Sezioni unite civili; sentenza 20 gennaio 1964, n. 128; Pres. Lonardo P., Est. Giannattasio, P. M.Pepe (concl. conf.); Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Azzariti) c. De Domenico (Avv.Moschella, Crisafulli), Comune di Messina (Avv. Romano), Istituto autonomo case popolari diMessina (Avv. Brancati)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1203/1204-1209/1210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156188 .
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1203 PARTE PRIMA 1204
propria attività e capacità professionale al servizio della
impresa gestita dai familiari (su tale punto, cfr. le osserva
zioni che saranno più oltre svolte, a proposito del ricorso
incidentale), appaiono ineccepibili, sul piano logico-giu
ridico, le considerazioni svolte dalla sentenza impugnata circa la esigenza di limitare il relativo danno a quel quid
pluris di interesse e di applicazione clie Ugo Pissardo
avrebbe, con tutta probabilità, apportato nello svolgere la sua opera in vantaggio della impresa, nei confronti di
un ingegnere estraneo, pur sempre reperibile ed adibirlo
ad analoghi compiti ; considerata, infatti, la generica fun
gibilità delle prestazioni che i familiari dirigenti l'impresa intendevano affidare al futuro ingegnere, e la presunzione
che, comunque, tale opera, pure nell'àmbito della impresa
familiare, non avrebbe mancato di essere rimunerata in
qualche modo, quella limitazione si appalesa di indubbia
esattezza.
L'accoglimento, sia pure parziale, del ricorso principale
importa la necessità di procedere all'esame dell'unico
motivo del ricorso incidentale, condizionato, come si è
detto, allo accoglimento del ricorso principale, con il quale motivo il Pelassa censura l'impugnata sentenza in quanto la perdita della prestazione lavorativa del dipendente o
collaboratore deceduto per fatto illecito altresì non conter
rebbe una conseguenza diretta ed immediata del fatto
colposo, e, quindi, non permetterebbe di configurare un
danno risarcibile (violazione dell'art. 1223 cod. civ., in
relazione agli art. 2043 e segg. dello stesso codice). Anche questo motivo è destituito di fondamento. È
vero che costituisce principio prevalente, pur non senza
notevoli contrasti, in dottrina e in giurisprudenza, quello secondo il quale per la risarcibilità del danno occorre che
esso sia immediato ovvero mediato, colpisca un interesse
direttamente protetto dal diritto ; cosicché, in linea generale, ove a taluno sia imputabile il decesso del dipendente o del
collaboratore di un determinato soggetto, tale soggetto non sarebbe legittimato ad agire per la lesione extracontrat
tuale del rapporto personale, cioè per il pregiudizio, o,
per meglio dire, per la distruzione del credito alle presta zioni personali, derivante dallo specifico rapporto di lavoro, di locazione d'opera o di collaborazione. Ciò, peraltro, non toglie che, nell'ampio quadro dei pregiudizi attuali
o futuri arrecati ai prossimi congiunti, e non, generica mente, ad un datore di lavoro o al creditore di una presta zione d'opera, dal decesso di un determinato soggetto
(quadro, come si è visto non affatto limitato nell'àmbito
di erogazioni attuali o future a titolo di obbligazione ali
mentare), poteva essere valutato come risarcibile anche il
venire meno del contributo personale di capacità tecnica, di esperienza, di personale interesse che la vittima, indi
pendentemente dall'esistenza di un vero e proprio quali ficato rapporto di prestazione d'opera, di opere o simili,
già apportasse, o, con tutta probabilità, avrebbe apportato alla gestione tecnica o amministrativa di un'azienda di
tipo esclusivamente o prevalentemente familiare. S'intende che a tale riguardo deve essere tenuta presente, come fu
tenuta presente dai giudici di merito, la fungibilità, in
linea di massima, delle prestazioni tecniche o amministra
tive, e, quindi, la necessità di limitare il pregiudizio risar cibile alla perdita o al mancato conseguimento di quel particolare vantaggio che allo sviluppo economico della
impresa sarebbe derivato dalla particolare qualità, ine rente alla vittima, di appartenente al nucleo familiare.
(Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 20 gennaio 19G4, n. 128 ; Pres. Lonardo P., Est. Giannattasio, P. M. Pepe
(conci, conf.) ; Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Azzariti) c. De Domenico (Avv. Moschella, Crisa fulli), Comune di Messina (Avv. Romano), Istituto autonomo case popolari di Messina (Avv. Brancati).
(Cassa App. Messina 21 febbraio 1962)
Cosa giudicata in materia civile — Giurisdizione ordi naria o amministrativa — Giudicato formale e. sostanziale -—- Irrileval>ilità della questione di
giurisdizione in Cassazione — Estremi (Cod. proc. civ., art. 37 ; cod. civ., art. 2909).
Intervento in eausa — Chiamata del terzo respon sabile per ordine del «(indice — Domanda nei confronti del chiamato proposta all'udienza di precisazione delle conclusioni — Ani missibilit à
(Cod. proc. civ., art. 107, 184, 270). Impugnazioni ili materia civile — Impugnazione in
cidentale tardiva nei confronti del terzo non im
pugnante — Ititualilà (Cod. proc. civ., art. 334, 343). Espropriazione per pubblico interesse — Occupa
zione d'urgenza illegittima — Mancala restitu zione dell'immobile occupato —
ltesponsabilit à
dell'occupante — Delega dell'amministrazione —
Irrilevanza.
La questione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, riproposta dal ricorrente, non può essere esaminata in Cassazione qualora sia passata in giudicato la sentenza di primo grado che, dopo aver disatteso espressamente la stessa eccezione, abbia dichiarato illegittimo il decreto
prefettizio di proroga del termine dell'occupazione d'urgenza, emanato ai sensi dell'art. 185 del t. u. 19 agosto 1917 n. 1399. (1)
Ove sia contenuta nei limiti della domanda originaria, la richiesta di danni nei confronti del terzo responsabile, chia mato nel processo per ordine del giudice, deve ritenersi ammissibile, ancorché formulata dall'attore per la prima volta all'udienza di precisazione delle conclusioni. (2)
La parte, cui sia stata notificata l'impugnazione principale del soccombente, può ritualmente proporre gravame inci dentale tardivo nei confronti del terzo responsabile chia mato nel giudizio di primo grado per ordine del giudice ed assolto dalla domanda proposta nei suoi confronti. (3)
L'istituto autonomo delle case popolari, in favore del quale sia stata disposta l'occupazione temporanea di un suolo privato per la costruzione di alloggi, non seguita dalla
espropriazione alla scadenza del biennio, è responsabile, ancorché abbia agito in qualità di delegato dell'ammini strazione dei lavori pubblici, dei danni subiti dal proprie tario per la mancata restituzione del suo immobile. (4)
(1, 4) Nei precisi termini delle massime, cons. Cass. 11 ottobre 1963, n. 2711, retro, 72, con nota di richiami, tra i quali Cass. 22 luglio 1960, n. 2084 e 16 marzo 1960, n. 538, citate al pari della n. 2711 del 1963 nella motivazione della presente sentenza.
(2) Sostanzialmente conforme Cass. 16 aprile 1953, n. 1000, Foro it., Rep. 1953, voce Intervento in causa, n. 13.
Le sentenze della Cassazione 21 marzo 1962, n. 577 e 30 aprile 1959, n. 1293, richiamate in motivazione come conformi alla presente e riprodotte rispettivamente nel Foro, 1962, I, 1506, con nota di richiami e nel Rep. 1959, voce cit., n. 21, riguardano fattispecie diverse da quella in esame. La prima, infatti, attribuisce al giudice la facoltà di pronunciare, nei con fronti del terzo chiamato in causa dal convenuto, condanna diretta a favore dell'attore, ancorché questi non abbia concluso nei confronti del terzo medesimo ; la seconda si riferisce, invece, alla chiamata in garanzia ed esamina solo in motivazione {Giusi, civ., 1963, I, 990) la posizione processuale del terzo chiamato in giudizio.
(3) Conforme, nel senso che nelle cause inscindibili (di cui ricorrono gli estremi anche nella ipotesi di litisconsorzio neces sario determinato da concrete esigenze del processo come ne]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, eco. — I vari ricorsi, proposti separatamente contro la stessa sentenza, vanno riuniti a norma dell'art. 335 cod. proc. civile.
Il ricorrente principale ministero dei lavori pubblici con il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 360, n. 1, cod. proc. civ. e, premesso che l'istituto autonomo delle case popolari aveva in primo grado sollevato l'ecce zione di difetto di giurisdizione perchè il prefetto di Messina, con decreto 15 gennaio 1956, aveva prorogato la durata
dell'occupazione temporanea d'urgenza, premesso inoltre che il tribunale aveva respinto l'eccezione e che il relativo
capo della sentenza era stato impugnato dal comune di
Messina, anche se poi vi aveva rinunciato, assume che la
pronuncia di primo grado, relativa alla giurisdizione, non è mai passata in cosa giudicata per effetto del ricordato
appello e che la Corte di Messina avrebbe dovuto quindi
ugualmente esaminare d'ufficio la questione, che può per tanto essere ancora proposta in questa sede ; e, poiché si
tratta di discutere sul modo in cui il potere è stato eserci
tato dal prefetto, la competenza spetta al Consiglio di Stato. La censura non ha fondamento.
A parte la considerazione che, nella specie, venne con
testata, alla base, proprio l'esistenza del potere di proroga esercitato dal prefetto, giacché si sostenne che la norma, che era stata posta a base di tale potere, e cioè l'art. 185
del decreto legisl. luog. 19 agosto 1917 n. 1399, non era
più in vigore e che il diritto di proprietà del De Domenico,
già compresso e degradato ad interesse legittimo dal primo decreto di occupazione, aveva riacquistato di pieno diritto
il suo originario valore e la sua integrale tutela a seguito del decorso del biennio, è comunque decisiva la considera
zione che l'eccezione di difetto di giurisdizione, avanzata
nel giudizio di primo grado dall'istituto autonomo delle
case popolari, fu esaminata e rigettata dal tribunale la cui
sentenza, su tale punto, acquistò efficacia di cosa giudicata. Invero, il giudicato sulla giurisdizione che preclude il
riesame della questione nei successivi stati e gradi del pro cesso può formarsi non soltanto in funzione della pro nuncia adottata dalla Corte di cassazione, ai sensi degli art. 41 e 367 cod. proc. civ., od in funzione del passaggio in giudicato di una statuizione di merito che presupponga il riconoscimento, sia pure implicito, della competenza giu risdizionale del giudice che l'ha pronunciata, ma anche nel
caso in cui una precedente sentenza abbia esplicitamente dichiarato la giurisdizione del giudice adito, e tale pro nuncia non sia stata tempestivamente e ritualmente impu
gnata (Cass., Sez. un., 11 ottobre 1963, n. 2711, Foro it.,
1964, I, 72; 22 luglio 1960, n. 2084, id., 1961, I, 481 ; 16 marzo I960, n. 538, ibid., 510).
Ora, nella specie, ricorre senz'altro questa ultima ipo tesi, giacché la decisione adottata dal Tribunale di Messina
caso (li chiamata in causa del terzo iussu iudicis : Cass. 16 giugno 1002, n. 1517, Foro it., Rep. 1962, voce Impugnazioni civ., nn.
94, 95 ; 14 maggio 1962, n. 1021, ibid., n. 96, citata in motiva zione ; 22 marzo 1960, n. 585, id,, Rep. 1960, voce cit., n. 80) la parte, contro la quale sia stata proposta l'impugnazione prin cipale, è legittimata a proporre a sua volta l'impugnazione inci dentale tardiva di cui all'art. 334 cod. proc. civ. ancorché questa sia diretta contro una parte diversa da quella che ha esperito il gravame principale, Cass. 14 marzo 1962, n. 511, id., Rep. 1962, voce cit., n. 87, pure richiamata nel testo della presente.
Nel senso che, nelle ipotesi di cause scindibili, l'impugna zione incidentale non può essere proposta oltre i termini per l'impugnazione in via principale, contro una parte diversa da
quella che ha proposto il gravame principale, cons. Cass. 23
maggio 1961, n. 1210, id., 1962, I, 336, con nota di richiami, cui adde, a proposito dei limiti di ammissibilità delle impugna zioni incidentali tardive, Cass. 8 gennaio 1964, n. 19, retro, 801, con nota di richiami.
Cass. 28 marzo 1962, n. 628, richiamata in motivazione, è riassunta nel Rep. 1962, voce cit., nn. 139-141.
Sulle caratteristiche e le condizioni di ammissibilità dell'in tervento in causa del terzo iussu iudicis si consultino, in giurispru denza, tra le più recenti Cass. 6 febbraio n. 188 e 26 gennaio n. 120 del 1963, id.., Rep. 1963, voce cit., nn. 27, 36 ; in dottrina, Segni, Intervento in causa, voce del Novissimo digesto it., Vili,
pag. 967 e segg.
non fu impugnata da alcuna delle parti nel capo relativo alla questione pregiudiziale di giurisdizione, neppure dal
comune di Messina, il quale si limitò a formulare un motivo di appello relativo al merito della questione relativa alla
legittimità del decreto prefettizio di proroga dell'occu
pazione. Anzi, lo stesso comune, nelle more del giudizio d'appello,
dichiarò formalmente di rinunciare al detto motivo di im
pugnazione e riconobbe espressamente l'esattezza della
sentenza dei primi giudici, nella parte in cui aveva affermato
l'illegittimità del predetto decreto per l'assoluta inesistenza
del potere di cui esso costituiva l'esercizio, e la conseguente
illegittimità della protrazione dell'occupazione oltre il
biennio.
E pertanto, su questa statuizione di merito, che si pone come la necessaria ed imprescindibile premessa logica e
giuridica di ogni altro provvedimento da adottarsi sulla
domanda del De Domenico, si è certamente formato il giu dicato, ed è evidente che esso precluda il riesame dell'ecce
zione di difetto di giurisdizione, la quale era stata formu
lata, ed aveva ragion d'essere soltanto in relazione all'anzi
detta questione di merito ed era inoltre impostata su pre
supposti e ragioni incompatibili con quelli su cui si fonda
la pronuncia relativa a quella stessa questione. Con il secondo motivo il ministero dei lavori pubblici,
denunciando la violazione degli art. 107, 163, 184, 189,
269, 270 <jod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, dello
stesso codice, assume che non era ammissibile la domanda
proposta dal De Domenico soltanto in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, di condanna del mini
stero al risarcimento dei danni in solido con l'istituto auto
nomo delle case popolari, perchè, se è vero che l'estensione
del contraddittorio ad un terzo per ordine del giudice apre una nuova fase processuale in cui le parti possono modifi
care le loro difese ed istanze per adeguarle alla nuova situa
zione processuale, e se fra queste facoltà riconosciute alle
parti v'è la proposizione di nuove domande contro il terzo
chiamato in causa, tali domande, però, vanno prodotte ritualmente mediante atto di citazione notificato alla parte o quanto meno mediante comparsa comunicata alla parte stessa, mentre non è ammissibile che nuove domande siano
proposte contro il terzo intervenuto all'atto della precisa zione delle conclusioni ; e, nella specie, si trattava di do
manda nuova perchè originariamente era stata chiesta la
condanna del solo istituto e quest'ultimo aveva proposto contro esso ministero una domanda di mero accertamento, chiedendo che lo stesso fosse dichiarato tenuto al pagamento dei danni richiesti dall'attore, nè il giudice può condannare
il terzo nei confronti dell'attore se questi non abbia esteso
la sua domanda nei confronti del chiamato.
La censura non ha fondamento.
Nel giudizio di primo grado, il De Domenico, come
risulta dagli atti, nel precisare le proprie conclusioni, chiese
espressamente la condanna solidale, al risarcimento dei
danni da lui subiti, dell'istituto delle case popolari, del
comune di Messina e dell'amministrazione dei lavori pub blici e tale domanda era ritualmente proposta anche nei
confronti del ministero, chiamato in causa.
Invero, data la finalità precipua della chiamata in causa
del terzo responsabile, che si manifesta, fin dall'inizio, nel
senso di riferire direttamente al terzo stesso la pretesa dell'attore principale, data cioè la comunione della causa, non è necessario che contro il chiamato l'attore estenda
la domanda di risarcimento mediante notifica dell'atto di
citazione o comunicazione di comparsa. La chiamata del terzo nel processo tende a supplire
al difetto di attività da parte dell'attore, per cui, dal mo
mento nel quale ha accettato il contraddittorio e preso conclusioni di merito, il terzo diviene parte in causa e le
richieste specifiche, formulate dall'attore principale contro
il detto terzo, purché contenute entro i limiti della domanda
originaria, non possono qualificarsi come domande nuove
e devono ritenersi proponibili per la prima volta anche in
sede di precisazione delle conclusioni (Cass. 21 marzo 1962, n. 577, Foro it., 1962, I, 1506 ; 30 aprile 1959, n. 1293,
id., Rep. 1959, voce Intervento, n. 21).
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1207 PARTE PIUMA 1208
Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia
violazione e falsa applicazione degli art. 334 e 343 cod. proc.
civ., e premesso che la sentenza di primo grado, la quale assolveva il ministero dei lavori pubblici dalle domande
dell'istituto case popolari e del De Domenico, era stata
notificata al ministero dal De Domenico il 6 settembre
1960, che il 28 settembre 1960 il comune di Messina aveva
appellato e notificato l'impugnazione a tutte le parti, com
presi il ministero e il De Domenico, e che quest'ultimo il
7 dicembre 1960, con comparsa di risposta, aveva proposto
appello incidentale tardivo contro l'amministrazione, ap
pello che, a norma degli art. 334 e 343 cod. proc. civ., è
ammesso soltanto contro la parte che ha proposto l'impu
gnazione principale, sostiene che la corte di merito avrebbe
dovuto dichiarare inammissibile l'appello del De Dome
nico, così come avrebbe dovuto dichiarare inammissibile
l'appello incidentale tardivo d ll'istituto case popolari. Anche tale motivo è infondato.
Perchè, mentre la chiamata nel processo del comune di
Messina avvenne ad istanza di parte, l'intervento del mi
nistero dei lavori pubblici fu ordinato dal giudice a norma
dell'art. 107 cod. proc. civ. Orbene, se è vero che le dispo sizioni, che prevedono la possibilità di proporre impugna zione incidentale tardiva (art. 334 e 343 cod. proc. civ.),
quindi anche dopo che siano scaduti i termini per impu
gnare in via principale, si riferiscono alle impugnazioni incidentali vere e proprie, a quelle, cioè, che sono dirette
contro la parte che ha proposto l'impugnazione principale e non riguardano, invece, le altre impugnazioni, ohe siano
proposte per un interesse autonomo del soccombente, le
cosiddette impugnazioni incidentali autonome, per le quali resta ferma la necessità del rispetto del termine ordinario, tuttavia quando si tratti di causa inscindibile (e il concetto
di causa inscindibile, in fase di impugnazione, comprende tanto l'ipotesi di litisconsorzio necessario originario, di di
ritto sostanziale o processuale, ricorrente quest'ultimo ove
il giudice, ritenendo la causa comune al terzo, ne abbia
ordinato l'intervento ai sensi dell'art. 107 cod. proc. civ.,
quanto l'ipotesi di cause fra loro dipendenti, ossia tali che
essendo state, nel precedente grado, decise in unico pro cesso, debbano rimanere unite anche nella fase di gravame, in quanto la pronuncia dell'una si estenda in via logica, e
necessaria, anche all'altra, ovvero ne formi il presupposto
logico e giuridico imprescindibile), la parte contro cui sia
stata proposta l'impugnazione principale è legittimata a
proporre, a sua volta, l'impugnazione incidentale tardiva, (li cui all'art. 334 ancorché questa sia diretta contro una
parte diversa da quella che ha esperito il gravame princi
pale (Cass. 28 marzo 1962, n. 628, Foro it., Rep. 1962, voce Impugnazioni civ., nn. 139-141 ; 14 marzo 1962, n. 511,
ibid., n. 87 ; 14 maggio 1962, n. 1021, ibid., il. 96).
Ragioni di ordine logico impongono, a tal punto, di
prendere in esame il sesto motivo del ricorso principale, con il quale il ministero dei lavori pubblici, denunciando la violazione e falsa applicazione degli art. 1321, 1387, 1703 cod. civ. e degli art. 2 e 3 legge 9 agosto 1954 n. 640, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., lamenta che erroneamente la corte di merito dal decreto prefettizio di autorizzazione a procedere ad occupazione di urgenza e da altri atti (verbali di occupazione, di misurazione e di
consegna degli alloggi) abbia dedotto la qualità nell'isti tuto case popolari di delegatario di esso ministero in forza di un rapporto di mandato per l'occupazione e l'espropria zione dei terreni in questione, dichiarando conseguente mente il ministero stesso responsabile dei danni causati al De Domenico dal protrarsi dell'occupazione oltre il biennio, mentre era esclusa qualsiasi volontà di conferimento di
potere di rappresentanza (nè tale potere era conferito dalla
legge n. 640 del 1954) per procedere all'espropriazione dei
terreni, limitandosi il conferimento del mandato all'istituto
case popolari per la costruzione degli alloggi. La censura è fondata.
La corte di merito ha ritenuto l'istituto delle case popo lari delegatario dell'amministrazione dei lavori pubblici, con la conseguenza che mancava di legittimazione passiva nel giudizio proposto dal De Domenico e che la legittima
zione passiva rispetto all'azione promossa da quest'ultimo
spetterebbe àll'amministrazione statale.
L'erroneità di tale argomento è già stata affermata nella
sent. 11 ottobre 1963, n. 2711, che ha pronunciato su ana
loga controversia, e non è il caso di discostarsi da questo recentissimo precedente.
In primo luogo è da osservare che si era discusso sulla
reale portata ed estensione della delega conferita all'istituto, avendo l'amministrazione dei lavori pubblici sostenuto, con il richiamo a vari atti e documenti, che la delega aveva
per oggetto soltanto la, progettazione e la costruzione di
edifici per alloggi popolari e non si estendeva alla procedura di occupazione e di espropriazione dei suoli all'uopo occor
renti, dato che l'amministrazione aveva univocamente ma
nifestato il proprio intento di finanziare e curare la costru
zione degli edifici solo se le aree fossero state fornite gratui tamente dal comune di Messina.
Ora, in ordine a questi punti, la motivazione della sen
tenza impugnata è molto generica e pressoché apodittica,
giacché si limita a tener conto di atti posti in essere dall'isti
tuto nonché della portata degli impegni che il comune si
era mostrato disposto ad assumere, ma pres inde del tutto
dall'esame degli atti richiamati dall'amministrazione, e da
essa promananti, ai quali principalmente occorreva riferirsi al fine di indagare sull'esistenza e sui limiti della delega.
Nò è esatto che la delega sia prevista dalla legge 9 ago sto 1954 n. 640 anche in riferimento alla procedura per l'espropriazione delle aree.
In realtà questa legge attribuisce, in via astratta, alla amministrazione il potere di delegare le proprie attribuzioni e le relative incombenze agli istituti di case popolari, ma l'amministrazione stessa, nell'avvalersi in concreto di tale
potere, è libera di contenere la delega nei limiti che reputi più opportuni, circoscrivendo i compiti specificamente demandati all'ente delegato, onde occorre pur sempre pro cedere, caso per caso, ad una indagine sul contenuto e la estensione della delega, qualora insorgano contestazioni al
riguardo, e si debba accertare se l'attività dell'ente dele
gato abbia o meno esorbitato dai limiti ad essa imposti. V'è peraltro un profilo giuridico che potrebbe essere
decisivo e assorbente e che non è stato considerato dalla sentenza impugnata.
Essa, nel ritenere che l'amministrazione delegante debba
rispondere degli atti e fatti posti in essere dall'ente dele
gato, si è riferita, sia pure per implicito, ai principi codifi cati in tema di mandato e di rappresentanza.
Senonchè va sottolineato che la delegazione amministra tiva costituisce un istituto peculiare del diritto pubblico, e non è senz'altro assimilabile al mandato, per cui non sembra giuridicamente possibile chiarire e puntualizzare le situazioni effettuali cui essa dà luogo attraverso l'indiscri minata applicazione dei principi privatistici dianzi men zionati.
Invero la delegazione, che può essere interorganica ov vero intersoggettiva, secondo che operi nell'àmbito di uno stesso ente pubblico o fra enti diversi, è uno strumento in virtù del quale, consentendolo la legge, l'organo o l'ente investito in via originaria della competenza a provvedere in una determinata materia conferisce, autoritativamente ed unilateralmente, ad altro organo o ad altro ente una
competenza (derivata) in quella stessa materia. E sotto questo aspetto essa attribuisce al delegato la
legittimazione all'esercizio, entro i limiti prefissati nell'atto di conferimento, di poteri e di funzioni spettanti al delegante.
Ciò premesso, con specifico riferimento alla delegazione intersoggettiva, che è quella che interessa nella specie, va notato che, proprio perchè espressione di una accresciuta
competenza del soggetto giuridico delegato, la detta legit timazione, ancorché abbia rilevanza esterna, perchè rela tiva ad attività da esplicarsi nei confronti dei terzi, non può essere giuridicamente qualificata in base alle nozioni pri vatistiche del mandato e della rappresentanza, così come non si può ovviamente far ricorso a tali nozioni per spiegare il fenomeno, sia pure diverso, della legislazione interor
ganica. D'altro canto, com'è stato autorevolmente osservato,
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1209 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1210
mancano anche elementi di sicuro rilievo per ritenere che,
nell'ipotesi di delegazione intersoggettiva, l'ente delegato operi come un organo, sia pure straordinario, dell'ente
delegante. Anzi, se si ha riguardo a quella che è normalmente, nei
casi previsti dall'ordinamento positivo vigente, la ratio
dell'istituto, se ne deduce che esso risponde ad una esi
genza di decentramento, e mira altresì a realizzare una
semplificazione o riduzione, sotto il profilo strutturale e
funzionale, dell'organizzazione amministrativa e delle di
mensioni dell'ente delegante. In effetti, la delegazione, importando una deroga (pre
ventivamente consentita dalla legge) alle norme sulla com
petenza amministrativa, pone il delegato, nei limiti della
delega e per la durata di essa, in una condizione pari a
quella del delegante : questi, a sua volta, viene a trovarsi
rispetto agli atti di esecuzione della delega, nella posizione di soggetto investito di funzioni di controllo.
Il che importa che, di regola e salvo che l'atto di confe
rimento non disponga altrimenti, il delegato è investito
del potere di provvedere rispetto all'oggetto della delega, in nome proprio e non in veste di rappresentante dell'altro
soggetto, pur se per conto e nell'interesse di questo ultimo.
Se così è, ne consegue che l'ente delegato è direttamente
responsabile, nei confronti dei terzi, degli atti posti in essere
in esecuzione della delega, senza che in contrario possano aver rilievo le eventuali ripercussioni ed implicazioni degli atti stessi nell'àmbito del rapporto interno con il delegante e la loro incidenza nella sfera giuridica del medesimo.
D'altro canto, nel caso di specie, la corte di merito ha
omesso altresì di considerare che con il decreto prefettizio
originario l'occupazione dei suoli di cui è controversia fu
autorizzata a favore dell'istituto delle case popolari, senza
che in tutto il contesto dell'atto, e nella relativa notifica
zione, vi sia alcun accenno, sia pure implicito, ma sufficien
temente univoco, all'esistenza della delega ed alla circo
stanza che l'istituto stesso agiva per conto del ministero
dei lavori pubblici. Ora la corte di merito avrebbe dovuto valutare questi
elementi, al fine di stabilire se essi non fossero rilevanti, al fine di escludere che il De Domenico abbia avuto legale scienza della delegazione e dell'eventuale conferimento allo
istituto delle case popolari di agire in rappresentanza del
ministero, e di dedurne poi che il rapporto correlativo alla
occupazione si costituì direttamente tra lo stesso De Dome
nico e l'istituto.
Nel qual caso si sarebbe dovuto altresì ritenere che, nell'àmbito di detto rapporto, erano a carico dell'istituto
stesso tutti gli obblighi ai quali è di regola soggetto l'occu
pante, tra cui quello di riconsegnare il bene alla scadenza
del biennio, qualora nel frattempo non se sia stata pronun ziata l'espropriazione (come si è verificato nella specie) ; ed in conseguenza sarebbe stato necessario valutare se la
situazione, indubbiamente antigiuridica, determinatasi per effetto dell'inadempimento di questo specifico e tassativo
obbligo, non sia stata la causa prima ed efficiente dei danni
lamentati dal De Domenico. Ed è ovvio che, se così fosse, l'istituto dovrebbe rispon
dere dei danni stessi, anche se, per avventura, fosse confi
gurabile, sotto altro aspetto, una responsabilità concor
rente del ministero (il quale successivamente acquisì il
possesso del bene, e tuttora lo detiene senza titolo). (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 9 gennaio 1964, n. 37 ; Pres.
Marletta P., Est. Cortesani E., P. M. Gentile (conci,
conf.) ; Massara (Aw. Bosco) c. Massara (Avv. Gi
gliottl).
(Conferma App. Catanzaro 17 luglio 1961)
Successione — Legato in sostituzione di legittima —
Prelerenza per il legato — Perdita del diritto
al supplemento (Cod. civ., art. 551, 649).
Successione — Legalo In sostituzione «li legittima —
Atti vari attinenti alla successione — Volontà di
preferenza — Insussistenza (Cod. civ., art. 551, 649).
Il comportamento del legittimario legatario che importa ma
nifestazione della sua preferenza per il legato, implica
conferma dell'acquisto ex lege, indipendentemente dal
l'effettivo conseguimento dei beni oggetto della disposizione a titolo particolare, preclude la possibilità di una successiva
rinunzia, e d -termina la perdita del diritto di chiedere il
supplemento ex art. 551 cod. civ. ad integrandam le
gitimam. (1) Non implicano volontà di preferenza del legato in sostitu
zione di legittima la registrazione e trascrizione del testa
mento, la relativa denuncia fiscale e gli atti di mera am
ministrazione compiuti dal legittimario onorato di un
legato sostitutivo allo scopo della conservazione degli unici
beni costituenti il relictum. (2)
(1-2) Accettazione o preferenza del legato in sostitu
zione di legittima?
1. — La disposizione del codice vigente (art. 649 cod. civ.) che il legato si acquista « senza bisogno di accettazione », non è stata a mio parere ancora convenientemente approfondita dalla dottrina, e le dispute che si rinnovano sull'argomento non
tengono nel debito conto il preciso dato normativo e paiono ripetere le argomentazioni già proposte dalla pandettistica e risalenti al diritto romano (1). Così prevale attualmente la tesi che, riallacciandosi all'insegnamento del Coviello (2), ritiene che, acquistandosi il legato ope legis, l'accettazione non è già l'atto col quale il legato si acquista, ma l'atto con cui l'acquisto è con fermato e diviene irrevocabile, unico suo effetto essendo il venir meno del diritto di rinunziare (3).
In senso contrario, già sotto il vigore dell'abrogato codice, si sosteneva che « all'acquisto del legato si richiederà pur sempre l'adesione del legatario. Rettamente quindi l'art. 862 cod. civ. si lfmita ad attribuire al legatario il diritto di conseguire la cosa legata, perocché come per l'acquisto dell'eredità così per l'acquisto del legato occorre la di lui accettazione » (4).
Sotto il governo del vigente codice il primo a reagire alla teoria che chiameremo tradizionale, fu il Cicu per il quale l'art. 649 non aveva inteso escludere la necessità di accettazione del
legato, ma solo porre una presunzione di accettazione (5). Recen
(1) La questione se il legato si acquistasse ipso iure o con una di chiarazione dell'onorato aveva già formato oggetto di discussioni tra le scuole dei Sabiniani (acquisto ope legis) e dei Proculiani (necessità di accettazione). Nel diritto romano giustinianeo pare fosse prevalsa la tesi dei Sabiniani, accolta poi quasi senza contrasti dalla pandetti stica. V. per tutti Windscheid, Diritto delle pandette, trad. Fadda e Bensa, 1925, III, pag. 457. Nel diritto tedesco attuale si è accolta in vece ima soluzione in certo senso intermedia, v. Kipp Coing, Erbrecht, in Enneccerus Kipp Wolff, Lehrbuch des Bùrgerlichen Rechts, Tubin gen, 1955, V, pag. 204 ; cfr. su ciò la nota 6.
(2) N. Coviello, Corso completo del diritto delle successioni, 2» ed., 1915, pag. 1035 segg. ; la tesi del Coviello venne poi ripresa ed ap profondita dal Gangi, I legati nel diritto civile italiano, 2a ed., 1933, I, pag. 279 segg. Entrambi gli Autori esaminano anche taluni aspetti dell'acquisto del legato nel diritto romano più vicini alla moderna pro blematica. Su oiò v. specificatamente Grosso, I legati, 1953, pag. 170.
(3) V. da ultimo Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, 1961, parte gen., Ili, pag. 153 ; cfr. inoltre Gangi, La successione testamentaria, 1948, II, pag. 250 ; Barassi, Le successioni per causa di morte, 3a ed., 1947, pag. 437.
(4) Così Vitali, Delle successioni legittime e testamentarie, in Trat tato, diretto dal Fiore, 1893, II, pag. 593. L'art. 862 cod. civ. 1865 reci tava : « Qualunque legato puro e semplice attribuisce dal giorno della morte del testatore il diritto al legatario, trasmissibile ai suoi eredi di conseguire la cosa legata », ed era pertanto a mio parere senz'altro più giustificata la tesi che riteneva attribuito al legatario un semplice diritto allegato, occorrendo per l'acquisto del medesimo un atto di accet tazione.
Si noti del resto che ancor più chiaro in tal senso è l'art. 1014 del codice civile francese (Code Napoléon) che espressamente parla di « droit à la chose léguée », e la dottrina francese è infatti concorde nell'am mettere la necessità di un atto di accettazione del legato. V. Trasbot Loussouarn, Donations e testaments, in Traitò pratique de droit civil francais, par Planiol et Ripert, Paris, 1957, V, pag. 787 segg.
(5) Clou, Il testamento, 1951, pag. 232 segg. ; per l'illustre Autore anche nell'ipotesi del legato vi sarebbe cioè una messa a disposizione del bene a favore del legatario, come nell'eredità, ed una situazione in stato di pendenza fino all'aocettazione o alla rinunzia del legatario.
L'unica differenza dall'ipotesi dell'acquisto dell'eredità sarebbe che il silenzio del legatario invece di far cadere la delazione, consoli derebbe l'acquisto : e questo perchè la legge detta, come si è rilevato, una presunzione di accettazione.
Il Fobo Italiano — Volume LXXXVli — Pani 1-71.
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