sezioni unite civili; sentenza 5 settembre 1986, n. 5426; Pres. Tamburrino, Est. Tilocca, P.M.Sgroi V. (concl. conf.); Nussbächer (Avv. Citarella) c. Roth (Avv. Capriolo) e Sindaco di Roma.Conferma App. Roma 21 novembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3101/3102-3107/3108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179129 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rata di premio, di cui ai commi 5° e 6° dell'art. 28: vale a dire
la c.d. «scelta di regole di natura esclusivamente tecnica» posta a fondamento della difesa dell'I.n.a.i.l., controricorrente; la qua le scelta, ripetesi, in base alla stessa giurisprudenza invocata, at
tiene alla determinazione dell'ammontare del premio assicurativo e giammai alla determinazione dell'importo delle retribuzioni, che
si «presumono» (rectius si prevedono) saranno corrisposte. La
determinazione «presuntiva» di queste ultime, infatti, comporte rebbe una lievitazione contributiva, sia pure provvisoria — con
annesse penali — fondata su di un inesistente presupposto contri
butivo e come tale arbitraria — con annesse penali — e da ciò
la profilata illeggittimità costituzionale della procedura liquidati va sostenuta dall'I.n.a.i.l., procedura che non trova fondamento
nella legge, e quindi nessun profilo di incostituzionalità di que
sta, la quale all'art. 41 d.p.r. 1965 n. 1124 esclude qualsiasi arbi
trio da parte dell'I.n.a.i.l., disponendo che: «il premio di
assicurazione è dovuto dal datore di lavoro in base al tasso di
premio previsto dalla tariffa di cui al precedente articolo ed ap
plicato all'istituto nella misura, con le modalità e secondo le con
dizioni della tariffa stessa, sull'ammontare complessivo delle
retribuzioni effettivamente corrisposte o convenzionali, o, comun
que, da assumersi, si sensi di legge, per tutta la durata dei lavori, ai prestatori d'opera compresi nell'obbligo dell'assicurazione».
Si che all'I.n.a.i.l. incombe, ove dubiti delle comunicazioni ri
cevute dai datori di lavoro, e anche di ufficio nel silenzio di que
sti, accertare il numero dei «prestatori d'opera compresi
nell'obbligo dell'assicurazione e su questo indefettibile dato obiet
tivo applicare il premio assicurativo, con le modalità e secondo
le tariffe di cui all'art. 40 cit. d.p.r., sull'ammontare complessivo delle retribuzioni «dovute», anche ex lege al di là di quelle patti zie per tutta la durata dei lavori. Ed è qui che si esplica peculiar mente il «potere» liquidativo dell'I.n.a.i.l.
Tale potere di liquidazione si esplica, cioè, sul quantum del
suddetto ammontare e non già sull'aw del suddetto ammontare
fuori delle prescritte tassative ipotesi innanzi elencate; e le conse
guenti penali applicate sull'an, fuori delle dette ipotesi, sono del
tutto arbitrarie come la liquidazione stessa del premio o su un
presupposto contributivo non «determinato» secondo le regole
giuridiche dettate dal cit. art. 28, innanzi trascritto ed esaminato:
cfr. Cass. 25 luglio 1982, n. 3252 (id., 1983, I, 14, cit. dallo stesso I.n.a.i.l.), secondo cui: «in tema di assicurazione obbliga toria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali — poiché un accertamento diretto sull'ammontare dei premi do
vuti può avvenire unicamente sulla scorta delle registrazioni che
devono essere tenute a cura del datore di lavoro e, in particolare, del libro paga e del libro matricola, i quali vanno messi a disposi zione dell'I.n.a.i.l. a ogni sua richiesta, con gli altri libri contabili
e con tutti gli altri documenti necessari per un adeguato controllo
delle registrazioni anzidette — ove l'istituto, a fronte della man
cata comunicazione, da parte del datore di lavoro delle mercedi
erogate nel periodo cui attiene il premio assicurativo, ritenga di
procedere alla liqidazione dello stesso in base al doppio delle re
tribuzioni calcolate in via presuntiva (art. 28, 6° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124), con conseguente utilizzazione degli ele
menti indiretti idonei a ricostruire con sufficiente approssimazio ne l'ammontare complessivo delle mercedi erogate, il datore di
lavoro ha la facoltà di contrastare l'esattezza di siffatto computo
presuntivo proprio mediante l'esibizione dei libri e degli altri do
cumenti che la legge gli fa obbligo di tenere a prova dell'entità
del suo debito verso l'istituto medesimo».
Va puntualizzato, riguardo a tale arresto giurisdizionale, per
completezza di indagine, essendo estranea la seconda parte di es
so alla fattispecie in esame, che il «presunto» fra l'ammontare
del premio precedentemente liquidato e quello successivo al pe
riodo di lavori non comunicato, non può superare il doppio del
premio già liquidato in base alle retribuzioni precedentemente co
municate e non variate — sponte aut ex officio — ma può il
premio precedentemente liquidato essere legittimamente, in tale
fase provvisoria di liquidazione, essere liquidato, come si esprime
la legge, «in base al doppio della retribuzione presunta stabilita
per il periodo stesso», cioè, ex lege, sic et simpliciter, raddoppia
to, con le conseguenze in ordine alla «penale». Ciò perché quel
presunto attiene alla misura del premio entro i suddetti limiti pre
fissati e, pertanto, quella misura rientra nella libera determina
zione dell'ente assicuratore, si che l'eventuale infondatezza, in
sede di verifica finale, della «presunzione» sulla quale era stata
operata la maggiorazione od il raddoppio, tout court, della misu
II Foro Italiano — 1987.
ra del precedente premio, non invalida la relativa penale, che tro
va, invece, il suo fondamento non già nella «presunzione», risul
tata errata, bensì' nell'omessa comunicazione, per cui, come nelle
citate sentenze, se l'esatto ammontare del premio può sempre es
sere «verificato», essendo esso fondato su elementi di computo obiettivi, la «sanzione» («penale» definita dalla legge) rimane le
gittimamente applicata, perché comminata dalla legge per omessa
partecipazione, che è momento rilevante, in ragione dell'obietti
vità degli elementi di computo, del datore di lavoro, al procedi mento liquidativo; partecipazione disciplinata dalla legge non già ai fini della validità od efficacia, sia pure provvisoria di questo, bensì' al fine dell'esatta e spedita determinazione del premio nella
intera durata dei lavori; determinazione che rimane assicurata, esatta e spedita appunto, unicamente dal diligente assolvimento
del dovere privato e pubblico, correlato alla rispettiva situazione
giuridica dei due soggetti del rapporto assicurativo «per la finali
tà di preminente interesse generale in materia infortunistica» (cit. sent. 1983 n. 4589 di questa corte).
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio
della causa ad altro giudice per il riesame secondo i principi in
nanzi enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 set
tembre 1986, n. 5426; Pres. Tamburrino, Est. Tilocca, P.M.
Sgroi V. (conci, conf.); Nussbàcher (Avv. Citarella) c. Roth
(Avv. Capriolo) e Sindaco di Roma. Conferma App. Roma
21 novembre 1983.
Matrimonio — Divorzio — Sentenza straniera — Efficacia in Italia — Condizioni — Convenzione sui rifugiati politici (Disp. sulla
legge in generale, art. 17; 1. 7 settembre 1905 n. 523, ratifica
ed esecuzione della convenzione dell'Aja del 12 giugno 1902,
per regolare i conflitti di legge e di giurisdizione in materia
di divorzio e di separazione personale: convenzione, art. 5; 1.
24 luglio 1954 n. 722, ratifica ed esecuzione della convenzione
di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo statuto dei rifugiati:
convenzione, art. 12).
Lo stato civile dei rifugiati domiciliati o residenti in Italia è sog
getto, alla stregua dell'art. 12 della convenzione di Ginevra 28
luglio 1951 sui rifugiati politici, resa esecutiva in Italia con la
I. 24 luglio 1954 n. 722, alla legge italiana e non può essere
modificato da provvedimento straniero non delibato in Italia;
pertanto, la sentenza di divorzio fra cittadini rumeni rifugiati in Italia, pronunciata da tribunale rumeno, non è efficace au
tomaticamente, senza necessità di delibazione da parte del giu dice italiano, neppure al solo effetto di documentare lo stato
libero delle parti. (1)
(1) Nella specie, si trattava di cittadini rumeni già uniti in matrimonio in Romania, i quali avevano ottenuto la qualità di rifugiati politici in
Italia, residenti e domiciliati nel nostro Stato: è stata negata l'efficacia automatica in Italia, se non delibata, della sentenza di divorzio, ottenuta da uno dei coniugi nella Repubblica dominicana, e già delibata dal giudi ce rumeno.
Per la ricostruzione complessiva della vicenda giudiziaria de qua, v. la sentenza di secondo grado, App. Roma 21 novembre 1983, Foro it.,
Rep. 1985, voce Giurisdizione civile, n. 29 (e in Temi romana, 1985,
93); e la pronuncia di primo grado, Trib. Roma 6 novembre 1980, Foro
it., Rep. 1982, voce Rifugiati, n. 1, e in Riv. dir. internaz., 1982, 97, con nota critica di Strozzi, in tema di «status» matrimoniale di rifugiati
politici in Italia, ibid., 14 ss.
Sull'applicabilità della legge italiana sia sostanziale che processuale, in
forza del criterio di collegamento del domicilio (o della residenza), fissato
dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, a stranieri con status
di rifugiati, residenti in Italia, v. Trib. Roma 9 agosto 1978, Foro it.,
Rep. 1979, voce cit., n. 2 (e in Temi romana, 1978, 122); e, sempre sul
criterio di collegamento, App. Napoli 23 febbraio 1966, Foro it., Rep.
1966, voce Estradizione, n. 14 (e in Temi nap., 1966, II, 63). Nell'articolata motivazione della sentenza in epigrafe, si fa riferimento
alla posizione già assunta da Cass. 15 luglio 1974, n. 2126, Foro it.,
1974, I, 2617, con nota di Florino, e 14 marzo 1968, n. 823, id., Rep. 1968, voce Matrimonio, nn. 41, 66, e in dottrina da Gaja, Sentenza stra
niera non delibata e diritto internazionale privato, in Riv. dir. internaz.,
1964, 409, secondo la quale le sentenze straniere sarebbero produttive
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3103 PARTE PRIMA 3104
Svolgimento del processo. — Roth Marta e Nussbàcher Guido, entrambi cittadini rumeni, si unirono in matrimonio, il 6 aprile
1964, presso l'ufficio dello stato civile di Cluj-Napoca (Roma
nia). Successivamente si trasferirono in Italia fissando la loro re
sidenza a Roma ed ottenendo la qualifica di rifugiati politici ai
sensi della convenzione di Ginevra del 21 luglio 1951, resa esecu
tiva in Italia con 1. 24 luglio 1954 n. 722.
Premettendo di aver constatato, in occasione della richiesta di
un certificato anagrafico, di risultare, contrariamente al vero, di
vorziata, la Roth, con citazione notificata il 29 novembre e il
1° dicembre 1978, conveniva in giudizio il marito (limitando l'e
sposizione alla parte che interessa la presente fase) davanti al Tri
bunale di Roma perché venisse accertato e dichiarato di essere
tuttora la moglie del convenuto.
Si costituiva il Nussbàcher deducendo che egli aveva ottenuto
il divorzio con sentenza pronunciata nella Repubblica dominica
na e regolarmente delibata dal Tribunale romeno di Cluj (luogo di celebrazione del matrimonio).
Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 3 ottobre - 6 no
vembre 1980, rigettava la domanda attrice sul rilievo dell'applica bilità nella specie della legge nazionale rumena, avendo il
Nussbàcher richiesto la protezione del suo paese con il rivolgersi ad un tribunale del medesimo e con la conseguente cessazione
degli effetti dello status di rifugiato ai sensi della predetta con
venzione.
Proponeva appello la Roth con atto notificato il 5 gennaio 1981
e la Corte d'appello di Roma, nella resistenza del Nussbàcher, con sentenza 24 giugno - 21 novembre 1983, dichiarava (limitata mente alle parti che rilevano ai fini della presente fase) Roth Marta
«tuttora moglie legittima di Guido Nussbàcher» compensando le
spese di entrambi i gradi. Osservava la corte che per la seconda convenzione dell'Aja (art.
5) la domanda di divorzio può essere proposta o davanti la giuris dizione competente secondo la legge dei coniugi o davanti alla
giurisdizione competente del luogo del domicilio dei coniugi. Per
i rifugiati lo statuto personale, in base all'art. 12 della convenzio
di norme giuridiche «concrete», come tali oggetto di richiamo da parte delle norme di diritto internazionale privato (v. anche Lanzillo, Sull'ef ficacia in Italia delle sentenze straniere di divorzio non delibate ai fini dell'accertamento dello stato libero dello straniero, in Riv. dir. internaz.
privato e proc., 1973, 396; Luzzatto, Stati giuridici e diritti assoluti nel diritto internazionale privato, Giuffré, Milano, 1965, spec. 149).
La Cassazione, nel riconfermare tale indirizzo, ne rileva la diversità dalla fattispecie, atteso che i coniugi rumeni, ottenuta la qualità di rifu
giati politici, all'epoca della pronuncia della sentenza di divorzio, e tutto ra sono domiciliati (e residenti) in Italia, talché, ai sensi della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, sono sottratti alla legge nazionale e soggetti alla legge italiana.
La sentenza straniera di divorzio, senza essere stata delibata in Italia, non può operare neanche al fine di documentare lo stato libero delle
parti, per non essere alcun ordinamento straniero, fuorché quello italia no, competente a modificare il rapporto matrimoniale tra i due coniugi.
La corte aderisce inoltre all'indirizzo dottrinale, secondo il quale lo statut personnel di cui all'art. 12 della convenzione cit., fa riferimento al criterio di collegamento personale, eppertanto non alle sole situazioni
soggettive di «stato» di cui all'art. 17 disp. prel. c.c., non lasciando in tal modo fuori i rapporti di famiglia (matrimonio, rapporti personali tra
coniugi, ecc.). È la tesi di Monaco, L'efficacia della legge nello spazio, Utet, Torino, 1952, 47 e Morelli, Elementi di diritto internazionale pri vato italiano, Jovene, Napoli, 1962, 51-52.
Infine, la Cassazione richiama, in ogni caso, l'indirizzo dottrinale, se condo il quale, all'estensione della nozione di statut personnel si perviene utilizzando i lavori preparatori della convenzione e richiamando le finali tà della stessa (è quanto sostenuto da Cassese, Per la determinazione dello «statuto personale» del rifugiato e dell'apolide, in Riv. dir. inter nai., 1964, 50).
Sui rifugiati politici, v. Grahl-Madsen, The Status of Refugees in In ternational Law, Leiden, 1966-1972; Weis, Lega! Aspects of the Conven tion of 28 July 1951 relating to the Status of Refugees, in British Yearbook
of International Law, 1953, 478 ss.; Strozzi, Rifugiati e asilo territoria le, in Codice degli atti internazionali sui diritti dell'uomo, a cura di Vitta e Grementieri, Giuffré, Milano, 1981, 351 ss.; Udina, La protezione internazionale dei rifugiati politici e degli apolidi, in Comunità internaz., 1970, 524; e più in generale, sulle questioni trattate, v. Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Cedam, Padova, 1954, 241; Vitta, Di ritto internazionale privato, Utet, Torino, 1972, I, 272; Condorelli, La
funzione del riconoscimento di sentenze straniere, Giuffré, Milano, 1967, 171, in nota; Ziccardi, Considerazioni sul valore delle sentenze straniere, in Riv. dir. internaz., 1954, 487; Biscottini, I procedimenti stranieri di volontaria giurisdizione e la loro efficacia in Italia, in Jus, 1958, 244.
Il Foro Italiano — 1987.
ne di Ginevra del 1951, è regolato dalla legge del paese del loro
domicilio o della loro residenza. Nella specie le parti avevano
10 status di rifugiati e il domicilio in Italia. Dal combinato dispo sto dell'art. 5 della convenzione dell'Aja e dell'art. 12 della con
venzione di Ginevra consegue che solo il giudice italiano aveva
la giurisdizione a pronunciare il divorzio o a delibarlo, con la
conseguenza che non possono avere efficacia in Italia modifiche
allo status pronunciate o comunque valide nel paese di origine, successivamente all'acquisizione della qualità di rifugiato. Am
messo che il Nussbàcher abbia perso lo stato di rifugiato essendo
si rivolto al suo paese di origine per la delibazione della sentenza
di divorzio, ciò è irrilevante, una volta che certamente lo ha con
servato la Roth, la quale non poteva essere convenuta, sia per la pronuncia di divorzio sia per la sua delibazione, che davanti
11 giudice italiano, donde sono prive di effetti in Italia le sentenze
invocate dal Nussbàcher.
Contro la sentenza propone ricorso per cassazione il Nussbà
cher sulla base di tre motivi. Resiste, con controricorso, la Roth
Marta. Le parti insistono nella loro tesi con memorie illustrative.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente
deduce vizi di motivazione nonché errata e falsa interpretazione dell'art. 17 preleggi, dell'art. 12 della convenzione di Ginevra 28
luglio 1951 e dell'art. 5 della seconda convenzione dell'Aja (12
giugno 1902) censurando la sentenza impugnata per aver confuso
la determinazione del diritto applicabile con il problema della com
petenza giurisdizionale ed inoltre fra competenza giurisdizionale del giudice italiano ed il requisito della competenza giurisdiziona le del giudice straniero, ai fini della validità ed efficacia in Italia
degli atti formati davanti a tale giudice. Con il secondo motivo il Nussbàcher denuncia l'errata e falsa
applicazione dell'art. 12 della convenzione di Ginevra sullo statu
to dei rifugiati in relazione all'art. 17 preleggi per non aver la
Corte d'appello di Roma tenuto presente che il citato art. 12 del
la convenzione di Ginevra modifica l'art. 17 preleggi solo per
quanto riguarda lo status personale del rifugiato e non anche in
ordine alla disciplina della capacità e dei rapporti familiari, rego lati dalle leggi nazionali dei rifugiati.
Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta l'errata e
falsa applicazione dell'art. 12 della convenzione di Ginevra e del
l'art. 17 preleggi in relazione all'efficacia in Italia di atti di stato
civile stranieri e alle sentenze pronunciate nel paese di origine del rifugiato, attinenti a questioni di status familiae, criticando
la sentenza per non aver considerato che la sentenza rumena di
delibazione del divorzio è di per sé efficace in quanto il predetto art. 12 della convenzione non deroga a tale principio quando la
sentenza è invocata al solo effetto del riconoscimento dello stato
libero delle parti. (Omissis) Con le tre doglianze dedotte, che vanno esaminate congiunta
mente, il Nussbàcher sostiene sostanzialmente che la sentenza di
divorzio, pronunciata nella Repubblica dominicana e delibata dal
Tribunale rumeno di Cluj (luogo della celebrazione del matrimo
nio), sia di per sé, automaticamente e senza necessità di alcuna
delibazione da parte del giudice italiano, efficace nel nostro ordi
namento almeno al solo effetto del riconoscimento dello stato
libero delle parti. Il ricorso va respinto. La tesi del Nussbàcher muove da un
presupposto erroneo e cioè che egli e la Ruth, in quanto cittadini
rumeni, siano, nonostante la loro riconosciuta qualifica di rifu
giati in Italia, soggetti alla legge di origine ai sensi dell'art. 17, 1° comma, disp. prel. c.c. In effetti questa corte (sent. 14 marzo
1968, n. 823, Foro it., Rep. 1968, voce Matrimonio, nn. 41, 46) ha avuto occasione di affermare — e l'affermazione è condivisa
dalla quasi totalità della dottrina internazionalprivatistica — che non necessita, ai fini del giudizio sulla libertà di stato del cittadi
no straniero, la delibazione della sentenza di divorzio, pronuncia ta all'estero, quando il matrimonio sia stato celebrato in un altro
paese, giacché in tale ipotesi la sentenza straniera di divorzio rile
va, non come atto di imperium diretto a produrre effetti in Ita
lia, ma come documentazione di un effetto già realizzato
nell'ordinamento straniero (Cass., sez. un., 15 luglio 1974, n. 2126, id., 1974, I, 2617) e viene perciò assimilata ad ogni altra fattispe cie cui la legge straniera riconnette la nascita, la modificazione o l'estinzione degli stati personali. E si deve inoltre riconoscere che tale orientamento si pone come svolgimento di un principio ritenuto diffusamente fondamentale e cioè che le norme di diritto
internazionale privato non fanno riferimento alla disciplina nor mativa astratta prevista dalla legge straniera richiamata per la
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
situazione di fatto considerata, ma mirano a far recepire nell'or
dinamento interno, senza la mediazione di un apposito exequa
tur, le stesse concrete situazioni giuridiche prodottesi nell'ordinamento di origine per effetto di atti giurisdizionali o
di atti di amministrazione pubblica del diritto privato (Cass., sez.
un. cit.). Ma il riferito indirizzo non è pertinente alla fattispecie in esame, poiché le parti, pur se straniere e pure se abbiano con
tratto matrimonio all'estero, hanno ottenuto, prima della senten
za dominicana di divorzio (e perciò, ovviamente, anche prima della delibazione romena della medesima), il riconoscimento della
qualifica di rifugiati politici ai sensi della convenzione di Ginevra
del 28 luglio 1951, resa esecutiva in Italia con la 1. 24 luglio 1954
n. 722, il cui art. 12 dispone, nel 1° comma, che «le statut per sonnel de tout réfugié sera règi par la loi du pays de son domicile
ou, à défaut de domicile, par la loi du pays de sa résidence»:
e, nel 2° (ed ultimo) comma, che «les droits, précédemment ac
quis par le réfugié et découlant du statut personnel et notamment
ceux qui résultent du mariage, seront respectés par tout Etat Con
tractant, sous réserve, le cas échéant de l'accomplissement des
formalités prévues par la législation dudit Etat, étant entendu,
toutefois, que le droit en cause doit ètre de ceux qui auraient
été reconnus par la législation dudit Etat si l'intéressé n'était de
venu un réfugié». In base a tale norma convenzionale (divenuta già norma del
nostro ordinamento) ed in particolare al 1° comma, poiché il Nus
sbàcher e la Roth erano, all'epoca della pronuncia del divorzio,
(e sono tuttora) domiciliati (ed anche residenti) in Italia, essi era
no (e sono) soggetti alla nostra legge, onde il loro rapporto ma
trimoniale non poteva (e non può) essere sciolto e neppure subire
modifiche per effetto di un atto giurisdizionale straniero, se que sto non viene recepito nel nostro ordinamento mediante il giudi zio di delibazione. Nel nostro ordinamento il Nussbàcher e la
Roth risultano, ai sensi del 2° comma dell'art. 12 della conven
zione (il quale impone allo Stato del domicilio di riconoscere, senza la necessità di adempimenti formali, le situazioni soggettive del rifugiato precedentemente acquisite ed in particolare quelle derivanti dal matrimonio), marito e moglie e pertanto la sentenza
domenicana di divorzio può produrre effetti in Italia solo se ivi
delibata. Il provvedimento di delibazione, pronunciato in Roma
nia, è irrilevante per il nostro ordinamento (e per tutti gli Stati
che hanno ratificato la convenzione), giacché entrambe le parti sono state, dall'art. 12 della convenzione, all'atto in cui esse han
no conseguito il riconoscimento della qualifica di rifugiati ed hanno
fissato il loro domicilio in Italia, sottratte alla legge nazionale
e sottoposte a quella italiana.
La sentenza domenicana di divorzio, neppure tramite Vexequa tur romeno, può operare automaticamente in Italia sia pure ai
soli fini di documentare Io stato libero delle parti, poiché, come
sopra si è precisato, ciò è possibile soltanto quando tale stato
si è già prodotto legittimamente in un ordinamento straniero, ma
nella specie nessun ordinamento straniero — in particolare né
quello domenicano né quello romeno — è competente a modifi
care il rapporto matrimoniale del Nussbàcher e della Roth, essen
do competente soltanto quello italiano, per cui la sentenza straniera
di divorzio può essere in Italia (e nei paesi che hanno ratificato
la convenzione) invocata, per uno qualsiasi dei possibili fini, solo
se riconosciuta dalla nostra giurisdizione. L'indirizzo sopra ri
chiamato, secondo il quale si esclude la necessità della delibazio
ne delle sentenze straniere di divorzio ai fini del giudizio sulla
libertà del cittadino straniero, trova il suo fondamento, come si
è detto, nel principio, accolto da questa corte e dalla quasi unani
me dottrina, che le norme di diritto internazionale privato non
fanno riferimento alla disciplina normativa astratta prevista dalla
legge straniera richiamata per la situazione di fatto considerata,
ma mirano a far recepire nell'ordinamento interno, senza la me
diazione di un apposito exequatur, le stesse concrete situazioni
prodottesi nell'ordinamento richiamato dalla norma di diritto in
ternazionale privato, per effetto di atti giurisdizionali o di atti
di amministrazione pubblica di diritto privato. Nella specie, es
sendo le parti, seppure straniere, soggette alla legge italiana, non
vi può essere un rinvio da questa ad una legge straniera, e, quin
di, una ricezione automatica dell'effetto dello scioglimento del
matrimonio, pronunciato e delibato all'estero, neppure per la pre
detta limitata finalità documentati va.
In conclusione per i rifugiati domiciliati (o residenti in Italia)
vale lo stesso principio operante per il cittadino italiano e cioè
che il suo stato è sempre soggetto alla legge italiana e non può
Il Foro Italiano — 1987.
essere modificato da un provvedimento straniero ove questo non
sia delibato in Italia.
Il ricorrente sostiene che l'art. 12 della convenzione fa riferi
mento esclusivo a quelle situazioni soggettive per le quali l'art.
17 preleggi usa il termine di «stato» e non pure a quelle situazio
ni che lo stesso art. 17 include nella nozione di «capacità delle
persone» ed in quella dei «rapporti di famiglia», per le quali sa
rebbe rimasto fermo il rinvio, con riguardo anche ai rifugiati, alla legge nazionale da parte del diritto internazionale privato.
L'affermazione non può essere condivisa. La prevalente dottri
na italiana e straniera è dell'avviso che la convenzione non deter
mina i rapporti compresi nella nozione statut personnel, ma rinvia,
per tale determinazione, all'ordinamento di ciascuno Stato firma
tario, nel senso che ogni Stato è tenuto a considerare compresi tra i rapporti designati dall'espressione in parola tutti i rapporti
per i quali le norme di diritto internazionale privato del suo ordi
namento utilizzano, nel regolarli, un criterio di collegamento per sonale. Tali norme — si precisa — sono derogate dall'art. 12
(in quanto questo assunto nell'ordinamento del singolo Stato fir
matario), nel senso che al criterio della cittadinanza si sostituisce
quello del domicilio e, in mancanza del domicilio, il criterio della
residenza. In base a tale indirizzo non vi è materia giuridica per la quale l'ordinamento dello Stato firmatario possa rinviare, per i rifugiati, alla loro legge nazionale; statut personnel sta ad indi
care la sfera dei rapporti giuridici in ordine ai quali è previsto il criterio di collegamento personale nei singoli ordinamenti di
diritto internazionale privato. All'indirizzo riferito la corte ritiene di dover prestare la pro
pria adesione.
L'art. 12 della convenzione ha imposto agli Stati firmatari l'a
dozione dei criteri di collegamento del domicilio (e della residen
za in via successiva) per sottrarre i rifugiati alle leggi di uno Stato
che essi hanno ripudiato od abbandonato o nel quale non posso no o non intendono ritornare per timore di essere perseguitati
per motivi di razza, di religione, nazionalità, opinioni politiche, 0 appartenenza ad un certo gruppo sociale (art. 11, n. 2, della
convenzione). Non si vede, perciò, come possa sostenersi che la convenzione
abbia lasciato fuori dalla propria previsione, consentendo agli Stati
firmatari di poter continuare ad utilizzare al riguardo il criterio
del collegamento della cittadinanza, la maggior parte delle situa
zioni soggettive — cioè quelle non rientranti nella nozione di sta
tus delle persone nel senso dell'art. 17 preleggi — ed in particolare 1 rapporti di famiglia in ordine ai quali si avverte fortemente nel
rifugiato la esigenza di sottrarsi a qualsiasi potere dello Stato di
origine. In sostanza, se i rifugiati, a differenza degli apolidi (per i quali la convenzione di New York del 28 settembre 1954, resa
esecutiva in Italia con la 1. 1° febbraio 1962 n. 306, contiene,
nell'art. 12, una norma analoga, sostitutiva dell'art. 29 delle pre
leggi), hanno (o possono avere: art. 1, n. 2, convenzione di Gine
vra) una cittadinanza, in concreto è come se non l'avessero in
quanto, appunto, non ne possono beneficiare. Il collegamento della cittadinanza sussiste sul piano astratto, ma in pratica è reso
inefficace e perciò non è adoperabile, onde per i rifugiati si ha
una situazione analoga a quella degli apolidi, per i quali il detto
collegamento non sussiste (ed è a tal fine sintomatico che le due
convenzioni dispongono, nei rispettivi art. 12, in termini esatta
mente identici la sostituzione del criterio personale con quello del domicilio o, in mancanza, della residenza). Di conseguenza non vi è istituto giuridico per il quale, con riferimento al rifugia
to, possa essere azionato il criterio di collegamento della citta
dinanza.
Si deve ritenere pertanto che l'art. 12, 1° comma, della con
venzione di Ginevra, in quanto recepito nell'ordinamento giuridi
co italiano, si pone quale norma di diritto internazionale privato
con un contenuto pressoché identico all'art. 29 preleggi (relativo
agli apolidi e sostituito ora dall'art. 12 della citata convenzione
di New York) solo che, anziché l'unico criterio della residenza,
contempla (cosi come l'art. 12 della convenzione di New York
per gli apolidi) due collegamenti: uno principale (quello del do
micilio), e l'altro sussidiario (quello della residenza).
Occorre ancora sottolineare che l'affermazione del ricorrente,
secondo la quale l'art. 12, 1° comma, della convenzione di Gine
vra farebbe esclusivo riferimento a quelle situazioni soggettive in
cluse nell'art. 17 preleggi nel termine di «stato» lasciando fuori
dal proprio ambito i rapporti di famiglia e, quindi, l'istituto del
divorzio, contrasta con lo stesso testo, complessivamente consi
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3107 PARTE PRIMA 3108
derato, dell'art. 12: il 2° comma, che da un lato delimita la por tata del 1° comma e dall'altro lo integra e lo specifica, menziona
esplicitamente fra le materie, alle quali viene riferito lo statut
personnel, i diritti derivanti dal matrimonio e, pertanto, anche
i rapporti personali fra i coniugi e gli istituti predisposti per la
loro modificazione (separazione personale) e cessazione (divor
zio). Va aggiunto che, sulla portata dell'art. 12 della convenzione
di Ginevra, in antitesi all'indirizzo sopra specificato ed accolto
da questa corte, è stata sostenuta nella dottrina la tesi secondo
la quale l'estensione della nozione di statut personnel debba de
dursi, in mancanza di ogni specificazione al riguardo nella con
venzione, dai lavori preparatori dalla medesima e ciò in occasione
della finalità delle convenzioni internazionali, «che è quella di
obbligare gli Stati contraenti a predisporre una disciplina giuridi ca il più possibile uniforme dei rapporti privati aventi carattere
di estraneità rispetto ad ognuno di essi». Orbene, anche quest'ul timo indirizzo non dubita che l'espressione statut personnel si
riferisca anche ai «rapporti di famiglia (matrimonio, rapporti per sonali tra coniugi, ecc.)».
Dunque, la sentenza dominicana di divorzio e quella rumena
di delibazione non possono avere in Italia alcun riconoscimento
automatico neppure per la documentazione dello stato di libertà
delle parti. È evidente, poi, che nella specie non può trovare ap
plicazione il disposto del 2° comma dell'art. 12, che impone allo
Stato del domicilio (o della residenza) di rispettare i diritti even
tualmente acquisiti dal rifugiato (e in particolare quelli derivanti
dal matrimonio) nell'ambito dell'ordinamento dello stato di citta
dinanza prima del prodursi dei fatti considerati causa della sot
trazione del rifugiato medesimo al detto ordinamento.
Fra tali diritti rientrano certamente, e devono essere retti per tanto dalla legge nazionale sempreché sia stato contratto il matri
monio prima del riconoscimento della qualifica di rifugiato, i diritti
potestativi di chiedere ed ottenere la dichiarazione di nullità o
l'annullamento del matrimonio poiché essi sorgono coevemente
all'instaurazione del vincolo coniugale. Ma non vi rientra l'azione di scioglimento del matrimonio, an
corché questo sia stato celebrato anteriormente al prodursi della
sottrazione dello straniero all'ordinamento della cittadinanza, giac ché il diritto di ottenere il divorzio si ricollega a fatti o presuppo sti che vengono in essere successivamente alla conclusione del
matrimonio e, quindi, esso è soggetto alla legge del domicilio
(o della residenza) se si concreta e viene esercitato allorché l'in
terposto sia già in possesso della qualifica di rifugiato. Nella spe cie il divorzio venne pronunciato dal Tribunale di San Cristobal
(Repubblica dominicana), a domanda dell'odierno ricorrente, con
sentenza del 20 maggio 1974, quando le parti da quasi un decen
nio (immediatamente dopo la celebrazione del matrimonio, avve
nuta il 6 aprile 1964 presso l'ufficio dello stato civile di
Cluj-Napoca) avevano abbandonato per motivi politici la Roma
nia domiciliandosi in Italia ed avevano ivi conseguito la qualifica di rifugiati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 14 lu
glio 1986, n. 4541; Pres. Tamburrino, Est. Laudato, P. M.
Sgroi V. (conci, conf.); Cagnè (Avv. Devoto, Pennese) c. Soc.
F.i.r.s. italiana assicurazioni (Avv. Cavaliere, Oliver) e Soc.
C.o.l.a.v. Regolamento preventivo dì giurisdizione.
Giurisdizione civile — Straniero — Cumulo soggettivo — Fatti
specie (Cod. civ., art. 1182, 1936; cod. proc. civ., art. 4, 33,
102, 103).
Deve affermarsi la giurisdizione del giudice italiano a conoscere
della domanda proposta da società italiana, di nullità ed ineffi cacia di polizza fideiussoria, avanzata nei confronti dell'assicu
ratore italiano che aveva emesso tale polizza nell'interesse della
prima, e nei confronti della società canadese, a favore delta
quale era stata emessa la polizza, sulla base di obbligo assunto
dalla appaltatrice italiana nei confronti della società canadese
(nella specie, il contratto di appalto era stato concluso in Cana da e i lavori dovevano eseguirsi colà; era stato in merito adito
Il Foro Italiano — 1987.
il giudice canadese, che aveva pronunziato sentenza passata in
giudicato; la società appaltante aveva sede all'estero). (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 29 di
cembre 1976, la Colav s.p.a., con sede in Modena, conveniva
in giudizio dinnanzi al Tribunale di Roma la F.i.r.s. italiana di assicurazioni s.p.a. e la Bernard Cagnè Co-Ltd, corrente in Mon
treal (Canadà), esponendo che, con accordo dell'8 luglio 1975, si era impegnata con la società canadese a fornire, erigere, instal
lare dieci serbatoi per deposito di petrolio nella città di Montreal
(Canada). Tale accordo regolava, sul piano tecnico, come avreb
be dovuto avvenire la installazione dei detti serbatoi: la costru
zione del primo serbatoio avrebbe dovuto avere inizio la prima settimana del settembre 1976, ed essere completata in un periodo di otto settimane, mentre tutti i dieci serbatoi, avrebbero dovuto
essere costruiti in un periodo massimo di dieci mesi dalla data
di inizio della costruzione del primo serbatoio.
Successivamente, intanto, veniva costituita in Canada una so
cietà denominata Colav Canada Ltd, la cui denominazione suc
cessivamente era modificata in Anic Construction Co-Ltd, allo
scopo di eseguire il contratto Colav-Cagnè, sostituendosi integral mente alla Colav s.p.a.
In data 5 dicembre 1975, il citato accordo 8 luglio 1975 veniva
modificato, e si stabilivano diverse modalità di pagamento, non
ché l'obbligo da parte della Anic di fornire una cauzione di una
compagnia italiana di assicurazione per l'importo di dollari cana
desi 250.000 dell'equivalente in lire italiane pari a lire 160.000.000.
L'Anic, in data 13 gennaio 1976, si impegnava a consegnare i
serbatoi entro date ben determinate.
Senonché, la società appaltante non era riuscita ad osservare
gli impegni che erano stati presi, sicché il ritardo ed inadempien za di essa Anic non era dipeso dal suo comportamento, o dalla
sua negligenza, bensì dal mancato approntamento da parte del
l'appaltante di quanto necessario per la esecuzione dei lavori.
In data 2 gennaio 1975, intanto la F.i.r.s. italiana di assicura
zioni s.p.a. aveva emesso una polizza fideiussoria n. 573839 per lire 160.000.000 a favore della Cagnè e nell'interesse della Colav
s.p.a. La Cagnè, ora, pur essendo inadempiente, aveva richiesto alla
F.i.r.s. italiana il pagamento della cauzione di lire 160.000.000.
Tutto ciò premesso, la Colav chiedeva dichiararsi nulla, ineffi
cace, e priva di effetti, per motivi di forma e di merito, la
(1) In senso conforme, per l'estensione della competenza giurisdiziona le del giudice italiano nei confronti di convenuto straniero, né domiciliato né residente in Italia, in presenza di rapporto litisconsortile (nella specie petizione di eredità), Cass. 22 novembre 1984, n. 5984, Foro it., Rep. 1984, voce Giurisdizione civile, n. 23; 18 maggio 1960, n. 1257, id., Rep. 1960, voce Competenza civile, n. 39 (e in Giust. civ., 1960, I, 1794); App. Trieste 28 maggio 1955, Foro it., Rep. 1956, voce cit., n. 52, e in Giur. it., 1956, I, 2, 431.
Sul principio che la connessione tra domande quale criterio di collega mento per la giurisdizione italiana nei confronti dello straniero, ai sensi dell'art. 4, n. 3, c.p.c., deve identificarsi con la connessione idonea a
spostare la competenza, ai sensi degli art. 31 e 36 c.p.c., v. Cass. 3 no vembre 1981, n. 5774, Foro it., Rep. 1981, voce Giurisdizione civile, n.
34, e sez. un. 20 novembre 1976, n. 4358, id., 1977, I, 2311, con nota di richiami.
Nella sentenza in epigrafe è riportata quasi integralmente la motivazio ne di Cass. 18 maggio 1960, n. 1257, cit., laddove si evidenzia la non riferibilità della fattispecie al criterio di collegamento di cui all'art. 4, n. 3, c.p.c., per poi giungere ad affermare la competenza giurisdizionale del giudice italiano, sulla base di analogia di attrazione tra la connessione nel caso di cumulo soggettivo e quella, in realtà ancor più stretta, in caso di comunanza di lite ed inscindibilità del rapporto.
È la posizione seguita in dottrina da Attardi, Problema dei limiti del la giurisdizione italiana, in Commentario al codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, Utet, Torino, 1973, I, tomo I, 70 ss.; v. anche
Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Cedam, Padova, 1954, 125; Conforti, La connessione per oggetto e per titolo come criterio di giurisdizione, in Riv. dir. internaz., 1958, 262; Giuliano, La giurisdi zione civile italiana e lo straniero, Giuffrè, Milano, 1976, 86 ss.
In senso contrario, Andrioli, Commento, Jovene, Napoli, 1957, I3, 31, sul rilievo che il litisconsorzio necessario passivo è forma particolare della legittimazione, e pertanto non condizione per l'azione, ma per la trattazione di merito, alla quale è pregiudiziale l'accertamento della com
petenza giurisdizionale, che è una ed unica per tutti i soggetti. Ove non sussistente nei confronti di tutti i litisconsorti passivi del rapporto, il giu dice rigetta non per difetto di legittimazione, conclude l'a., ma per difet to di competenza giurisdizionale.
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