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sezioni unite civili; sentenza 19 maggio 2004, n. 9492; Pres. Corona, Est. Miani Canevari, P.M.Pivetti (concl. conf.); Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo) c. Fontana (Avv. Assennato). Cassa App.Torino 16 agosto 2000 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 10 (OTTOBRE 2004), pp. 2753/2754-2759/2760Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199058 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione,
di chiedere al giudice d'appello un riesame di tale pronuncia,
impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ri
cusato. Gli stessi giudici di legittimità, nell'escludere qualsiasi confronto con il codice di procedura penale (che consente il ri
corso per cassazione avverso l'ordinanza che ha deciso sulla ri
cusazione), hanno evidenziato al riguardo che il principio co
stituzionale di uguaglianza «non comporta il divieto di regola mentazioni diverse dei diversi tipi di processo in ordine al pro cedimento sulla ricusazione, tanto più che nell'ambito del pro cesso penale sono in gioco beni costituzionalmente 'più sensi
bili'» (Cass., sez. un., 20 novembre 2003, n. 17636, id., Rep. 2003, voce cit., n. 27).
3.4. - E sempre nella medesima ottica appare significativo il
richiamo ad altro dictum di queste stesse sezioni unite, che, pro
prio in tema di giudizio davanti alla sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura, hanno affermato che «il
principio dell'alterità del giudice di rinvio, sancito dall'art. 383
c.p.c. ed inteso a tutela dell'imparzialità del giudice e della fun
zionalità del giudizio, deve ritenersi rispettato non solo quando la causa venga assegnata dopo la cassazione ad altro ufficio
giudiziario ma anche quando il rinvio avvenga allo stesso uffi
cio in diversa composizione, ovvero ad altro ufficio, purché non
vi sia identità personale tra il giudice di rinvio e quello che pro nunciò la sentenza cassata» (cfr. Cass., sez. un., 15 ottobre
1999, n. 731/SU, id., Rep. 1999, voce Ordinamento giudiziario, n. 186).
4. - All'esito dell'esposto iter argomentativo può, pertanto, essere enunciato il seguente principio di diritto: «In applicazio ne dei principi di 'imparzialità-terzietà' del giudice e del 'giusto
processo', tutelati dall'art. Ill Cost., e del dictum di cui alla
sentenza del 22 luglio 2003, n. 262 della Corte costituzionale
(che ha dichiarato incostituzionale l'art. 4 1. 24 marzo 1958 n.
195, nel testo modificato dall'art. 2 1. 28 marzo 2002 n. 44,
nella parte in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio
superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della
sezione disciplinare in modo da consentire la costituzione, per numero e per categoria di appartenenza, di un collegio giudi cante diverso da quello che abbia pronunciato una decisione an
nullata dalle sezioni unite della Cassazione) va, alla stregua del
disposto dell'art. 383 c.p.c., cassata con rinvio alla sezione di
sciplinare del Consiglio superiore della magistratura perché vi
ziata da nullità assoluta, rilevabile anche d'ufficio, la sentenza
emessa in sede di giudizio di rinvio dalla suddetta sezione qua lora uno o più suoi componenti abbiano già preso cognizione della medesima res iudicanda per avere partecipato al prece dente giudizio definito con decisione poi annullata dalle sezioni
unite della Corte di cassazione».
5. - Per concludere, va accolto il quinto motivo del ricorso
mentre vanno dichiarati assorbiti tutti gli altri. La decisione im
pugnata va cassata e gli atti vanno rimessi, ai sensi dell'art. 383
c.p.c., alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura per un nuovo giudizio.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 19
maggio 2004, n. 9492; Pres. Corona, Est. Miani Canevari, P.M. Pivetti (conci, conf.); Inps (Avv. De Angelis, Di Lul
lo) c. Fontana (Avv. Assennato). Cassa App. Torino 16 ago sto 2000 e decide nel merito.
Previdenza e assistenza sociale — Pensione di invalidità —
Conversione in pensione di anzianità — Diritto — Esclu sione (R.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, perfezionamento e coor
dinamento legislativo della previdenza sociale, art. 45; r.d.l.
14 aprile 1939 n. 636, modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, art. 9; 1.
30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensioni stici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 22; 1. 12 giu
gno 1984 n. 222, revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile, art. 1; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 503, norme
per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori
privati e pubblici, a norma dell'art. 3 1. 23 ottobre 1992 n.
421, art. 10).
Non sussistendo nell'ordinamento alcun principio generale né
di mutabilità né di immutabilità del titolo delle pensioni, sic
ché va verificata nella specifica disciplina la possibilità per l'assicurato di optare per un trattamento pensionistico diver
so da quello in godimento, va escluso il diritto del titolare di
pensione d'invalidità ad ottenerne la conversione in pensione di anzianità. (1)
(1) Le sezioni unite confermano la soluzione già data al contrasto
giurisprudenziale sulla mutabilità del titolo della pensione con sent. 4
maggio 2004, nn. 8435 e 8433, Foro it., 2004, I, 2057, con nota di ri
chiami, la seconda delle quali ha affermato il diritto del titolare di pen sione d'invalidità di ottenere, al raggiungimento dell'età pensionabile, la pensione di vecchiaia. ,
Sulla sostanziale diversità della pensione di anzianità da quella di
vecchiaia, cfr. Corte cost. 28 novembre 1997, n. 362, id., 1998, I, 10, con nota di richiami, e 4 novembre 1999, n. 416, id., 2000,1, 2456, con
nota di P. Passaglia. Si riporta la circolare Inps (trasmessa con messaggio n. 23276 del 20
luglio 2004) avente ad oggetto la decisione in epigrafe.
* * *
Messaggio Inps 20 luglio 2004, n. 23276 - Oggetto: Trasforma
zione titolo. Sentenza n. 9492 del 2004 della Corte di cassazione.
Con circolare n. 91 del 15 maggio 2002, aderendo all'orientamento
assunto dalla sezione lavoro della Corte di cassazione, sono state for
nite istruzioni in ordine alla trasformazione dell'assegno d'invalidità in
pensione di anzianità e della trasformazione della pensione d'invalidità
in pensione di anzianità o di vecchiaia. Sulla questione della trasformazione della pensione d'invalidità in
pensione di vecchiaia e in pensione di anzianità si sono pronunciate di
recente le sezioni unite della Suprema corte.
Con la sentenza n. 8433 del 4 maggio 2004 (Foro it., 2004,1, 2057), le predette sezioni hanno ribadito l'ammissibilità della trasformazione
della pensione d'invalidità in pensione di vecchiaia.
Relativamente, invece, alla trasformazione della pensione d'invali
dità in pensione di anzianità, le sezioni unite hanno ritenuto, con la
sentenza n. 9492 del 19 maggio 2004 (in epigrafe), che «il sistema non
consente una conversione o trasformazione della pensione d'invalidità
in pensione di anzianità, per conseguire il vantaggio di questo secondo
trattamento . . . sulla base dell'anzianità contributiva e assicurativa rag
giunta con la prosecuzione dell'attività lavorativa, in relazione alla
quale è possibile solo la liquidazione di supplementi di pensione», di
sciplina peraltro richiamata per l'assegno ordinario d'invalidità dal
l'art. 1, 9° comma, 1. 12 giugno 1984 n. 222.
Il problema della mutabilità del titolo può essere correttamente im
postato e risolto, ad avviso della predetta corte, solo nell'ambito della
disciplina dei singoli istituti, tenuto conto delle specifiche caratteristi
che della tutela accordata con ciascuno di essi dall'ordinamento, anche
alla luce dei principi costituzionali in materia.
Con riguardo alla pensione di anzianità la corte afferma che non ope ra la «garanzia costituzionale, riservata ... alle pensioni che trovano la
loro causa nella cessazione dell'attività lavorativa per ragioni di età e
non anche a quelle il cui presupposto consiste nel mero avvenuto svol
gimento dell'attività stessa per un tempo predeterminato, così come nel
caso dei trattamenti pensionistici di anzianità, che corrispondono ad
una forma previdenziale affatto diversa, indipendente dall'età e fondata
esclusivamente sulla durata dell'attività lavorativa e sulla correlativa
anzianità di contribuzione effettiva».
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2755 PARTE PRIMA 2756
Svolgimento del processo. — Con la sentenza oggi denunciata
la Corte d'appello di Torino ha rigettato l'appello proposto dal
l'Inps avverso la decisione del Tribunale di Aosta, con cui era
stato dichiarato il diritto di Mansueto Fontana alla conversione
della pensione d'invalidità, in godimento dal 1981, in pensione di anzianità con decorrenza dalla domanda amministrativa.
Premesso che il Fontana all'epoca della domanda era in posses so del requisito contributivo previsto per l'erogazione della pen sione di anzianità, il giudice dell'appello ha affermato, richia
mando la giurisprudenza di questa corte, l'esistenza di un prin
cipio di mutabilità del titolo della pensione, desumibile sul pia no normativo dalla disposizione dell'art. 1, 10° comma, 1. 12
giugno 1984 n. 222, come espressione di un concetto, più gene rale e immanente nel sistema, di unicità della posizione assicu
rativa.
Avverso questa sentenza l'Inps propone ricorso per cassazio
ne affidato ad unico motivo, al quale Mansueto Fontana resiste
con controricorso e memoria.
La causa è stata assegnata a queste sezioni unite per l'esame
della questione, su cui si sono registrati contrastanti orienta
menti giurisprudenziali, della configurabilità o meno della fa
coltà del titolare di una prestazione pensionistica dell'assicura
zione generale obbligatoria di conseguire la liquidazione di un
diverso tipo di pensione, in presenza dei relativi requisiti di leg
ge Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo l'Inps de
nuncia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione del
l'art. 45 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, dell'art. 9 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, così come modificato dall'art. 2 1. 4 aprile 1952 n.
218, e dell'art. 8 1. 11 novembre 1983 n. 638. Si sostiene che la
trasformazione della pensione non costituisce un principio di ca
rattere generale, essendo prevista solo dall'art. 1, 10° comma, 1.
222/84 per l'assegno d'invalidità; né rilevano l'art. 22, 6°
comma, 1. 30 aprile 1969 n. 153 e l'art. 10, 7° comma, d.leg. 30
dicembre 1992 n. 503, che prevedono l'equiparazione delle pen sioni di anzianità a quelle di vecchiaia dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, ai fini della disciplina sul cumulo tra pen sione e retribuzione. Si osserva poi che la disciplina dei sup
plementi di pensione consente al titolare del trattamento d'inva
lidità di migliorare la propria posizione nelle more per il rag
giungimento della pensione di vecchiaia; che la pensione di an
zianità non è tutelata dall'art. 38 Cost.
2.1. - Il ricorso merita accoglimento. Sulla questione sottopo sta all'esame di questa corte si sono registrati orientamenti con
trastanti, riferibili all'esistenza o meno nell'ordinamento previ denziale di un principio generale c.d. di «preclusività alterna
tiva» delle prestazioni previdenziali. La giurisprudenza meno re
cente ha affermato con numerose decisioni l'immutabilità del ti
tolo della pensione, escludendo la possibilità della conversione
della pensione d'invalidità in pensione di anzianità o in pensione di vecchiaia (Cass. 20 giugno 1972, n. 1971, Foro it.. Rep. 1973, voce Previdenza sociale, n. 507; 16 maggio 1973, n. 1402, ibid., n. 508; 9 luglio 1973, n. 1982, ibid., n. 510; 18 giugno 1975, n.
2451, id., Rep. 1975, voce cit., n. 487; 10 dicembre 1976, n.
4609, id., 1977,1, 1735; 25 gennaio 1977, n. 375, id., Rep. 1977, voce cit., n. 498; 10 aprile 1980, n. 2303, id., Rep. 1980, voce cit., n. 492; 9 maggio 1981, n. 3084, id., Rep. 1981, voce cit., n.
596; 7 luglio 1981, n. 4459, ibid., n. 464; 9 marzo 1983, n. 1751, id., Rep. 1983, voce cit., n. 347; 22 dicembre 1983, n. 7563, i
bid., n. 560; 5 aprile 1991, n. 3567, id., 1992,1, 187). Le ragioni poste a sostegno di questo indirizzo possono così
riassumersi: — esiste un principio generale di divieto di mutamento del
titolo della pensione, risultante soprattutto dall'art. 45 r.d.l. 4
ottobre 1935 n. 1827 e dall'art. 9 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636
(modificato dalla 1. 4 aprile 1952 n. 218), i quali escludono chiaramente la possibilità di conversione della pensione d'inva
lidità in pensione di vecchiaia «nell'ipotesi in cui nei confronti
Secondo la Corte di cassazione «non esiste alcuna previsione di col
legamento tra la tutela per l'invalidità e la pensione di anzianità». In relazione al richiamato nuovo orientamento la definizione delle do
mande pendenti di trasformazione delle pensioni d'invalidità e degli as
segni ordinari d'invalidità in pensione di anzianità deve essere sospesa. Gli uffici legali terranno conto del nuovo orientamento giurispruden
ziale nella trattazione dei giudizi in corso. Si fa riserva di fornire successive istruzioni sulla materia in questio
ne.
Il Foro Italiano — 2004.
del pensionato per invalidità che abbia continuato a prestare at
tività lavorativa con diritto di accreditamento dei contributi pre videnziali si siano perfezionati i requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia» (Cass. 3567/91, cit.);
— il principio in questione è soggetto ad alcune eccezioni, da
interpretarsi restrittivamente e quindi non oltre i casi espressa mente previsti dalla legge. Si tratta dell'art. 14, 4° comma, d.p.r. 27 aprile 1968 n. 488, secondo cui il titolare della pensione di
anzianità può far valere, date determinate condizioni, la contri
buzione successiva per chiedere, al raggiungimento dell'età
pensionabile, la riliquidazione della pensione con i nuovi criteri;
dell'art. 13 1. 30 aprile 1969 n. 153, che riconosce ai titolari di
pensione di vecchiaia liquidata o da liquidare in base a norme
anteriori al decreto del 1968, e che avessero continuato nell'at
tività lavorativa, la facoltà di optare per la riliquidazione secon
do il nuovo sistema retributivo; dell'analoga facoltà di opzione
per la riliquidazione della pensione in godimento concessa dal
l'art. 4 d.l. 30 giugno 1972 n. 267, convertito, con modificazio
ni, nella 1. 11 agosto 1972 n. 485, ai titolari di pensioni d'inva lidità che abbiano continuato a lavorare successivamente alla
data di decorrenza della pensione. 2.2. - Un diverso indirizzo è stato espresso da successive de
cisioni. Cass. 22 luglio 1992, n. 8820, id., Rep. 1993, voce cit., n. 707 (con riferimento ad una particolare fattispecie di attribu
zione del beneficio del prepensionamento e delle altre provvi denze previste per i dipendenti delle imprese del settore poligra fico dagli art. 35 e 37 1. 5 agosto 1981 n. 416 al lavoratore già titolare di pensione d'invalidità) ha rilevato che il principio di
immutabilità del titolo del trattamento pensionistico non è più caratterizzato da quella illimitata valenza della quale in passato lo si accreditava, essendo mutato il quadro di riferimento nor
mativo nel quale la giurisprudenza di questa corte lo ha espresso e ribadito. Sotto questo profilo doveva essere considerata la
previsione dell'art. 1, 10° comma, 1. 12 giugno 1984 n. 222, re
lativa alla trasformazione dell'assegno d'invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell'età per conseguire questa pre stazione, in presenza dei relativi requisiti di assicurazione e
contribuzione; questa norma, secondo la decisione citata, si ri
collega ad un concetto di «posizione assicurativa», caratteriz
zata dalla sua unicità quale base fattuale che legittima tutti gli interventi di tutela economica possibili in favore del suo titolare
e che è «di continuo finalizzata a soddisfare quelle esigenze so
ciali che il legislatore ha tipizzato nelle diverse fattispecie pen sionistiche».
In questa linea si collocano poi altri precedenti. A parte Cass.
7 maggio 1993, n. 5299, ibid., n. 561; 2 aprile 1996, n. 3045, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 710; 23 giugno 1999, n. 6418, id., Rep. 1999, voce cit., n. 601 (che escludono l'operatività del di
vieto di mutamento del titolo della pensione, al fine di consegui re la prestazione più favorevole, in specifiche ipotesi di ricono
scimento con effetto retroattivo del trattamento d'invalidità in
epoca successiva al conseguimento della pensione di vecchiaia), altre decisioni di questa corte hanno riconosciuto il diritto alla
conversione della pensione o dell'assegno d'invalidità in pen sione di anzianità (Cass. 20 febbraio 1998, n. 1821, id., Rep. 1998, voce cit., n. 594), come in pensione di vecchiaia (Cass. 7
luglio 1998, n. 6603, id., Rep. 1999, voce cit., n. 639). Secondo
queste pronunzie, la regola generale dell'alternatività preclusiva non può essere ricavata dalle norme dell'art. 45 r.d.l. 1827/35 e
dell'art. 9 r.d.l. 636/39, richiamate a sostegno del precedente in
dirizzo; d'altro canto, le stesse disposizioni indicate come ecce
zioni specifiche alla suddetta regola generale forniscono invece
un argomento per sostenere l'esistenza di un diverso principio dell'ordinamento previdenziale, perché «l'alternatività fra i di
versi tipi di pensione, atteso lo scopo di individuare e qualifica re adeguatamente la situazione di bisogno in cui, in un dato
istante, versa il soggetto protetto, è naturale conseguenza del ca
rattere e della funzione giuridica dello stesso intervento previ denziale, volto com'è a garantire il reddito del soggetto entro
limiti e secondo le modalità tecnico-operative fissati inderoga bilmente dalla legge. La circostanza, poi, che lo stato di bisogno non possa che configurarsi come un unico fatto giuridico nel
l'ambito del regime generale (che pure ne stabilisce le varie
ipotesi dalle quali esso può generarsi e secondo le quali resta,
perciò, titolato il trattamento pensionistico), importa che la pre stazione previdenziale sia unica anche nell'ipotesi di concorso
di più fattispecie pensionistiche rispetto ad uno stesso interes
sato, nel senso, cioè, che, se si sono realizzati i requisiti richiesti
per più tipi di pensione, al soggetto protetto è dovuto un tratta
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mento pensionistico ed uno soltanto erogato esclusivamente nella misura di cui, a prescindere dal titolo della pensione ac
cordata, è capace la sua posizione assicurativa» (Cass. 1821/98, cit.).
Più recentemente, si registrano ancora altre decisioni, con si
gnificative divergenze. Cass. 2 aprile 2003, n. 5096 (id., Rep. 2003, voce cit., n. 689) ritiene consentita la conversione della
pensione d'invalidità in pensione di vecchiaia; la sentenza
5097/03, con la stessa data (ibid., n. 688), ritiene che ciò non si verifichi per la pensione di anzianità, operando, in mancanza di
espressa previsione legislativa, il diverso generale principio del
divieto di mutamento del titolo (la cui esistenza viene quindi ancora riconosciuta). Entrambe le decision^riguardano casi par ticolari, perché nel primo l'acquisizione dei requisiti per il trat tamento di vecchiaia da parte del titolare di una pensione d'in
validità era dedotta come elemento ostativo all'attribuzione del
trattamento di straordinario d'integrazione salariale; nel secon
do, veniva prospettato che la conversione della pensione d'in
validità in pensione di vecchiaia precludeva l'applicazione del
divieto di cumulo con il trattamento di reversibilità connesso ad
una rendita erogata dall'Inail.
Per contro, da ultimo, Cass. 12 giugno 2003, n. 9462 (id., 2004, I, 1216) ha affermato invece il diritto alla conversione
della pensione o assegno di invalidità in pensione di anzianità.
3.1. - La corte condivide i rilievi critici formulati dalle sen tenze richiamate sub 2.2 in ordine all'esistenza, nel vigente or
dinamento, di un principio generale di immutabilità del titolo
della prestazione pensionistica. In effetti, come ha osservato
Cass. 6603/98, cit., una regola di questo tipo non può essere ri
cavata dalle norme dell'art. 45 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 e
dell'art. 9 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (modificato dalla 1. 4 aprile 1952 n. 218). La prima disposizione, nel disporre che
l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia ha per scopo prin
cipale l'assegnazione di una pensione nel caso d'invalidità al
lavoro o di vecchiaia non è assolutamente di ostacolo, nel suo
contenuto letterale, al mutamento del titolo della pensione, ma
solo all'attribuzione congiunta dell'una e dell'altra prestazione; e un contenuto sostanzialmente identico ha la previsione del
l'art. 2, 1° comma, parte prima, r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636.
Analoghe considerazioni valgono per le previsioni dell'art. 9
medesimo r.d.l. 636/39, che, stabilendo i requisiti rispettiva mente necessari per l'attribuzione della pensione di vecchiaia e
della pensione d'invalidità, configurano indubbiamente ipotesi alternative di tutela nell'ambito dell'assicurazione generale ob
bligatoria, ma non implicano di per sé l'esclusività, nel senso
indicato, dell'una e dell'altra prestazione. D'altro canto, le diverse norme, sopra ricordate sub 1.2, che
per varie fattispecie consentono la riliquidazione della pensione in godimento in base a diversi criteri, e specialmente la regola di trasformazione dell'assegno d'invaliditi in pensione di vec
chiaia introdotta dall'art. 1, 10° comma, 1. 222/84, sembrano
difficilmente riconducibili ad ipotesi eccezionali di deroga ad un divieto generale; esse inducono invece ad escludere la possibi lità di giungere, attraverso una ricostruzione sistematica della
legislazione previdenziale, all'affermazione sia di un principio
generale di divieto di mutamento del titolo della prestazione
pensionistica, sia del principio inverso, di portata ugualmente generale, di mutabilità del suddetto titolo, come è stato pro
spettato da alcune delle pronunzie più recenti. Queste opzioni ricostruttive sono infatti destinate ad incontrare un insuperabile ostacolo nel carattere estremamente frammentario del comples so normativo, che nella sua evoluzione lascia trasparire
— come
è stato notato in dottrina — opzioni e politiche del diritto mute
voli, perché prevalentemente ispirate dal contingente. Il problema può essere correttamente impostato e risolto, ad
avviso di questa corte, solo nell'ambito della disciplina dei sin
goli istituti, tenuto conto delle specifiche caratteristiche della
tutela accordata con ciascuno di essi dall'ordinamento, anche
alla luce dei principi costituzionali in materia. Si deve conside
rare, altresì, che con la prospettata «trasformazione» della pen sione si implica non solo una diversa qualificazione della pre stazione attribuita, ma anche una riliquidazione della stessa, con
la determinazione di un diverso importo, per la quale appare ne
cessario il riferimento ad una specifica disciplina normativa.
3.2. - Per quanto riguarda i rapporti tra trattamento d'invali
dità e pensione di vecchiaia, è indubbiamente fondamentale il
dato normativo fornito dal più volte citato art. 1, 10° comma, 1.
222/84; il collegamento tra le due forme di tutela (accomunate nella previsione dei citati art. 45 r.d.l. 1827/35, 2 e 9 r.d.l.
Il Foro Italiano — 2004.
636/39) è avvalorato, sul piano sistematico, dal rilievo della
natura del rischio protetto, che per entrambe riguarda la perdita della capacità di lavoro (il «caso d'invalidità al lavoro o di vec
chiaia»); ad esso corrispondono — in relazione ad un'unica po
sizione assicurativa — le esigenze sociali di protezione dallo stato di bisogno tipizzate nelle diverse fattispecie pensionisti che, che in attuazione del medesimo precetto dell'art. 38 Cost,
garantiscono il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita per i casi d'invalidità e vecchiaia.
3.3. - Considerazioni diverse valgono invece per la pensione di anzianità. Con riguardo ad essa non opera la suddetta garan zia costituzionale, riservata, come più volte è stato affermato dal
giudice delle leggi, alle pensioni che trovano la loro causa nella
cessazione dell'attività lavorativa per ragioni di età e non anche a quelle il cui presupposto consiste nel mero avvenuto svolgi mento dell'attività stessa per un tempo predeterminato, così
come nel caso dei trattamenti pensionistici di anzianità, che cor
rispondono ad una forma previdenziale affatto diversa, indipen dente dall'età e fondata esclusivamente sulla durata dell'attività
lavorativa e sulla correlativa anzianità di contribuzione effettiva
(Corte cost. 2 maggio 1991, n. 194, id., Rep. 1991, voce cit., n.
781; 4 novembre 1999, n. 416, id., 2000, I, 2456; 19 marzo
2002, n. 70, id., Rep. 2002, voce cit., n. 563). Tale prestazione rappresenta un «riconoscimento ed un pre
mio per la fedeltà al servizio» (Corte cost. 194/91, cit.), e non è
comparabile con le altre forme previdenziali comprese nell'area
di tutela dell'art. 38 Cost.; la relativa disciplina non può essere
dunque richiamata per trarre dalla normativa in tema di pensio ne di vecchiaia (in quanto caratterizzante il sistema previden ziale «nel suo complesso», secondo l'opinione seguita da Cass.
6603/98 e 9462/03, cit.) una regola di contenuto analogo a
quella contenuta nel citato art. 1, 10° comma, 1. 222/84, che
consente la conversione del trattamento d'invalidità in pensione di anzianità.
Per queste ragioni non possono essere condivise su un piano
generale, e specificamente per quanto riguarda il rapporto tra le
due forme pensionistiche in esame, le considerazioni svolte
nella richiamata sentenza 1821/98 in ordine all'unicità sia del
fatto giuridico rappresentato dallo stato di bisogno tutelato nel
l'ambito del regime generale, sia della prestazione previdenziale anche nell'ipotesi di concorso di più fattispecie pensionistiche.
3.4. - La norma dell'art. 22 1. 30 aprile 1969 n. 153, secondo
cui la pensione di anzianità «è equiparata a tutti gli effetti alla
pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l'età sta
bilita per il pensionamento di vecchiaia», stabilisce un collega mento tra i due istituti per il momento in cui si realizza, anche
per il pensionato di anzianità, l'evento generatore di bisogno connesso alla perdita della capacità lavorativa.
D'altro canto, la situazione del titolare di pensione d'invali
dità attribuita nel regime precedente all'entrata in vigore della 1.
222/84 (come nel caso di specie) implica la possibilità di svol
gimento di un'attività lavorativa limitata, in relazione alla ri
dotta capacità di lavoro e di guadagno, e quindi di maturazione
di ulteriori periodi di contribuzione. Questa ipotesi trova la sua
disciplina nelle disposizioni dell'art. 19 d.p.r. 488/68 e dell'art.
7 1. 23 aprile 1981 n. 155, secondo cui i contributi versati o ac creditati nell'assicurazione generale obbligatoria successiva mente alla data di decorrenza della pensione danno diritto ad un
supplemento della pensione in atto. Tale disciplina è richiamata
dall'art. 1, 9° comma, 1. 222/84, che prevede l'utilizzazione a
tal fine dei periodi di contribuzione effettiva, volontaria e figu rativa successivi alla decorrenza originaria dell'assegno ordina
rio d'invalidità, corrisposto per il caso di parziale riduzione
della capacità di lavoro oltre la soglia di legge.
Questa prestazione, secondo la previsione del già citato 10°
comma dello stesso articolo, al compimento dell'età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia «si trasforma» in tale tratta
mento, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzio
ne. «A tal fine i periodi di godimento dell'assegno nei quali non
sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del
diritto e non anche della misura della pensione stessa».
Non esiste invece alcuna previsione di collegamento tra la
tutela per l'invalidità e la pensione di anzianità, perché questa non può essere riferita, come si è visto, alla situazione genera trice di bisogno che accomuna la prima forma previdenziale e la
pensione di vecchiaia, né è stabilito un sistema di ridetermina
zione dell'importo del trattamento.
Si deve pertanto concludere che il sistema non consente una
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2759 PARTE PRIMA 2760
conversione o trasformazione della pensione d'invalidità in pen sione di anzianità, per conseguire il vantaggio di questo secondo
trattamento (prima dell'età richiesta prima dell'età stabilita per la pensione di vecchiaia) sulla base dell'anzianità contributiva e
assicurativa raggiunta con la prosecuzione dell'attività lavorati
va, in relazione alla quale è possibile solo la liquidazione di
supplementi di pensione. Ciò in ragione della rilevata sostanziale diversità di questo
beneficio (discrezionalmente concesso dal legislatore, come ha
affermato la Corte costituzionale) rispetto all'intervento previ denziale diretto a proteggere il lavoratore dal rischio evento
protetto dalla garanzia costituzionale, che per la disciplina del
l'art. 22 1. 153/69 assume rilievo solo al compimento dell'età
pensionabile.
Questa ricostruzione non prospetta alcuna ingiustificabile di
sparità di trattamento, in relazione al principio di cui all'art. 3
Cost., nel confronto della posizione del pensionato d'invalidità
che continui a prestare attività lavorativa con quella del soggetto che con piena capacità di lavoro raggiunga i requisiti assicurati
vi e contributivi della pensione di anzianità. Si tratta infatti di
situazioni evidentemente diverse e non comparabili, data la tu
tela previdenziale di cui già gode l'invalido.
La sentenza impugnata deve essere quindi annullata. Non so
no necessari ulteriori accertamenti di fatto in ordine alla que stione oggetto della controversia, e la causa deve essere decisa
nel merito con il rigetto della domanda dell'attore in primo gra do diretta alla conversione della pensione di invalidità in pen sione di anzianità.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 mag
gio 2004, n. 8943; Pres. Mercurio, Est. La Terza, P.M. Fu
zio (conci, conf.); Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo, Valen
te) c. Perletti (Avv. Giannetta). Cassa App. Milano 28 set
tembre 2001 e decide nel merito.
Previdenza e assistenza sociale — Pensione sociale sostituti
va di assegno di invalidità — Revoca per superamento dei
limiti reddituali — Ripristino — Requisiti (L. 30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e nor
me in materia di sicurezza sociale, art. 26; 1. 30 marzo 1971 n.
118, conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971 n. 5 e nuo
ve norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 19; 1. 8
agosto 1995 n. 335, riforma del sistema pensionistico obbli
gatorio e complementare, art. 3).
Qualora venga chiesto il ripristino della pensione sociale a suo
tempo ottenuta, per raggiunti limiti d'età, in sostituzione di
assegno di invalidità, ma successivamente revocata per supe ramento dei limiti di reddito, i requisiti necessari alla matu
razione del diritto non sono quelli previsti dalla normativa
vigente all'epoca dell'erogazione della prestazione origina
ria, bensì quelli dettati dalla normativa vigente al momento
della nuova domanda. (1)
(1) La sezione lavoro applica all'ipotesi della pensione sociale il me desimo criterio affermato, per le prestazioni di invalidità, da sez. un. 21 marzo 2001, n. 118/SU, Foro it., 2001,1, 1511, con nota di richiami.
Nel senso che l'ammissione degli invalidi civili, al compimento del
sessantacinquesimo anno di età, alla pensione sociale sostitutiva, ha ca rattere automatico e prescinde dall'accertamento della rivalutazione della posizione patrimoniale dell'assistito, v. Cass. 9 agosto 2001, n.
10972, id., Rep. 2001, voce Previdenza sociale, n. 592. Per riferimenti sui requisiti reddituali per la pensione sociale, ante
riormente all'entrata in vigore dell'art. 3 1. 8 agosto 1995 n. 335, che ha introdotto il nuovo istituto dell'assegno sociale, cfr. Cass. 7 febbraio
2001, n. 1754, id., 2001,1, 831, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 2004.
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 28 settembre
2001 la Corte d'appello di Milano confermava la statuizione re
sa dal locale tribunale il 29 dicembre 2000, con cui, in accogli mento del ricorso proposto da Roberta Perletti, era stato dichia
rato, nei confronti dell'Inps, il diritto di costei al ripristino della
pensione sociale dal 1998, con condanna dell'istituto al paga mento dei ratei maturati. La corte territoriale —
premesso in
fatto che la Perletti era stata titolare di assegno di invalidità tra
sformatosi in pensione sociale dal 1981 e poi revocata dal 1990
per superamento dei limiti reddituali — affermava che la mede
sima aveva diritto al ripristino della prestazione con i limiti red
dituali vigenti in precedenza, e non già con quelli meno favore
voli vigenti al momento della nuova domanda presentata nel
1998. La corte osservava che ove una prestazione sia mutata
nella disciplina ma abbia mantenuto la medesima funzione —
nella specie vi era stato il mutamento da pensione sociale ad as
segno sociale (introdotto dall'art. 3, 6° comma, 1. 8 agosto 1995
n. 335) — l'avvenuta revoca del trattamento in seguito alla per dita di una delle condizioni prescritte, implica l'estinzione del
diritto, ma in ragione dell'unicità della funzione, a seguito di
nuova domanda, le condizioni vanno verificate tenendo conto
della normativa originaria. Avverso detta sentenza l'Inps propone ricorso affidato ad un
unico motivo.
Resiste la Perletti con controricorso.
Motivi della decisione. — L'Inps censura la sentenza per
violazione e falsa applicazione dell'art. 19 1. n. 118 del 1971,
dell'art. 26 1. n. 153 del 1969 e dell'art. 3, 6° comma, 1. n. 335
del 1995. Premesso essere pacifico che, ai fini del diritto alla
pensione o all'assegno sociale sostitutivi delle provvidenze eco
nomiche per l'invalidità civile, devono essere applicati i criteri
reddituali previsti prima del compimento dei sessantacinque an
ni, assume l'istituto che nel presente caso, stante la diversità
della fattispecie, occorre invece accertare se — una volta venuta
meno la pensione sociale sostitutiva per superamento di detti
limiti — quando si proponga una nuova domanda debbano an
cora essere applicati i limiti di cui alle prestazioni di invalidità civile, oppure i limiti vigenti all'epoca della domanda medesima
che regolano il diritto alla pensione ovvero all'assegno sociale.
L'istituto ricorrente osserva che le prestazioni pensionistiche,
pur comportando erogazioni periodiche e continuative, non de
terminano la costituzione di uno status personale, né un'acqui sizione definitiva del diritto, ma richiedono la permanenza delle
condizioni per le quali sono state erogate, di talché quando que ste vengano meno, si determina, con la revoca della prestazione, la cessazione del diritto, il quale potrà rivivere solo se venga
presentata una nuova domanda e sussistano le condizioni di leg
ge vigenti al momento della domanda stessa. In relazione alla
pensione sociale, nessuna disposizione ne prevede la sospensio ne del pagamento, per cui, il venir meno del requisito reddituale
(peraltro di quello più favorevole previsto per la pensione so
ciale sostitutiva) determina la perdita del diritto, lasciando alla
disciplina dell'ordinamento vigente l'eventuale attribuzione, a
domanda, di una prestazione di natura diversa.
Il ricorso merita accoglimento. Va rilevato in fatto che — come risulta dalla sentenza impu
gnata — nel 1981, allorquando per superamento dei sessanta
cinque anni, la ricorrente iniziò a percepire — in luogo dell'as
segno sociale di cui all'art. 13 1. 118/71 — la pensione sociale
sostitutiva, ai sensi dell'art. 19 medesima legge del 1971, l'ero
gazione avvenne correttamente avendo riguardo ai limiti reddi
tuali previsti per la prestazione di invalidità civile, ossia per
l'assegno di cui era stata in godimento (cfr. Cass., sez. un., n.
10972 del 9 agosto 2001, Foro it., Rep. 2001, voce Previdenza
sociale, n. 592). La questione posta alla corte non riguarda invero il problema
dei limiti reddituali vigenti all'atto del passaggio alla pensione sociale sostitutiva, ma ai limiti successivi, vigenti nel momento
in cui, nel 1998, la ricorrente propose domanda per il ripristino della pensione sociale, assumendo di godere di redditi rientranti
nella misura di legge. Invero, a seguito della legittima revoca
della prestazione avvenuta nel 1990 — essendo incontestato che
a quella data la ricorrente avesse superato i più favorevoli limiti
reddituali previsti per la precedente prestazione di invalidità ci
vile — il diritto alla pensione sociale era venuto meno, con il
venir meno di uno dei requisiti costitutivi del diritto. Non es
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