Sezioni unite civili; sentenza 23 novembre 1963, n. 3020; Pres. Tavolaro P. P., Est. Di Majo, P.M. Pepe (concl. conf.); Proc. gen. App. Roma c. Corinaldesi (Avv. Guerra)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 279/280-281/282Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156025 .
Accessed: 24/06/2014 23:24
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.2.32.121 on Tue, 24 Jun 2014 23:24:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
279 PARTE PRIMA 280
La Corte, ecc. — Con l'unico motivo si censura l'impu
gnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli art. 17 e 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408, in relazione
all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., assumendosi che essa
abbia erroneamente interpretato la norma di favore del 1°
comma dell'art. 17 della legge ora citata, affermando che
sia compreso nell'agevolazione fiscale della riduzione a metà
dell'imposta di registro ed al quarto della imposta ipote caria ogni trasferimento clie non rientri negli espliciti casi
di esclusione contenuti negli altri due comma della norma
medesima. Secondo la ricorrente amministrazione delle
finanze, la norma dell'art. 17, 1° comma, non può inter
pretarsi in contrasto con l'art. 13, che essa specificamente richiama : e tale collegamento pone in tutta evidenza che
il trasferimento, quando non comprenda « abitazione con
uffici » o « abitazione con negozi » o « abitazione con negozi ed uffici », non può rientrare nell'àmbito dell'agevolazione.
Sempre secondo la ricorrente amministrazione, il trasferi
mento isolato di parti di casa destinate specificamente e
solamente ad uffici non può essere compreso nella sfera
del beneficio fiscale, perchè l'intento del legislatore è stato
quello d'incrementare il mercato (così come la costruzione) di case di abitazione non di lusso, « anche se comprendono uffici e negozi ».
La censura non è fondata. Secondo il principio di erme
neutica, fissato dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, nell'applicare la legge non si può ad essa attri
buire altro senso che quello fatto palese dal significato
proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla
intenzione del legislatore. Alla stregua di tale principio, va rilevato che l'art. 17 della citata legge n. 408 del 1949
accorda la riduzione a metà dell'imposta di registro ed al
quarto dell'imposta ipotecaria ai trasferimenti di case, costruite ai sensi dell'art. 13, che abbiano luogo entro
quattro anni dalla dichiarazione di abitabilità o dalla effet
tiva abitazione (1° comma) ed esclude dalle agevolazioni la vendita di negozi, che non sia effettuata con lo stesso
atto con il quale viene trasferito l'intero fabbricato (2°
comma) e la vendita isolata di negozi, che costituiscano unità economiche a se stanti. Il richiamo espresso, che la
norma fa, dell'art. 13 della legge medesima consente ine
quivocabilmente di affermare che il legislatore ha inteso
accordare il beneficio tributario della riduzione delle im
poste di registro ed ipotecaria ai trasferimenti di case che
abbiano i requisiti previsti nell'art. 13, ossia ai trasferi
menti di case di abitazione, anche se comprendenti uffici
o negozi, che non abbiano il carattere di abitazione di
lusso e siano iniziate e costruite nei termini indicati. Ora, come ha precisato più volte questo Supremo collegio (v., da ultimo, sent. 2 agosto 1962, n. 2302, Foro it., Rep. 1962, voce Fondiaria, n. 10 ; 7 agosto 1962, n. 2434, ibid., n. 9), la espressione « case di abitazione, anche se com
prendono uffici e negozi » adoperata dall'art. 13. 1° comma, della legge n. 408 del 1949 va intesa nel senso che le agevo lazioni fiscali concesse dalla legge medesima si estendono
agli uffici e negozi compresi negli edifici, purché l'incor
porazione non sia di tale entità da snaturare la fondamen
tale natura e destinazione della costruzione, ossia sempre che la parte di edificiio destinata ad uso di uffici e negozi in esso incorporati non raggiunga e tanto meno superi la
parte che è invece destinata ad abitazione. Il rinvio, ope rato dal legislatore nell'art. 17 della legge, all'art. 13 sta
chiaramente a significare che unico è il principio da adot
tare per la concessione dei benefici tributari accordati con
la legge medesima e che, quindi, anche le agevolazioni in
tema di imposte di registro ed ipotecaria si estendono agli uffici e negozi incorporati in case di abitazioni non di lusso, costruite nei termini di legge, sempre che l'incorporazione
27 maggio 1958, n. 1776, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 382, 383, che ha ritenuto distinte entità economiche le due parti di un edificio destinate a sede di una banca e ad abitazione, per modo che alla prima non è applicabile il beneficio de quo.
Vedasi pure G. Masnata, Legge 2 luglio 1949 n. 408, dispo sizioni per l'incremento delle costruzioni edilizie, in Dir. e pratica trib., 1962, II, 356.
non sia di tale entità da snaturare la destinazione origi naria e preminente dell'edificio a case di abitazione.
Siffatta interpretazione trova conferma, ove si ponga mente allo spirito della legge 2 luglio 1949 n. 408, clie è
intitolata « disposizioni per l'incremento delle costruzioni
edilizie » e clie mira al fine di stimolare la più intensa
costruzione di case, per sopperire alle gravi deficienze con
seguite alla guerra. Il 2° e 3° comma dell'art. 17 della detta legge, i quali
rispettivamente escludono dalle agevolazioni tributarie in
tema di imposte sui trasferimenti la vendita di negozi, che non sia effettuata con lo stesso atto con il quale viene
trasferito l'intero fabbricato, e la vendita isolata di negozi, che costituiscano unità economiche a sè stanti, non esclu
dono, bensì confermano l'interpretazione data, perchè pre cisano che il legislatore ha inteso accordare la riduzione
d'imposta a tutti gli elementi della costruzione, in caso di
vendita dell'intero fabbricato con unico atto nel primo
quadriennio, ed escluderla nel caso di vendite isolate di
negozi costituenti autonome unità economiche ; lia inteso,
cioè, non condizionare la concessione delle agevolazioni alla circostanza che il trasferimento comprenda congiuntamente un'abitazione ed un negozio od ufficio, ma concedere l'age volazione stessa anche al trasferimento isolato di parti di
casa ad uso esclusivo di uffici, sempre che la destinazione
del complesso dell'edificio a case di abitazione sia fonda
mentale e preminente. Ciò precisato, queste Sezioni unite rilevano che se
condo la lettera e lo spirito della legge, non può condivi
dersi l'interpretazione data, alle norme in esame, da questa Corte a sezione semplice con la sentenza n. 1776 del 1958
(Foro it., Rep. 1958, voce Registro, n. 382), secondo cui, ai fini delle agevolazioni fiscali e tributarie, concesse dagli art. 13 e segg. della legge 2 luglio 1949 n. 408, per la co
struzione di case di abitazione, i fabbricati destinati a due diversi usi, autonomi ed indipendenti, sì da formare due
unità economiche a sè stanti (quale un edificio costruito
per essere adibito in parte ad abitazione ed in parte a
sede di una banca), debbono essere considerati come due distinti immobili, ancorché facenti parte di un unico corpo di fabbricato, e, quindi, come due distinte entità, soggette alle rispettive regolamentazioni, onde, mentre la parte destinata specificamente ad uffici non può godere delle
agevolazioni fiscali, di cui alla citata legge n. 408 del 1949,
quella destinata ad abitazioni, rientrando fra le « case »
previste dalla legge, deve invece usufruire di dette agevo lazioni, sempre che ricorrano le altre condizioni all'uopo
prescritte. La legge, nella sua chiara dizione, non consente il ricorso al criterio della scindibilità della nuova costru
zione in entità a sè stanti, ai fini dell'applicazione o non
della riduzione delle imposte sui trasferimenti, perchè essa, come si è precisato innanzi, fatta eccezione per la vendita isolata di negozi che costituiscano unità economiche a sè
stanti, ha inteso accordare i benefici tributari ai trasferi menti di case, anche se comprendenti uffici o negozi, che
rispondano ai requisiti di cui all'art. 13, sempre che, avuto riguardo all'intero edificio, la parte destinata ad abi tazione sia prevalente, rispetto a quella destinata ad uffici o negozi.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 23 novembre 1963, n. 3020 ; Pres. Tavolaro P. P., Est. Di Majo, P. M. Pepe
(conci, conf.) ; Proc. gen. App. Roma c. Corinaldesi
(Avv. Guerra).
(Conferma App. Roma 14 febbraio 1962)
Matrimonio Matrimonio tra stranieri Divor zio pronunciato «la giudice ili Stato non aderente alla convenzione dell'Afa — Delibazione [in Italia — Ammissibilità (Disposizioni sulla legge in gene
This content downloaded from 185.2.32.121 on Tue, 24 Jun 2014 23:24:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 282
rale, art. 31 ; cod. civ., art. 149 ; cod. proc. civ., art.
797, n. 7).
Pud essere delibala in Italia la sentenza di divorzio pro nunziata in uno Stato non aderente alla convenzione del
l'Aja e relativa a matrimonio tra stranieri. (1)
La Corte, ecc. — (Omissis). Con l'unico mezzo il p. m.
ricorrente denuncia la violazione dell'art. 797, n. 7, cod.
proc. civ. in relazione all'art. 31 disp. della legge in gene rale e art. 149 cod. civile.
Spiega il ricorrente che incombe al giudice italiano
chiamato a rendere efficace una sentenza straniera accer
tare se tale sentenza non contenga disposizioni contrarie
all'ordine pubblico italiano : la norma dell'art. 149 che
ha codificato il principio fondamentale della indissolubi
lità del matrimonio, si dice, ha una efficacia cogente e at
tiene all'ordine fondamentale dell'istituto familiare che
il legislatore ha inteso tutelare rifiutando di accogliere, come in altri paesi, l'istituto del divorzio ; pertanto il
principio nella sua assolutezza attiene all'ordine pub blico e al buon costume.
Si aggiunge poi che nessun rilievo può avere il fatto
che l'Italia è uno dei paesi aderenti alla convenzione
dell'Aja secondo cui (art. 7) il divorzio e la separazione
personale pronunciati da un tribunale competente saranno
riconosciuti ovunque : la norma estende il suo àmbito
di applicazione soggettiva al divorzio pronunciato tra stra
nieri all'estero e non ha alcuna validità per i divorzi
ottenuti da cittadini italiani attraverso pronunce di giu dici stranieri poiché in contrasto col principio di ordine
pubblico della indissolubilità del matrimonio. La norma
dell'art. 7 non costituisce una deroga al principio di cui
sopra : essa vale solo al riconoscimento degli effetti giu risdizionali di provvedimenti emessi dal giudice straniero
nell'esercizio dei poteri sovrani che le norme della con
venzione hanno inteso adottare. Per questo la conven
zione dell'Aja vincola solo gli Stati che ad essa hanno
aderito e non può trarsi alcun argomento valido ad affer
mare in linea di principio generale ohe lo Stato italiano
abbia voluto attenuare il principio della indissolubilità
del matrimonio. Proprio dal fatto che la convenzione lia
inteso regolare particolarmente l'efficacia delle sentenze
straniere di divorzio si trae argomento per affermare che
quella convenzione non può valere al di fuori dell'àmbito
di applicazione determinato dall'atto di adesione dello
Stato estero.
Pertanto, conclude il p. m. ricorrente, non poteva essere accolta l'istanza di dichiarazione di efficacia della
sentenza di divorzio pronunciata da un giudice dell'In
ghilterra che è paese che non ha aderito alla convenzione
dell'Aja. La censura non ha fondamento.
(1) Conf. le sentenze richiamate nella motivazione : Cass.
19 maggio 1962, n. 1147, 10 luglio 1962, n. 1816, Foro it., Rep. 1962, voce Matrimonio nn. 62, 63; 6 febbraio 1961, n. 243, id.,
1961, I, 430, con nota di richiami. Nello stesso senso si era già pronunziata la Cassazione con sent. 13 luglio 1939, n. 2546, id.,
1939, I, 1097 ; contra Cass. 16 marzo 1933, n. 903, id., Rep. 1933, voce Divorzio, n. 5. In dottrina, vedi A. Lener, id., 1955, I,
1750, e D. Leone in Giur. Cass. civ., 1952, II, 455. È da osservare che le Sezioni unite, sia pure incidentalmente,
hanno risolto un'altra quistione, sulla quale erano insorti notevoli
contrasti. Si legge, infatti, nella motivazione che « una volta ri
conosciuto non contrastare col nostro ordine pubblico interno la
sentenza di divorzio tra stranieri pronunciata da uno Stato ade
rente alla convenzione dell'Aja, sarebbe ovviamente illogico rav
visare tale contrasto solo perchè la sentenza emani da un altro
Stato non aderente alla convenzione medesima ». Nello stesso
senso vedi Cass. n. 243 del 1961, cit. Contra : Cass. 17 maggio
1952, n. 1428, id., 1952, I, 1188, secondo cui, perchè possa deli
bare una sentenza di divorzio tra stranieri emessa da uno Stato
non aderente alla convenzione, il giudice italiano deve accertare,
oltre le condizioni richieste dalla convenzione, anche se il giudica to straniero è contrario all'ordine pubblico interno ; nello stesso
senso avevano deciso molti giudici di merito, tra cui App. Romn
1° aprile 1952, id., Rop. 1952, voce cit., nn. 165-167.
Già con. la sentenza n. 2546 del 1939 questa Corte
suprema (Foro it., 1939, I, 1097) ebbe a segnare l'indirizzo che non è contraria all'ordine pubblico, e può pertanto essere resa efficace in Italia, la sentenza straniera di
divorzio tra cittadini stranieri, ancorché emessa dal tri
bunale di uno Stato non aderente alla convenzione del
l'Aja del 12 giugno 1902 in materia di divorzio, resa ese
cutiva in Italia con la legge 7 settembre 1905 n. 523. E
l'indirizzo stesso è stato di recente confermato con le
sentenze n. 243 del 1961 (id., 1961, I, 430) ; nn. 1147 e
1816 del 1962 (id., Rep. 1962, voce Matrimonio, nn. 62, 63) È sufficiente considerare, per poi ribadire il principio
di diritto di cui alla citata giurisprudenza, clie se il di
vorzio è istituto contrario all'ordine pubblico interno, il
nostro ordinamento in tanto reagisce all'istituto, in quanto si tratti di divorzio tra cittadini italiani, laddove, trattan
dosi di divorzio tra stranieri (come nel caso in esame), l'ordine pubblico interno non può dirsi sicuramente intac
cato o menomato.
In effetti con la convenzione dell'Aja del 1902 lo Stato
italiano è impegnato ad attribuire efficacia nel proprio territorio alle pronunce di divorzio emesse dagli organi
giurisdizionali competenti degli Stati firmatari, e sembra
chiaro che nessuna rilevanza può avere al riguardo il
fatto che l'Inghilterra non sia tra gli Stati aderenti alla
convenzione predetta ; perchè, una volta riconosciuto non
contrastare col nostro ordine pubblico interno la sentenza
di divorzio tra stranieri pronunciata da uno Stato ade
rente alla convenzione, sarebbe ovviamente illogico rav
visare tale contrasto sol perchè la sentenza emani da un
altro Stato non aderente alla convenzione medesima.
La corte del merito ha esattamente richiamato tale
principio dandosi poi anche carico di porre in risalto che
nella fattispecie concreta esulava ogni possibile ipotesi di perdita della cittadinanza italiana, da parte del Cori
naldesi, preordinata allo scopo di ottenere la pronuncia di divorzio, in quanto risultava in modo indubbio^dagli atti di causa che la richiesta della cittadinanza straniera
fu fatta da costui gran tempo prima della proposizione della domanda di divorzio ed in relazione alla costante
residenza ed all'esercizio dell'attività professionale nel
territorio dello Stato estero, e che il Corinaldesi conserva
tuttora, con la cittadinanza straniera, tale sua residenza
in Inghilterra, dove continua ad esercitare la propri a
attività.
Il ricorso del p. m. deve essere quindi rigettato. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 22 novembre 1963, n. 3000 ; Pres. Danzi, Est. Corduas, P. M. Trotta (conci,
conf.) ; Corsetti (Avv. Rocchetti) c. I.n.a.i.l. (Avv.
Flamini).
(Conferma App. Roma 15 luglio 1961)
Invalidi di guerra, reduci c invalidi del lavoro — In
valido del lavoro — Assunzione obbligatoria -—
Iscrizione nel ruolo dei collocabili - Rigetto della domanda — Riconoscimento giudiziale del
diritto — Legittimazione passiva Tdell'Associa
zione naz. mutilati e invalidi del lavoro :(D. 1.
3 ottobre 1947 n. 1222, assunzione obbligatoria dei
mutilati e invalidi del lavoro, art. 3, 4 ; legge 21
marzo 1958 n. 335, sull'Associazione naz. mutilati e
invalidi del lavoro, art. 1).
L'invalido del lavoro, che non ha ottenuto l'iscrizione nel
ruolo degli invalidi a favore dei quali è prevista l'assun
zione obbligatoria nelle imprese, deve proporre la do
manda, volta al riconoscimento del diritto alla iscrizione, nei confronti dell'Associazione nazionale dei mutilati e
invalidi del lavoro che provvede per legge alla tenuta
This content downloaded from 185.2.32.121 on Tue, 24 Jun 2014 23:24:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions