sezioni unite civili; sentenza 29 settembre 2000, n. 1049/SU; Pres. Panzarani, Est. Varrone,P.M. Lo Cascio (concl. conf.); Stara (Avv. Balestra, Spinas) c. Pres. cons. ministri e altri.Dichiara inammissibile ricorso avverso Cons. pres. giust. amm., decr. 11 gennaio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2321/2322-2325/2326Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196115 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
avanzata dal ministero ricorrente il quale si limita a parlare di
motivazione omessa o del tutto apparente, attribuendo malizio
samente alla sentenza impugnata una inesistente affermazione di totale infondatezza delle ragioni addotte dalla difesa del Salvini
per giustificare il provvedimento di intercettazione, mentre in
essa, in realtà, si afferma soltanto che «molti degli elementi for niti dall'incolpato si riferiscono a fatti e documenti verificatisi o
pervenuti successivamente alla data di emissione del decreto», il che nulla toglie alla validità e congruità del precedente assunto
di correttezza della motivazione di tale decreto, quanto al colle
gamento tra gli atti del procedimento 2/92F (quello che prose
guiva con l'osservanza delle norme del codice di procedura pe nale del 1930) ed il soggetto da intercettare, e circa, comunque, la non sindacabilità della motivazione stessa in sede disciplina re.
Deve ritenersi, in definitiva, che di nessuna censura sia meri
tevole la sezione per aver concluso nel senso della mancanza di
prove che il ripetuto provvedimento avesse una motivazione
reale diversa da quella formale, tanto più che ciò non viene nep
pure contraddetto dal ministero ricorrente il quale si limita ad e
videnziare la coincidenza cronologica del decreto con la notizia
di un'indagine condotta dal dott. Casson a carico del Salvini, nonché il fatto che quest'ultimo era convinto che tra Casson e il
giornalista Cecchetti vi fosse un legame di amicizia e che il
primo passasse notizie al secondo, ossia degli elementi mera
mente congetturali e privi di decisività, del resto già tenuti pre senti dalla sezione e considerati del tutto inidonei a fornire la
certezza dell'abnormità e pretestuosità del provvedimento. Con l'unico motivo del primo ricorso incidentale del dott.
Salvini si denunzia falsa applicazione di norme di diritto (art.
360, n. 3, c.p.c.) in relazione agli art. 34 r.d.leg. 511/46, e 530
c.p.p., sostenendosi che la chiara e ben argomentata motivazio
ne svolta in sentenza sul capo d'incolpazione sub n. 1 avrebbe
dovuto portare alla più ampia formula assolutoria di esclusione
dell'addebito, in quanto la sezione disciplinare aveva escluso
che il magistrato avesse impiegato funzionari del Sismi per
l'espletamento di attività di polizia giudiziaria. Si chiede, quin di, che siano queste sezioni unite, ex art. 384, 1° comma, c.p.c., una volta riconosciuto il denunziato vizio di violazione dell'art.
530 c.p.p., a sostituire detta formula a quella adottata dal giudi ce disciplinare, stante la non necessità di ulteriori accertamenti
di fatto.
La censura è del tutto infondata.
Basti rilevare in proposito che la gravata sentenza, come già detto in sede di esame dei ricorsi avversari, non ha del tutto
escluso il fatto contestato nella sua materialità, cioè che il magi strato avesse impiegato funzionari dei servizi segreti in attività
di polizia giudiziaria, ma ha solo ritenuto che tale impiego fosse
stato occasionale e marginale e fosse giustificato dall'imponen za e dalla particolare urgenza delle indagini in corso, il che non
poteva portare ad una formula assolutoria diversa e più favore
vole di quella adottata.
Alla stregua di tutte le osservazioni che precedono, il ricorso
principale del procuratore generale (n. 17313/99), il primo ri
corso incidentale del ministero della giustizia (n. 20236/99) e il primo ricorso incidentale del Salvini (n. 20492/99) devono esse
re rigettati, mentre vanno dichiarati inammissibili, per le ragioni dette all'inizio, il secondo ricorso incidentale del ministero della
giustizia (n. 22662/99) e il secondo ricorso incidentale del Sal
vini (n. 22836/99).
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 29 settembre 2000, n. 1049/SU; Pres. Panzarani, Est. Varrone, P.M. Lo Cascio (conci, conf.); Stara (Avv. Balestra, Spinas) c. Pres. cons, ministri e altri. Dichiara inammissibile ricorso avverso Cons. pres. giust. amm., decr. 11 gennaio 1999.
Consiglio di Stato e tribunali amministrativi — Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa — Sanzione di sciplinare contro magistrati — Ricorso alle sezioni unite
della Cassazione — Inammissibilità (Cost., art. 24, 102; 1. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzione e sul funzio
namento del Consiglio superiore della magistratura, art. 17; 1.
27 aprile 1982 n. 186, ordinamento della giurisdizione ammi
nistrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consi
glio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali, art. 32).
E inammissibile, data la natura amministrativa del Consiglio di
presidenza della giustizia amministrativa e dei provvedimenti
disciplinari da esso emessi, il ricorso alle sezioni unite della
Corte di cassazione proposto da magistrato amministrativo
nei cui confronti il consiglio abbia deliberato l'applicazione di sanzione disciplinare. (1)
(1) La decisione in epigrafe conferma l'orientamento della Cassazio ne nel senso della natura amministrativa del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e dei provvedimenti disciplinari da esso
emessi; sul punto, v. Cass., sez. un., ord. 11 dicembre 1992, n. 871 (Fo ro it., 1993, I, 2898, con nota di richiami e osservazioni di Caruso, Note sul procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati ammi nistrativi e sul Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa), che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto alle sezioni unite da
magistrato amministrativo nei cui confronti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa abbia deliberato l'applicazione di sanzio ne disciplinare, in quanto il rinvio operato dall'art. 32 1. 27 aprile 1982 n. 186 alla disciplina prevista per i magistrati ordinari non estende al
predetto organo — nonché al Consiglio di presidenza della Corte dei
conti, giusta il richiamo dell'art. 32 cit., contenuto nell'art. 10, 9°
comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117 — la natura di giudice speciale propria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, né
può modificare il regime delle impugnazioni avverso i provvedimenti dallo stesso assunti, che in considerazione del loro carattere ammini strativo vanno contestati dinanzi al tribunale amministrativo regionale ed al Consiglio di Stato; nell'occasione la Cassazione aveva altresì di chiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu zionale dell'art. 32 1. 186/82 nella parte in cui prevede un differente trattamento dei magistrati amministrativi rispetto ai magistrati ordinari
per quanto riguarda i mezzi di impugnazione avverso i provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti, in riferimento all'art. 24 Cost.
A quel precedente le sezioni unite si erano già richiamate allorché hanno dichiarato inammissibile il ricorso, sostanzialmente identico, che lo stesso magistrato aveva proposto contro la delibera con la quale il
Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa lo aveva sospeso in via provvisoria dal servizio per la medesima incolpazione disciplina re; in quell'occasione (Cass., sez. un., 1° ottobre 1999, n. 710/SU, id., 1999, I, 2809, e 2000, I, 516, con nota di richiami e requisitoria del l'avvocato generale presso la Corte di cassazione) l'argomentazione si è peraltro arricchita dell'ulteriore rilievo che contrasta con la presunta natura giurisdizionale del consiglio di presidenza il fatto che esso sia
presieduto dallo stesso organo (il presidente del Consiglio di Stato) al
quale è devoluto il compito di promuovere l'azione disciplinare. A fronte della richiesta di riesame di quell'indirizzo, supportata dalle
considerazioni cui è pervenuta Corte cost. 1° marzo 1995, n. 71 (id., 1995,1, 1738, con nota di richiami e osservazioni di G. Amato), che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, 3° comma, 1. 30 dicembre 1988 n. 561, nella parte in cui regola le attri buzioni del Consiglio della magistratura militare (sul quale cfr., anche, la nota di richiami a Cass. 9 novembre 2000, n. 1161/SU, in questo fa
scicolo, I, 2311) e la procedura in materia disciplinare nei confronti dei
magistrati militari, mediante rinvio alla stessa disciplina prevista per il
procedimento disciplinare (avente natura giurisdizionale) nei confronti
dei magistrati ordinari, in riferimento all'art. 102 Cost., e che, a giudi zio del ricorrente, non è stata presa in considerazione nella precedente pronuncia, le sezioni unite della Corte di cassazione negano la possibi lità di estendere quelle conclusioni ai magistrati amministrativi, che
non possono assimilarsi a quelli ordinari per stato giuridico, garanzie di
indipendenza e articolazione di carriera, e nei confronti dei quali risul tano profondamente diverse la struttura, le funzioni e l'articolazione del
procedimento disciplinare con riguardo al Consiglio di presidenza della
giustizia amministrativa rispetto al Csm. Per la manifesta inammissibilità, in quanto implicanti scelte discre
zionali riservate al legislatore, delle questioni di legittimità costituzio nale dell'art. 7 1. 186/82 nella parte in cui, nel disciplinare la composi zione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa non
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2323 PARTE PRIMA 2324
Svolgimento del processo. — Il dott. Salvatore Stara, consi
gliere del Tribunale amministrativo della regione Sardegna, ha
proposto ricorso alle sezioni unite di questa Suprema corte av
verso la delibera 8 gennaio 1999 (ed ogni altro atto successivo e
connesso) con la quale il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa aveva disposto la sua sospensione dallo stipen dio e dalle funzioni di consigliere del tribunale amministrativo
regionale in esito al procedimento disciplinare intrapreso per fatti considerati gravemente lesivi del prestigio della magistratu ra amministrativa (gli era stato contestato di avere distribuito, nella sala d'attesa degli avvocati, durante l'udienza, una lettera, inviata per conoscenza al Consiglio dell'ordine degli avvocati di
Cagliari e di Sassari, contenente affermazioni e commenti circa
la situazione esistente in seno al tribunale e gravi rilievi e insi
nuazioni sulla professionalità del suo presidente). Lo Stara ha
precisato di avere proposto l'impugnazione ai sensi degli art. 17
1. 24 marzo 1958 n. 195 (per il quale: «Contro i provvedimenti in materia disciplinare, è ammesso ricorso alle sezioni unite
della Corte di cassazione») e 57 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916
per il rinvio che ad essi sarebbe operato dall'art. 32 1. 27 aprile 1982 n. 186, secondo cui: «Per quanto non diversamente dispo sto dalla presente legge si applicano ai magistrati amministrativi
le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni
disciplinari e del relativo procedimento». Prima di denunciare, sotto molteplici aspetti, vizi in proce
dendo ed in iudicando della delibera impugnata, il ricorrente ha
pregiudizialmente chiesto che le sezioni unite riconoscessero la
loro giurisdizione nella vicenda, pur facendosi carico che con
ord. 11 dicembre 1992, n. 871 (Foro it., 1993,1, 2898), l'aveva
no negata in relazione ai provvedimenti disciplinari nei con
fronti dei magistrati amministrativi, nella considerazione che ciò
implicherebbe il riconoscimento al Consiglio di presidenza della
giustizia amministrativa della natura di organo giurisdizionale, al pari del Consiglio superiore della magistratura, riconosci
mento non consentito in ragione della previsione dell'art. 102
Cost., che vieta 1'«istituzione di giudici speciali». Tale indirizzo, secondo lo Stara, deve essere rimeditato alla
luce di una sentenza della Corte costituzionale in materia di
giudici speciali e di procedimento disciplinare a carico dei ma
prevede la presenza di componenti «laici», e nella parte in cui ne fissa la composizione secondo criteri che non tengono conto della rappre sentatività o proporzionalità dei magistrati appartenenti alla giurisdi zione amministrativa, v. Corte cost., ord. 20 novembre 1998, n. 377, id., 1999, I, 39, con nota di richiami; sulle novità nella composizione del consiglio di presidenza introdotte (in via transitoria, in attesa del
generale riordino dell'ordinamento della giustizia amministrativa sulla base dell'unicità di accesso e di carriera, con esclusione di automatismi
collegati all'anzianità di servizio) dall'art. 18 1. 21 luglio 2000 n. 205, che ha sostituito l'art. 7 1. 186/82, ed in particolare sulle previsioni concernenti la prevalenza di magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali (rispetto a quelli in servizio presso il Consiglio di Stato) e l'inserimento di componenti non togati, v. Manzi, Consiglio di presidenza: arrivano i membri laici, in Guida al dir., 2000, fase. 30, 90; Pinardi, La nuova composizione del Consiglio di presidenza della
giustizia amministrativa alla luce delle modifiche introdotte dalla l. n. 205 del 2000, in Dir. pubbl., 2001, 327 ss.; Palamara, Azzerato il contenzioso pluridecennale se le parti non si affrettano all'istanza. L'analisi della riforma processuale amministrativa, in Dir. e giust., 2000, fase. 29, 28.
In dottrina, v. Spagnoletti, Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa tra autogoverno oligarchico, ipotesi di «miniriforma» e
riforma costituzionale, in Trib. amm. reg., 1998, II, 273, e Pinardi, «Autogoverno» ed indipendenza dei giudici speciali: riflessioni sulla
composizione prevista per il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, in Giur. costit., 1996, 3307; per un inquadramento del
l'autogoverno delle magistrature non ordinarie nel sistema costituzio nale ed un esame dei modelli organizzativi degli organi di autogoverno delle magistrature amministrativa, contabile, militare e tributaria, v. D'Aloia, L'autogoverno delle magistrature «non ordinarie» nel siste ma costituzionale della giurisdizione, Napoli, 1996; nonché, alla luce dei cambiamenti apportati dalla normativa più recente, il commento al l'art. 18 1. 205/00 di Buricelli, in Caringella-Protto (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Milano, 2001, 968. Sul fenomeno della
progressiva estensione delle garanzie nel procedimento disciplinare contro i magistrati ordinari, ed in particolare sulla dichiarazione di in costituzionalità della normativa che non consentiva al magistrato di far si assistere da un avvocato del libero foro, v. Corte cost. 16 novembre 2000, n. 497, Foro it., 2001, I, 383, con nota di richiami e osservazioni di Panizza, Al magistrato incolpato l'assistenza (se vuole) dell'avvo cato.
Il Foro Italiano — 2001.
gistrati militari, con la conseguenza che ove si ritenesse di
mantenerlo fermo, sarebbe necessario investire nuovamente il
giudice delle leggi con riguardo alla posizione specifica dei giu dici amministrativi. Argomentazioni e richieste sviluppate am
piamente con successiva memoria ma contrastate con controri
corso dell'avvocatura generale dello Stato, rappresentante e di
fensore ex lege della presidenza del consiglio dei ministri e del
Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché
dal procuratore generale presso questa corte con le sue conclu
sioni scritte, ambedue richiedendo la dichiarazione di inammis
sibilità del ricorso. Motivi della decisione. — Le sezioni unite si sono già interes
sate di questo procedimento, esaminando il ricorso sostanzial
mente identico che lo Stara aveva proposto contro la delibera
con la quale il Consiglio di presidenza della giustizia ammini
strativa lo aveva sospeso in via provvisoria dal servizio per la
stessa incolpazione di cui sopra; e sono giunte alla conclusione
di dichiararlo inammissibile, confermando il convincimento,
espresso con l'ordinanza n. 871 del 1992, nel senso della natura
amministrativa del Consiglio di presidenza della giustizia am
ministrativa e del provvedimento disciplinare da esso emesso, in
virtù delle seguenti considerazioni:
a) la norma dell'art. 32 1. 27 aprile 1982 n. 186, sul procedi mento disciplinare a carico dei magistrati amministrativi, la
quale rinvia «per quanto non diversamente disposto ... alle
norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni
disciplinari e del relativo procedimento», non si estende alla
natura dell'organo che irroga la sanzione, né conseguentemente al regime delle impugnazioni proponibili contro i suoi provve dimenti, sebbene la sua ambigua formulazione possa apparen temente far propendere per la conclusione opposta;
b) l'estensione deve escludersi perché le norme di significato
ambiguo devono sempre interpretarsi in modo da essere con
formi alla Costituzione, mentre se si riconoscesse la natura giu risdizionale della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura anche a detto organo, che già esisteva sotto il
vigore dello Statuto albertino ma con funzioni esclusivamente
amministrative ed interne, l'art. 32 cit., in tal modo interpretato, si porrebbe in contrasto con il divieto d'istituzione di nuovi giu dici speciali sancito dall'art. 102, 1° comma, Cost.;
c) il trattamento differente riservato, in materia disciplinare, ai magistrati amministrativi rispetto a quelli ordinari, con rife
rimento ai mezzi d'impugnazione avverso i provvedimenti adottati nei loro confronti, non «è costituzionalmente rilevante,
perché è giustificato dalla diversa natura degli organi che tali
procedimenti svolgono, in relazione al momento in cui gli stessi
sono sorti e non implica, comunque, alcuna lesione del diritto di
difesa garantito dall'art. 24 Cost.», essendo concessa ai magi strati amministrativi, nei cui confronti siano emanati provvedi menti disciplinari, la tutela giurisdizionale innanzi al Tar e al Consiglio di Stato.
Agli esposti argomenti è stato aggiunto che contrasta con la
natura giurisdizionale di detto consiglio di presidenza il fatto
che sia presieduto dallo stesso organo (presidente del Consiglio di Stato) titolare — insieme al presidente del consiglio dei mini
stri — dell'azione disciplinare (art. 33, 1° comma. 1. n. 186 del
1982) (Cass., sez. un., 1° ottobre 1999, n. 710/SU, id., 1999, I,
2809). Il ricorrente è ben conscio dell'importanza e della pertinenza
di quanto precede, ma — soprattutto con l'ampia ed elaborata
memoria — ritiene che la questione debba essere rivista alla lu
ce della sentenza 1° marzo 1995, n. 71 della Corte costituzio
nale (id., 1995, I, 1738), non considerata nella sentenza
710/SU/99, cit., a seguito di giudizio promosso da queste stesse
sezioni unite che, con ordinanza 23 maggio 1994, n. 432 (id.,
Rep. 1994, voce Tribunale militare, n. 11) avevano d'ufficio di
chiarata rilevante e non manifestamente infondata, in relazione
all'art. 102 Cost, (che vieta l'istituzione di giudici speciali), la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, n. 3, 1. 30 di cembre 1988 n. 561, nella parte in cui stabilisce: a) che il Con
siglio della magistratura militare, per i magistrati militari, in materia disciplinare, ha le stesse attribuzioni del Consiglio supe riore della magistratura; b) che il procedimento disciplinare per i magistrati militari è regolato dalle norme in vigore per i magi strati ordinari; c) che il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione esercita le funzioni di pubblico ministero.
La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pur condividendo il giudizio di queste sezioni unite sulla natura
giurisdizionale, in materia disciplinare, del Consiglio della ma gistratura militare, ha ritenuto che, pur trattandosi di organismo
«organizzativamente nuovo», tuttavia la sua istituzione non in
corresse nel divieto di cui all'art. 102 cit., in quanto essa si inse
risce nella tradizione che vuole che abbiano carattere giurisdi zionale gli organi cui sono deputati i giudizi disciplinari sui ma
gistrati, anche militari, assimilati a quelli ordinari per stato giu ridico, garanzie d'indipendenza ed articolazione di carriera.
In particolare il giudice delle leggi, premesso che il criterio
per determinare il contenuto del divieto costituzionale di istitui
re giudici speciali risiede nella loro novità, riferita non solo ai
profili soggettivi dell'articolazione degli organi di giurisdizione speciale, ma anche ai profili oggettivi della competenza di setto
re attribuita ad una cognizione diversa da quella del giudice or
dinario, ha concluso che il Consiglio della magistratura militare, nell'esercizio delle sue funzioni disciplinari, non costituisce un
nuovo giudice speciale nel senso indicato dall'art. 102 Cost., in
quanto: — la configurazione giurisdizionale del procedimento disci
plinare per i magistrati ordinari risponde alla tradizione e, quin di, risale a prima della Costituzione repubblicana;
— la condizione dei magistrati militari è oggi del tutto assi
milata, per stato giuridico, garanzie di indipendenza ed articola
zione di carriera, a quella dei magistrati ordinari e, parallela mente, l'ordinamento giuridico militare di pace si è modellato
su quello previsto per la magistratura ordinaria.
Inoltre, «il rifluire della magistratura militare nell'alveo della
posizione propria della magistratura ordinaria, pur mantenendo
sene ancora organizzativamente distinta, è significativamente
comprovato dalla titolarità della presidenza del Consiglio della
magistratura militare attribuita per legge al presidente dell'or
gano supremo della giurisdizione ordinaria. Sicché la scelta, conforme a questa impostazione, di configurare anche il proce dimento disciplinare per i magistrati militari in forme giurisdi zionali non rappresenta, nonostante l'inevitabile attribuzione
della competenza ad un organismo organizzativamente nuovo, l'introduzione di una nuova giurisdizione e di un nuovo giudice
speciale, trovando la giurisdizionalità della funzione disciplina re radicamento in quella già prevista per la magistratura ordina
ria, cui anche la magistratura militare, oramai ad essa piena mente equiparata, accede, pur mantenendo una distinzione or
ganizzativo-ordinamentale». Ora, con tutta evidenza, nessuno degli argomenti esposti può
estendersi ai magistrati amministrativi e, segnatamente, l'argo mento fondante della sostanziale omologazione della magistra tura militare a quella ordinaria. Infatti, per stato giuridico, per
garanzie di indipendenza e per articolazione di carriera i magi strati amministrativi non possono assimilarsi a quelli ordinari;
ma, soprattutto, profondamente diverse sono la struttura (per
qualità e criteri di eleggibilità dei suoi membri), le funzioni e l'articolazione del procedimento disciplinare con riguardo al
Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa rispetto al
Csm (e, quindi, alla sezione disciplinare di quest'ultimo), a dif ferenza del Consiglio della magistratura militare, le cui attribu
zioni e procedure, come si è visto, sono state invece definite
mediante una chiara assimilazione con l'organo di autogoverno della magistratura ordinaria (Corte cost. 71/95, cit.). E pur es
sendo auspicabile, come riconosciuto dallo stesso procuratore
generale in udienza, che anche il procedimento disciplinare a
carico dei magistrati amministrativi venga giurisdizionalizzato, allo stato deve escludersi la natura giurisdizionale del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, ed avendo, quindi, carattere amministrativo i provvedimenti da tale organo emessi
anche in sede disciplinare, non vi è possibilità di sollevare la
questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente, sull'er
roneo presupposto che la citata pronuncia della Corte costitu
zionale possa estendersi ai magistrati amministrativi.
Concludendo, queste sezioni unite ritengono, malgrado l'ulte
riore apporto critico del ricorrente, di confermare il precedente
orientamento, dichiarando l'inammissibilità del ricorso.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 set tembre 2000, n. 12405; Pres. Senofonte, Est. Panebianco, P.M. Velardi (conci, diff.); Soc. Parco Napoli (Avv. C.M.
Barone) c. Banca popolare di Milano (Avv. Bozzi), Fall. soc.
Parco Napoli. Cassa App. Roma 16 novembre 1998.
Fallimento — Dichiarazione di fallimento — Stato di insol venza — Irrilevanza delle cause — Limite — Fattispecie (Cod. civ., art. 1175, 1375; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci plina del fallimento, art. 5).
Il principio della rilevanza obiettiva dello stato di insolvenza, che normalmente prescinde dalle cause che hanno dato origi ne alla crisi dell'imprenditore, non opera nell'ipotesi in cui
esista un unico creditore e costui, con una condotta contraria
ai doveri di correttezza e di buona fede, abusi del suo diritto, creando le condizioni che rendono impossibile il regolare
adempimento dell'obbligazione e causando, così, la dichiara
zione di fallimento (nella specie, preso atto che il giudice di
merito aveva accertato che l'unico creditore era un istituto
bancario, il quale, col rifiutare il frazionamento del mutuo, aveva impedito la realizzazione della liquidità derivante dalla
vendita degli appartamenti, la corte ha cassato la sentenza
affidando al giudice di rinvio il compito di accertare l'esi
stenza del nesso di causalità fra il rifiuto della banca al fra zionamento del mutuo, contrario all'obbligo di correttezza, e
lo stato di insolvenza, e di provvedere, in caso affermativo, alla revoca della dichiarazione di fallimento). (1)
(1) Non risultano precedenti sulla specifica questione, la cui soluzio ne è scaturita dalla trasposizione nella materia fallimentare delle posi zioni emerse negli ultimi anni nella giurisprudenza di legittimità sul ruolo dei doveri di buona fede e di correttezza in materia contrattuale. Pur ribadendo il principio consolidato relativo alla natura oggettiva dello stato di insolvenza che opera quale presupposto dell'apertura della procedura concorsuale indipendentemente dalle cause dalle quali ha tratto origine la crisi dell'imprenditore (cfr., da ultimo, Cass. 20
giugno 2000, n. 8374, Foro it., Mass., 771), la sentenza in epigrafe ha escluso che quel principio possa essere assunto in una dimensione di assoluta ed indiscriminata generalizzazione, dato che, in riferimento alla peculiarità delle singole situazioni, esso incontra il limite segnato dai «principi generali che permeano di sé l'intero ordinamento», tra i
quali deve indubbiamente includersi il principio di buona fede di cui
agli art. 1175 e 1375 c.c. (su cui, da ultimo, cfr. Medici, in nota a Cass. 6 novembre 2000, n. 14436, id., 2001,1, 1992).
La clausola generale di buona fede e di correttezza, intesa in senso
oggettivo, ha acquistato nella recente elaborazione giurisprudenziale una portata dinamica, che l'ha fatta collocare tra le fonti di integrazione del contratto, con un valore che ha perso la connotazione meramente sussidiaria e subalterna all'autonomia negoziale delle parti, ad essa as
segnata dall'opinione tradizionale, per divenire un fattore obiettivo che inerisce allo sviluppo della vicenda contrattuale, nella sua interezza, dal momento della costituzione a quello della esecuzione. In una delle più lucide ed argomentate sentenze, con cui è stato impresso un impulso decisivo al nuovo modo della giurisprudenza di concepire la buona fe
de, la Corte di cassazione ha chiarito che essa costituisce «principio cardine», che concorre a creare la regula iuris del caso concreto con forza cogente, e «si porge nel sistema come limite interno di ogni situa zione soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita, concor
rendo, quindi, alla relativa conformazione in senso ampliativo o restrit tivo rispetto alla fisionomia apparente, per modo che l'ossequio alla le
galità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulti, quindi, disatteso quel dovere inderogabile di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.), che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto o gli effetti (art. 1374 c.c.) e
deve, ad un tempo, orientarne l'interpretazione (art. 1366 c.c.) e l'ese cuzione (art. 1375 cc.), nel rispetto del noto principio secondo cui cia scuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l'interesse dell'altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio» (Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, id., 1995, I, 1296, con osservazioni di C.M. Barone, e Corriere giur., 1994, 566, con nota di Carbone, La
buona fede come regola di governo della discrezionalità contrattuale). In una analoga prospettiva ricostruttiva del ruolo della buona fede, ope rante come limite obiettivo all'esercizio delle scelte discrezionali deri vanti dal regolamento contrattuale adottato dall'autonomia delle parti e
configurato talora come «antidoto» all'abuso del diritto e come argine all'arbitrio, v. Cass. 14 luglio 2000, n. 9321, Foro it., 2000, I, 3495, e
Corriere giur., 2000, 1479, con nota di Di Majo, La buonafede corret
tiva di regole contrattuali; 15 gennaio 2000, n. 426, Foro it., 2000, I,
1160, con nota di Di Ciommo, Clausole generali e responsabilità civile
dell'intermediario mobiliare; 8 febbraio 1999, n. 1078, id., Rep. 1999, voce Contratto in genere, n. 456, e, per esteso, Contratti, 1999, 1016, con nota di Maniaci; 28 gennaio 1998, n. 831, Foro it., 1998,1, 770; 23
luglio 1997, n. 6900, ibid., 1582; 21 maggio 1997, n. 4538, id., 1997,1, 2479. Il collegamento diretto della tematica dell'abuso del diritto con la
clausola generale di buona fede e di correttezza — sempre più ricor
rente nella recente giurisprudenza di legittimità (cfr., oltre a Cass.
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