1969, n. 1757, id., Rep. 1969, voce
cit., n. 195; 17 marzo 1967, n. 607, id., Rep. 1967, voce cit., n. 193). A
ben vedere, nella retrocessione parziale la nascita del relativo diritto
potestativo è condizionata non solo dall'accertamento di circostanze di
fatto, quali l'avvenuta ultimazione dell'opera e l'inutilizzazione dei c.d.
beni relitti, ma altresì da un giudizio di inservibilità da parte della
stessa amministrazione espropriante o, in sua vece, del prefetto (il cui
provvedimento si ritiene soggetto al sindacato del giudice amministra
tivo: Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 1966, n. 610, id., Rep. 1967,
voce cit., n. 192): cosi Saitta, op. cit., 22 ss.; contra, sembrerebbe,
Sandulli, op. cit., 770. Cass. 28 giugno 1975, n. 2550, Foro it., Rep.
1975, voce cit., n. 299, ha ritenuto che l'atto con cui la p.a. pone
pubblicamente in vendita un bene espropriato, non utilizzato, integra
gli estremi dell'avviso d'inservibilità di cui all'art. 61 {contra, Cass. 14
febbraio 1975, n. 574, cit. e 30 maggio 1969, n. 1925, id., Rep. 1969, voce cit., n. 196). La competenza del giudice ordinario, prima che sia
intervenuta la dichiarazione di inservibilità, è esclusa dal fatto che
essa involge una valutazione circa la sussistenza di un rapporto di
Il Foro Italiano — 1983 — Parte I-179.
Motivi della decisione. — Col primo motivo del ricorso, deducendosi violazione dell'art. 63 1. 25 giugno 1865 n. 2359 in
relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., si sostiene che, non
essendo stata realizzata nel termine prescritto l'opera pubblica
per la quale venne disposta l'espropriazione dell'area, questa dovrebbe essere retrocessa agli aventi diritti ai sensi del citato
art. 63, applicabile nella fattispecie in quanto era indubbia
l'esistenza di un diritto soggettivo tutelabile dinanzi al giudice ordinario.
In particolare si deduce che la costruzione di due strade
sull'ampia zona espropriata non era sufficiente a giustificare la
diversa ipotesi della retrocessione parziale ex art. 60 e 61 1. n.
2359/1865, ritenuta dalla corte d'appello con la conseguente erronea affermazione della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo sul riflesso che non era stata sollecitata ed emessa
la dichiarazione di inservibilità dei beni relitti da parte della p.a.
Il motivo è infondato. Deve ricordarsi che, secondo i principi affermati sul tema da queste sezioni unite, il criterio differenziale
tra l'ipotesi della retrocessione totale del bene espropriato per ragioni di pubblica utilità di cui all'art. 63 1. n. 2359/1865 e
quella della retrocessione parziale disciplinata dagli art. 61 e 62
stessa legge va ravvisato nella diversa causa che ha determinato, in tutto o in parte, l'inutilizzazione del bene espropriato.
In particolare, ricorre l'ipotesi della retrocessione totale quando l'inutilizzazione del bene derivi dalla mancata tempestiva realiz
zazione dell'opera programmata (art. 13 1. cit.) ovvero dal com
pimento di un'opera qualitativamente diversa, mentre si verifica la retrocessione parziale allorché l'opera medesima sia stata (pur se quantitativamente ridotta rispetto a quella originariamente
prevista) realizzata, e solo il suo completamento possa evidenzia
re, a posteriori, la non necessità di mantenere l'acquisizione di
parte di alcuno degli immobili espropriati (giurisprudenza costan te: cfr. Cass. 12 giugno 1979, n. 3308, Foro it., Rep. 1979, voce
Espropriazione per p.i., n. 223, e altre).
Orbene, nel caso della retrocessione totale il diritto della
retrocessione del bene rimasto inutilizzato nasce ipso iure dalla mancata attuazione, nei sensi anzidetti, dell'opera di cui alla
dichiarazione di pubblica utilità ed è, quindi, immediatamente
tutelabile dinanzi al giudice ordinario, laddove, nell'ipotesi di
retrocessione parziale, il diritto alla retrocessione del bene, rima
sto in tutto o in parte inutilizzato, sorge dopo che l'espropriante abbia dichiarato con pronuncia che non ammette equipollenti, né
può essere sostituita da un accertamento del giudice ordinario, che i beni relitti non servono più per l'opera pubblica.
Prima di tale dichiarazione, correlata ad un potere discreziona
le della p.a. sulla sussistenza o meno di un rapporto di utilità, non è configurabile a favore del soggetto espropriato se non una
posizione di interesse legittimo tutelabile dinanzi al giudice am ministrativo.
Ciò posto, sulla base degli esposti principi è indubbio che, nella specie, si verta nell'ipotesi di retrocessione parziale, e che, non risultando emessa la declaratoria di inservibilità dei beni
residui, non possa ipotizzarsi a favore dei ricorrenti una posizio ne di diritto soggettivo azionabile davanti all'a.g.o.
Non si tratta, infatti, di mancata tempestiva realizzazione
utilità fra relitto e opere, rimessa al potere discrezionale della p.a.: T.A.R. Lazio, sez. I, 3 marzo 1982, n. 224, id., Rep. 1982, voce cit., n. 173; Cass. 20 maggio 1969, n. 1757, id., Rep. 1969, voce cit., n. 202.
Infatti qualora il provvedimento dell'autorità amministrativa compe tente sia annullato d'ufficio, in sede di autotutela, il diritto alla retrocessione viene meno con efficacia ex tunc-, quindi, il giudice ordinario investito della causa, ancorché reputi illegittimo il provvedi mento d'annullamento, non può disapplicarlo {in tal senso, Cass. 24 febbraio 1975, n. 700, id., Rep. 1975, voce cit., n. 304; 21 febbraio 1974, n. 494, id., 1974, I, 2074, con nota di richiami).
Sorto il diritto alla retrocessione totale o parziale, l'amministrazione espropriarne ha l'obbligo di concludere il relativo contratto; in man canza di adempimento spontaneo, i soggetti legittimati possono chiede re all'autorità giudiziaria ordinaria l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo inadempiuto ex art. 2932 c.c. A ciò non è di ostacolo la
qualità di p.a. dell'espropriarne, poiché il giudice civile surroga la mancata prestazione del consenso con la sentenza costitutiva, ma non si sostituisce all'amministrazione nell'esercizio di un potere di scelta fra più soluzioni (in argomento, v., per tutti, Saitta, op. cit., 96 ss.; Cass. 20 maggio 1969, n. 1757, cit.; 17 marzo 1967, n. 607, cit.).
Sulla proponibilità dell'azione ex art. 2932 c.c. nei confronti, della
p.a., cfr. Cass. 7 ottobre 1983, n. 5838, Foro it., 1983, I, 2366, con nota di richiami di C. iM. Barone.
Controverso è, invece, in dottrina, il problema circa l'ammissibilità di una sentenza di condanna della p.a. alla restituzione dei beni di cui sia disposta la retrocessione {di contrario avviso Saitta, op. cit., 110 ss.; tra gli autori orientati in senso favorevole, v. Sandulli, op. cit., 771).
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2787 PARTE PRIMA 2788
dell'opera, che avrebbe comportato la decadenza della dichiara
zione di pubblica utilità, bensì risulta dagli atti di causa che
sulla zona oggetto del provvedimento ablatorio furono costruite
due strade entro il termine (più volte prorogato) stabilito dal
piano particolareggiato di attuazione del piano regolatore gene rale della città di Roma.
E non sembra contestabile, come ha correttamente argomentato il giudice d'appello, che nel concetto di sistemazione edilizia
della zona espropriata rientri la « viabilità » in funzione di
necessario mezzo di collegamento tra gli agglomerati edilizi, e
che la prosecuzione e l'ultimazione dell'opera programmata fac
cia capo all'esercizio del potere discrezionale della p. a. sulla base
di proprie valutazioni insindacabili da parte del giudice ordinario
in difetto di un provvedimento ad hoc dell'amministrazione stessa
che constati l'inservibilità dei beni residui.
Rettamente, pertanto, la corte d'appello ha applicato gli art. 60 e 61 1. n. 2539/1865 e in relazione al caso concreto ha denegato la giurisdizione del giudice ordinario.
Il primo motivo del ricorso deve essere, quindi, respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 16 lu
glio 1983, n. 4894; Pres. Mirabelli, Est. Cherubini, P. M. Tamburrino (conci, conf.); Soc. Delta (Avv. Perilli, Fragola) c. Min. turismo e spettacolo (Avv. dello Stato Linda). Regola mento di giurisdizione.
Cinematografo e cinematografia — Funi ammesso alla programma zione obbligatoria — Contributo statale — Mancato versamen to di una quota — Giurisdizione ordinaria — Sussistenza (L. 4
novembre 1965 n. 1213, nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia, art. 7).
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda della società cessionario dei diritti del produttore di un film ammes so alla programmazione obbligatoria ai sensi della l. 1213/65, volta ad ottenere dal ministero del turismo e spettacolo la
parte residuale dei contributi concessi a norma dell'art. 7 della stessa legge e degli interessi su questi maturati. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Il problema posto con il
regolamento preventivo di giurisdizione oggi in discussione con
(1) Ben pochi dubbi potevano sorgere sul fatto che la pretesa rientrasse nella giurisdizione deìl'a.g.o., posto che in questo caso, oltre alla avvenuta ammissione del film alla programmazione obbligatoria, una parte dei contributi era già stata liquidata (e davvero incuriosisce la circostanza che il regolamento di giurisdizione sia stato chiesto dalla parte attrice).
Di recente la giurisprudenza ha affrontato la questione a proposito del film di Bertolucci, « Ultimo tango a Parigi », che, come si ricorderà, fu considerato osceno e confiscato: cfr. Cass. 29 gennaio 1976, Grimaldi, Foro it., 1977, II, 160. Infatti, nel giudizio civile intentato dal produttore del film contro il ministero del turismo e spettacolo volto ad ottenere da quest'ultimo il versamento dei contri buti previsti dalla 1. 1213/65, Trib. Roma 8 giugno 1978 {id., 1979, I, 230, con nota di richiami, riportata, ma con data diversa, anche in Giur. merito, 1980, I, 80, con nota di Mammone, Effetti della confisca penale di opera filmica ammessa alla programmazione obbligatoria) ha affermato che l'emanazione del decreto ministeriale di ammissione di un film alla programmazione obbligatoria e ai conseguenti benefici di legge vale a far acquisire al produttore il diritto soggettivo al contributo previsto dall'art. 7 1. cit. indipendentemente dagli eventuali e successivi provvedimenti di liquidazione del contributo stesso. Sem pre nella stessa vicenda di diverso avviso è stato invece il giudice amministrativo adito dal produttore del film per far dichiarare illegit timo l'annullamento del decreto di ammissione alla programmazione obbligatoria intervenuto in pendenza del giudizio civile. Infatti Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 1981, n. 743, Foro it., Rep. 1982, voce
Cinematografo, n. 17 (per esteso in Rass. avv. Stato, 1981, I, 746, con nota di Gargiulo, Sulla pretesa al contributo per la programmazione del film « Ultimo tango a Parigi » definito delitto in virtù del
giudicato penale), ha sostenuto che il diritto soggettivo al contributo
sorge al perfezionarsi di una fattispecie complessa che prevede sia l'atto iniziale di ammissione alla programmazione obbligatoria sia un atto finale che risponde alla duplice funzione di accertare i presuppo sti legali al credito del privato e di liquidare la relativa spesa a carico dell'amministrazione. Ovviamente in questo caso risultava im
portante la valutazione dell'incidenza della sentenza penale di condan na sopra ricordata sul diritto al contributo.
Nello stesso senso di Cons. Stato 743/81 cit. sembra essere (la massima è oscura sul punto) Cass. 23 ottobre 1980, n. 5692, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 8.
cerne la qualificazione della posizione soggettiva della società
Delta, in quanto quest'ultima sostiene di essere titolare di un
diritto soggettivo, azionabile, quindi, davanti al giudice ordinario,
mentre l'amministrazione resistente assume che in relazione alle
pretese avversarie l'a.g.o. difetterebbe di giurisdizione. In particolare, la società Delta ha chiesto la condanna del
ministero del turismo e dello spettacolo al pagamento dei contri
buti maturati e non corrisposti, oltre agli interessi sulle somme
dovute. È opportuno esaminare separatamente le due domande.
2. - Giova, riguardo alla prima domanda, chiarire che, come è
pacifico in causa: a) l'attrice e cessionaria del credito spettante al produttore per i contributi a quest'ultimo dovuti dallo Stato
per il film « Una prostituta al servizio pubblico e in regola con
le leggi dello Stato »; b) la società Delta ha già percepito una
parte dei contributi (complessivamente spettanti per un quin
quennio dall'inizio della programmazione) a cui aveva diritto e
chiede il pagamento di quelli maturati successivamente.
Questa situazione di fatto permette di puntualizzare che il
menzionato film era stato ammesso alla programmazione obbliga toria e che il produttore aveva posto in essere tutti gli adempi menti amministrativi che l'art. 24 1. 4 novembre 1965 n. 1213 —
della cui applicazione qui si discute — gli impone, in quanto,
altrimenti, i contributi non sarebbero stati corrisposti neppure
parzialmente. Ora, l'art. 7 1. n. 1213 del 1965 recita: « A favore del
produttore del lungometraggio ammesso alla programmazione
obbligatoria, ai sensi della presente legge, è concesso dal ministe
ro del turismo e dello spettacolo un contributo pari al 13 per cento dell'introito lordo degli spettacoli nei quali il film nazionale
sia stato proiettato, per un periodo di cinque anni dalla sua
prima proiezione in pubblico, secondo gli accertamenti della
società italiana autori ed editori ».
Il testo legislativo esclude il dubbio che il produttore non
abbia un vero e proprio diritto al contributo: ciò in quanto non
solo la formula usata (« è concesso ») non ammette discrezionali
tà nell'attribuzione del beneficio, una volta accertato che il film è
stato ammesso alla programmazione obbligatoria; ma il legislato re, prevedendo la misura del contributo (13 % dell'introito lordo),
riduce in questa fase l'intervento degli organi amministrativi ad
una operazione meramente contabile.
Quello che, invece, potrebbe ritenersi svolto nell'ambito della
discrezionalità amministrativa è il riconoscimento (art. 4) della
nazionalità italiana del lungometraggio e la sua successiva am
missione alla programmazione obbligatoria (art. 5) in relazione
alla quale il comitato degli esperti, istituito presso il ministero
del turismo e dello spettacolo (art. 46), deve accertare l'esistenza
dei requisiti indicati nell'art. 5, esprimendo una valutazione
fondata su apprezzamenti che tengono conto di esigenze di
pubblico interesse.
Ma la portata di questo procedimento sulla posizione soggetti va degli interessati non va qui approfondita perché il film per cui la società Delta reclama i contributi è stato ammesso, come
si è visto, alla programmazione obbligatoria.
A questo punto è necessario eliminare una perplessità della
ricorrente circa la rilevanza dell'art. 10 r.d. 20 ottobre 1939 n.
2237, il quale attribuisce ad apposita commissione « la risoluzione
delle questioni che possono sorgere in sede di assegnazione e di
determinazione dei premi e degli accertamenti che vi sono
connessi ».
Osserva in proposito questa corte che l'art. 24, ult. comma, 1.
n. 1213 del 1965, prevede che « per le modalità di pagamento dei
contributi previsti dalla presente legge si applicano le norme
stabilite dal r.d. 20 ottobre 1939 n. 2237 »; pertanto, deve
ritenersi nei limiti del richiamo, che il r.d. del 1939 sia tuttora in
vigore limitatamente alla modalità di pagamento dei contributi e
non anche con riferimento alla competenza attribuita in passato alla suddetta commissione.
Pertanto, posto che nessun accertamento implicante l'esercizio di un potere discrezionale doveva essere compiuto dall'ammini
strazione, può concludersi che la società Delta agisce davanti al Tribunale di Roma per la tutela del suo diritto soggettivo al contributo.
3. - Quanto alla domanda di interessi, questa corte ha già affermato (sentenza n. 3071 del 5 maggio 1983, Foro it., Mass., 639) che « ove non si ponga in discussione la possibilità stessa di una condanna della p.a. al pagamento di somme di denaro
oppure non ci si trovi di fronte a specifiche regole di riparto delle giurisdizioni che richiedano una previa distinzione fra tipi di
interessi, solo al giudice ordinario spetta stabilire se o con quale decorrenza l'amministrazione sia tenuta a pagare gli interessi per i suoi debiti pecuniari. Il fatto che sulla disciplina generale
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