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sezioni unite civili; sentenza 5 settembre 1986, n. 5426; Pres. Tamburrino, Est. Tilocca, P.M. Sgroi...

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sezioni unite civili; sentenza 5 settembre 1986, n. 5426; Pres. Tamburrino, Est. Tilocca, P.M. Sgroi V. (concl. conf.); Nussbächer (Avv. Citarella) c. Roth (Avv. Capriolo) e Sindaco di Roma. Conferma App. Roma 21 novembre 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3101/3102-3107/3108 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179129 . Accessed: 24/06/2014 22:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.106 on Tue, 24 Jun 2014 22:51:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 5 settembre 1986, n. 5426; Pres. Tamburrino, Est. Tilocca, P.M.Sgroi V. (concl. conf.); Nussbächer (Avv. Citarella) c. Roth (Avv. Capriolo) e Sindaco di Roma.Conferma App. Roma 21 novembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3101/3102-3107/3108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179129 .

Accessed: 24/06/2014 22:51

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rata di premio, di cui ai commi 5° e 6° dell'art. 28: vale a dire

la c.d. «scelta di regole di natura esclusivamente tecnica» posta a fondamento della difesa dell'I.n.a.i.l., controricorrente; la qua le scelta, ripetesi, in base alla stessa giurisprudenza invocata, at

tiene alla determinazione dell'ammontare del premio assicurativo e giammai alla determinazione dell'importo delle retribuzioni, che

si «presumono» (rectius si prevedono) saranno corrisposte. La

determinazione «presuntiva» di queste ultime, infatti, comporte rebbe una lievitazione contributiva, sia pure provvisoria — con

annesse penali — fondata su di un inesistente presupposto contri

butivo e come tale arbitraria — con annesse penali — e da ciò

la profilata illeggittimità costituzionale della procedura liquidati va sostenuta dall'I.n.a.i.l., procedura che non trova fondamento

nella legge, e quindi nessun profilo di incostituzionalità di que

sta, la quale all'art. 41 d.p.r. 1965 n. 1124 esclude qualsiasi arbi

trio da parte dell'I.n.a.i.l., disponendo che: «il premio di

assicurazione è dovuto dal datore di lavoro in base al tasso di

premio previsto dalla tariffa di cui al precedente articolo ed ap

plicato all'istituto nella misura, con le modalità e secondo le con

dizioni della tariffa stessa, sull'ammontare complessivo delle

retribuzioni effettivamente corrisposte o convenzionali, o, comun

que, da assumersi, si sensi di legge, per tutta la durata dei lavori, ai prestatori d'opera compresi nell'obbligo dell'assicurazione».

Si che all'I.n.a.i.l. incombe, ove dubiti delle comunicazioni ri

cevute dai datori di lavoro, e anche di ufficio nel silenzio di que

sti, accertare il numero dei «prestatori d'opera compresi

nell'obbligo dell'assicurazione e su questo indefettibile dato obiet

tivo applicare il premio assicurativo, con le modalità e secondo

le tariffe di cui all'art. 40 cit. d.p.r., sull'ammontare complessivo delle retribuzioni «dovute», anche ex lege al di là di quelle patti zie per tutta la durata dei lavori. Ed è qui che si esplica peculiar mente il «potere» liquidativo dell'I.n.a.i.l.

Tale potere di liquidazione si esplica, cioè, sul quantum del

suddetto ammontare e non già sull'aw del suddetto ammontare

fuori delle prescritte tassative ipotesi innanzi elencate; e le conse

guenti penali applicate sull'an, fuori delle dette ipotesi, sono del

tutto arbitrarie come la liquidazione stessa del premio o su un

presupposto contributivo non «determinato» secondo le regole

giuridiche dettate dal cit. art. 28, innanzi trascritto ed esaminato:

cfr. Cass. 25 luglio 1982, n. 3252 (id., 1983, I, 14, cit. dallo stesso I.n.a.i.l.), secondo cui: «in tema di assicurazione obbliga toria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali — poiché un accertamento diretto sull'ammontare dei premi do

vuti può avvenire unicamente sulla scorta delle registrazioni che

devono essere tenute a cura del datore di lavoro e, in particolare, del libro paga e del libro matricola, i quali vanno messi a disposi zione dell'I.n.a.i.l. a ogni sua richiesta, con gli altri libri contabili

e con tutti gli altri documenti necessari per un adeguato controllo

delle registrazioni anzidette — ove l'istituto, a fronte della man

cata comunicazione, da parte del datore di lavoro delle mercedi

erogate nel periodo cui attiene il premio assicurativo, ritenga di

procedere alla liqidazione dello stesso in base al doppio delle re

tribuzioni calcolate in via presuntiva (art. 28, 6° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124), con conseguente utilizzazione degli ele

menti indiretti idonei a ricostruire con sufficiente approssimazio ne l'ammontare complessivo delle mercedi erogate, il datore di

lavoro ha la facoltà di contrastare l'esattezza di siffatto computo

presuntivo proprio mediante l'esibizione dei libri e degli altri do

cumenti che la legge gli fa obbligo di tenere a prova dell'entità

del suo debito verso l'istituto medesimo».

Va puntualizzato, riguardo a tale arresto giurisdizionale, per

completezza di indagine, essendo estranea la seconda parte di es

so alla fattispecie in esame, che il «presunto» fra l'ammontare

del premio precedentemente liquidato e quello successivo al pe

riodo di lavori non comunicato, non può superare il doppio del

premio già liquidato in base alle retribuzioni precedentemente co

municate e non variate — sponte aut ex officio — ma può il

premio precedentemente liquidato essere legittimamente, in tale

fase provvisoria di liquidazione, essere liquidato, come si esprime

la legge, «in base al doppio della retribuzione presunta stabilita

per il periodo stesso», cioè, ex lege, sic et simpliciter, raddoppia

to, con le conseguenze in ordine alla «penale». Ciò perché quel

presunto attiene alla misura del premio entro i suddetti limiti pre

fissati e, pertanto, quella misura rientra nella libera determina

zione dell'ente assicuratore, si che l'eventuale infondatezza, in

sede di verifica finale, della «presunzione» sulla quale era stata

operata la maggiorazione od il raddoppio, tout court, della misu

II Foro Italiano — 1987.

ra del precedente premio, non invalida la relativa penale, che tro

va, invece, il suo fondamento non già nella «presunzione», risul

tata errata, bensì' nell'omessa comunicazione, per cui, come nelle

citate sentenze, se l'esatto ammontare del premio può sempre es

sere «verificato», essendo esso fondato su elementi di computo obiettivi, la «sanzione» («penale» definita dalla legge) rimane le

gittimamente applicata, perché comminata dalla legge per omessa

partecipazione, che è momento rilevante, in ragione dell'obietti

vità degli elementi di computo, del datore di lavoro, al procedi mento liquidativo; partecipazione disciplinata dalla legge non già ai fini della validità od efficacia, sia pure provvisoria di questo, bensì' al fine dell'esatta e spedita determinazione del premio nella

intera durata dei lavori; determinazione che rimane assicurata, esatta e spedita appunto, unicamente dal diligente assolvimento

del dovere privato e pubblico, correlato alla rispettiva situazione

giuridica dei due soggetti del rapporto assicurativo «per la finali

tà di preminente interesse generale in materia infortunistica» (cit. sent. 1983 n. 4589 di questa corte).

Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio

della causa ad altro giudice per il riesame secondo i principi in

nanzi enunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 set

tembre 1986, n. 5426; Pres. Tamburrino, Est. Tilocca, P.M.

Sgroi V. (conci, conf.); Nussbàcher (Avv. Citarella) c. Roth

(Avv. Capriolo) e Sindaco di Roma. Conferma App. Roma

21 novembre 1983.

Matrimonio — Divorzio — Sentenza straniera — Efficacia in Italia — Condizioni — Convenzione sui rifugiati politici (Disp. sulla

legge in generale, art. 17; 1. 7 settembre 1905 n. 523, ratifica

ed esecuzione della convenzione dell'Aja del 12 giugno 1902,

per regolare i conflitti di legge e di giurisdizione in materia

di divorzio e di separazione personale: convenzione, art. 5; 1.

24 luglio 1954 n. 722, ratifica ed esecuzione della convenzione

di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo statuto dei rifugiati:

convenzione, art. 12).

Lo stato civile dei rifugiati domiciliati o residenti in Italia è sog

getto, alla stregua dell'art. 12 della convenzione di Ginevra 28

luglio 1951 sui rifugiati politici, resa esecutiva in Italia con la

I. 24 luglio 1954 n. 722, alla legge italiana e non può essere

modificato da provvedimento straniero non delibato in Italia;

pertanto, la sentenza di divorzio fra cittadini rumeni rifugiati in Italia, pronunciata da tribunale rumeno, non è efficace au

tomaticamente, senza necessità di delibazione da parte del giu dice italiano, neppure al solo effetto di documentare lo stato

libero delle parti. (1)

(1) Nella specie, si trattava di cittadini rumeni già uniti in matrimonio in Romania, i quali avevano ottenuto la qualità di rifugiati politici in

Italia, residenti e domiciliati nel nostro Stato: è stata negata l'efficacia automatica in Italia, se non delibata, della sentenza di divorzio, ottenuta da uno dei coniugi nella Repubblica dominicana, e già delibata dal giudi ce rumeno.

Per la ricostruzione complessiva della vicenda giudiziaria de qua, v. la sentenza di secondo grado, App. Roma 21 novembre 1983, Foro it.,

Rep. 1985, voce Giurisdizione civile, n. 29 (e in Temi romana, 1985,

93); e la pronuncia di primo grado, Trib. Roma 6 novembre 1980, Foro

it., Rep. 1982, voce Rifugiati, n. 1, e in Riv. dir. internaz., 1982, 97, con nota critica di Strozzi, in tema di «status» matrimoniale di rifugiati

politici in Italia, ibid., 14 ss.

Sull'applicabilità della legge italiana sia sostanziale che processuale, in

forza del criterio di collegamento del domicilio (o della residenza), fissato

dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, a stranieri con status

di rifugiati, residenti in Italia, v. Trib. Roma 9 agosto 1978, Foro it.,

Rep. 1979, voce cit., n. 2 (e in Temi romana, 1978, 122); e, sempre sul

criterio di collegamento, App. Napoli 23 febbraio 1966, Foro it., Rep.

1966, voce Estradizione, n. 14 (e in Temi nap., 1966, II, 63). Nell'articolata motivazione della sentenza in epigrafe, si fa riferimento

alla posizione già assunta da Cass. 15 luglio 1974, n. 2126, Foro it.,

1974, I, 2617, con nota di Florino, e 14 marzo 1968, n. 823, id., Rep. 1968, voce Matrimonio, nn. 41, 66, e in dottrina da Gaja, Sentenza stra

niera non delibata e diritto internazionale privato, in Riv. dir. internaz.,

1964, 409, secondo la quale le sentenze straniere sarebbero produttive

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3103 PARTE PRIMA 3104

Svolgimento del processo. — Roth Marta e Nussbàcher Guido, entrambi cittadini rumeni, si unirono in matrimonio, il 6 aprile

1964, presso l'ufficio dello stato civile di Cluj-Napoca (Roma

nia). Successivamente si trasferirono in Italia fissando la loro re

sidenza a Roma ed ottenendo la qualifica di rifugiati politici ai

sensi della convenzione di Ginevra del 21 luglio 1951, resa esecu

tiva in Italia con 1. 24 luglio 1954 n. 722.

Premettendo di aver constatato, in occasione della richiesta di

un certificato anagrafico, di risultare, contrariamente al vero, di

vorziata, la Roth, con citazione notificata il 29 novembre e il

1° dicembre 1978, conveniva in giudizio il marito (limitando l'e

sposizione alla parte che interessa la presente fase) davanti al Tri

bunale di Roma perché venisse accertato e dichiarato di essere

tuttora la moglie del convenuto.

Si costituiva il Nussbàcher deducendo che egli aveva ottenuto

il divorzio con sentenza pronunciata nella Repubblica dominica

na e regolarmente delibata dal Tribunale romeno di Cluj (luogo di celebrazione del matrimonio).

Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 3 ottobre - 6 no

vembre 1980, rigettava la domanda attrice sul rilievo dell'applica bilità nella specie della legge nazionale rumena, avendo il

Nussbàcher richiesto la protezione del suo paese con il rivolgersi ad un tribunale del medesimo e con la conseguente cessazione

degli effetti dello status di rifugiato ai sensi della predetta con

venzione.

Proponeva appello la Roth con atto notificato il 5 gennaio 1981

e la Corte d'appello di Roma, nella resistenza del Nussbàcher, con sentenza 24 giugno - 21 novembre 1983, dichiarava (limitata mente alle parti che rilevano ai fini della presente fase) Roth Marta

«tuttora moglie legittima di Guido Nussbàcher» compensando le

spese di entrambi i gradi. Osservava la corte che per la seconda convenzione dell'Aja (art.

5) la domanda di divorzio può essere proposta o davanti la giuris dizione competente secondo la legge dei coniugi o davanti alla

giurisdizione competente del luogo del domicilio dei coniugi. Per

i rifugiati lo statuto personale, in base all'art. 12 della convenzio

di norme giuridiche «concrete», come tali oggetto di richiamo da parte delle norme di diritto internazionale privato (v. anche Lanzillo, Sull'ef ficacia in Italia delle sentenze straniere di divorzio non delibate ai fini dell'accertamento dello stato libero dello straniero, in Riv. dir. internaz.

privato e proc., 1973, 396; Luzzatto, Stati giuridici e diritti assoluti nel diritto internazionale privato, Giuffré, Milano, 1965, spec. 149).

La Cassazione, nel riconfermare tale indirizzo, ne rileva la diversità dalla fattispecie, atteso che i coniugi rumeni, ottenuta la qualità di rifu

giati politici, all'epoca della pronuncia della sentenza di divorzio, e tutto ra sono domiciliati (e residenti) in Italia, talché, ai sensi della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, sono sottratti alla legge nazionale e soggetti alla legge italiana.

La sentenza straniera di divorzio, senza essere stata delibata in Italia, non può operare neanche al fine di documentare lo stato libero delle

parti, per non essere alcun ordinamento straniero, fuorché quello italia no, competente a modificare il rapporto matrimoniale tra i due coniugi.

La corte aderisce inoltre all'indirizzo dottrinale, secondo il quale lo statut personnel di cui all'art. 12 della convenzione cit., fa riferimento al criterio di collegamento personale, eppertanto non alle sole situazioni

soggettive di «stato» di cui all'art. 17 disp. prel. c.c., non lasciando in tal modo fuori i rapporti di famiglia (matrimonio, rapporti personali tra

coniugi, ecc.). È la tesi di Monaco, L'efficacia della legge nello spazio, Utet, Torino, 1952, 47 e Morelli, Elementi di diritto internazionale pri vato italiano, Jovene, Napoli, 1962, 51-52.

Infine, la Cassazione richiama, in ogni caso, l'indirizzo dottrinale, se condo il quale, all'estensione della nozione di statut personnel si perviene utilizzando i lavori preparatori della convenzione e richiamando le finali tà della stessa (è quanto sostenuto da Cassese, Per la determinazione dello «statuto personale» del rifugiato e dell'apolide, in Riv. dir. inter nai., 1964, 50).

Sui rifugiati politici, v. Grahl-Madsen, The Status of Refugees in In ternational Law, Leiden, 1966-1972; Weis, Lega! Aspects of the Conven tion of 28 July 1951 relating to the Status of Refugees, in British Yearbook

of International Law, 1953, 478 ss.; Strozzi, Rifugiati e asilo territoria le, in Codice degli atti internazionali sui diritti dell'uomo, a cura di Vitta e Grementieri, Giuffré, Milano, 1981, 351 ss.; Udina, La protezione internazionale dei rifugiati politici e degli apolidi, in Comunità internaz., 1970, 524; e più in generale, sulle questioni trattate, v. Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Cedam, Padova, 1954, 241; Vitta, Di ritto internazionale privato, Utet, Torino, 1972, I, 272; Condorelli, La

funzione del riconoscimento di sentenze straniere, Giuffré, Milano, 1967, 171, in nota; Ziccardi, Considerazioni sul valore delle sentenze straniere, in Riv. dir. internaz., 1954, 487; Biscottini, I procedimenti stranieri di volontaria giurisdizione e la loro efficacia in Italia, in Jus, 1958, 244.

Il Foro Italiano — 1987.

ne di Ginevra del 1951, è regolato dalla legge del paese del loro

domicilio o della loro residenza. Nella specie le parti avevano

10 status di rifugiati e il domicilio in Italia. Dal combinato dispo sto dell'art. 5 della convenzione dell'Aja e dell'art. 12 della con

venzione di Ginevra consegue che solo il giudice italiano aveva

la giurisdizione a pronunciare il divorzio o a delibarlo, con la

conseguenza che non possono avere efficacia in Italia modifiche

allo status pronunciate o comunque valide nel paese di origine, successivamente all'acquisizione della qualità di rifugiato. Am

messo che il Nussbàcher abbia perso lo stato di rifugiato essendo

si rivolto al suo paese di origine per la delibazione della sentenza

di divorzio, ciò è irrilevante, una volta che certamente lo ha con

servato la Roth, la quale non poteva essere convenuta, sia per la pronuncia di divorzio sia per la sua delibazione, che davanti

11 giudice italiano, donde sono prive di effetti in Italia le sentenze

invocate dal Nussbàcher.

Contro la sentenza propone ricorso per cassazione il Nussbà

cher sulla base di tre motivi. Resiste, con controricorso, la Roth

Marta. Le parti insistono nella loro tesi con memorie illustrative.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente

deduce vizi di motivazione nonché errata e falsa interpretazione dell'art. 17 preleggi, dell'art. 12 della convenzione di Ginevra 28

luglio 1951 e dell'art. 5 della seconda convenzione dell'Aja (12

giugno 1902) censurando la sentenza impugnata per aver confuso

la determinazione del diritto applicabile con il problema della com

petenza giurisdizionale ed inoltre fra competenza giurisdizionale del giudice italiano ed il requisito della competenza giurisdiziona le del giudice straniero, ai fini della validità ed efficacia in Italia

degli atti formati davanti a tale giudice. Con il secondo motivo il Nussbàcher denuncia l'errata e falsa

applicazione dell'art. 12 della convenzione di Ginevra sullo statu

to dei rifugiati in relazione all'art. 17 preleggi per non aver la

Corte d'appello di Roma tenuto presente che il citato art. 12 del

la convenzione di Ginevra modifica l'art. 17 preleggi solo per

quanto riguarda lo status personale del rifugiato e non anche in

ordine alla disciplina della capacità e dei rapporti familiari, rego lati dalle leggi nazionali dei rifugiati.

Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta l'errata e

falsa applicazione dell'art. 12 della convenzione di Ginevra e del

l'art. 17 preleggi in relazione all'efficacia in Italia di atti di stato

civile stranieri e alle sentenze pronunciate nel paese di origine del rifugiato, attinenti a questioni di status familiae, criticando

la sentenza per non aver considerato che la sentenza rumena di

delibazione del divorzio è di per sé efficace in quanto il predetto art. 12 della convenzione non deroga a tale principio quando la

sentenza è invocata al solo effetto del riconoscimento dello stato

libero delle parti. (Omissis) Con le tre doglianze dedotte, che vanno esaminate congiunta

mente, il Nussbàcher sostiene sostanzialmente che la sentenza di

divorzio, pronunciata nella Repubblica dominicana e delibata dal

Tribunale rumeno di Cluj (luogo della celebrazione del matrimo

nio), sia di per sé, automaticamente e senza necessità di alcuna

delibazione da parte del giudice italiano, efficace nel nostro ordi

namento almeno al solo effetto del riconoscimento dello stato

libero delle parti. Il ricorso va respinto. La tesi del Nussbàcher muove da un

presupposto erroneo e cioè che egli e la Ruth, in quanto cittadini

rumeni, siano, nonostante la loro riconosciuta qualifica di rifu

giati in Italia, soggetti alla legge di origine ai sensi dell'art. 17, 1° comma, disp. prel. c.c. In effetti questa corte (sent. 14 marzo

1968, n. 823, Foro it., Rep. 1968, voce Matrimonio, nn. 41, 46) ha avuto occasione di affermare — e l'affermazione è condivisa

dalla quasi totalità della dottrina internazionalprivatistica — che non necessita, ai fini del giudizio sulla libertà di stato del cittadi

no straniero, la delibazione della sentenza di divorzio, pronuncia ta all'estero, quando il matrimonio sia stato celebrato in un altro

paese, giacché in tale ipotesi la sentenza straniera di divorzio rile

va, non come atto di imperium diretto a produrre effetti in Ita

lia, ma come documentazione di un effetto già realizzato

nell'ordinamento straniero (Cass., sez. un., 15 luglio 1974, n. 2126, id., 1974, I, 2617) e viene perciò assimilata ad ogni altra fattispe cie cui la legge straniera riconnette la nascita, la modificazione o l'estinzione degli stati personali. E si deve inoltre riconoscere che tale orientamento si pone come svolgimento di un principio ritenuto diffusamente fondamentale e cioè che le norme di diritto

internazionale privato non fanno riferimento alla disciplina nor mativa astratta prevista dalla legge straniera richiamata per la

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

situazione di fatto considerata, ma mirano a far recepire nell'or

dinamento interno, senza la mediazione di un apposito exequa

tur, le stesse concrete situazioni giuridiche prodottesi nell'ordinamento di origine per effetto di atti giurisdizionali o

di atti di amministrazione pubblica del diritto privato (Cass., sez.

un. cit.). Ma il riferito indirizzo non è pertinente alla fattispecie in esame, poiché le parti, pur se straniere e pure se abbiano con

tratto matrimonio all'estero, hanno ottenuto, prima della senten

za dominicana di divorzio (e perciò, ovviamente, anche prima della delibazione romena della medesima), il riconoscimento della

qualifica di rifugiati politici ai sensi della convenzione di Ginevra

del 28 luglio 1951, resa esecutiva in Italia con la 1. 24 luglio 1954

n. 722, il cui art. 12 dispone, nel 1° comma, che «le statut per sonnel de tout réfugié sera règi par la loi du pays de son domicile

ou, à défaut de domicile, par la loi du pays de sa résidence»:

e, nel 2° (ed ultimo) comma, che «les droits, précédemment ac

quis par le réfugié et découlant du statut personnel et notamment

ceux qui résultent du mariage, seront respectés par tout Etat Con

tractant, sous réserve, le cas échéant de l'accomplissement des

formalités prévues par la législation dudit Etat, étant entendu,

toutefois, que le droit en cause doit ètre de ceux qui auraient

été reconnus par la législation dudit Etat si l'intéressé n'était de

venu un réfugié». In base a tale norma convenzionale (divenuta già norma del

nostro ordinamento) ed in particolare al 1° comma, poiché il Nus

sbàcher e la Roth erano, all'epoca della pronuncia del divorzio,

(e sono tuttora) domiciliati (ed anche residenti) in Italia, essi era

no (e sono) soggetti alla nostra legge, onde il loro rapporto ma

trimoniale non poteva (e non può) essere sciolto e neppure subire

modifiche per effetto di un atto giurisdizionale straniero, se que sto non viene recepito nel nostro ordinamento mediante il giudi zio di delibazione. Nel nostro ordinamento il Nussbàcher e la

Roth risultano, ai sensi del 2° comma dell'art. 12 della conven

zione (il quale impone allo Stato del domicilio di riconoscere, senza la necessità di adempimenti formali, le situazioni soggettive del rifugiato precedentemente acquisite ed in particolare quelle derivanti dal matrimonio), marito e moglie e pertanto la sentenza

domenicana di divorzio può produrre effetti in Italia solo se ivi

delibata. Il provvedimento di delibazione, pronunciato in Roma

nia, è irrilevante per il nostro ordinamento (e per tutti gli Stati

che hanno ratificato la convenzione), giacché entrambe le parti sono state, dall'art. 12 della convenzione, all'atto in cui esse han

no conseguito il riconoscimento della qualifica di rifugiati ed hanno

fissato il loro domicilio in Italia, sottratte alla legge nazionale

e sottoposte a quella italiana.

La sentenza domenicana di divorzio, neppure tramite Vexequa tur romeno, può operare automaticamente in Italia sia pure ai

soli fini di documentare Io stato libero delle parti, poiché, come

sopra si è precisato, ciò è possibile soltanto quando tale stato

si è già prodotto legittimamente in un ordinamento straniero, ma

nella specie nessun ordinamento straniero — in particolare né

quello domenicano né quello romeno — è competente a modifi

care il rapporto matrimoniale del Nussbàcher e della Roth, essen

do competente soltanto quello italiano, per cui la sentenza straniera

di divorzio può essere in Italia (e nei paesi che hanno ratificato

la convenzione) invocata, per uno qualsiasi dei possibili fini, solo

se riconosciuta dalla nostra giurisdizione. L'indirizzo sopra ri

chiamato, secondo il quale si esclude la necessità della delibazio

ne delle sentenze straniere di divorzio ai fini del giudizio sulla

libertà del cittadino straniero, trova il suo fondamento, come si

è detto, nel principio, accolto da questa corte e dalla quasi unani

me dottrina, che le norme di diritto internazionale privato non

fanno riferimento alla disciplina normativa astratta prevista dalla

legge straniera richiamata per la situazione di fatto considerata,

ma mirano a far recepire nell'ordinamento interno, senza la me

diazione di un apposito exequatur, le stesse concrete situazioni

prodottesi nell'ordinamento richiamato dalla norma di diritto in

ternazionale privato, per effetto di atti giurisdizionali o di atti

di amministrazione pubblica di diritto privato. Nella specie, es

sendo le parti, seppure straniere, soggette alla legge italiana, non

vi può essere un rinvio da questa ad una legge straniera, e, quin

di, una ricezione automatica dell'effetto dello scioglimento del

matrimonio, pronunciato e delibato all'estero, neppure per la pre

detta limitata finalità documentati va.

In conclusione per i rifugiati domiciliati (o residenti in Italia)

vale lo stesso principio operante per il cittadino italiano e cioè

che il suo stato è sempre soggetto alla legge italiana e non può

Il Foro Italiano — 1987.

essere modificato da un provvedimento straniero ove questo non

sia delibato in Italia.

Il ricorrente sostiene che l'art. 12 della convenzione fa riferi

mento esclusivo a quelle situazioni soggettive per le quali l'art.

17 preleggi usa il termine di «stato» e non pure a quelle situazio

ni che lo stesso art. 17 include nella nozione di «capacità delle

persone» ed in quella dei «rapporti di famiglia», per le quali sa

rebbe rimasto fermo il rinvio, con riguardo anche ai rifugiati, alla legge nazionale da parte del diritto internazionale privato.

L'affermazione non può essere condivisa. La prevalente dottri

na italiana e straniera è dell'avviso che la convenzione non deter

mina i rapporti compresi nella nozione statut personnel, ma rinvia,

per tale determinazione, all'ordinamento di ciascuno Stato firma

tario, nel senso che ogni Stato è tenuto a considerare compresi tra i rapporti designati dall'espressione in parola tutti i rapporti

per i quali le norme di diritto internazionale privato del suo ordi

namento utilizzano, nel regolarli, un criterio di collegamento per sonale. Tali norme — si precisa — sono derogate dall'art. 12

(in quanto questo assunto nell'ordinamento del singolo Stato fir

matario), nel senso che al criterio della cittadinanza si sostituisce

quello del domicilio e, in mancanza del domicilio, il criterio della

residenza. In base a tale indirizzo non vi è materia giuridica per la quale l'ordinamento dello Stato firmatario possa rinviare, per i rifugiati, alla loro legge nazionale; statut personnel sta ad indi

care la sfera dei rapporti giuridici in ordine ai quali è previsto il criterio di collegamento personale nei singoli ordinamenti di

diritto internazionale privato. All'indirizzo riferito la corte ritiene di dover prestare la pro

pria adesione.

L'art. 12 della convenzione ha imposto agli Stati firmatari l'a

dozione dei criteri di collegamento del domicilio (e della residen

za in via successiva) per sottrarre i rifugiati alle leggi di uno Stato

che essi hanno ripudiato od abbandonato o nel quale non posso no o non intendono ritornare per timore di essere perseguitati

per motivi di razza, di religione, nazionalità, opinioni politiche, 0 appartenenza ad un certo gruppo sociale (art. 11, n. 2, della

convenzione). Non si vede, perciò, come possa sostenersi che la convenzione

abbia lasciato fuori dalla propria previsione, consentendo agli Stati

firmatari di poter continuare ad utilizzare al riguardo il criterio

del collegamento della cittadinanza, la maggior parte delle situa

zioni soggettive — cioè quelle non rientranti nella nozione di sta

tus delle persone nel senso dell'art. 17 preleggi — ed in particolare 1 rapporti di famiglia in ordine ai quali si avverte fortemente nel

rifugiato la esigenza di sottrarsi a qualsiasi potere dello Stato di

origine. In sostanza, se i rifugiati, a differenza degli apolidi (per i quali la convenzione di New York del 28 settembre 1954, resa

esecutiva in Italia con la 1. 1° febbraio 1962 n. 306, contiene,

nell'art. 12, una norma analoga, sostitutiva dell'art. 29 delle pre

leggi), hanno (o possono avere: art. 1, n. 2, convenzione di Gine

vra) una cittadinanza, in concreto è come se non l'avessero in

quanto, appunto, non ne possono beneficiare. Il collegamento della cittadinanza sussiste sul piano astratto, ma in pratica è reso

inefficace e perciò non è adoperabile, onde per i rifugiati si ha

una situazione analoga a quella degli apolidi, per i quali il detto

collegamento non sussiste (ed è a tal fine sintomatico che le due

convenzioni dispongono, nei rispettivi art. 12, in termini esatta

mente identici la sostituzione del criterio personale con quello del domicilio o, in mancanza, della residenza). Di conseguenza non vi è istituto giuridico per il quale, con riferimento al rifugia

to, possa essere azionato il criterio di collegamento della citta

dinanza.

Si deve ritenere pertanto che l'art. 12, 1° comma, della con

venzione di Ginevra, in quanto recepito nell'ordinamento giuridi

co italiano, si pone quale norma di diritto internazionale privato

con un contenuto pressoché identico all'art. 29 preleggi (relativo

agli apolidi e sostituito ora dall'art. 12 della citata convenzione

di New York) solo che, anziché l'unico criterio della residenza,

contempla (cosi come l'art. 12 della convenzione di New York

per gli apolidi) due collegamenti: uno principale (quello del do

micilio), e l'altro sussidiario (quello della residenza).

Occorre ancora sottolineare che l'affermazione del ricorrente,

secondo la quale l'art. 12, 1° comma, della convenzione di Gine

vra farebbe esclusivo riferimento a quelle situazioni soggettive in

cluse nell'art. 17 preleggi nel termine di «stato» lasciando fuori

dal proprio ambito i rapporti di famiglia e, quindi, l'istituto del

divorzio, contrasta con lo stesso testo, complessivamente consi

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3107 PARTE PRIMA 3108

derato, dell'art. 12: il 2° comma, che da un lato delimita la por tata del 1° comma e dall'altro lo integra e lo specifica, menziona

esplicitamente fra le materie, alle quali viene riferito lo statut

personnel, i diritti derivanti dal matrimonio e, pertanto, anche

i rapporti personali fra i coniugi e gli istituti predisposti per la

loro modificazione (separazione personale) e cessazione (divor

zio). Va aggiunto che, sulla portata dell'art. 12 della convenzione

di Ginevra, in antitesi all'indirizzo sopra specificato ed accolto

da questa corte, è stata sostenuta nella dottrina la tesi secondo

la quale l'estensione della nozione di statut personnel debba de

dursi, in mancanza di ogni specificazione al riguardo nella con

venzione, dai lavori preparatori dalla medesima e ciò in occasione

della finalità delle convenzioni internazionali, «che è quella di

obbligare gli Stati contraenti a predisporre una disciplina giuridi ca il più possibile uniforme dei rapporti privati aventi carattere

di estraneità rispetto ad ognuno di essi». Orbene, anche quest'ul timo indirizzo non dubita che l'espressione statut personnel si

riferisca anche ai «rapporti di famiglia (matrimonio, rapporti per sonali tra coniugi, ecc.)».

Dunque, la sentenza dominicana di divorzio e quella rumena

di delibazione non possono avere in Italia alcun riconoscimento

automatico neppure per la documentazione dello stato di libertà

delle parti. È evidente, poi, che nella specie non può trovare ap

plicazione il disposto del 2° comma dell'art. 12, che impone allo

Stato del domicilio (o della residenza) di rispettare i diritti even

tualmente acquisiti dal rifugiato (e in particolare quelli derivanti

dal matrimonio) nell'ambito dell'ordinamento dello stato di citta

dinanza prima del prodursi dei fatti considerati causa della sot

trazione del rifugiato medesimo al detto ordinamento.

Fra tali diritti rientrano certamente, e devono essere retti per tanto dalla legge nazionale sempreché sia stato contratto il matri

monio prima del riconoscimento della qualifica di rifugiato, i diritti

potestativi di chiedere ed ottenere la dichiarazione di nullità o

l'annullamento del matrimonio poiché essi sorgono coevemente

all'instaurazione del vincolo coniugale. Ma non vi rientra l'azione di scioglimento del matrimonio, an

corché questo sia stato celebrato anteriormente al prodursi della

sottrazione dello straniero all'ordinamento della cittadinanza, giac ché il diritto di ottenere il divorzio si ricollega a fatti o presuppo sti che vengono in essere successivamente alla conclusione del

matrimonio e, quindi, esso è soggetto alla legge del domicilio

(o della residenza) se si concreta e viene esercitato allorché l'in

terposto sia già in possesso della qualifica di rifugiato. Nella spe cie il divorzio venne pronunciato dal Tribunale di San Cristobal

(Repubblica dominicana), a domanda dell'odierno ricorrente, con

sentenza del 20 maggio 1974, quando le parti da quasi un decen

nio (immediatamente dopo la celebrazione del matrimonio, avve

nuta il 6 aprile 1964 presso l'ufficio dello stato civile di

Cluj-Napoca) avevano abbandonato per motivi politici la Roma

nia domiciliandosi in Italia ed avevano ivi conseguito la qualifica di rifugiati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 14 lu

glio 1986, n. 4541; Pres. Tamburrino, Est. Laudato, P. M.

Sgroi V. (conci, conf.); Cagnè (Avv. Devoto, Pennese) c. Soc.

F.i.r.s. italiana assicurazioni (Avv. Cavaliere, Oliver) e Soc.

C.o.l.a.v. Regolamento preventivo dì giurisdizione.

Giurisdizione civile — Straniero — Cumulo soggettivo — Fatti

specie (Cod. civ., art. 1182, 1936; cod. proc. civ., art. 4, 33,

102, 103).

Deve affermarsi la giurisdizione del giudice italiano a conoscere

della domanda proposta da società italiana, di nullità ed ineffi cacia di polizza fideiussoria, avanzata nei confronti dell'assicu

ratore italiano che aveva emesso tale polizza nell'interesse della

prima, e nei confronti della società canadese, a favore delta

quale era stata emessa la polizza, sulla base di obbligo assunto

dalla appaltatrice italiana nei confronti della società canadese

(nella specie, il contratto di appalto era stato concluso in Cana da e i lavori dovevano eseguirsi colà; era stato in merito adito

Il Foro Italiano — 1987.

il giudice canadese, che aveva pronunziato sentenza passata in

giudicato; la società appaltante aveva sede all'estero). (1)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 29 di

cembre 1976, la Colav s.p.a., con sede in Modena, conveniva

in giudizio dinnanzi al Tribunale di Roma la F.i.r.s. italiana di assicurazioni s.p.a. e la Bernard Cagnè Co-Ltd, corrente in Mon

treal (Canadà), esponendo che, con accordo dell'8 luglio 1975, si era impegnata con la società canadese a fornire, erigere, instal

lare dieci serbatoi per deposito di petrolio nella città di Montreal

(Canada). Tale accordo regolava, sul piano tecnico, come avreb

be dovuto avvenire la installazione dei detti serbatoi: la costru

zione del primo serbatoio avrebbe dovuto avere inizio la prima settimana del settembre 1976, ed essere completata in un periodo di otto settimane, mentre tutti i dieci serbatoi, avrebbero dovuto

essere costruiti in un periodo massimo di dieci mesi dalla data

di inizio della costruzione del primo serbatoio.

Successivamente, intanto, veniva costituita in Canada una so

cietà denominata Colav Canada Ltd, la cui denominazione suc

cessivamente era modificata in Anic Construction Co-Ltd, allo

scopo di eseguire il contratto Colav-Cagnè, sostituendosi integral mente alla Colav s.p.a.

In data 5 dicembre 1975, il citato accordo 8 luglio 1975 veniva

modificato, e si stabilivano diverse modalità di pagamento, non

ché l'obbligo da parte della Anic di fornire una cauzione di una

compagnia italiana di assicurazione per l'importo di dollari cana

desi 250.000 dell'equivalente in lire italiane pari a lire 160.000.000.

L'Anic, in data 13 gennaio 1976, si impegnava a consegnare i

serbatoi entro date ben determinate.

Senonché, la società appaltante non era riuscita ad osservare

gli impegni che erano stati presi, sicché il ritardo ed inadempien za di essa Anic non era dipeso dal suo comportamento, o dalla

sua negligenza, bensì dal mancato approntamento da parte del

l'appaltante di quanto necessario per la esecuzione dei lavori.

In data 2 gennaio 1975, intanto la F.i.r.s. italiana di assicura

zioni s.p.a. aveva emesso una polizza fideiussoria n. 573839 per lire 160.000.000 a favore della Cagnè e nell'interesse della Colav

s.p.a. La Cagnè, ora, pur essendo inadempiente, aveva richiesto alla

F.i.r.s. italiana il pagamento della cauzione di lire 160.000.000.

Tutto ciò premesso, la Colav chiedeva dichiararsi nulla, ineffi

cace, e priva di effetti, per motivi di forma e di merito, la

(1) In senso conforme, per l'estensione della competenza giurisdiziona le del giudice italiano nei confronti di convenuto straniero, né domiciliato né residente in Italia, in presenza di rapporto litisconsortile (nella specie petizione di eredità), Cass. 22 novembre 1984, n. 5984, Foro it., Rep. 1984, voce Giurisdizione civile, n. 23; 18 maggio 1960, n. 1257, id., Rep. 1960, voce Competenza civile, n. 39 (e in Giust. civ., 1960, I, 1794); App. Trieste 28 maggio 1955, Foro it., Rep. 1956, voce cit., n. 52, e in Giur. it., 1956, I, 2, 431.

Sul principio che la connessione tra domande quale criterio di collega mento per la giurisdizione italiana nei confronti dello straniero, ai sensi dell'art. 4, n. 3, c.p.c., deve identificarsi con la connessione idonea a

spostare la competenza, ai sensi degli art. 31 e 36 c.p.c., v. Cass. 3 no vembre 1981, n. 5774, Foro it., Rep. 1981, voce Giurisdizione civile, n.

34, e sez. un. 20 novembre 1976, n. 4358, id., 1977, I, 2311, con nota di richiami.

Nella sentenza in epigrafe è riportata quasi integralmente la motivazio ne di Cass. 18 maggio 1960, n. 1257, cit., laddove si evidenzia la non riferibilità della fattispecie al criterio di collegamento di cui all'art. 4, n. 3, c.p.c., per poi giungere ad affermare la competenza giurisdizionale del giudice italiano, sulla base di analogia di attrazione tra la connessione nel caso di cumulo soggettivo e quella, in realtà ancor più stretta, in caso di comunanza di lite ed inscindibilità del rapporto.

È la posizione seguita in dottrina da Attardi, Problema dei limiti del la giurisdizione italiana, in Commentario al codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, Utet, Torino, 1973, I, tomo I, 70 ss.; v. anche

Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Cedam, Padova, 1954, 125; Conforti, La connessione per oggetto e per titolo come criterio di giurisdizione, in Riv. dir. internaz., 1958, 262; Giuliano, La giurisdi zione civile italiana e lo straniero, Giuffrè, Milano, 1976, 86 ss.

In senso contrario, Andrioli, Commento, Jovene, Napoli, 1957, I3, 31, sul rilievo che il litisconsorzio necessario passivo è forma particolare della legittimazione, e pertanto non condizione per l'azione, ma per la trattazione di merito, alla quale è pregiudiziale l'accertamento della com

petenza giurisdizionale, che è una ed unica per tutti i soggetti. Ove non sussistente nei confronti di tutti i litisconsorti passivi del rapporto, il giu dice rigetta non per difetto di legittimazione, conclude l'a., ma per difet to di competenza giurisdizionale.

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