Sezioni unite civili; sentenza 7 luglio 1983, n. 4580; Pres. Gambogi, Est. Tondo, P.M. Fabi(concl. conf.); Ponzillo (Avv. Varvesi) c. Proc. gen. Corte conti e altri; Istituto naz. per ilfinanziamento della ricostruzione (Avv. M. Nigro, Simi) c. Proc. gen. Corte conti e altri. CassaCorte conti, sez. III, 9 aprile 1982, n. 49541Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 3 (MARZO 1984), pp. 787/788-789/790Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175875 .
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PARTE PRIMA
domino, nonché quella concernente il cortile dell'edificio, da destinarsi a parcheggio esterno delle autovetture, fossero precluse dalla proposizione della domanda di risoluzione del contratto.
Le censura sono fondate, nei limiti delle considerazioni che
seguono. In base alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, il
divieto posto dall'art. 1453, 2° comma, c.c., di chiedere l'adempi mento dopo che sia stata domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, essendo operante —
secondo l'effettiva ratio della disposizione in esame — solo nei
limiti in cui sussista l'interesse attuale del contraente che ha
chiesto la risoluzione, onde cessa quando tale interesse venga meno; con l'ulteriore conseguenza che le due domande {di risoluzione e di adempimento del contratto) possono essere pro poste anche nel medesimo giudizio, la seconda subordinatamente alla prima (sent. 12 novembre 1982, n. 6005, id., Rep. 1982, voce Contratto in genere, n. 246; 7 novembre 1978, n. 5083, id., Rep. 1978, voce cit„ n. 252; 18 luglio 1977, n. 3214, id., 1979, I, 497;
'24 maggio 1976, n. 1874, id., Rep. 1976, voce cit., n. 279). Erra,
pertanto, la corte del merito là dove sembra ritenere che tale
divieto non abbia limiti.
Non bisogna, tuttavia, confondere — come, invece, si fa dai
ricorrenti — l'azione di garanzia per i vizi della cosa venduta e
l'azione di adempimento o di esatto adempimento della vendita, le quali, invece, si distinguono per i presupposti e per gli effetti:
la garanzia, invero, si riferisce solo ai vizi che esistevano già
prima della conclusione del contratto, e la relativa azione abilita
normalmente il compratore a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, laddove ogni altro vizio
posteriore alla conclusione del contratto può dar luogo solo
all'esatto adempimento dell'obbligazione di consegnare, e rende
esperibile l'ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di a
dempimento, la quale prescinde dai termini di decadenza e di
prescrizione cui è invece soggetta l'azione di garanzia (sent. 15
luglio 1980, n. 4581, id., Rep. 1980, voce Vendita, n. 73; 9
ottobre 1979, n. 5237, id., 1980, I, 1712; 17 maggio 1974, n. 1438,
id., 'Rep. 1974, voce cit., n. 94).
Pertanto, nel caso in esame l'azione con la quale gli attuali ricorrenti avevano chiesto l'eliminazione dei vizi residui era
inammissibile, anche se per una ragione diversa da quella indica ta dalla corte del merito: cioè, non già perché l'art. 1453, 2°
comma, c.c. fa divieto di chiedere l'adempimento quando sia stata domandata la risoluzione del contratto, ma perché, qualora la
cosa venduta sia affetta da vizi, il compratore non può avvalersi, anche nel concorso della colpa del venditore, dell'azione di esatto
adempimento, alternativamente con le azioni derivanti dalla
garanzia di cui all'art. 1490 c.c., l'obbligazione principale del
venditore, secondo la previsione dell'art. 1476 c.c., non avendo
per oggetto, neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta (sent. 7 agosto 1979, n.
4565, id., Rep. 1979, voce cit., n. 43; 5 aprile 1976, n. 1194, id.,
Rep. 1976, voce cit., n. 70; 14 dicembre 1973, n. 3405, id., 1974, I, 2740).
Erano, invece, ammissibili sia la domanda relativa al po sto-macchina da assegnare ai singoli condomini sia quella concer nente il cortile dell'edificio, da destinarsi a parcheggio esterno delle autovetture, tendendo entrambe all'esatto adempimento del
l'obbligazione di consegnare e non potendo, pertanto, essere escluse dall'esperimento dell'azione di risoluzione ex art. 1492 c.c.
Resta da esaminare il terzo mezzo con il quale i ricorrenti, denunciando violazione degli art. 1490, 1492 e 1494 c.c. e 132, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., censurano
l'impugnata sentenza per non aver dato ingresso alla pretesa risarcitoria. Lamentano che la corte del merito abbia disapplicato il principio, affermato dalla giurisprudenza, secondo cui l'azione di risarcimento del danno è cumulabile sia con la domanda di risoluzione del contratto che con quella di riduzione del prezzo e
può essere esercitata anche da sola (a); abbia ritenuto vizi
redibitori solo quelli attinenti alla stabilità dell'edificio e non
abbia, invece, considerato se anche i vizi accertati o ancora
esistenti, pur non attenendo alla stabilità dell'edificio, potessero essere reputati tali da rendere inidonea la cosa all'uso cui era destinata o a diminuire in modo apprezzabile il valore (6); abbia ritenuto che in ordine a detti vizi, non eliminati dal venditore, gli
acquirenti (appellanti in secondo grado) avessero prestato acquie scenza alla sentenza del tribunale (e).
Anche tale censura è fondata, nei limiti delle considerazioni
che seguono. L'azione di risarcimento dei danni per vizi della cosa venduta,
concessa al compratore dall'art. 1494 c.c., va tenuta distinta dalle
azioni di garanzia di cui al precedente art. 1492 e, pur essendo
cumulabile sia con la domanda di risoluzione del contratto che
con quella di riduzione del prezzo, può essere esercitata anche da
sola (sent. 26 febbraio 1979, n. 1267, id., Rep. 1979, voce
Contratto in genere, n. 295), sul presupposto che sussistano tutti i
requisiti della garanzia per i vizi e che sussista, inoltre, la colpa del venditore, la quale, invece, esula dalla garanzia vera e
propria (sent. 14 marzo 1975, n. 987, id., Rep. 1977, voce
Vendita, n. 70). La corte del merito, di là da alcune contraddizioni verbali, non
ha disconosciuto, in astratto, tale principio. Ha reputato, però, che
esso non fosse applicabile al caso in esame per la ritenuta
mancanza di vizi redibitori (quelli accertati e ancora esistenti,
dopo la eliminazione dei vizi più gravi, non attenendo alla
stabilità dell'edificio) e, in ogni caso, per la ritenuta acquiescenza, in ordine a essi, alla sentenza del primo giudice.
Ma è agevole rilevare in contrario che, in tema di compraven
dita, si hanno vizi redibitori quando sussistono imperfezioni, concernenti il processo di produzione, di fabbricazione o di
formazione, che rendano la cosa inidonea all'uso cui è destinata o
ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore; che d'altra
parte gli attuali ricorrenti s'erano doluti in punto sul rilievo che
solo i vizi più gravi erano stati eliminati dal Gagliani; che,
pertanto, la corte del merito non si sarebbe dovuta arrestare di
fronte al rilievo che i vizi accertati e ancora esistenti non
attenevano alla stabilità dell'edificio, ma avrebbe dovuto indagare su di essi, se cioè fossero di tale natura e gravità da rendere la
cosa inidonea all'uso cui era destinata o da diminuirne in modo
apprezzabile il valore. Una siffatta indagine, però, è mancata del
tutto.
Inoltre, è vero che — come superiormente accennato in ordine
alla domanda di eliminazione dei vizi residui — qualora la cosa
sia affetta da vizi, il compratore non può avvalersi, anche nel
concorso della colpa del venditore, dell'azione di esatto adempi
mento, alternativamente con le azioni di garanzia. Tuttavia,
l'esperimento in termini di decadenza e di prescrizione di cui
all'art. 1495 c.c., di un simile rimedio, non previsto (in astratto) dalla legge, non rende improponibile, per ciò solo, la congiunta domanda di risarcimento dei danni derivati dai vizi della cosa
(sent. 14 dicembre 1973, n. 3405, cit.). Per le supposte considerazioni, il primo mezzo va rigettato e
tutti gli altri vanno accolti per quanto di ragione. L'impugnata sentenza deve essere cassata nei limiti delle censure accolte, e la
causa rinviata ad altra corte d'appello, che si designa in quella di Catania. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 7
luglio 1983, n. 4580; Pres. Gambogi, Est. Tondo, P.M. Fabi
(conci, conf.); Ponzillo (Aw. Varvesi) c. Proc. gen. Corte conti
e altri; Istituto naz. per il finanziamento della ricostruzione
(Avv. M. Nigro, Simi) c. Proc. gen. Corte conti e altri. Cassa
Corte conti, sez. Ili, 9 aprile 1982, n. 49541.
Pensione — Controversie — Giurisdizione della Corte dei conti — Atti relativi al rapporto di impiego — Cognizione incidenta
le — Esclusione (R.d. 12 luglio 1934 n. 1214, t.u. delle leggi sulla Corte dei conti, art. 62).
Esula dalla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, anche in
via incidentale, la questione relativa alla legittimità degli atti
amministrativi relativi al rapporto di impiego, anche con enti
pubblici economici. (1)
Svolgimento del processo. —Con decisione n. 49541 del 9 aprile 1982 la III sezione giurisdizionale ordinaria della Corte dei conti,
pronunciando sul ricorso proposto dal procuratore generale della
stessa corte avverso il decreto n. 1430 dell'I 1 febbraio 1978 —
con il quale il primo dirigente preposto alla cassa per le pensioni dei dipendenti degli enti locali della direzione generale degli istituti di previdenza aveva provveduto al conferimento del trat
tamento di quiescenza in favore del dott. Giuseppe Ponzillo, già direttore generale dell'Istituto nazionale finanziamento ricostruzio
ne (I.njf.i.r.) — accoglieva il ricorso e annullava l'anzidetto
provvedimento; rinviando gli atti all'amministrazione per la de
terminazione del nuovo trattamente pensionistico. Riteneva in particolare la Corte dei conti ohe, non avendo
(1) La Cassazione conferma, con specifico riferimento all'ipotesi di
già dipendente di ente pubblico economico, la soluzione raggiunta dalle sezioni unite nella sentenza 15 novembre 1982, n. 6084, Foro it., 1983, I, 359, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ri.njf.i.r. sottoposto ad approvazione ministeriale, ai sensi degli art. 10 e 11 d.Lcp.s. 5 agosto 1947 n. 788, le deliberazioni con le
quali era stata decisa l'applicazione al personale dei contratti collettivi di lavoro dei bancari (non direttamente applicabili per la natura dell'ente datore di lavoro) al dott. Ponzillo era stato
corrisposto un trattamento cui non aveva diritto e che, conse
guentemente non poteva costituire, a norma dell'art. 15 1. 5 dicembre 1959 n. 1077, la base per la liquidazione del trattamen to di quiescenza, per determinare il quale occorreva attendere che l'I.n.f.i.r. provvedesse a disciplinare secondo la legge il trattamen to economico del proprio personale.
Con separati ricorsi, iscritti ai nn. 6025 e 6200 r.g. 1982, il dott. Ponzillo e l'I.n.f.i.r. hanno impugnato la decisione per difetto di giurisdizione. Gli intimati non si sono costituiti. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Il ricorso del dott. Ponzillo si ar ticola nei seguenti quattro mezzi:
I. - difetto di giurisdizione, perchè la giurisdizione della Corte dei conti è, ai sensi degli art. 62 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 e 60 r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680, limitata alle questioni attinenti alla
pensione ed alla misura di questa, mentre, nella specie, la stessa
corte, esorbitando da tali limiti, ha dichiarato l'illegittimità del trattamento economico goduto dal ricorrente in attività di servizio ed ha inammissibilmente disposto che l'I.n.f.i.r. determini un diverso trattamento di attività;
II. - difetto di giurisdizione, perchè l'art. 15 1. 5 dicembre 1959 n. 1077 non ha esteso il controllo giurisdizionale della Corte dei conti alla legittimità delle retribuzioni in concreto corrisposte, derogando al principio del precedente art. 12, 2° comma, secondo il quale la retribuzione annua contributiva si determina prenden do a base il trattamento economico goduto all'inizio di ciascun
anno, ma si è limitato ad integrare gli elementi considerati nell'art. 12, 3° comma, 1. 11 aprile 1955 n. 379, con il concetto di « parte fondamentale della retribuzione come remunerazione per la normale attività lavorativa »;
III. - difetto di giurisdizione, sotto l'ulteriore profilo che esulava dalla giurisdizione della Corte dei conti di dichiarare la
illegittimità della deliberazione con la quale l'I.ni.i.r. aveva deciso di applicare al proprio personale il trattamento economi co previsto dai contratti collettivi di lavoro per il personale delle aziende di credito, posto che l'art. 11 d.l.c.p.s. 5 agosto 1947 n. 778 non vincola gli enti pubblici economici;
IV. - difetto di giurisdizione, in quanto il potere di disapplica re, ex art. 4 e 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, gli atti
amministrativi illegittimi spetta all'a.g.o. e non anche alla Corte dei conti.
Il ricorso dell'I .n.f.i.r. è invece affidato ad unico, complesso motivo di annullamento, con il quale si sostiene che esula dalla
giurisdizione della Corte dei conti il sindacato di legittimità sugli atti che regolano il rapporto di servizio; ohe fuori luogo è stato invocato il potere di disapplicazione di tali atti (potere del resto non attribuito a giudici diversi da quello ordinario), perchè il
relativo problema può sorgere solo quando la situazione giuridica oggetto del giudizio abbia in tali atti la propria fonte ed i propri limiti, mentre la fonte del diritto alla pensione (oggetto del
presente giudizio) è nel rapporto di impiego, quale concretamente attuatosi anche per effetto degli atti dell'ente datore di lavoro; che a maggior ragione un problema di disapplicazione non è
configurabile quando, come nella specie, si verta in tema di
pensione connessa a rapporti di impiego con enti pubblici econo
mici, dal momento che gli atti riguardanti tali rapporti non sono atti amministrativi, ma negoziali; che, infine, la Corte dei conti ha nella specie travalicato il limite da essa stessa posto, in
precedenza, alla propria cognizione incidentale di atti amministra
tivi concernenti il rapporto di impiego, quello cioè della esistenza di una situazione giuridica definitiva per giudicato, perché ha
negato una siffatta rilevanza alla sentenza del Tribunale di
Roma del 24 aprile 1979, passata in giudicato, che aveva ricono
sciuto al Ponzillo il trattamento economico previsto dai contratti
collettivi del isettore bancario.
Tutto ciò premesso, si deve in primo luogo disporre la riunione
dei ricorsi, in quanto proposti contro la stessa decisione. I motivi dei due ricorsi — ohe possono essere congiuntamente
esaminati, in ragione della loro sostanziale identità e connessione — sono per quanto di ragione fondati.
Con sentenza 15 novembre 1982, n. 6084 (Foro it., 1983, I,
359) questa corte ha già ritenuto che, se è esatto che in relazione
al potere di risolvere incidenter tantum le questioni pregiudiziali,
spettante in via di principio ad ogni giudice, non sorgono problemi di competenza o di giurisdizione, parimenti certo è ohe quando la
controversia sull'antecendente logico non costituisce mera que stione pregiudiziale ma sia invece una causa pregiudiziale, che
debba essere decisa principaliter da altro giudice, non soccorre
ipiu la competenza incidentale e riprendono vigore le ordinarie
regole sul riparto della competenza e della giurisdizione.
Ciò posto, la predetta pronuncia ha statuito che è appunto questione di giurisdizione stabilire se la Corte dei conti, nell'eser cizio della giurisdizione esclusiva in materia di pensioni, abbia o meno il potere di sindacare in via incidentale per escluderne l'efficacia ai fini pensionistici la legittimità degli atti amministrati vi che, sebbene rilevanti ai fini dell'art e del quantum della
ipensione, attengono direttamente al rapporto di attività e danno
perciò luogo a controversie devolute, trattandosi di rapporto di
pubblico impiego, alla giurisdizione del giudice amministrativo; e
che siffatta questione deve essere risolta in senso negativo, nel
senso, cioè, che la Corte dei conti ha il potere di giudicare di
ogni questione che investa il diritto, la misura e la decorrenza della pensione e degli altri assegni che ne costituiscono parte integrante, ma non può conoscere, neppure in via incidentale (il che esclude « in radice » la possibilità di far ricorso all'istituto della disapplicazione) degli atti amministrativi relativi al rapporto di impiego negli aspetti di attività di servizio, inerenti allo status
dell'impiegato, diventati definitivi per mancata impugnativa da vanti al giudice amministrativo competente per tale rapporto.
Questi principi, enunciati con riferimento al rapporto di pub blico impiego, devono essere ribaditi, e confermati anche relati vamente ai rapporti di lavoro subordinati con enti pubblici economici, rapporti che hanno natura privatistica e sono come tali devoluti alla giurisdizione del giudice ordinario.
Rispetto a tali rapporti, che hanno fonte diretta in un contratto di diritto privato, i regolamenti organici adottati dall'ente per la
disciplina giuridica ed economica del personale, pur se recepiti (iper adesione) nel contenuto negoziale, hanno, di per se stessi
una rilevanza soltanto indiretta e mediata, sicché una loro even tuale illegittimità od inefficacia in tanto può incidere sui singoli, concreti rapporti, in quanto ne determini la invalidità, anche
parziale o di singole clausole. Ne deriva che la Corte dei conti nell'esercizio della giurisdizione esclusiva in materia di pensioni tanto meno può conoscere in via incidentale della legittimità o dell'efficacia degli anzidetti regolamenti organici, perchè non po trebbe a ciò limitare il proprio compito, ma dovrebbe, al fine di escludere la pensionabilità della retribuzione regolamentare, in
concreto applicata, farne derivare, come conseguenza ulteriore, la invalidità (parziale) del contratto individuale di lavoro ohe ai detti regolamenti si è uniformato. Il che, manifestamente, eviden zia la sussistenza di una « causa pregiudiziale » devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario, con la conseguenza che, se la validità del singolo contratto di lavoro sia incontroversa ed addirittura incontrovertibile (come nella specie per esistenza di un giudicato tra le parti del rapporto), la Corte dei conti dovrà
acquietarsi alla definitività di una siffatta situazione.
In contrario non è sostenibile che la cognizione incidentale della Corte dei conti sarebbe giustificata dalle esigenze proprie del rapporto pensionistico, separato e diverso dal rapporto di
impiego: come è stato già rilevato (v. sent. n. 6084/82, cit.) non è infatti ammissibile che la posizione giuridica dell'impiegato, anche relativamente al solo trattamento economico, possa essere consi derata legittima nell'ambito del rapporto di impiego ed illegittima, invece, nell'ambito di quello pensionistico, dal momento che
questo si costituisce sulla base del primo e presuppone la medesima posizione giuridica, costituendo lo status dell'impiegato medesimo.
Del pari inconsistente è l'argomento che la decisione impugnata sembra aver tratto dall'art. 15 1. 5 dicembre 1959 n. 1077, che stabilisce che la retribuzione contributiva (e, quindi, pensionabile) è costituita dalla retribuzione corrisposta dagli enti ai propri dipendenti ai sensi delle disposizioni legislative o regolamentari ovvero dai contratti collettivi di lavoro. Nella specie è infatti indubbio che la retribuzione è stata corrisposta al Ponzillo in conformità degli adottati regolamenti (che tali la stessa decisione
impugnata ha qualificato le deliberazioni estensive della contrat tazione collettiva dei bancari) e che su di essa la C.p.d.e.p ha
ricevuto, senza contestazione alcuna, la contribuzione; mentre
l'accertare se ciò sia avvenuto legittimamente o meno, implica soluzione della questione della inefficacia dei detti regolamenti per mancata approvazione ministeriale e della conseguente invali dità delle clausole contrattuali applicative; questione, questa, appunto preclusa all'esame incidentale della Corte dei conti.
Per le suesposte assorbenti ragioni la decisione impugnata ha
dunque esorbitato dai limiti della competenza giurisdizionale e deve essere cassata con rinvio alla stessa Corte dei conti affinché riesamini la controversia alla stregua del principio sopra enuncia to. (Omissis)
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