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Sezioni unite civili; sentenza 25 ottobre 1960, n. 2894; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M....

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Sezioni unite civili; sentenza 25 ottobre 1960, n. 2894; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Colli (concl. diff.); Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori di Roma (Avv. Sorrentino) c. Ciancarini (Avv. Angeloni, Piccardi), Proc. gen. Corte app. Roma, Proc. Repubblica Trib. Roma Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 10 (1960), pp. 1657/1658-1661/1662 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151684 . Accessed: 24/06/2014 21:58 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.152 on Tue, 24 Jun 2014 21:58:24 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 25 ottobre 1960, n. 2894; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M.Colli (concl. diff.); Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori di Roma (Avv. Sorrentino)c. Ciancarini (Avv. Angeloni, Piccardi), Proc. gen. Corte app. Roma, Proc. Repubblica Trib.RomaSource: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 10 (1960), pp. 1657/1658-1661/1662Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151684 .

Accessed: 24/06/2014 21:58

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1657 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1658

reale di rivendica dei titoli azionari in questione, rima

nendo impregiudicata l'altra autonoma domanda degli at

tori concernente l'accertamento (con effetti di giudicato anche nei confronti della Società in nome collettivo Fel

trinelli in liquidazione) dell'indice di quota (in 235/513 anziché 11/365) che essi Giangiacomo e Antonella Fel

trinelli assumevano loro spettare sul patrimonio della col

lettiva, e ciò con riferimento, oltre che ai titoli azionari

rivendicati, alle ulteriori attribuzioni in proprietà, compensi e conguagli nei successivi riparti, in ordine al quale accer

tamento erano stati ammessi dal Tribunale, con ordinanza

collegiale, provvedimenti istruttori che ovviamente non ave

vano esaurito sul punto controverso il potere di giurisdizione del tribunale medesimo.

In tale situazione, ed avuto riguardo alla specifica impu

gnativa, l'unico punto che qui interessa concerne la negata

legittimazione ad agire degli attori, attuali ricorrenti, per il

diritto da essi fatto valere con la domanda giudiziale del

dicembre 1956.

Ed in proposito non è anzitutto a dubitare che essi

Giangiacomo e Antonella Feltrinelli a fondamento del peti tum (restituzione delle azioni) dedussero lo status di un loro

diritto di proprietà esclusivo delle azioni medesime (causa

petendi), per cui è agevole il rilievo che ai fini di determi

nare il legittimo ingresso di tale domanda si sarebbe dovuto

riscontrare, alla stregua degli elementi di causa, la rile

vanza del titolo posto a base della vantata esclusiva pro

prietà di quei beni. La domanda di restituzione era chia

ramente formulata in funzione dell'azione di rivendica

zione e sul presupposto che gli attori fossero appunto, al

tempo della domanda stessa, i legittimi proprietari del

bene da altri posseduto. Ora, come questa Corte suprema ha avuto anche di

recente occasione di affermare, qualora, in tema di riven

dicazione, il titolo invocato dalla parte risulti comunque obiettivamente inidoneo ad attribuire la proprietà del bene

rivendicato la domanda deve essere senz'altro disattesa

per carenza di legittimazione ad agire (da ultimo sentenza

10 febbraio 1960, n. 191, Foro it., Mass., 42). E questo in sostanza ha detto la Corte del merito,

allorché, dopo aver rilevato, secondo lo stesso assunto di

parte, che le azioni, oggetto di rivendica, sarebbero state

illegittimamente sottratte al patrimonio sociale per l'arbi

trarietà del riparto tra i soci fatto nel 1936 da Antonio

Feltrinelli, ha posto in decisivo risalto che da tale premessa di fatto conseguiva ovviamente che la Società in nome col

lettivo Feltrinelli (tuttora in vita nella; sua fase di liquida

zione), e non già i singoli soci, era rimasta proprietaria delle azioni oggetto di disputa ; il che del resto avevano

riconosciuti gli attori medesimi nelle loro difese col precisare che « la materiale distribuzione dei beni operata dal liqui datore nel 1936 con assoluto difetto di potere era ed è

assolutamente nulla con la conseguenza che anche i beni

distribuiti di fatto tra i soci sono rimasti di proprietà so

ciale ». Donde la ineluttabile ulteriore illazione che alla

Società, non ai singoli soci, sarebbe spettato di chiedere la

restaurazione della situazione conforme al diritto, doven

dosi escludere che, pendendo la liquidazione di una società

in nome collettivo, possa il singolo socio spiegare in proprio nome azione di rivendica di beni che si assumono illegit timamente distratti dal patrimonio sociale. Ed il principio affermato è esatto, perchè la società anche se in liquidazione continua ad essere fondamentalmente soggetta alle regole che le sono proprie secondo il tipo a cui appartiene, e per

quanto attiene alla organizzazione interna della società

di persone permane sicuramente l'autonomia patrimoniale, ditalchè spetta ancora alla società, che ha capacità proces

suale, la titolarità dei diritti sul patrimonio sociale. Ed in

effetti il sistema del codice civile in soggetta materia è nel

senso che i singoli soci non possono destinare i beni sociali

a fini diversi da quelli della società (art. 2256) e che essi

soci, dopo lo scioglimento della società, hanno diritto agli utili e ad una quota dei beni residuati, secondo le modalità,

s'intende, fissate nel contratto sociale e dai soci medesimi

(art. 2262, 2282, 2311 e 2312). E se anche deve accedersi alla tesi che la cennata auto

nomia patrimoniale, persistente, come già detto, anche nella fase di liquidazione d'ella società non sia tale nell'or dinamento positivo da far sorgere un nuovo soggetto di

diritto, perchè l'ordinamento stesso nega la personalità

giuridica alla società organizzata su base personale ancorché

registrata (arg. art. 2331, 1° comma, e 2498, 2° comma, cod. civ. ; il che implica necessariamente che il patrimonio sociale non può che appartenere in comunione alla collet

tività dei soci come tale), anche sotto questo riflesso non

potrebbe validamente configurarsi una legittimazione del

socio, quale membro della collettività sociale a chiedere, durante quella fase di liquidazione della società, il ricono

scimento di un suo diritto di proprietà esclusiva sui beni

sociali che egli stesso riconosce comuni e indivisi. È ben

evidente -che questo risultato potrà realizzarsi soltanto

quando si sia fuori della comunione ossia quando il singolo socio abbia titolo per affernarsi ormai proprietario esclu

sivo del bene attribuitogli e come tale quindi legittimato a rivendicarlo.

Non potrebbe qui giovare il richiamo al principio di

diritto secondo cui nello stato di indivisione di un bene, l'azione di rivendicazione può essere anche esperita da uno

solo dei partecipanti alla comunione (conf. sent. 21 novembre

1957, n. 4463, Foro it., Rep. 1957, voce Rivendivcazione, n. 7). Anche senza dire delle ben rilevanti deviazioni che sus

sistono nella disciplina delle società e per la stessa struttura

di questa rispetto al regime normale della comunione (basti ricordare le differenti disposizioni circa lo scioglimento della comunione e delle società, art. 1111 e 2272 cod. civ. ; la cedibilità della quota, art. 1103 e 2300 ; l'uso dei beni

comuni, art. 1102 e 2256), è decisivo considerare che la legit timazione del singolo partecipante alla comunione ordina

ria a rivendicare il bene comune, se si giustifica in vista

dell'interesse che costui ha a far ritornare il bene nel patri monio collettivo, non potrebbe di certo trovare uguale

giustificazione ove il singolo medesimo esplicasse invece

quell'azione in base ad un suo vantato esclusivo diritto di

proprietà del bene medesimo che pur riconosce comune.

Situazione quest'ultima che si sarebbe verificata nella

fattispecie, in cui gli attori affermavano appunto il loro

esclusivo diritto di proprietà sulle azioni oggetto di disputa

che, come già detto, essi stessi riconoscevano comuni e

indivise. Se perciò in definitiva il titolo da essi dedotto in

causa (comproprietà delle azioni) non era di per sè idoneo

ad attribuire ad essi la pretesa proprietà esclusiva di tali

azioni, ciò è di per sè sufficiente a riaffermare, nell'attuale

causa, la mancanza di legittimazione attiva, e si rivela

quindi superflua, per le considerazioni innanzi fatte in

relazione all'unica questione, che qui solo interessa, ogni altra disamina estranea alla questione stessa.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili ; sentenza 25 ottobre 1960, n. 2894 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Colli (conci,

diff.) ; Consiglio dell'ordine degli avvocati e procura tori di Roma (Avv. Sorrentino) c. Ciancarini (Aw.

Angeloni, Piccardi), Proc. gen. Corte app. Roma, Proc. Repubblica Trib. Roma.

(Conferma (Jons. Stato, Sets. 1V, 24 giugno ìyò'J)

Avvocato e procuratore — Consigli dell'ordine —

Pareri su onorari — Attività amministrativa.

Patrocinio gratuito —- Richiesta di parere al Con

siglio dell'ordine degli avvocati e procuratori —

Richiesta della tassa ■— Controversie — Giuris

dizione amministrativa.

Il Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori, allorché

esprime pareri sui compensi spettanti agli iscritti per le

prestazioni professionali, svolge attività amministrativa. (1)

Spetta al Consiglio di Stato conoscere della controversia pro

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1659 PARTE PRIMA 1660

vocata dal lifiuto del Consiglio dell'ordine di emettere

il parere, richiesto dagli eredi di un avvocato ammessi al gratuito patrocinio, senza previo pagamento dei di

ritti. (2)

La Corte, eoo. — Due sono le censure ohe il ricorso

muove alla pronuncia con la quale il Consiglio di Stato

ha affermato la propria giurisdizione nella causa presente :

l'una, appena accennata, ma pregiudiziale, che la funzione

dell'Ordine di dare pareri sui compensi spettanti agli av

vocati iscritti, non concreti l'esercizio di una attività am

ministrativa in senso stretto ; l'altra, assai più complessa, che l'oggetto della controversia, nella sostanza, consistesse

nell'identificare i limiti della estensione degli effetti del

l'ammissione al gratuito patrocinio, materia di diritto sog

gettivo e non di interessi legittimi. Questa censura sarà

più particolarmente esposta ed esaminata in seguito. La prima censura non ha fondamento. Non può du

bitarsi che i collegi professionali in genere, e i consigli del l'Ordine forense in ispecie, siano enti pubblici ed esercitino

funzioni di amministrazione attiva. Basterà accennare alla importanza e alla rilevanza, nel pubblico interesse, della

tenuta degli albi, della funzione disciplinare, della vigilanza sulla condotta dei propri associati, ai fini della tutela

nell'interesse della collettività in essi organizzata e di

quello statuale in genere, del decoro e del prestigio dei

professionisti iscritti, per concludere innanzi tutto ch'essi esercitano funzioni amministrative. Da questa premessa discende come corollario che l'attività esterna di questi organi, svolta per il conseguimento dei loro fini istituzio

nali, dà luogo alla formazione di atti amministrativi. Non si può disconoscere quindi ohe i pareri sulla congruità

degli onorari all'opera prestata dai professionisti siano emessi nell'esercizio di un'attività amministrativa, perchè è la legge stessa che ne attribuisce agli Ordini la competenza, e perchè questi pareri non si esauriscono nella sfera interna

degli Ordini, ma sono espressi per permettere ai giudici di

pronunciarsi, talvolta, come nel caso dell'art. 636 cod.

proc. civ., con efficacia vincolante.

Si tratta di un caso di collaborazione fra l'ammini strazione e la giurisdizione ; e non può in nessun modo

negarsi che anche un parere del genere, emesso nell'eser cizio di un'attività amministrativa e nell'interesse pub blico, sia atto amministrativo.

Il secondo gruppo di censure è più rilevante. Secondo il ricorrente l'azione svolta dagli eredi Cianca

rini aveva l'oggetto di accertare se l'ammissione al gratuito patrocinio si estendesse anche alla tassa di parere che l'Or dine aveva istituito ; e questo accertamento implicava che l'oggetto della controversia, concernente l'esenzione di una prestazione patrimoniale, costituisse materia di di ritto soggettivo perfetto. Il ricorrente poi si addentra in una serrata critica della decisione del Consiglio di Stato e dei motivi di essa : ma in sostanza il motivo si riassume nella proposizione innanzi accennata. Il ricorrente sostiene, infatti, che, per identificare se si sia in presenza di un diritto

soggettivo perfetto o di un interesse legittimo, occorre vedere se la soddisfazione dell'interesse pubblico, che le norme di legge relative all'emissione del parere, le disposi zioni sulla tassa consiliare, e quelle relative agli effetti dell'ammissione al gratuito patrocinio perseguono, possa essere ottenuta mediante la concessione di un potere di

screzionale al Consiglio dell'ordine o se invece qui non sia ipotizzabile margine alcuno di discrezionalità ammi nistrativa. Questa discrezionalità mancherebbe nella ma teria : perchè sia che l'ammissione al gratuito patrocinio si estenda anche alle emissioni dei pareri sia che invece

(1-2) La decisione confermata, Cons. Stato, Sez. IV, 24 giugno 1959, n. 705, leggesi in Foro it., 1959, III, 191, con am pia nota di richiami, ed è stata commentata da A. Sandtjxli, Osservazioni in tema di rifiuto di pareri sugli onorari da parte di ordini professionali, in Giust. civ., 1959, II, 256 e da Piscione, Un nuovo campo di giurisdizione del Consiglio di Stato, in Foro amm., 1959, I, 954,

a questa non. si estenda, nell'uno e nell'altro caso, il Con

siglio sarebbe stato vincolato al rilascio o non avrebbe

potuto rilasciare il parere, e quindi la controversia concer

nerebbe diritti soggettivi. Nè poteva avere importanza clic nel caso si cliiedesse

la declaratoria d'illegittimità del rifiuto, percliè la causa

petendi consisteva nell'accertamento dei limiti della esten

sione del beneficio, e su questa causa petendi « si svolgeva il

dibattito sulla competenza ».

La soluzione del problema di giurisdizione non può essere fondata sulle considerazioni, pur acutamente svolte, del ricorrente. Oggetto della controversia non era certo

un'azione autonoma di accertamento della estensione dei

limiti dell'ammissione al gratuito patrocinio, ma la posi zione del professionista o del privato suo a-vente causa

rispetto all'Ordine, per quanto concerne l'emissione del

parere. È infatti principio affermato che in materia di

giurisdizione non si possa stare nè alla prospettazione delle

parti nè ai motivi degli atti amministrativi, ma occorre

rimanere nell'ambito dell'oggettiva consistenza delle, pre tese ed eccezioni dedotte in giudizio al lume del diritto

positivo. Una i>rima osservazione è da fare a questo proposito. Le modalità di rilascio del parere, quali il pagamento

della tassa o meno, riguardano non l'intrinseca posizione, in sè considerata, ma soltanto il procedimento relativo al

rilascio, finché questo non sia avvenuto.

Esaminando, dunque, nell'intrinseco tale posizione, oc

corre considerare innanzi tutto che nell'emissione del parere si concreta l'esercizio di una pubblica funzione, non potendo altrimenti considerarsi quella che consiste nel porre in essere atti che vincolano nella loro misura un potere dello

Stato, quello giudiziario. Ciò tuttavia non risolve, senz'altro, come vorrebbe il patrocinio del resistente ed è stato auto

revolmente sostenuto, il problema nel senso che il singolo,

rispetto all'esercizio della funzione pubblica, abbia sempre e

soltanto un interesse legittimo. Yi sono, infatti, funzioni certificatrici rispetto al contenuto degli atti pubblici, as

solutamente vincolanti anche rispetto al singolo, che dànno

luogo a diritti soggettivi perfetti, che l'ordinamento tutela al punto da apprestare rimedi tali da consentirne perfino

l'adempimento in forma specifica : ciò ha luogo ad esempio per il rilascio di copie, estratti, certificati di atti pubblici custoditi presso depositari pubblici (cod. proc. civ., art. 743

746) ; per gli adempimenti dei conservatori dei registri im

mobiliari (art. 2673 e segg. cod. civ.). In questi casi o ha

luogo una qualche forma di comunione di diritti fra lo Stato, l'ente pubblico o il concessionario che esercita la funzione certificat.rice e il privato nel cui interesse l'atto fu com

piuto, ovvero questa funzione è così strettamente connessa con l'attività di diritto privato delle parti che la tutela

dell'interesse pubblico perseguita dalle norme è necessa riamente congiunta a quella immediata dell'interesse pri vato. Ma se la legge non dispone espressamente occorre esa minare per quale interesse il potere relativo all'esercizio della funzione sia dato ; se cioè nell'interesse immediato e diretto del privato o se per fini esclusivamente od anche

prevalentemente pubblici. Ora la funzione attribuita ai consigli dell'Ordine, in

conseguenza della loro autonomia, risponde a un doppio concorrente fine di pubblico interesse : quello della colletti vità professionale organizzata nell'Ordine, che è il custode del prestigio di essa ed è in grado di apprezzare, come depo sitario della esperienza della classe (per effetto della quale gli è conferito anche il potere di emettere tariffe con ef

ficacia normativa), l'entità della prestazione professionale e del compenso che le corrisponde ; quello dell'ammini strazione della giustizia, alla quale l'Ordine presta la sua

collaborazione, essendo particolarmente qualificato, come si è detto, a giudicare, da un punto di vista anche tecnico, la congruità dell'onorario alle prestazioni professionali ese

guite. In questa direzione la funzione del Consiglio non è iiversa da quella di un consulente tecnico : in più, la obiet tività particolare dell'ente dal quale promana il parere, jhe l'ordinamento istituisce appunto in vista della rile vanza pubblica dell'interesse della collettività professio

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1661 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1662

naie che ne costituisce l'elemento personale, giustifica la

forza vincolante per il giudice dei pareri relativi.

La natura ausiliaria della giurisdizione, propria alla fun

zione esercitata dal Consiglio, comporta che il rilf scio del pa rere sia atto dovuto. Ciò potrebbe ingenerare l'equivoco che

il parere formi oggetto di una prestazione, come se l'ente

entrasse in un rapporto di natura obbligatoria in senso

tecnico con il professionista o il privato che glielo richiede.

Ma se questo è atto dovuto, nel senso che non sussiste

discrezionalità nel rilasciarlo, ciò non implica che esso

formi oggetto di una prestazione e quindi di una obbliga

zione, nè può sostenersi che la tassa, che l'Ordine ha fa

coltà (non il dovere) d'istituire, sia in rapporto causale

con il parere, perchè essa è, come la legge stessa afferma,

un ulteriore contributo a coprire le spese dell'ente ed è

quindi solo occasionata dalla istanza di parere. Del resto

tutte le funzioni pubbliche presuppongono un potere, che

è anche un dovere dell'Amministrazione : e il fatto che in

alcune ipotesi l'ordinamento ponga l'accento sul dovere

non importa che in queste l'Amministrazione sia nella po sizione del debitore di una prestazione, alla quale il privato abbia un diritto soggettivo, azionabile innanzi al giudice

ordinario, poco interessa se soltanto ai fini del risarcimento

del danno. Di fronte al dovere dell'Amministrazione, in

questi casi, esistono soltanto interessi legittimi e l'inadempi mento del dovere, sia esso esplicito o sia implicito, dà

luogo appunto alla violazione di un interesse legittimo. Si

ponga mente, infatti, ai casi nei quali l'Amministrazione

sia tenuta a pronunciarsi su determinate istanze : è noto

che il privato può sollecitarne la risposta e, se questa non

gli è data, si deve ritenere che l'Amministrazione abbia

emesso una pronuncia negativa (il cosiddetto silenzio-ri

fiuto). Il dovere di pronunciarsi, anche in questi casi, non

comporta che il privato possa agire davanti al giudice ordinario : e tuttavia la pronuncia è atto dovuto e l'ordi

namento non dà azione per ottenerla, o per conseguire il risarcimento del danno, ma, per ovviare alle conseguenze del silenzio, l'interpreta in modo che sia dato all'interessato

di restaurare la legittimità, mediante l'annullamento del

provvedimento ravvisabile nel comportamento negativo. Ora il professionista, che sollecita con la sua istanza il

Consiglio dell'Ordine forense ad esercitare la funzione rela

tiva al parere, è nella situazione del membro di una collet

tività qualificata, nell'interesse precipuo della quale è con

ferito al Consiglio il potere suddetto. Vi è convergenza dell'interesse del singolo professionista con quello generale dell'Ordine professionale a che la funzione sia esercitata, ma questa è attribuita prevalentemente nell'interesse del

l'Ordine e in quello della giustizia. Non può dunque rav

visarsi un diritto soggettivo del professionista o del suo

avente causa alla emissione del parere. Se ciò è, la controversia era devoluta alla cognizione

del Consiglio di Stato. La causa del rifiuto, il mancato pa

gamento della tassa consiliare, poteva essere sindacabile

sotto il profilo della legittimità, come ogni altra violazione

di legge. Certo non è interamente esatto quanto nella decisione

impugnata si afferma, che le norme sul gratuito patrocinio

perseguono interessi prevalentemente pubblici, e non ge nerano diritti soggettivi : ciò è vero fino a quando si at

tenda l'ammissione, non quando questa sia avvenuta.

L'ammissione importa (art. 11 r. decreto 30 dicembre 1923

n. 3282) gratuità di prestazioni professionali, spostamento dell'onere delle spese, dilazione del pagamento di diritti,

tributi, onorari, e quindi incide su rapporti tributari, su

contratti di opera professionale e simili, su rapporti giu ridici di natura negoziale, e non può non derivarne che da

essa nascano diritti soggettivi. Ma altro è che la richiesta

dell'ammesso al gratuito patrocinio si riferisca ad attività

e a rapporti dai quali sorgono diritti soggettivi, altro è se

essa sia diretta ad ottenere l'esercizio di una funzione ri

spetto alla quale esistono interessi legittimi. In realtà il problema del pagamento della tassa, come

elemento del procedimento amministrativo che culmina nel

rilascio del parere, non era isolabile dal procedimento stesso del quale poteva formare un presupposto. Altra

sarebbe stata la soluzione se il Consiglio, rilasciato il parere, avesse preteso il pagamento della tassa : infatti, in questo caso, soddisfatto l'interesse legittimo del richiedente il

parere, rimarrebbe soltanto da decidere la questione, che

può dirsi di natura tributaria, concernente un diritto del

l'ente, conseguenziale al rilascio.

Si deve dire quindi che il Consiglio di Stato ha bene

esercitato la sua giurisdizione nella causa presente e che

il ricorso deve essere rigettato. Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 20 ottobre I960, n. 2840 ; Pres.

Varallo P., Est. Albano, P. M. Trotta (conci, conf.) ; Ministero del tesoro Ufficio liquidazione G. r. a. c.

Bultrini (Avv. Salerno).

(Conferma App. Boma 21 marzo 1959)

Amministrazione delio Stato e «le«jli enti pubblici — Enti pubblici — Soppressione e messa in liqui dazione —■ Domande già proposte davanti all'au

torità giudiziaria — Riproponibilità in via ammi

nistrativa davanti all'Ufficio liquidazioni— Neces

sità —• Insussistenza (L. 4 dicembre 1956 n. 1404,

soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto

pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti,

soggetti.a vigilanza dello Stato o comunque interessanti

la finanza statale, art. 1, 8, 9 ; 1. 16 novembre 1957

n. 1122, liquidazione della Gestione raggruppamenti

autocarri, art. 1).

Ove, nelle more di un processo avente ad oggetto riconoscimento

di crediti o rivendicazione o restituzione di cose nei confronti di un ente pubblico (nella specie, G. r. a.), questo sia

posto in liquidazione, i terzi interessati non sono tenuti a

presentare le istanze in via amministrativa, previste dagli art. 8 e 9 della legge n. 1404 del 1956. (1)

La Corte, ecc. — Passando all'esame dei mezzi di ri

corso, è da osservare che con il primo mezzo si deduce la

violazione degli art. 8 e 9 legge 4 dicembre 1956 n. 1404, in relazione alla legge 16 novembre 1957 n. 1122.

Sostiene il ricorrente che, poiché con la legge n. 1122 del

1957 la G. r. a. era stata posta in liquidazione secondo le

norme della legge n. 1404 del 1956, la domanda del Bul

trini avrebbe dovuto essere dichiarata improponibile, per non essere stata preventivamente espletata la procedura

regolata dagli art. 8 e 9 legge n. 1404. Lamenta che erro

neamente la Corte abbia disatteso la relativa eccezione di

improponibilità, che era stata sollevata, per il fatto che il

Bultrini aveva proposto la domanda davanti al Tribunale

quando ancora la G. r. a. non era stata posta in liquida zione e non erano ancora intervenute le leggi n. 1404 del

1956 e n. 1122 del 1957, e osserva in contrario che, quando nel corso del processo interviene una nuova legge che

toglie al giudice ordinario talune attribuzioni per confe

rirle ad un organo speciale o ad un giudice speciale, senza

(1) In senso contrario, a proposito del G. r. a., App. Genova 30 aprile 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Competenza civ., n. 42

e Trib. Roma 12 aprile 1958, ibid., voce Amministrazione dello

Stato, n. 43, hanno dichiarato la sopravvenuta improponibilità della domanda e la necessità della previa procedura ammini

strativa : entrambe le sentenze sono f vorevolmente annotate

da Corduas, in Bass. Aw. Stato, 1958, 66. È da notare che il G. r. a., la cui natura giuridica a tante

contestazioni aveva dato luogo (v., da ultimo, Cons. Stato, Ad. plen., 28 febbraio 1956, n. 6, Foro it., Rep. 1956, voce Im

piegato gov. e pubbl., nn. 638-640), è stato posto in liquidazione con legge 16 novembre 1957 n. 1122 (Le Leggi, 1957, 1396), secondo le norme della legge 4 dicembre 1956 n. 1404, salvo

quanto disposto a proposito del personale.

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