sezioni unite civili; sentenza 25 ottobre 1996, n. 9331; Pres. V. Sgroi, Est. A. Finocchiaro, P.M.Di Salvo (concl. diff.); Soc. immob. Delta (Avv. Gullotta) c. Inps (Avv. Passaro, Gigante). CassaTrib. Roma 2 dicembre 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 1 (GENNAIO 1997), pp. 129/130-141/142Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191297 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nonché delle disposizioni di cui al r.d. 1611/33 ed all'art. 1
1. 25 marzo 1958 n. 260. È noto che prima della introduzione
della 1. 103/79, in regime di piena «facoltatività» del patrocinio
degli enti pubblici, la Cassazione riteneva applicabile l'art. 11
r.d. 1611/33 solo dopo la costituzione e l'effettiva assunzione
del patrocinio da parte dell'avvocatura (cfr. Cass. 22 luglio 1942, n. 2121, id., Rep. 1942, voce Amministrazione dello Stato (rap
presentanza), n. 21). Il collegio non ritiene che la disciplina del
la notificazione risulti modificata per effetto della cit. 1. 103/79
e si possa inferire l'esistenza di una norma implicita in tema
di notifica in base alle norme introdotte sulla rappresentanza c.d. «sistematica» da parte dell'avvocatura. L'intervento del le
gislatore del 1979 si muove dichiaratamente sul piano dell'ordi
namento interno e dell'estensione del potere di rappresentanza e difesa in capo all'avvocatura, tanto è vero che esclude la ne
cessità di una delibera di conferimento del mandato da parte
degli enti autorizzati (cfr. Cass. 4 febbraio 1987, n. 105, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 38; sez. un. 21 marzo 1987, n. 2813,
id., 1988, I, 838; 16 ottobre 1989, n. 4145, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 33), ma non incide sul piano delle modalità, e quindi del luogo ove va eseguita la notifica. È più rispondente ai cano
ni di interpretazione sistematica delle norme, tenere distinte le
disposizioni che si riferiscono al patrocinio dell'avvocatura nei
confronti non solo delle amministrazioni dello Stato, ma anche
delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali e degli enti indi cati dall'art. 10, ultimo comma, 1. 103/79, da quelle che disci
plinano la notifica degli atti processuali. Le prime, infatti, coin
volgono soltanto la difesa tecnica degli enti pubblici e degli or
gani di Stato, hanno natura di norme funzionali all'apparato
pubblico ed attribuiscono lo ius postulandi a prescindere dai
contenuti e dai limiti propri della procura alle liti. In altri ter
mini, le norme sulla rappresentanza danno la misura del potere
di un altro organo dello Stato, per l'appunto dell'avvocatura.
Diverso è il discorso in ordine alle regole sulla notifica degli
atti processuali, che invece operano nell'ambito dei rapporti in
tersoggettivi e si pongono come disciplina prevista specificamente
per le amminstrazioni dello Stato dagli art. 144 c.p.c. ed 11
r.d. 1611/33. Il favore pubblicistico che sottende la concentra
zione della attività privata della notifica nello stesso luogo ove
è domiciliato l'organo deputato alla rappresentanza, sì che alle
amministrazione è risparmiato il normale passaggio di atti al
difensore, non può legittimamente estendersi al di là delle ipo
tesi legislativamente previste senza comprimere il diritto dei pri
vati i quali abbiano seguito la regola generale della notifica alle
persone giuridiche. Tanto è vero che l'art. 10 1. 103/79, riguar
do al patrocinio delle regioni, espressamente dispone l'applica
bilità degli art. 25 e 144 c.p.c. oltre alle disposizioni del r.d.
1611/33 e dell'art. 1 1. 260/58 (cfr. Tar Toscana 28 aprile 1989,
n. 317, id., 1989, III, 307). Conseguentemente, ritenuta insussistente l'ipotesi di nullità
proposta dall'università appellante, corretta risulta la decisione
pretorile di inammissibilità della opposizione ex art. 668 c.p.c.
Il Foro Italiano — 1997 — Parte 1-3.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 25 ot
tobre 1996, n. 9331; Pres. V. Sgroi, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Salvo (conci, diff.); Soc. immob. Delta (Avv. Gui
lotta) c. Inps (Avv. Passaro, Gigante). Cassa Trib. Roma
2 dicembre 1992.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 29 lu
glio 1996, n. 6841; Pres. V. Sgroi, Est. A. Finocchiaro, P.M.
Di Salvo (conci, diff.); Caliandro (Avv. Candian) c. Ferro
vie dello Stato (Avv. Vesci). Cassa Trib. Bari 19 marzo 1993.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —
Deposito — Tempestività — Notifica nulla o inesistente —
Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 160, 291, 392, 421, 434,
435).
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, la proposizione
dell'appello si perfeziona con il deposito, nei termini previsti dalla legge, del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem, che impedisce ogni decadenza dall'impugnazione, con la con
seguenza che ogni eventuale vizio o inesistenza — giuridica o di fatto — della notificazione del ricorso e del decreto di
fissazione dell'udienza di discussione non si comunica all'im
pugnazione (ormai perfezionatasi), ma impone al giudice che
rilevi il vizio di indicarlo all'appellante e di assegnare allo
stesso, previa fissazione di un'altra udienza di discussione, un termine — necessariamente perentorio — per provvedere a notificare il ricorso-decreto. (1)
(1) Le sezioni unite (la cui pronuncia sub I è esattamente conforme, nel principio di diritto di cui alla massima e nelle sottostanti motivazio
ni, a quella sub II, e se ne omette pertanto la pubblicazione) sono chia mate a pronunciarsi in ordine al contrasto verificatosi tra le sezioni
semplici in relazione alla fase introduttiva dell'appello nel rito del lavo
ro, e segnatamente in tema di meccanismi e modalità di sanatoria, ove
risulti omessa e/o viziata la notificazione da parte dell'appellante di
ricorso e pedissequo decreto di fissazione di udienza. La diversità di orientamenti via via maturata nella fattispecie, aveva
portato nel 1983 ad una prima pronuncia delle sezioni unite (sent. 27
giugno 1983, n. 4388, Foro it., 1983, I, 2446, con nota di A. Proto
Pisani); altra sentenza, di segno contrario, le sezioni unite avevano pro nunciato nel 1988, anche se come obiter dictum (sent. 1° marzo 1988, n. 2166, id., 1988, I, 2613, con nota critica di A. Proto Pisani), ed una terza, confermativa della seconda, nel 1993 (sent. 12 gennaio 1993, n. 271, id., Rep. 1994, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 232, e Giur. it., 1994, 1, I, 294); neppure tali sentenze, tuttavia, erano valse
a mettere ordine nella intricata materia, tant'è che da più parti in dot
trina si reclamava l'intervento che finalmente giunge con le sentenze in epigrafe.
Il contrasto interpretativo che dovrebbe (il condizionale pare d'obbli
go) venir composto con le pronunce in rassegna, ha visto contrapposti,
pur nella varietà delle singole fattispecie oggetto di giudizio, e pur con
la presenza di decisioni extravagantes: a) l'orientamento per il quale, nel caso di inesistenza giuridica od
omissione della notificazione, il giudice, pur in presenza di un atto di
appello tempestivamente depositato, non può applicare la disposizione di cui all'art. 291 c.p.c., ma deve emettere sentenza di mero rito con
la quale dichiara l'improcedibilità, con l'ulteriore specificazione che ta
le sanzione colpisce anche l'ipotesi di notificazione di ricorso e decreto
viziata da mancato rispetto dei termini minimi di comparizione;
b) l'orientamento per il quale, poiché nel rito del lavoro l'appello si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria nel termine per
impugnare, la mancanza o la nullità (o anche l'inesistenza) della notifi
ca del ricorso e del decreto non possono mai comportare l'inammissibi
lità dell'appello, costituendo la notifica atto esterno e successivo al de
posito, con la conseguenza che il vizio può essere sanato con la costitu
zione dell'appellato e che, in difetto, il giudice deve fissare una nuova
udienza ed ordinare la rinnovazione della notificazione, con efficacia
ex tunc e con salvezza degli effetti derivati dal tempestivo deposito del
ricorso. Per una rassegna delle numerose pronunce, v. G. Baidacci, Incer
tezze delle conseguenze delle irregolarità nella fase introduttiva dell'ap
pello net rito del lavoro (ove riepilogo anche delle posizioni dottrinali
in argomento) in nota a Cass. 12 febbraio 1994, n. 1399, ed altre, in
Foro it., 1994, I, 1389. Per la giurisprudenza successiva a quella ivi citata, v., nel senso di
cui supra sub a): Cass. 1° aprile 1994, n. 3182, ibid., 2095, con nota
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PARTE PRIMA
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 ottobre
1996, n. 8707; Pres. Santojanni, Est. Casciaxo, P.M. Buo
najuto (conci, conf.); Santoro (Aw. Esposito) c. Soc. Dieci
(Aw. Spaggiari, Lasagni). Cassa Trib. Reggio Emilia 26 aprile 1994.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello in
cidentale — Deposito — Tempestività — Notificazione nulla
o inesistente — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 436).
La sanzione della decadenza dall'appello incidentale è commi
nata nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della
memoria difensiva dell'appellato, contenente l'appello stesso, entro il termine fissato dalla legge; entro quel medesimo ter
mine l'appellato è inoltre tenuto a notificare la memoria di
fensiva alla controparte; purtuttavia, nel caso di omissione
dell'adempimento, e del pari nel caso di notificazione invali
da, spetta al tribunale di concedere nuovo termine perentorio
per provvedere alla notificazione, sempre che la controparte
presente all'udienza di discussione non vi rinunci, accettando
il contraddittorio o limitandosi a chiedere congruo rinvio del
l'udienza (rinvio che va disposto al fine di ripristinare il ter
mine a difesa della controparte, anche nel caso di notificazio ne tardiva). (2)
I (Omissis).
di G. Baldacci; 18 maggio 1994, n. 4857, ibid., 2703, con nota di
richiami; 2 giugno 1994, n. 5369, id., Rep. 1994, voce cit., n. 214; 9 marzo 1994, n. 2282, ibid., n. 217; 12 agosto 1994, n. 7411, ibid., n. 213; 9 dicembre 1994, n. 10548, ibid., n. 212; 3 agosto 1995, n.
8509, id., Rep. 1995, voce cit., n. 236. Nel senso di cui supra sub b)\ Cass. 3 febbraio 1994, n. 1093, id.,
Rep. 1994, voce cit., n. 230; 26 febbraio 1994, n. 1976, ibid., n. 219; 3 marzo 1994, n. 2097, id., 1994, I, 2096; 16 aprile 1994, n. 3624, ibid., 2095; 20 giugno 1994, n. 5936, id., Rep. 1994, voce cit., n. 226; 1° ottobre 1994, n. 7957, ibid., n. 225; 23 gennaio 1995, n. 766, id., Rep. 1995, voce cit., n. 241, nello stesso senso ma in relazione all'intro duzione del giudizio in primo grado, Cass., sez. un., 23 dicembre 1991, n. 13862, id., Rep. 1991, voce cit., n. 146.
Le sezioni unite ritengono di dover aderire al secondo degli orienta menti sopra menzionati con un iter argomentativo che, se in parte ri
prende le notazioni interpretative usualmente addotte a sostegno della sanabilità ex tunc dei vizi della notificazione, si segnala per l'assoluta
equiparazione della notifica nulla con quella omessa od «inesistente», in ordine alla possibilità, ed alle relative modalità di sanatoria; v., però in senso contrario sul punto specifico, A. Proto Pisani, Controversie individuali di lavoro, Torino, 1993, 117 (nonché la dottrina ivi citata), per il quale «in caso di mancata notificazione del ricorso e del decreto, il giudice all'udienza di discussione dovrà chiudere in rito il processo a causa della mancata attivazione del contraddittorio, a meno che l'ap pellato — costituitosi nonostante la mancata notificazione — non ecce pisca l'invalidità».
In motivazione, le sezioni unite distinguono tra notificazione della vocatio in ius quale «fattispecie autonoma» o quale «elemento di una fattispecie complessa» (come appunto nell'introduzione dell'appello nel rito del lavoro, ove si combinano più atti elementari, quali il decreto del giudice di fissazione della prima udienza, la comunicazione all'ap pellante dell'avvenuto deposito del provvedimento e la notificazione al
l'appellato del ricorso e del decreto), con la conseguenza che la man canza dell'elemento notificazione, «determina la nullità» e non l'inesi stenza dell'atto di vocatio in ius da notificare, perché privo di un requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo, ma in relazio ne al quale ben si può disporre la rinnovazione, proprio perché esiste l'atto (composito) da rinnovare.
Il rilievo del vizio o dell'omissione, e le descritte modalità di sanato ria, rinvengono la propria fonte, sempre nella motivazione del Supremo collegio, nel disposto dell'art. 421, 1° comma, c.p.c., e nella ritenuta perentorietà del termine ivi previsto per provvedervi; altre volte (v. la giurisprudenza citata sub b), si è motivato nel senso che l'irregolarità o la mancanza della notificazione impongono al giudice che rilevi l'una o l'altra di indicarle all'appellante ex art. 421, 1° comma, c.p.c., men tre l'assegnazione allo stesso, previa fissazione di un'altra udienza di discussione, di un termine perentorio per provvedere alla rinnovazione della notificazione, avveniva in applicazione dell'art. 291 c.p.c.
In generale, nel senso che l'art. 291 c.p.c. consenta esclusivamente la rinnovazione della notificazione nulla, e non di quella inesistente o comunque omessa, v. la giurisprudenza citata sub b) da Baldacci, In certezze, cit., cui adde, Cass. 2 febbraio 1995, n. 1242, Foro it., Rep. 1995, voce Notificazione civile, n. 43.
Il Foro Italiano — 1997.
II
Svolgimento del processo. — Raffaele Caliandro chiedeva al
Pretore di Bari che fosse accertato nei confronti dell'ente Fer
rovie dello Stato, in applicazione della 1. 24 dicembre 1986 n.
958, il suo diritto al riconoscimento del periodo di servizio mili
tare di leva (prestato anteriormente al 30 gennaio 1987) come
valido ai fini retributivi e previdenziali. Il pretore accoglieva la domanda.
Proponeva appello l'ente Ferrovie dello Stato.
Il Tribunale di Bari, sezione lavoro, nella dichiarata contu
macia del Caliandro, accoglieva l'appello ritenendo che l'appel lante non potesse essere considerato incluso nel settore pubblico destinatario della 1. n. 958 del 1986 e che, in ogni caso, a norma
dell'art. 7 1. n. 412 del 1991, di interpretazione autentica del
l'art. 20 1. n. 958 del 1986, il servizio militare valutabile ai fini previsti da questa legge fosse esclusivamente quello in corso alla
data di entrata in vigore della medesima 1. n. 958, nonché quel lo prestato successivamente.
Il Caliandro ha proposto ricorso per cassazione sorretto da
due motivi, cui resistono con controricorso le Ferrovie dello
Stato s.p.a. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Il
ricorso inizialmente assegnato alla sezione lavoro è stato asse
gnato a queste sezioni unite per la composizione del contrasto
di giurisprudenza verificatosi nell'ambito della sezione lavoro
e con riferimento anche a precedenti pronunce delle stesse se
zioni unite.
Motivi della decisione. — 1. - Va, in via preliminare, esami
(2) La sentenza si segnala in quanto costituisce applicazione, in tema di mancata notificazione dell'appello incidentale, dei principi espressi dalle sezioni unite nelle pronunce qui in rassegna, considerati quale «di ritto vivente».
Anche in ordine alla mancata notificazione dell'atto di appello inci
dentale, pur ritualmente depositato, a fronte della formulazione non
limpidissima della disciplina ex art. 436 c.p.c. si riscontrano all'interno del Supremo collegio due orientamento; l'uno, più risalente e minorita rio, per il quale la sanzione di decadenza dall'appello incidentale, è
collegata solo all'omesso deposito in cancelleria della memoria di costi
tuzione, con la conseguenza che in caso di omessa notificazione di tale
atto, il collegio deve fissare un nuovo termine per notificare (così Cass. 29 agosto 1979, n. 4722, Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 439; 7 febbraio 1983, n. 1029, id., Rep. 1983, voce cit., n. 514; 11 dicembre 1990, n. 11768, id., Rep. 1991, voce cit., n.
225); l'altro, maggioritario, per il quale vanno sanzionati con la deca denza, sia l'omesso rituale deposito, sia l'omessa tempestiva notifica zione (così Cass. 11 novembre 1980, n. 6055, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 357, 372; 14 dicembre 1982, n. 6874, id., Rep. 1982, voce cit., n. 470; 8 febbraio 1985, n. 1042, id., Rep. 1985, voce cit., n. 401; 13 febbraio 1987, n. 1607, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 484; 29 aprile 1988, n. 3242, id., Rep. 1988, voce cit., n. 297; 5 maggio 1989, n.
2126, id., Rep. 1989, voce cit., n. 259; 17 aprile 1990, n. 3171, id., Rep. 1990, voce cit., n. 275; 15 marzo 1993, n. 3075, id., Rep. 1993, voce cit., n. 202; 23 giugno 1993, n. 6935, ibid., n. 201; sez. un. 16 dicembre 1986, n. 7533, id., Rep. 1986, voce cit., n. 459).
Il Supremo collegio ritiene di doversi discostare dall'indirizzo mag gioritario prospettando dubbi di legittimità costituzionale della contra ria interpretazione, in ordine alla compressione del diritto di difesa del l'appellante incidentale, per il quale problemi di ardua soluzione posso no insorgere sia per la brevità del termine, sia per l'obbligo di notificazione «alla controparte» stabilito dal codice di rito; controparte che ben può non essere l'appellante principale (al quale la notificazione da eseguirsi presso il procuratore nominato nell'appello può anche esse re agevole), ma anche altro soggetto di più difficile reperibilità, quale un contumace in primo grado.
Se tali dubbi di illegittimità costituzionale, sono stati negati da Cass. 14 gennaio 1989, n. 160, id., Rep. 1989, voce cit., n. 262; 27 gennaio 1989, n. 519, ibid., n. 260, essi sono destinati a riproporsi, sotto altro profilo, non apparendo ragionevole al Supremo collegio, infatti, la di scriminazione tra appellante principale, per il quale, a seguito dell'in tervento delle sezioni unite qui in rassegna, sono aperte le porte alla sanatoria di ogni eventuale vizio, ovvero inesistenza della notificazione dell'atto di appello, rispetto all'appellante incidentale per il quale l'o missione della notificazione della memoria difensiva, non essendo su scettibile di rimedio alcuno, darebbe invece adito ad inevitabile declara toria di inammissibilità dell'impugnazione.
Pertanto, una volta ritenuto che la formulazione normativa di per sé renda possibili ambedue le sopra riportate letture dell'art. 436 c.p.c., in via interpretativa «deve essere prescelta quella che elide in radice il dubbio di illegittimità costituzionale», ammettendosi così la sanatoria della notificazione omessa e/o invalida nei sensi di cui alla massima. [G. Bald acci]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nata e decisa l'eccezione proposta, con il controricorso, dalle
Ferrovie dello Stato s.p.a., le quali denunciano la nullità e/o
l'inesistenza del ricorso per nullità della sua notificazione.
Secondo la parte controricorrente, a seguito della trasforma
zione dell'ente in s.p.a., il ricorso andava proposto nei con
fronti della stessa e, quindi, notificato presso la sede legale del
la società e non all'avvocatura distrettuale dello Stato, senza
che abbia rilievo che quest'ultima sia stata difensore e domici
liatario ex lege dell'ente, giacché, a seguito della trasformazione
dello stesso in s.p.a., si è verificata una fattispecie giuridica del tutto assimilabile all'ipotesi prevista dall'art. 301 c.p.c.
L'eccezione è infondata per una duplicità di ragioni, ciascuna
delle quali sufficiente al suo rigetto. La prima, attinente alla fattispecie in esame, si ricava dal
principio recentemente affermato — e che il collegio condivide — secondo cui la proposizione del ricorso per cassazione nei
confronti dell'ente Ferrovie dello Stato, sebbene avvenuta dopo la trasformazione dello stesso ente — nei cui confronti sia stata
proposta l'originaria domanda giudiziale — in società per azio
ni, deve ritenersi valida, perché detta trasformazione (verifica tasi in virtù di delibera del Cipe del 12 agosto 1992 a norma
dell'art. 18 d.l. n. 33 del 1992, convertito in 1. n. 359 del 1992, sulla base delle disposizioni dettate in materia di trasformazione
di enti pubblici economici dall'art. 1 d.l. n. 386, convertito in
1. n. 35 del 1992) non ha determinato l'estinzione dell'ente e
la successione nei relativi rapporti di una diversa persona giuri
dica, ma solo la modificazione della forma e della organizzazio ne di un soggetto che ha mantenuto la propria identità e che
è adeguatamente identificato nonostante l'irregolarità della di
zione utilizzata nel ricorso, con la conseguenza che quest'ultimo è poi validamente notificato presso l'avvocatura distrettuale dello
Stato che abbia assunto la difesa dell'ente nel grado di appello, nella sua qualità, ai sensi dell'art. 330, 1° comma, c.p.c., di
procuratore costituito presso il giudice a quo, in quanto il 3°
comma dell'art. 15 bis d.l. n. 16 del 1993, aggiunto dalla legge di conversione n. 75 del 1993, ha disposto la persistenza della
difesa erariale per le controversie pendenti e limitatamente al
grado di giudizio in corso alla data di entrata in vigore di detta
legge di conversione (Cass. 21 aprile 1995, n. 4526, Foro it.,
Rep. 1995, voce Ferrovie, n. 100). La seconda ragione di carattere generale la si ricava dal prin
cipio costantemente affermato e per il quale il vizio di notifica
zione importante nullità sanabile, ai sensi del combinato dispo sto degli art. 160 e 156 c.p.c. si ha quando, nonostante l'inos
servanza delle formalità o delle disposizioni di legge, fra cui
quelle concernenti la persona alla quale deve essere consegnata la copia dell'atto, tuttavia, la notificazione, è materialmente av
venuta mediante rilascio di copia nel luogo e a persona che pos sano avere qualche riferimento con il vero destinatario, mentre,
per contro, il vizio di notificazione è insanabile quando questa sia eseguita in luogo e presso persona che non siano in alcun
modo e per nessuna via riferibili al soggetto passivo della noti
ficazione medesima, essendo riferibili a tutt'altro soggetto, as
solutamente estraneo al destinatario e all'atto da notificare (Cass. 25 maggio 1995, n. 5788, ibid., voce Notificazione civile, n. 58).
Nella specie, anche ad ammettere in via di pura ipotesi la
fondatezza dell'eccezione sollevata dalla parte controricorrente, la consegna di copia del ricorso al difensore dell'ente nel giudi zio di appello può essere al massimo causa di una nullità sana
bile della notificazione.
E tale nullità è sanata, con efficacia, ex tunc, dalla costitu
zione delle Ferrovie dello Stato s.p.a. 2. - Con il primo motivo il ricorrente deduce eccezione di
giudicato per nullità del giudizio di secondo grado. Secondo il Caliandro il giudizio di secondo grado è nullo per
essere stato l'appello notificato non al procuratore costituito
in primo grado, con conseguente passaggio in giudicato di que st'ultima sentenza.
Essendo stato denunciato un error in procedendo questa cor
te può esaminare direttamente gli atti.
Dal fascicolo d'ufficio dei precedenti gradi di giudizio risulta: — che il Caliandro ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 414
c.p.c. innanzi al Pretore di Bari per il tramite dell'aw. Mario
Candiano, eleggendo domicilio presso il suo studio in Bari, via
Bovio, 43/L e tale domicilio e procuratore ha mantenuto fino
all'esito del giudizio di primo grado; — il ricorso in appello dell'ente Ferrovie dello Stato è stato
Il Foro Italiano — 1997.
depositato nella cancelleria del tribunale il 25 settembre 1991
e, fissata dal presidente l'udienza di discussione dinanzi al col
legio per il giorno 15 dicembre 1992, è stato notificato il 14
novembre 1992 a mezzo del servizio postale al Caliandro perso nalmente con raccomandata con ricevuta di ritorno, senza che
quest'ultima risulti allegata agli atti, e, a mezzo ufficiale giudi ziario «al sig. Caliandro Raffaele e, per lui, al suo procuratore domiciliatario Leonardo Goffredo recandomi presso il suo stu
dio in Bari alla via Argiro, 12, ed ivi consegnandola (scilicet:
copia conforme del ricorso in appello) a mani di esso aw. Leo
nardo Goffredo nella qualità in atti».
Sulla base delle poste premesse, ritiene il collegio che deve
dichiararsi l'inesistenza della notificazione del ricorso-decreto
in appello, proprio sulla base di quanto osservato nell'esamina
re l'eccezione prospettata dalle Ferrovie dello Stato s.p.a., non
potendo attribuirsi alcun rilievo né alla notificazione effettuata
a mezzo del servizio postale al Caliandro personalmente, in di
fetto della produzione della cartolina di ritorno, né alla notifi
cazione effettuata presso un soggetto (avv. Leonardo Goffre
do), ed in un luogo non avente alcun rapporto con il destinatario.
Quanto precede non è però sufficiente per farne derivare le
conseguenze volute dal ricorrente, dovendosi esaminare la que stione delle conseguenze derivanti sul giudizio di appello, sog
getto alle norme sulle controversie di lavoro, qualora, deposita to tempestivamente il ricorso di appello presso la cancelleria
del tribunale e fissata con decreto dal presidente l'udienza di
discussione, la notificazione del ricorso-decreto sia stata omessa
o sia stata effettuata in modo invalido, ricomprendendo in tale
invalidità ogni ipotesi di difformità del procedimento notifica
torio rispetto alla norma che la prevede (quale la notificazione
presso soggetto diverso dal procuratore domiciliatario o a pro curatore costituito presso ufficio legale diverso da quello dallo
stesso indicato o a difensore privo di procura o in unica copia a procuratore di più parti o presso il procuratore della parte deceduta e non presso gli eredi o con assegnazione di un termi
ne di comparizione inferiore a quello previsto dagli art. 415
e 435 c.p.c. o non eseguita a mezzo di ufficiale giudiziario o
mediante consegna di copia mancante delle indicazioni di essen
ziali ragioni a sostegno del gravame, contenute nell'originale, o mancanza, nella copia, della data dell'udienza o della nomina
del relatore, ecc.). 3. - Su tale problema, malgrado siano trascorsi oltre venti
anni dalla riforma del processo del lavoro, non è stata raggiun ta univocità di soluzione, anche a livello di sezioni unite.
Queste ultime, intervenendo una prima volta — e premesso che la fattispecie introduttiva del giudizio di secondo grado è
costituita nelle cause soggette al rito del lavoro dal ricorso e
dal suo deposito nella cancelleria del tribunale territorialmente
competente e che a tale fattispecie è invece estranea, diversa
mente da quanto accade per l'ordinario giudizio d'appello in
trodotto con citazione, la fase della notificazione la quale tende
ad effetti diversi — hanno concluso che, ove l'appello sia stato
tempestivamente depositato in cancelleria nel termine breve di
cui all'art. 434, 2° comma, c.p.c. o in quello lungo di cui al
l'art. 327 c.p.c., la nullità della notifica o il mancato rispetto dei termini minimi a comparire non determina l'inammissibilità
dell'appello, ma applicazione dell'art. 291 c.p.c. (Cass. 27 giu
gno 1983, n. 4388, id., 1983, I, 2446).
Malgrado tale autorevole intervento, che ravvisava e giustifi cava la diversità del rito del lavoro da quello ordinario per l'au
tonomia — inesistente in quest'ultimo — fra fase introduttiva
del giudizio (editto actionis) e quella diretta alla costituzione
del contraddittorio (vocatio in ius), il contrasto si perpetuava nella giurisprudenza delle sezioni semplici sull'entità della sana
toria delle nullità radicali, della inesistenza (di fatto e giuridica) e della omissione della notificazione, nonché della violazione
del termine minimo a comparire. Mentre un prevalente indirizzo riconosceva la possibilità di
una piena convalidazione, in tutte le predette ipotesi di invalidi
tà, alla costituzione del convenuto od all'ordine di rinnovazione
dell'atto nullo proveniente dal giudice con efficacia ex tunc (ex
plurimis: Cass. 24 febbraio 1984, n. 1333, id., Rep. 1984, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 395; 8 marzo 1984, n.
1615, ibid., n. 392; 21 maggio 1984, n. 3138, ibid., n. 166; 23 giugno 1984, n. 3699, ibid., n. 390; 12 ottobre 1984, n. 5114,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 397; 21 novembre 1984, n. 5963,
ibid., n. 388; 4 aprile 1985, n. 2335, ibid., n. 377; 25 giugno
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PARTE PRIMA
1985, n. 3810, ibid., n. 375; 28 novembre 1985, n. 5915, ibid., n. 371; 9 dicembre 1985, n. 6207, ;'£>«/., n. 389; 24 febbraio
1986, n. 1145, id., Rep. 1986, voce cit., n. 450; 6 febbraio 1987, n. 1204, id., Rep. 1987, voce cit., n. 441; 13 maggio 1987, n.
4420, ibid., n. 439; 6 giugno 1987, n. 4973, ibid., n. 438; 21 ottobre 1987, n. 7770, ibid., n. 445; 16 gennaio 1988, n. 311,
id., Rep. 1988, voce cit., n. 251; 1° febbraio 1988, n. 864, ibid., n. 244 e 1° febbraio 1988, n. 866, ibid., n. 246), altro indirizzo negava alle peculiarità strutturali della fattispecie introduttiva
l'idoneità ad escludere l'applicazione integrale del regime ordi
nario delle nullità formali al processo del lavoro per dedurne
che la nullità radicale o l'inesistenza giuridica o l'omissione ma
teriale della notificazione potevano essere sanate mediante co
stituzione dell'appellante o rinnovazione dell'atto, ma soltanto
con effetto ex nunc, con la conseguenza che l'invalidità della
notificazione impediva al processo di proseguire, allorquando la costituzione o la rinnovazione fosse avvenuta dopo la sca
denza del termine di legge per proporre appello (Cass. 14 aprile
1986, n. 2637, id., 1986, I, 1849). Le sezioni unite, intevenute per la composizione del contra
sto, privilegiavano quest'ultimo indirizzo ed affermavano il prin
cipio secondo cui «il regime di sanatoria delle nullità formali
afferenti l'atto introduttivo del giudizio e la sua notificazione,
posto dagli art. 156, 162, 164 e 291 c.p.c., trova applicazione anche nel rito del lavoro, in mancanza di specifica deroga e
non ostando ragioni di incompatibilità con le peculiarità strut
turali di detto rito. Nelle cause di lavoro, pertanto, la nullità
radicale od inesistenza giuridica della notificazione del ricorso
introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza (nella specie
per consegna in unica copia al procuratore costituito per più
parti), ovvero l'omissione della notificazione medesima, al pari della nullità dovuta al mancato rispetto del termine minimo per la comparizione, integrano vizi sanabili mediante la costituzio
ne del convenuto, o la rinnovazione disposta dal giudice, sol
tanto con effetto ex nunc, salvi restando i diritti quesiti, con
l'ulteriore conseguenza che, se i vizi stessi siano inerenti all'ap
pello e vengono denunciati dall'appellato in sede di costituzio
ne, tale costituzione non vale ad escludere il passaggio in giudi cato della sentenza di primo grado a seguito della pregressa sca
denza del termine d'impugnazione» (Cass. 1° marzo 1988, n.
2166, id., 1988, I, 2613). A tali conclusioni le sezioni unite sono giunte sulla base dei
seguenti rilievi: — l'appartenenza del processo del lavoro al processo ordina
rio di cognizione comporta la conseguente integrabilità del pri mo con le regole del secondo;
— l'antonomia dell'editio actionis dalla vocatio in ius non
esclude che il provvedimento del giudice di fissazione dell'u
dienza e la successiva notificazione costituiscono elementi es
senziali della complessa fattispecie introduttiva del processo la
cui materiale omissione e la cui nullità radicale sono passibili di sanatoria soltanto nei casi e con gli effetti regolati dalla legge;
— nel processo ordinario la sanatoria è subordinata alla tu tela dei diritti quesiti, che rappresentano una esigenza pregiudi ziale, con la conseguenza che, allorché è decorso il termine per l'impugnazione, l'effetto sanante — per costituzione del conve nuto — si verifica solo quando questi non faccia valere alcuna delle invalidità degli atti introduttivi, mentre è inutile il rimedio della rinnovazione dell'atto invalido disposta dal giudice;
— la praticabilità dell'art. 291 c.p.c. rimane limitata alle sole
nullità della notificazione previste dall'art. 160 c.p.c., imputa bili all'ufficio, mentre tutte le ipotesi di nullità radicale, inesi stenza giuridica, omissione della notificazione, violazione dei termini minimi a comparire restano disciplinate dall'art. 164
c.p.c., con la conseguenza che nel conflitto, fra pretesa ad otte nere una decisione di merito e diritto alla conservazione di una situazione giuridica divenuta immodificabile, deve prevalere que st'ultima.
Questi principi ribaditi da altra pronuncia sempre delle sezio ni unite (Cass. 12 gennaio 1993, n. 271, id., Rep. 1994, voce
cit., n. 232, emessa in ipotesi di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza con consegna di una sola co
pia al procuratore di più parti), oltre ad essere stati criticati in dottrina, non hanno composto il contrasto esistente nella giu risprudenza di legittimità.
Allo stato attuale si rinvengono, infatti, pronunce che, so
stanzialmente, si riportano alla linea interpretativa tracciata dalle
Il Foro Italiano — 1997.
sezioni unite (Cass. 2 febbraio 1990, n. 715, id., Rep. 1990, voce cit., n. 264; 6 marzo 1990, n. 1753, ibid., n. 163; 19 giu
gno 1990, n. 6154, ibid., n. 263; 20 giugno 1990, n. 6187, ibid., n. 262; 19 agosto 1991, n. 8903, id., Rep. 1991, voce cit., n.
221; 3 marzo 1992, n. 2579, id., Rep. 1992, voce cit., n. 226; 22 aprile 1992, n. 4830, ibid., n. 214; 28 novembre 1992, n.
12752, ibid., n. 203; 12 gennaio 1993, n. 271, cit.; 9 settembre
1993, n. 9445, ibid., n. 190; 1° febbraio 1994, n. 989, id., 1994, I, 1389; 1° aprile 1994, n. 3182, ibid., 2095; 18 maggio 1994, n. 4857, ibid., 2703; 2 giugno 1994, n. 5369, id., Rep. 1994, voce cit., n. 214) o che, pur richiamandosi a quest'ultima, esclu
dono ogni possibilità di sanatoria per l'ipotesi di inesistenza giu ridica od omissione della notificazione; affermando che il giudi ce non può applicare l'art. 291 c.p.c., ma deve emettere senten
za di mero rito con cui dichiara l'improcedibilità dell'appello
(Cass. 29 luglio 1993, n. 8419, id., Rep. 1993, voce cit., n.
191; 9 marzo 1994, n. 2282, id., Rep. 1994, voce cit., n. 217; 18 maggio 1994, n. 4857, ibid., n. 215; 2 giugno 1994, n. 5369, ibid., n. 214; 12 agosto 1994, n. 7411, ibid., n. 213; 9 dicembre
1994, n. 10548, ibid., n. 212; 3 agosto 1995, n. 8509, id., Rep.
1995, voce cit., n. 236). A questo si contrappone altro filone
interpretativo per il quale poiché nel rito del lavoro l'appello si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria nel termi
ne per impugnare, la mancanza o la nullità o anche l'inesistenza
della notifica del ricorso e del decreto (così come il mancato
rispetto dei termini a comparire) non possono mai comportare l'inammissibilità dell'appello, costituendo la notifica atto ester
no e successivo al deposito, con la conseguenza che il vizio può essere sanato con la costituzione dell'appellato e che, in difetto, il giudice deve fissare una nuova udienza ed ordinare la rinno
vazione della notificazione, con efficacia ex tunc e con salvezza
degli effetti derivati dal tempestivo deposito del ricorso (Cass. 9 aprile 1988, n. 2804, id., Rep. 1988, voce cit., n. 247; 26
novembre 1988, n. 6369, id., 1989, I, 389; 14 gennaio 1989, n. 148 id., Rep. 1989, voce cit., n. 256; 12 dicembre 1990, n.
11816 id., Rep. 1990, voce cit., n. 259; 12 gennaio 1991, n.
266, id., Rep. 1991, voce cit., n. 222; 29 novembre 1991, n.
12814, id., 1992, I, 57; 3 dicembre 1991, n. 12936, id., Rep. 1992, voce cit., n. 227; 9 aprile 1992, n. 4330 id., 1993, I, 1611; 3 giugno 1992, n. 6731 id., Rep. 1992, voce cit., n. 211; 17
giugno 1992, n. 7434, ibid., n. 119; 3 luglio 1992, n. 8125, ibid., n. 221; 4 febbraio 1993, n. 1369, id., Rep. 1993, voce cit., n.
197; 15 aprile 1993, n. 4461, ibid., n. 195; 12 maggio 1993, n. 5401, ibid., n. 193; 3 febbraio 1994, n. 1093, id., Rep. 1994, voce cit., n. 230; 12 febbraio 1994, n. 1399, id., 1994, I, 1389; 26 febbraio 1994, n. 1976, id., Rep. 1994, voce cit., n. 219; 3 marzo 1994, n. 2097, id., 1994, I, 2076; 16 aprile 1994, n.
3624, id., 1994, I, 2095; 20 giugno 1994, n. 5936, id., Rep. 1994, voce cit., n. 226; 1° ottobre 1994, n. 7957, ibid. n. 225; 23 gennaio 1995, n. 766, id., Rep. 1995, voce cit., n. 241).
4. - Ritiene il collegio che non si possa seguire l'interpretazio ne fornita da Cass. n. 2166 del 1988, ma che si debba privile giare, ai fini della composizione del contrasto, l'ultimo degli indirizzi giurisprudenziali esposti, sulla base delle considerazio ni che seguono.
Nel giudizio di appello, nelle controversie soggette al rito del
lavoro, si realizza una scissione fra editio actionis — che si rea lizza con il tempestivo deposito, nella cancelleria del giudice competente a conoscere del gravame, del ricorso introduttivo del giudizio d'impugnazione — e che impedisce il verificarsi di ogni decadenza dell'impugnazione — e la vocatio in ius, che si pone come fatto successivo di carattere necessario, ma alla
quale ultima non possono applicarsi — in presenza di vizi della stessa — ed in difetto di esplicite norme, le disposizioni proprie del giudizio di cognizione introdotto con citazione ad udienza
fissa, nel quale non sono ravvisabili le predette due fasi.
Ogni interpretazione che, pur riconoscendo l'esistenza dell'au tonomia formale e strutturale fra la fase di proposizione del ricorso e quella di evocazione in giudizio del convenuto o ap pellato, afferma l'esistenza di un nesso inscindibile fra le stesse, facendo derivare dai vizi della seconda, che impediscano la in staurazione del contraddittorio, delle conseguenze anche sulla
prima con l'affermazione dell'inammissibilità del gravame, in
realtà, finisce con il negare, nella sostanza, tale autonomia. Non si può contestare che le regole del processo ordinario
di cognizione siano integrative della disciplina del rito del lavo
ro, ove queste ultime non dispongano, ma il problema posto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
all'interprete è quello di individuare — in una ipotizzata situa
zione di carenza di disciplina normativa — quali siano le dispo sizioni del processo ordinario da applicare al rito del lavoro:
se cioè le disposizioni di carattere generale o quelle eccezionali,
formulate con riferimento ad aspetti particolari. Solo le disposizioni di carattere generale sono sicuramente ap
plicabili al rito del lavoro, mentre l'applicabilità di quelle di
carattere eccezionale è subordinata alla mancanza di altre di
sposizioni che non le contraddicano.
Nel procedimento ordinario costituiscono principi di caratte
re generale quello contenuto nell'art. 159 c.p.c., per il quale la nullità degli atti successivi non si comunica a quelli antece
denti, nonché l'altro di cui all'art. 162, 1° comma, c.p.c. per il quale il giudice che pronuncia la nullità deve disporre, quan do sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità
si estende.
Applicazione particolare del principio contenuto nella norma
da ultimo citata è l'art. 291, 1° comma, c.p.c., per il quale, se il convenuto non si costituisce ed il giudice istruttore rileva
un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione,
fissa all'attore un termine perentorio per rinnovarla e tale rin
novazione impedisce ogni decadenza.
Nel processo ordinario di cognizione si rinviene comunque anche l'art. 164, 2° comma, che — nel testo originario, non
sostituito dall'art. 9 1. n. 353 del 1990, applicabile alla fattispe
cie in esame, ai sensi dell'art. 9 d.l. 247/95, convertito nella
1. n. 534 del 1995 — dispone che, in ipotesi di nullità della citazione, previste dal precedente 1 ° comma, la costituzione del
convenuto sana ogni vizio della citazione, ma restano salvi i
diritti quesiti. È proprio su questa norma che si sono avuti maggiori contra
sti nella giurisprudenza, invocandosi, da parte di quella che poi è sfociata nella pronuncia delle sezioni unite del 1988, la sua
applicazione analogica, per negare la possibilità della rinnova
zione della notificazione del ricorso-decreto e l'irrilevanza della
costituzione dell'appellato, per l'intervenuto passaggio in giudi
cato della sentenza impugnata, e, da parte della giurisprudenza alla stessa contraria, l'eccezionalità della norma — derogatoria dei principi generali del sistema dettata dalle caratteristiche pro
prie dell'atto di citazione del processo di cognizione ordinario — e la sua inapplicabilità al rito del lavoro.
Rileva il collegio che la norma è male invocata dal momento
che presupposto fondamentale per la sua applicabilità in astrat
to è che dall'invalidità della notificazione del ricorso-decreto
siano derivati dei diritti quesiti per l'appellato, che non possono
essere rimossi dalla costituzione volontaria dello stesso o dalla
rinnovazione dell'atto nullo.
Orbene, dalla nullità o dalla inesistenza della notificazione
del ricorso-decreto non può derivare il passaggio in giudicato
della sentenza impugnata, che, impedita dal tempestivo deposi
to del ricorso, non può essere pronunciata per un fatto successi
vo, dal momento che costituiscono principi generali dell'ordina
mento sia quello per il quale, impedita la decadenza con il com
pimento dell'atto dovuto, la stessa non può più essere
pronunciata ove quest'ultimo non sia eliminato dall'ordinamen
to, sia l'altro secondo cui la nullità degli atti successivi non
si comunica a quelli antecedenti.
L'unico effetto di tale nullità o inesistenza (giuridica o di fat
to) della notificazione è la mancata costituzione del contrad
dittorio.
In relazione al quale effetto l'ordinamento non riconosce al
cun diritto quesito all'appellato come si ricava, a contrario, sia
dall'art. 162, 2° comma, c.p.c., che prevede l'obbligo per il
giudice di disporre la rinnovazione dell'atto nullo, ove possibi
le, sia dall'art. 421, 1° comma, c.p.c. — dettato in tema di
rito del lavoro — per il quale il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono
essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli
eventuali diritti quesiti. Le anzidette norme, poi, vanno anche considerate come il
tramite necessario prima di giungere ad una pronuncia di mero
rito sul giudizio. Il nostro ordinamento, infatti, dall'inosservanza di determi
nati oneri a carico di una parte o riconosce diritti quesiti a fa
vore della controparte oppure, quando tali diritti non vengono
riconosciuti, ricorre ai meccanismi di cui alle norme da ultimo
citate, con la conseguenza che solo dall'inosservanza del succes
II Foro Italiano — 1997.
sivo provvedimento del giudice deriva la necessità di una pro nuncia di mero rito.
Applicazione tipica di quanto esposto la si rinviene nella so
stituzione operata dall'art. 9 1. n. 353 del 1990 dell'art. 164
c.p.c.: per il passato dalla nullità della citazione derivava per il convenuto la salvaguardia dei diritti quesiti, a seguito della
novella, per le nullità di cui al 1° comma dello stesso articolo, non sono previsti diritti quesiti per il convenuto, ma alla cancel
lazione della causa dal ruolo ed alla estinzione del processo può
giungersi solo in caso di inosservanza dell'ordine di rinnovazio
ne impartito dal giudice, che se osservato, invece, «sana i vizi
e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si produco no sin dal momento della prima notificazione» (art. 164, 2°
comma, secondo periodo, c.p.c.). Una tale situazione normativa — per il periodo precedente
la novella del 1990 — la si rinviene, ove si tengano presenti, con riferimento a tutti i vizi che incidono sulla notificazione
di un atto, nei richiamati art. 162, 291 e 421 c.p.c. Sicché è da ritenere che ogniqualvolta si è in presenza di una
nullità della notificazione di un atto, dalla quale l'ordinamento
non fa derivare diritti quesiti alla controparte, il giudice non
può limitarsi a dichiarare tale nullità, ma deve disporre la rin
novazione dell'atto nullo, giungendo ad una pronuncia di mero
rito che definisca il processo solo in conseguenza dell'inosser
vanza dell'ordine di rinnovazione e con l'ulteriore conseguenza che l'ottemperanza all'ordine di rinnovazione ha un'efficacia
sanante con efficacia retroattiva, tipica di tutti i vizi sanati della
notificazione.
Queste conclusioni, pacificamente applicabili per l'atto intro
duttivo del giudizio di primo grado, sono da seguire anche per il giudizio di appello, soggetto al rito del lavoro, proprio in
conseguenza dell'affermata autonomia fra edit io actionis e vo
catio in ius.
Tale principio trova applicazione non solo in ipotesi di nulli
tà della notificazione dell'atto di vocatio in ius, ma anche nelle
ipotesi di mancanza o inesistenza (giuridica o di fatto) della stessa.
L'obiezione solitamente avanzata contro la sanatoria ex tunc,
in quest'ultima fattispecie, per la mancanza di un atto da rinno
vare, non ha ragione di esistere ove si tenga presente che la
notificazione della vocatio in ius si presenta sia come fattispecie
autonoma che come elemento di una fattispecie complessa, com
posta dalla combinazione di più atti elementari, quali il decreto
del giudice di fissazione della prima udienza, la comunicazione
all'appellante dell'avvenuto deposito del provvedimento e la no
tificazione all'appellato del ricorso e del decreto.
La mancanza o la giuridica inesistenza dell'elemento notifica
zione — ove riguardata come elemento dell'atto composito —
determina la nullità, e non l'inesistenza, dell'atto di vocatio in
ius da notificare, perché privo di un requisito formale indispen
sabile per il raggiungimento dello scopo, ma in relazione al quale
bene si può disporre la rinnovazione proprio perché esiste l'atto
da rinnovare e che il giudice deve modificare con l'emanazione
di un secondo provvedimento di fissazione della nuova udienza.
Tale rinnovazione va disposta — per le controversie soggette
al rito del lavoro — sulla base dell'art. 421, 1° comma, c.p.c.
per il quale il giudice indica alle parti in ogni momento le irre
golarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate
assegnando un termine per provvedervi e che costituisce appli
cazione particolare del più volte richiamato art. 162 c.p.c.
L'obiezione formulabile in proposito — e cioè che, non pre
vedendo la richiamata disposizione l'assegnazione di un termine
perentorio per la rinnovazione della notificazione mai effettua
ta all'appellato, il processo resterebbe in balia dell'appellante — è facilmente superabile.
È infatti da rilevare, da un lato, che alcuni termini, come
rilevato in dottrina, pur non espressamente definiti perentori,
hanno matrice identica a quella di termini formalmente definiti
tali — e fra questi sono da ricomprendere tutti quelli previsti
per la rinnovazione di atti nulli — sicché non è possibile esclu
dere, in senso assoluto ed in questi casi, l'applicazione estensiva
degli art. 152 e 153 c.p.c., per i termini perentori e, dall'altro,
che una specifica comminatoria per l'inosservanza del termine
dell'ordine di rinnovare può apparire perfino superflua, se si
tiene conto del fatto che, ove non venga in essere lo strumento
di rinnovazione, automaticamente la nullità si consolida in ter
mini irreversibili in ragione della formulata pronuncia (di nulli
tà dell'atto di vocatio in ius).
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PARTE PRIMA
Il contrasto di giurisprudenza va, pertanto, composto affer
mando il principio secondo cui «nelle controversie soggette al
rito del lavoro la proposizione dell'appello si perfeziona, ai sen
si dell'art. 435 c.p.c, con il deposito, nei termini previsti dalla
legge, del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem, che im
pedisce ogni decadenza dall'impugnazione, con la conseguenza che ogni eventuale vizio o inesistenza — giuridica o di fatto — della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione del
l'udienza di discussione non si comunica all'impugnazione (or mai perfezionatasi), ma impone al giudice che rilevi il vizio di indicarlo all'appellante ex art. 421 c.p.c. e di assegnare allo stesso,
previa fissazione di un'altra udienza di discussione, un termine — necessariamente perentorio — per provvedere a notificare
il ricorso-decreto».
Nel caso di specie l'errore commesso dalla sentenza impugna ta è stato quello di decidere nel merito la controversia — pure in presenza di una inesistenza della notificazione dell'atto di
vocatio in ius, non sanata dalla costituzione dell'appellato —
senza procedere alla rinnovazione della notificazione dell'atto.
Il rilievo del vizio della pronuncia in sede di legittimità com
porta la cassazione della decisione impugnata con rinvio ad al
tro giudice di appello cui spetterà di attivare il contraddittorio
sul merito dell'impugnazione, provvedendo alla rinnovazione
omessa dal giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, in
applicazione dell'enunciato principio di diritto.
5. - Il secondo motivo del ricorso, con il quale si deduce
violazione e falsa applicazione dell'art. 20 1. n. 958 del 1986
per non avere il tribunale ricompreso nel settore pubblico l'ente
Ferrovie dello Stato, va dichiarato assorbito, in conseguenza
dell'accoglimento del primo motivo.
6. - Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, mentre
va dichiarato assorbito il secondo e, per l'effetto, va cassata
la sentenza impugnata e la causa va rinviata, anche per le spese di questo grado di giudizio, al Tribunale di Trani.
III
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 17 febbraio 1990
al Pretore di Reggio Emilia - sezione distaccata di Montecchio
Emilia, in funzione di giudice del lavoro, il sig. Agostino San
toro espose di avere svolto, fino al giugno 1986 e relativamente
ai territori delle province di Salerno, Potenza e Matera, attività
di agente di commercio in favore della s.p.a. f.lli Dieci, avente sede in Montecchio Emilia, e, dolendosi delle inadempienze del la società preponente, ne richiese la condanna al pagamento
dell'importo dovuto.
La società f.lli Dieci si costituì nel giudizio in tal guisa intro dotto, e, sostenendo di poter vantare, a sua volta, un residuo credito nei confronti dell'ex agente di commercio, propose do manda riconvenzionale a suo carico.
Il pretore adito, in parziale accoglimento del ricorso e tenuto conto degli intervenuti, reciproci chiarimenti in ordine alle ri
spettive voci di credito, condannò la f.lli Dieci al pagamento dell'importo di lire 25.904.177 in favore del Santoro, compen sando le spese.
Avverso tale decisione propose appello la f.lli Dieci dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, lamentando che, nel computare l'ammontare del suo credito (da mettere a raffronto con il cre dito del Santoro), il pretore aveva trascurato di valutare una voce (pari a lire 39.907.952) imputabile al prezzo di beni diret tamente venduti dalla società all'agente; sicché erroneamente il
pretore aveva condannato la f.lli Dieci al pagamento di una certa somma, laddove invece, considerato il dare e l'avere di ciascuna delle parti, avrebbe dovuto condannare l'ex agente di commercio al pagamento di lire 7.003.775.
Resistendo nel giudizio di secondo grado, il Santoro propose, a sua volta, appello incidentale avverso la decisione pretorile, allo scopo di far valere le voci di credito tralasciate dal primo giudice. Senonché, la memoria difensiva, contenente l'appello incidentale, sebbene ritualmente depositata nella cancelleria en tro il termine previsto dall'art. 436, 2° comma, c.p.c., non fu notificata alla controparte appellante principale.
Con sentenza in data 26 aprile 1994 il Tribunale di Reggio Emilia dichiarò inammissibile l'appello incidentale, e, in rifor ma della sentenza gravata, condannò Santoro Agostino al paga
li Foro Italiano — 1997.
mento di lire 7.003.775 in favore della società f.lli Dieci, con
interessi legali dalla domanda al saldo; compensò le spese. Avverso tale decisione (non notificata) il sig. Agostino Santo
ro ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, no
tificato il 20 aprile 1995. Ha resistito la f.lli Dieci s.p.a. me diante controricorso notificato il 15 maggio 1995.
Motivi della decisione. — Il ricorso per cassazione di Santoro
Agostino è sorretto da tre motivi.
Con il primo di essi il ricorrente muove all'impugnata senten
za del Tribunale di Reggio Emilia, sez. lavoro, l'addebito di
«violazione e falsa applicazione dell'art. 436 c.p.c.; insufficien
te motivazione sul punto». Sostiene il Santoro che i giudici reggiani avrebbero male in
terpretato il disposto dell'art. 436, 2° comma, c.p.c., laddove
dispone che (nel rito del lavoro) «l'appello incidentale deve es
sere proposto, a pena di decadenza, nella memoria di costitu
zione, da notificarsi, a cura dell'appellato, alla controparte al
meno dieci giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'arti
colo precedente» (ossia almeno dieci giorni prima dell'udienza
fissata per la discussione). Nella fattispecie, come risulta dal fascicolo processuale ed è
peraltro incontestato, l'appello incidentale venne proposto con
memoria difensiva tempestivamente depositata dall'appellato San
toro Agostino nella cancelleria del Tribunale di Reggio Emilia, ma non mai notificata alla controparte: sicché, in difetto di
notificazione, l'appello incidentale venne ritenuto inammissibile.
Ad avviso del ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe
dovuto ammettere l'appello incidentale, sia perché la contro
parte, società f.lli Dieci — nulla avendo eccepito il suo procura tore alla prima udienza utile —, aveva di fatto accettato il con
traddittorio in ordine a tale appello, sia perché nelle controver
sie individuali di lavoro l'appello, sia principale sia incidentale, risulta di per sé perfetto con il deposito in cancelleria, e la noti
ficazione è unicamente preordinata alla regolare instaurazione
del contraddittorio, con la conseguenza che la sua omissione
rende necessario l'intervento del giudice, tenuto a fissare altro
termine per il compimento dell'atto.
Il motivo di ricorso è fondato. Scarso pregio ha l'obiezione
mossa da parte controricorrente (e illustrata nella memoria ex art. 378 c.p.c.), secondo cui il tribunale avrebbe reputato inam
missibile l'appello incidentale non già per mancanza della noti
ficazione, ma perché il gravame concerneva un capo autonomo
della sentenza di primo grado che doveva ritenersi già passato in giudicato, essendo trascorso (al momento del deposito della memoria difensiva contenente l'appello incidentale), oltre un anno dalla data di deposito della decisione pretorile.
L'assunto della controricorrente riceve una chiara smentita
negli atti di causa. Inequivocamente dalla sentenza impugnata si evince che l'appello incidentale venne dichiarato inammissibi
le, «non essendovi prova dell'avvenuta notifica a controparte, come prescritto dall'art. 436 c.p.c.». Null'altro dice la sentenza in punto di ravvisata inammissibilità dell'appello incidentale.
Giova avvertire, comunque, che almeno dopo l'avvento di
Cass., sez. un., 7 novembre 1989, n. 4640 (Foro it., 1989, I, 3405), ha perso ogni rilievo la vetusta ripartizione degli appelli incidentali in autonomi e non autonomi, e si è consolidato in
giurisprudenza il principio, in forza del quale la parte appellata è legittimata a proporre appello incidentale tardivo avverso qua lunque capo della sentenza, connesso oppur no con i capi inve stiti dall'appello principale, non sussistendo limiti oggettivi al
l'impugnazione; principio cui è stata data applicazione de plano anche nel processo del lavoro (Cass., sez. un., 21 agosto 1990, n. 8535, id., 1990, I, 2481; 11 dicembre 1990, n. 11768, id., Rep. 1991, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 225).
Ciò posto, trattasi qui di stabilire se la mancata notificazione dell'atto (pur tempestivamente depositato), recante l'appello in
cidentale, comporti la decadenza di cui è cenno all'art. 436, 2° comma, c.p.c., ovvero se la decadenza consegua unicamente al mancato deposito (entro il termine prescritto) della memoria difensiva.
Bisogna considerare innanzi tutto che la decadenza, prevista dalla norma citata, si traduce in una preclusione irreversibile all'esame dall'appello incidentale, preclusione cui non potreb be, in ipotesi, ovviare nemmeno l'accettazione del contradditto rio ad opera della controparte, atteso che, nel momento stesso in cui interviene la decadenza dall'appello incidentale (decaden za che il giudice è tenuto a verificare anche d'ufficio, dandone
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
atto con pronuncia meramente dichiarativa), i capi della senten
za investiti dall'appello incidentale non ammissibile si debbono
avere (nei riguardi della parte interessata all'appello incidentale)
per passati in giudicato. Or dunque, il surriportato art. 436, 2° comma, c.p.c., di non
perspicua formulazione, consente sicuramente una lettura ispi rata al massimo rigore, per cui la decadenza deve ritenersi volta
a sanzionare non solamente il mancato deposito in cancelleria
della memoria difensiva contenente l'appello incidentale, ma an
che la mancata notificazione entro il termine; e però non osta
a una diversa lettura (fors'anche resa più agevole), mirante a
ridurre il peso degli adempimenti gravanti sull'appellato. Que st'ultima interpretazione del testo legislativo può far leva sulla
circostanza che, ai sensi del 2° comma in discorso, la notifica
zione costituisce un posterius rispetto all'atto con il quale si
propone l'appello incidentale, ossia rispetto al deposito in can
celleria della memoria difensiva in cui l'appello incidentale de
v'essere inserito a pena di decadenza; mentre è poi da presume re che, ove mai il legislatore avesse inteso sanzionare con la
decadenza anche l'omissione della tempestiva notificazione, avrebbe facilmente potuto rimuovere ogni dubbio in proposito, reiterando la locuzione «a pena di decadenza» nella parte finale
del comma, o posponendola alla previsione dell'onere di notifi
cazione.
Nella giurisprudenza di questa Suprema corte le suaccennate
letture del testo normativo sono entrambe presenti, Cass. 29
agosto 1979, n. 4722 (id., Rep. 1979, voce cit., n. 430), ha rite
nuto che «nel processo del lavoro l'art. 436 c.p.c. ricollega la
sanzione di decadenza dell'appello incidentale solo all'omesso
deposito in cancelleria della memoria di costituzione dell'appel lato almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione, men
tre configura la notificazione come un onere imposto all'appel lante incidentale per la realizzazione dell'instaurazione del con
traddittorio». In senso sostanzialmente conforme si sono orientate
Cass. 2 luglio 1980, n. 4193 (id., Rep. 1980, voce cit., nn. 256,
376), che attribuisce al collegio, in ipotesi di omessa notificazio
ne della memoria difensiva recante l'appello incidentale, il com
pito di fissare un nuovo termine, per notificare, nonché Cass.
7 febbraio 1983, n. 1029 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 514) e,
da ultimo, Cass. 11 dicembre 1990, n. 11768, cit.
L'indirizzo, ispirato a maggiore severità, che reputa sanzio
nati con la decadenza così l'omesso puntuale deposito come l'o
messa tempestiva notificazione, e nondimeno quello prevalente
(ex multis, Cass. 11 novembre 1980, n. 5055, id., Rep. 1980,
voce cit., nn. 357, 372; 14 dicembre 1982, n. 8874, id., Rep.
1982, voce cit., n. 470; 8 febbraio 1985, n. 1042, id., Rep. 1985,
voce cit., n. 401; 13 febbraio 1987, n. 1607, id., Rep. 1987,
voce cit., n. 484; 29 aprile 1988, n. 3242, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 297; 5 maggio 1989, n. 2126, id., Rep. 1989, voce cit.,
n. 259; 17 aprile 1990, n. 3171, id., Rep. 1990, voce cit., n.
275; 15 marzo 1993, n. 3075, id., Rep. 1993, voce cit., n. 202;
23 giugno 1993, n. 6935, ibid., n. 201) e trae conforto anche
da una decisione delle sezioni unite (non chiamate a comporre il dissidio). Con tale decisione (16 dicembre 1986, n. 7533, id., Rep. 1986, voce cit., n. 459) le sezioni unite hanno dato il loro
consenso all'indirizzo maggioritario senza esaminare tuttavia ex
professo la questione. Fra le due letture dell'art. 436, 2° comma, cui si è fatto cen
no, è convincimento di questa corte che meriti adesione la lettu
ra che fa scaturire la decadenza dall'appello incidentale esclusi
vamente dal mancato puntuale deposito della memoria difensi
va (contenente l'appello medesimo), e non pure dalla mancata
notificazione di essa entro il noto termine.
Tale, meno rigoristica interpretazione — che la dictio legis,
come si è accennato, non solo permette, ma viene anzi a sugge
rire come quella non implicante una formulazione inadeguata
se non addirittura impropria della norma — sembra chiaramen
te da preferire, e sotto vari aspetti. Va in primo luogo considerato che l'appello principale, nel
rito del lavoro, si propone con il mero deposito del ricorso,
e che la sua ammissibilità è subordinata esclusivamente alla tem
pestività di quel deposito, da effettuare nella cancelleria del com
petente tribunale entro il termine per appellare. Orbene, se il
legislatore avesse inteso condizionare l'ammissibilità dell'appel
lo incidentale, non solamente al tempestivo deposito in cancel
leria dell'atto che lo contiene, ma anche alla sua notificazione,
non potrebbe negarsi una qualche palese disarmonia del sistema.
Il Foro Italiano — 1997.
Per di più, ove realmente il legislatore avesse stabilito che
l'appello incidentale debba essere proposto, non solo mediante
inserimento di tale appello nella memoria difensiva da deposita re in cancelleria a pena di decadenza almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione, ma anche mediante esple tamento della notificazione di quella memoria difensiva entro
10 stesso perentorio termine, avrebbe fatto carico all'appellato di un complesso di oneri che possono risultare, nei singoli casi, di tutt'altro che facile adempimento (quantunque il sospetto di
illegittimità costituzionale della norma per compressione del di
ritto di difesa dell'appellante incidentale sia stato negato dalla
corte: cfr. Cass. 14 gennaio 1989, n. 160, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 262, e 27 gennaio 1989, n. 519, ibid., n. 260). Problemi di ardua soluzione possono insorgere, sia per la bre
vità del tempo a disposizione dell'appellato-appellante inciden
tale (che può dover fruire di soli quindici giorni per elaborare
la memoria difensiva contenente l'appello incidentale, nonché
per depositarla e notificarla, e ciò — si noti — nell'ambito di
un rito per il quale non vige la sospensione feriale dei termini
a sensi della 1. 7 ottobre 1969 n. 742), sia perché la disposizione di legge prescrive la notificazione «alla controparte» (ossia alla
parte controinteressata all'accoglimento dell'appello incidenta
le), e questa può non essere l'appellante principale (verso il quale la notificazione — da farsi presso il procuratore nominato nel
ricorso in appello: cfr. Cass. 10 agosto 1992, n. 9453, id., Rep.
1992, voce cit., n. 232, e 2 giugno 1995, n. 6194, id., Rep.
1995, voce cit., n. 244 — risulta presumibilmente agevole), ma
anche un altro soggetto, in ipotesi rimasto contumace in primo
grado, verso cui il compimento della procedura ben può richie
dere un congruo intervallo di tempo (si pensi alla notificazione
da eseguire nei modi dell'art. 142, e dell'art. 143 c.p.c.) o pre sentare inopinate difficoltà.
Una giustificazione ulteriore, che induce la corte a condivide
re l'interpretazione dell'art. 436, 2° comma, c.p.c. diretta a esclu
dere la sanzione della decadenza dall'appello incidentale nel ca
so di omessa (o irrituale) notificazione della memoria difensiva
(tempestivamente depositata in cancelleria), consiste in ciò, che
la contraria opzione viene a implicare il diniego di ogni sanato
ria per il difetto di notificazione, determinando un serio sospet to di incostituzionalità del disposto normativo, non apparendo
ragionevole la discriminazione fra l'appellante principale — per 11 quale (sulla base del «diritto vivente» recentemente enunciato
dalle sezioni unite della Corte di cassazione) ogni eventuale vi
zio, ovvero l'inesistenza, giuridica o di fatto, della notificazione
dell'atto di appello non si comunica all'impugnazione, ma im
pone al giudice, che rilevi il vizio, di indicarlo all'appellante ex art. 421 c.p.c. e di assegnare allo stesso (previa fissazione
di altra udienza di discussione) un termine perentorio per prov vedere alla notificazione — e l'appellante incidentale — per il
quale l'omissione della notificazione della memoria difensiva,
non essendo suscettibile di rimedio alcuno, darebbe invece adito
a inevitabile declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione. Fra le due possibili letture dell'art. 436, 2° comma, c.p.c.,
dev'essere allora prescelta quella che elide in radice il dubbio
di illegittimità costituzionale.
Alla luce di quanto sopra, va conclusivamente ritenuto che
la sanzione della decadenza dall'appello incidentale è commina
ta dall'art. 438, 2° comma, c.p.c. nella sola ipotesi di mancato
deposito in cancelleria della memoria difensiva dell'appellato, contenente l'appello stesso, entro il termine fissato dalla legge
(idest almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la di
scussione). Entro quel medesimo termine l'appellato è inoltre
tenuto a notificare la memoria difensiva alla controparte; pur
tuttavia, nel caso di omissione dell'adempimento, e del pari nel
caso di notificazione invalida, spetta al tribunale di concedere
nuovo termine perentorio per provvedere alla notificazione, sem
pre che la controparte presente all'udienza di discussione non
vi rinunci, accettando il contraddittorio o limitandosi a chiedere
conguo rinvio dell'udienza (rinvio che va disposto, al fine di
ripristinare il termine a difesa della controparte, anche nel caso
di notificazione tardiva). L'accoglimento del primo motivo di ricorso per cassazione
produce l'assorbimento degli altri motivi. La sentenza impu
gnata dev'essere cassata, con rinvio della causa ad altro giudice
equiordinato, che si designa nel Tribunale di Modena in funzio
ne di giudice del lavoro.
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