sezioni unite civili; sentenza 31 marzo 2006, n. 7578; Pres. Nicastro, Est. Picone, P.M. Palmieri(concl. conf.); N. Capuzzello (Avv. G. Capuzzello) c. Inpdap. Dichiara inammissibile ricorsoavverso App. Catania 14 novembre 2002 e rimette a sezione sempliceSource: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 11 (NOVEMBRE 2006), pp. 3117/3118-3121/3122Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201214 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
revoca del curatore, così violando il combinato disposto degli art. 28 e 37 1. fall., che valorizzando il fine pubblicistico del
suddetto incarico, pone invece detto soggetto nella medesima
posizione di quelli ai quali è espressamente consentito denun
ciare motivi di revoca. Siccome diversamente opinando si cree
rebbe un'ingiustificata disparità di trattamento ai danni del fal
lito, chiedono che la questione sia rimessa al giudice delle leggi. Col terzo mezzo lamentano erronea valutazione dell'art. 37 1.
fall., e correlato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, ed os
servano che il tribunale fallimentare, pur avendo attribuito all'i
stanza valore di sollecitazione del suo potere officioso, non ne
ha poi tratto le dovute conseguenze, avendo negato la legittima zione alla proposizione dell'istanza di revoca.
Col quarto mezzo denunciano errata valutazione delle circo
stanze dedotte per dimostrare la sussistenza delle condizioni di
fatto che giustificavano l'esercizio dell'azione revocatoria che il
curatore omise d'instaurare, ed infine col quinto mezzo deduco
no errata valutazione delle risultanze istruttorie ed omessa deci
sione «sulle domande decisive della controversia», ancora in
ordine al mancato esercizio dell'azione revocatoria, nonché in
ordine alla mancata comunicazione ai creditori da parte del cu
ratore dell'approvazione del piano di riparto, mancato contrad
dittorio con i falliti ed il p.m., ed infine mancata consultazione
del comitato dei creditori.
Il procuratore generale ha chiesto dichiararsi l'inammissibi
lità del ricorso in ragione della natura discrezionale e non deci
soria, bensì ordinatoria, del provvedimento impugnato. Tale richiesta merita accoglimento. Il tribunale fallimentare ha escluso in limine che le istanti fos
sero legittimate a formulare richiesta di revoca del curatore sic
come soggetti non rientranti nel novero di quelli cui l'art. 37 1.
fall, attribuisce tassativamente suddetto potere d'impulso; indi,
pur valutando la loro richiesta in termini di sollecitazione dei
suoi poteri officiosi, ha escluso nel merito che la denunciata
inadempienza del curatore fosse imputabile a sua negligenza,
reputando piuttosto che si trattasse di una scelta d'opportunità, come tale non sindacabile.
Siffatto provvedimento non è censurabile in questa sede.
Secondo il consolidato orientamento di questa corte non è
ammesso il ricorso straordinario per cassazione avverso il prov vedimento del tribunale fallimentare che pronunci in tema di re
voca del curatore fallimentare, siccome trattasi di atto interno
alla procedura che ha natura ed efficacia ordinatoria, dal mo
mento che esso è ispirato all'esigenza di salvaguardare le fina
lità di carattere pubblicistico che deve connotare il corretto
svolgimento della procedura fallimentare (cfr. Cass. 17879/04,
id., 2005,1, 405; 6851/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 336). Ed infatti, il conferimento del suddetto ufficio né consolida
un diritto soggettivo del curatore al mantenimento della sua
funzione, né è idoneo ad interferire nella sfera soggettiva del
fallito ovvero di alcuno dei singoli creditori. Trattasi infatti di
un ufficio d'interesse pubblico da cui può essere disposta la ri
mozione in ogni tempo, laddove il tribunale ritenga che la per manenza del professionista chiamato a ricoprirlo possa pregiu dicare gli interessi della procedura. Di qui, per ovvio corollario, la palese natura meramente ordinatoria del provvedimento che
pronuncia in ordine alla revoca, sia disponendola sia rigettando la relativa proposta, che può provenire, proprio in ragione della
natura pubblicistica dell'incarico, secondo l'espressa e tassativa
previsione normativa contenuta nell'art. 37 1. fall., solo dal giu dice delegato ovvero dal comitato dei creditori.
Resta piuttosto salvo il diritto dei soggetti summenzionati a
rappresentare al tribunale fallimentare ogni situazione soprav
venuta, da esso liberamente apprezzabile, al fine di provocare l'esercizio del potere officioso di rimuovere il curatore dal suo
incarico, che resta affidato però alla discrezionalità del giudi
cante, in quanto espressione di valutazione fondata squisita mente sulla fiducia.
È chiaro quindi che il relativo decreto, quale che ne sia il
contenuto, non può essere né definitivo, potendo essere nuova
mente sollecitato, né decisorio, siccome non incide su diritti
soggettivi, e perciò non è impugnabile innanzi a questa corte
(cfr. Cass. 6851/95, cit.; 13271/00, cit.; 17879/04, cit.). In questa prospettiva, la questione di costituzionalità, peral
tro, genericamente dedotta, appare irrilevante.
Restano altresì travolti gli altri motivi di critica.
Tanto premesso, il ricorso deve essere dichiarato inammissi
bile.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 31 marzo 2006, n. 7578; Pres. Nicastro, Est. Picone, P.M. Pal
mieri (conci, conf.); N. Capuzzello (Avv. G. Capuzzello) c.
Inpdap. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Catania
14 novembre 2002 e rimette a sezione semplice.
Giurisdizione civile — Corte dei conti — Condanna di pub blica amministrazione al pagamento di somma di denaro — Esecuzione forzata — Competenza del giudice ordina rio (R.d. 12 luglio 1934 n. 1214, approvazione del t.u. delle
leggi sulla Corte dei conti, art. 78; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 37; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tri butario in attuazione della delega al governo contenuta nel
l'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art. 70; 1. 21 luglio 2000 n. 205, disposizioni in materia di giustizia amministrativa, art. 10).
La domanda di esecuzione forzata di una sentenza di condanna
della pubblica amministrazione al pagamento di una somma
di denaro, ancorché pronunciata da un giudice speciale
(nella specie, dalla Corte dei conti) introduce sempre, al pari di quella proposta nei confronti di qualsiasi altro debitore,
una controversia di diritto soggettivo, la cui tutela, in fase esecutiva e al fine della decisione sulle opposizioni ivi propo
ste, non può che competere — esclusa ogni questione di giuris
dizione — al giudice ordinario, senza che rilevi la possibilità della proposizione del giudizio di ottemperanza davanti al
giudice speciale. (1)
(1) Nel ribadire un principio noto (v., cit. in motivazione, Cass. 13
maggio 1994, n. 4661, Foro it., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 775; 18 aprile 1994, n. 3680, ibid., n. 776; 18 febbraio 1994, n. 1593, ibid., voce Giurisdizione civile, n. 116; 7 dicembre 1993, n. 12060, id.,
Rep. 1993, voce cit., n. 113; 12 luglio 1993, n: 7632, ibid., voce Impie
gato dello Stato, n. 844; 12 luglio 1993, n. 7631, ibid., n. 845), benché
poco frequentato, la Suprema corte coglie l'occasione per chiarire la na
tura «radicalmente diversa» del giudizio di ottemperanza alle decisioni
di condanna pronunciate nei confronti della pubblica amministrazione, il
quale ha natura cognitoria e mira ad ottenere l'adempimento dell'ammi
nistrazione «dall'interno e non ab externo» (v., Cass. 1593/94, cit.;
7632/03, cit.; adde, Cass. 20 novembre 2003, n. 17633, id., Rep. 2003, voce Giustizia amministrativa, n. 1307; Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo
2003, n. 1190, ibid., n. 1308; sez. V 22 febbraio 2001, n. 1011, id.,
Rep. 2001, voce cit., n. 1061; Corte conti, sez. riun. giur., 2 ottobre
2002. n. 9/QM, id., Rep. 2003, voce Pensione, nn. 520, 521), rispetto al
giudizio civile di esecuzione, che ha natura di rimedio generale ed ha
l'unico scopo di accertare l'esistenza del titolo per procedere all'esecu
zione forzata e dirigere il procedimento diretto alla soddisfazione delle
ragioni del creditore.
Da tale diversità scaturisce, anzitutto, che nel giudizio di esecuzione
davanti al giudice ordinario non sono ammissibili le questioni di giuris dizione (v., cit. in motivazione, Cass. 8 marzo 2006, n. 4912, inedita, e
già Cass. 19 ottobre 2000, n. 1124, id., Rep. 2000, voce Giurisdizione
civile, n. 165; 12060/03, cit.; 7632/93, cit.; 7631/93, cit.), che invece
possono emergere nel giudizio di ottemperanza (v. Cass. 17633/03, cit.;
Cons. Stato, sez. IV, 1190/03, cit.; sez. V 1011/01, cit.; sez. IV 1° mar
zo 2001, n. 1143, id., Rep. 2001, voce Giustizia amministrativa, n.
1081; ma, contra, se ben si comprende, Cass., ord. 7 dicembre 2004, n.
22885, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1278, secondo cui, in presenza di
una pronuncia del giudice amministrativo, emessa in sede di giudizio di
ottemperanza, con la quale si attribuisce al giudice ineseguito un de
terminato contenuto precettivo, la deduzione con la quale tale decisione
viene censurata, sotto il profilo della carenza di giurisdizione, per avere
la stessa attribuito al giudicato stesso una portata diversa da quella ef
fettiva, non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del
giudice amministrativo, in quanto rientra nella competenza giurisdizio nale di quest'ultimo di interpretare e dare esecuzione al proprio giudi
cato, e, di conseguenza, non può essere fatta valere con il ricorso per cassazione ex art. 362 c.p.c.; e già Cass., ord. 5 giugno 1998, n. 523,
id.. Rep. 1998, voce cit., n. 947; 20 dicembre 1993, n. 12613, id., 1994,
I, 54); in secondo luogo, che il giudice ordinario, adito per l'esecuzione
di una sentenza di condanna per crediti di denaro nei confronti del
l'amministrazione, ha sempre il potere d'interpretare il titolo esecutivo
al fine di attribuire il bene della vita riconosciuto al creditore dalla
sentenza di condanna (e, in caso di erronea interpretazione, si versereb
be sempre in questione attinente ai limiti interni della giurisdizione or
dinaria). Detto altrimenti, il giudice ordinario è il giudice naturale dell'esecu
zione forzata nei confronti della pubblica amministrazione per crediti di
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PARTE PRIMA
Ritenuto in fatto. — La Corte d'appello di Catania, in acco
glimento dell'impugnazione dell'Inpdap, ha riformato la sen
tenza non definitiva del Tribunale di Ragusa, dichiarando il di
fetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere la con
troversia relativa all'esecuzione della sentenza 7 aprile 1994
della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione sici
liana, e la nullità del precetto, del pignoramento e degli atti ese
cutivi successivi.
L'Inpdap aveva proposto opposizione al precetto per il paga mento di lire 88.018.57 notificato da Nunzio Capuzzello sulla
base dell'indicata decisione della Corte dei conti, contestando, sotto diversi profili, il diritto di procedere ad esecuzione forzata.
Il Tribunale di Ragusa aveva rigettato, con sentenza non defini
tiva i motivi di opposizione al precetto e al pignoramento im
mobiliare.
L'eccezione, proposta per la prima volta in grado di appello
dall'Inpdap, secondo cui la pretesa del Capuzzello doveva esse
re fatta valere instaurando giudizio amministrativo di ottempe ranza, è stata ritenuta fondata dalla corte di Catania.
Ha osservato la sentenza d'appello che il giudicato aveva ac
certato il diritto a differenze pensionistiche, maggiorate di riva
lutazione e interessi, ma non recava condanna al pagamento di
somme determinate, risultando controversa la sua interpretazio ne quanto alla determinazione dell'oggetto della prestazione; che, in particolare, il contrasto concerneva il parametro di com
puto della rivalutazione e degli interessi su cui la Corte dei conti
non si era pronunciata; che, pertanto, la controversia era riser
vata alla cognizione del giudice competente per il giudizio di
ottemperanza, abilitato ad interpretare il giudicato, anche ai sen
somme di denaro, mentre il giudizio di ottemperanza avanti ai giudici amministrativi rappresenta un succedaneo del processo esecutivo ordi
nario, che la legge mette a disposizione dell'avente diritto alla realizza zione della pretesa esecutiva, ma che resta — secondo la Suprema corte — un processo di cognizione, sia pure con finalità di coazione del l'amministrazione all'adempimento dell'obbligo recato dalla sentenza.
In particolare, con riferimento all'esecuzione delie decisioni della Corte dei conti (nella specie, si trattava di una sentenza di condanna
dell'Inpdap ad una prestazione pensionistica), la sentenza in epigrafe implicitamente esclude che l'art. 10 1. 205/00, il quale ha attribuito alla stessa corte il giudizio di ottemperanza (prima spettante al complesso Tar-Consiglio di Stato: art. 27, n. 4, r.d. 1054/24, t.u. Cons. Stato) alle sentenze da essa pronunciate, abbia affermato l'unicità e l'esclusività,
per la fase cognitoria e per quella esecutiva, della giurisdizione conta bile e pensionistica (come invece si legge in Cons. Stato, sez. IV, 30
giugno 2003, n. 3915, id., Rep. 2003, voce cit., n. 1282; sez. VI 30
gennaio 2002, n. 539, id., Rep. 2002, voce Corte dei conti, n. 64; sez. IV 3 aprile 2001, n. 1949, id., 2001, III, 516). Resta fermo, ovviamente, che, qualora l'avente diritto prescelga la via del giudizio di ottempe ranza, questo vada proposto non più davanti al giudice amministrativo, ma al giudice contabile che ha emesso la sentenza della cui ottempe ranza si discute (oltre alle sentenze appena citate, v. Cons. Stato, sez.
IV, 25 maggio 2005, n. 2668, id., Rep. 2005, voce Giustizia ammini
strativa, n. 1211; 22 settembre 2003, n. 5394, id., Rep. 2004, voce Corte dei conti, n. 60; 25 settembre 2002, n. 4906, id., Rep. 2003, voce
cit., n. 44). A maggior ragione, sembra d'intendere, il potere riconosciuto ad
ogni giudice, chiamato a pronunciarsi su domanda rientrante nella pro pria giurisdizione, di risolvere le questioni d'interpretazione delle sue decisioni (comprese le questioni concernenti l'esistenza del giudicato ed il suo contenuto precettivo) sussiste, con riguardo all'esecuzione delle sentenze dei giudici speciali, a condizione che sia proposto il giu dizio di ottemperanza; ove, invece, si faccia luogo a processo esecutivo avanti al giudice ordinario, sarà questi ad adottare le misure necessarie ad attuare la pretesa creditoria (sul potere interpretativo riconosciuto alla Corte dei conti nei confronti delle proprie decisioni, v. Cass. 13 febbraio 2001, n. 62/SU, id., 2001,1, 2879, con nota di D'Evou).
Sull'utilizzazione del giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di sentenze di condanna emesse nei confronti della pubblica amministra zione in controversie di lavoro pubblico, v., da ultimo, Tar Marche 19 settembre 2003, n. 997, id.. Rep. 2003, voce Giustizia amministrativa, n. 1281, e Lavoro nelle p.a., 2004, 246, con nota di F.M. Macioce, Esecutività delle sentenze del giudice del lavoro e giudizio di ottempe ranza in materia di lavoro pubblico privatizzato: la tutela processuale del dipendente rimane «peculiare».
In dottrina, sull'esecuzione delle sentenze amministrative, v. Travi, L'esecuzione della sentenza, in S. Cassese (a cura di), Trattato di di ritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, 2a ed., Milano, 2003, V, 4605 ss. [G. D'Auria]
Il Foro Italiano — 2006.
si dell'art. 25 r.d. n. 1038 del 1933, dell'art. 78 r.d. n. 1214 del
1934 e dell'art. 10 1. n. 205 del 2005. La cassazione della sen
tenza è domandata da Nunzio Capuzzello con ricorso per un
unico, complesso, motivo; non ha svolto attività di resistenza
l'intimato Inpdap. Considerato in diritto. — 1. - L'unico motivo del ricorso de
nuncia violazione e falsa applicazione degli art. 1, 474 ss., 615,
442, 429 c.p.c., dell'art. 2910 c.c., degli art. 13, 62 e 78 r.d. 12
luglio 1934 n. 1214. Si sostiene che erroneamente la corte di Catania aveva rite
nuto che la mancata determinazione delle somme nella sentenza
della Corte dei conti comportasse l'inesistenza del titolo esecu
tivo e il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; al contra rio, il credito era già stato determinato dal ministero del tesoro
ed era possibile calcolare la rivalutazione e gli interessi alla
stregua dei dati contenuti nel titolo esecutivo; erroneamente,
quindi, era stata declinata la giurisdizione ordinaria.
2. - La corte ritiene il ricorso inammissibile nella parte in cui
impugna la sentenza per motivi inerenti alla giurisdizione. 3. - Va premesso che il giudizio amministrativo —
già previ sto dall'art. 27, n. 4, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, e poi dall'art.
37 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 — preordinato ad ottenere
l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di con
formarsi al giudicato, ha natura, sotto il profilo della struttura
formale, di giudizio di cognizione, ancorché possa presentare la
sostanza della mera esecuzione in relazione ai contenuti concreti
del giudicato al quale l'amministrazione deve ottemperare. Tale natura discende dal presupporre il giudizio di ottempe
ranza, talvolta margini di discrezionalità amministrativa, sempre la possibilità di scegliere i modi concreti di esecuzione, cosic
ché l'intervento del giudice amministrativo è diretto ad imporre alla pubblica amministrazione di eseguire quanto comandato dal
giudicato, sostanzialmente costringendola ad eseguire sponta neamente l'obbligo, cioè dall'interno e non ab externo (v. Cass.,
sez. un., 1593/94, Foro it., Rep. 1994, voce Giurisdizione civile, n. 116; 7632/93, id., Rep. 1993, voce Impiegato dello Stato, n.
844). 4. - Questo modello si presenta identico nelle ipotesi in cui il
legislatore ha previsto la competenza di altri giudici speciali per
l'ottemperanza alle decisioni da essi emanate (art. 70 d.leg. 31
dicembre 1992 n. 546, per il giudice tributario; art. 10 1. 21 lu
glio 2000 n. 205, per la Corte dei conti). Indiscutibile, poi, è la natura cognitoria dello speciale giudi
zio previsto dall'art. 78 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, che attribui
sce alla Corte dei conti la competenza a giudicare sulle questio ni d'interpretazione delle sue decisioni (su cui v. Cass., sez. un.,
62/SU/01, id., 2001,1, 2879). 5. - La natura di giudizi di cognizione comporta la configura
bilità in essi di questioni di giurisdizione, le quante volte si de nunci che il giudice speciale abbia superato i limiti esterni delle
sue attribuzioni, decidendo su materie di competenza del giudi ce ordinario, di altri giudici speciali, ovvero incorrendo nel vi
zio di eccesso di potere giurisdizionale, o declinando l'esercizio
dei poteri dei quali è titolare (v. Cass., sez. un., 4970/92, id.,
Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa, n. 903; 17633/03, id.,
Rep. 2003, voce cit., n. 1307). 6. - Radicalmente diversa è la natura del processo di esecu
zione disciplinato dal libro terzo del codice di procedura civile.
Il presupposto indefettibile per la sua instaurazione è l'esi
stenza di un «titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esi
gibile» (art. 474). Ne discende che non vengono in considera
zione situazioni di obbligo, siccome alla sentenza di condanna
(e titoli equiparati), consegue una situazione di soggezione al
l'esecuzione forzata, che vede il giudice chiamato esclusiva
mente ad accertare l'esistenza e il contenuto del titolo ed a con
trollare e dirigere il procedimento diretto alla soddisfazione
delle ragioni del creditore.
7. - L'assenza di profili cognitori comporta, in punto di giu risdizione, che nel giudizio di esecuzione civile non possa, «in
radice» porsi un problema di appartenenza della lite alla com
petenza del giudice ordinario, siccome non esiste altro giudice
competente sulla materia (Cass., sez. un., 4912/06). La giurisprudenza delle sezioni unite della corte, infatti, è as
solutamente univoca nell'enunciare il principio, secondo il
quale, la domanda di esecuzione di una sentenza di condanna
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della pubblica amministrazione, ancorché pronunciata da un
giudice speciale, al pari di quella proposta nei confronti di qual siasi altro debitore, introduce sempre una controversia di diritto
soggettivo, la cui tutela, in fase esecutiva ed al fine della deci
sione sulle opposizioni ivi proposte, non può che competere al
giudice ordinario, senza che rilevi la possibilità della proposi zione del giudizio di ottemperanza davanti al giudice ammini
strativo, trattandosi di rimedio complementare, che si aggiunge al procedimento di esecuzione previsto dal codice di rito, spet tando poi alla libera scelta del creditore l'utilizzazione dell'uno
o dell'altro (Cass., sez. un., 1593/94, cit.; 3680/94, id., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 776; 4661/94, ibid., n.
775). 8. - Donde il corollario che tutte le questioni concernenti il
problema se esista o meno un titolo esecutivo, o se il credito sia
o meno liquido ed esigibile, può riguardare soltanto la legitti mità dell'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., ma non la giu risdizione, la quale è attribuita sempre al giudice ordinario nel
l'esecuzione forzata per crediti di somme di denaro, qualunque sia l'origine di questi e senza che a siffatto principio si sottragga la pubblica amministrazione debitrice (Cass., sez. un., 7631/93, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 845; 12060/93, ibid., voce Giurisdi zione civile, n. 113).
9. - Pertanto, la controversia non è devoluta a giudici diversi
da quello ordinario, versandosi sempre nell'area del controllo
dei limiti interni del potere giurisdizionale, anche nell'evenien za che il giudice dell'esecuzione, interpretando erroneamente il
titolo esecutivo, attribuisca beni della vita che solo un giudice
speciale avrebbe potuto riconoscere, non differenziandosi, in tal
caso, l'errore da quello che potrebbe essere commesso nell'in
terpretare una sentenza dello stesso giudice ordinario.
Orbene, dal complesso della motivazione della sentenza, ma
anche dallo stesso contenuto delle censure del ricorrente, al di là
dell'erroneo, formale, riferimento alla giurisdizione, emerge con
certezza che l'effettivo decisum è consistito nel negare la natura
di titolo esecutivo della decisione della Corte dei conti, doven
dosi leggere in questa prospettiva le affermazioni concernenti la
competenza del giudice speciale, siccome abilitato alla determi
nazione di ulteriori contenuti della decisione, determinazione
preclusa al giudice dell'esecuzione civile.
10. - In base alle considerazioni svolte, dovendosi ritenere
che l'appello è stato accolto per difetto di fondamento di merito
della domanda di esecuzione e non, al di là della formula adope
rata, mediante pronuncia di declinatoria della giurisdizione or
dinaria, dichiarate inammissibili le censure attinenti alla giuris dizione, a norma dell'art. 142 disp. att. c.p.c., la causa è rimessa
al primo presidente per l'assegnazione a sezione semplice del
l'esame delle altre censure e per l'adozione dei provvedimenti
consequenziali all'esito complessivo del giudizio di cassazione.
Il Foro Italiano — 2006.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 29 marzo 2006, n. 7316; Pres. Saccucci, Est. Botta, P.M. Nardi
(conci, conf.); Comune di Fisciano (Avv. Manzione, Amato) c. Santuario Beata Maria Vergine di Valle di Pompei (Avv.
Palma). Dichiara inammissibile ricorso avverso Comm. trib.
reg. Campania 25 marzo 2002.
Impugnazioni civili in genere — Impugnazione tardiva del contumace — Mancata prova del difetto di conoscenza del
processo — Decadenza dall'impugnazione (Cod. proc. civ., art. 327).
E inammissibile l'impugnazione tardiva del contumace se egli non prova che la nullità degli atti di cui al 2° comma dell'art.
327 c.p.c. gli ha impedito la conoscenza fattuale del processo
(nella specie, l'atto di appello era stato notificato alla parte
personalmente anziché al difensore costituito in primo gra
do). (\)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 12 maggio 2005, n. 9938; Pres. Carbone, Est. Lupo, P.M. Ian
nelli (conci, conf.); Università degli studi di Palermo (Avv. dello Stato De Felice) c. Soc. The. Conferma App. Roma 27
marzo 2000.
Ingiunzione (procedimento per) — Decreto — Opposizione
tardiva — Irregolarità della notificazione — Conoscenza
non tempestiva — Prova (Cod. proc. civ., art. 650).
Nell'ipotesi di nullità della notifica del decreto ingiuntivo, ef
fettuata presso l'amministrazione dello Stato e non presso l'avvocatura domiciliataria ex lege, l'opposizione tardiva è
ammissibile solo se l'opponente provi che, a causa della nul
lità della notifica, non ha avuto tempestiva conoscenza del
decreto stesso. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 di
cembre 2004, n. 23229; Pres. Mattone, Est. La Terza, P.M.
Abbritti (conci, conf.); Catelli (Avv. De Notariis) c. Inps
(1-2) La prima pronuncia affronta e risolve il problema della prova della conoscenza del processo, al fine della proposizione dell'impugna zione tardiva del contumace.
Conforme, con riferimento all'opposizione tardiva al decreto ingiun tivo, Cass., sez. un., 12 maggio 2005, n. 9938, in epigrafe, nonché Cass. 12 luglio 2000, n. 9255, Foro it., 2001,1, 1231. In tema, v. Capo
ni, In tema di impugnazione da parte del contumace involontario (art. 327, 2° comma, c.p.c.), id., 2000, I, 2869 (in nota a Cass. 22 dicembre 1999, n. 925/SU).
La sent. 9938/05 compone un contrasto giurisprudenziale (sul quale, v. la nota di richiami in calce a Cass. 10 gennaio 1996. n. 147, id., 1996. I, 1286), rispondendo negativamente al quesito se la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo, consistente nel fatto che essa è stata eseguita direttamente all'amministrazione, anziché presso l'uffi cio dell'avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudi ziaria innanzi alla quale è introdotta la causa (come prevede l'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, così come sostituito dall'art. 1 1. 25 marzo 1958 n. 260)
implichi di per sé una conoscenza non tempestiva del decreto ingiunti vo e quindi legittimi l'opposizione tardiva prevista dall'art. 650 c.p.c., senza bisogno di altra prova da parte dell'opponente.
In motivazione la corte trova l'opportunità di precisare che il princi
pio di diritto così espresso è ispirato ad una logica non dissimile da
quella degli art. 294, 1° comma, e 327, 2° comma, c.p.c. e comporta che la prova della non tempestiva conoscenza — che può essere fornita
a mezzo di presunzioni ed in particolare, trattandosi di fatto negativo, attraverso la dimostrazione del fatto positivo costituito dal modo e dal
quando la conoscenza sia avvenuta — non si può esaurire nella sola
dimostrazione della nullità della notificazione del decreto (si approva così l'orientamento espresso da Cass. 28 dicembre 1995. n. 13132, id.,
Rep. 1995, voce Ingiunzione (procedimento), n. 90.
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