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sezioni unite civili; sentenza 8 ottobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M. Lo Cascio...

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sezioni unite civili; sentenza 8 ottobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M. Lo Cascio (concl. conf.); Comune di San Pier Niceto (Avv. Briguglio) c. Savoja e altri (Avv. Siracusa). Dichiara ammissibile il ricorso e lo rimette alla sezione semplice Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 123/124-135/136 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195309 . Accessed: 24/06/2014 20:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 20:10:25 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 8 ottobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M. LoCascio (concl. conf.); Comune di San Pier Niceto (Avv. Briguglio) c. Savoja e altri (Avv.Siracusa). Dichiara ammissibile il ricorso e lo rimette alla sezione sempliceSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 123/124-135/136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195309 .

Accessed: 24/06/2014 20:10

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PARTE PRIMA

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 ot

tobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M.

Lo Cascio (conci, conf.); Comune di San Pier Niceto (Avv.

Briguglio) c. Savoja e altri (Aw. Siracusa). Dichiara am

missibile il ricorso e lo rimette alla sezione semplice.

Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Cumulo di

domande — Decisione parziale — Separazione e pronuncia sulle spese — Omissione — Sentenza non definitiva — Fatti

specie (Cod. proc. civ., art. 91, 277, 278, 279, 340, 361).

In caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, deve consi

derarsi non definitiva, quindi suscettibile di riserva di impu gnazione, la sentenza che decide solo alcune di dette doman

de, con prosecuzione del procedimento per le altre, senza di

sporre la separazione e senza provvedere sulle spese in ordine

alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone la liqui dazione all'ulteriore corso del giudizio (nella specie, è stata

ritenuta non definitiva la sentenza con cui la pubblica ammi

nistrazione veniva condannata al risarcimento dei danni per

occupazione illegittima di terreni, quindi, accolta l'opposizio ne alla stima in relazione all'espropriazione sopravvenuta, ve

niva riservata al definitivo la pronuncia sulle spese, disponen do con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la determinazione delle indennità di espropriazione e di occu

pazione). (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 ot tobre 1999, n. 711/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M.

Lo Cascio (conci, conf.); Fall. soc. Scavi e movimenti (Avv.

Vinciguerra) c. Armenio e altri (Avv. Diana, Paone). Cas

sa App. Roma 16 maggio 1994.

Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Cumulo di

domande — Decisione parziale — Separazione e pronuncia sulle spese — Omissione — Sentenza non definitiva — Fatti

specie (Cod. proc. civ., art. 91, 277, 278, 279, 340, 361).

In caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, deve consi

derarsi non definitiva, quindi suscettibile di riserva di impu gnazione, la sentenza che decide solo alcune di dette doman

de, con prosecuzione del procedimento per le altre, senza di

sporre la separazione e senza provvedere sulle spese in ordine

alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone la liqui dazione all'ulteriore corso del giudizio (nella specie, è stata

ritenuta non definitiva la sentenza sostitutiva del contratto

definitivo non concluso con condanna del promittente vendi

tore al pagamento della penale pattuita per il ritardo, essendo

stata riservata al definitivo la pronuncia sulle spese e disposta con separata ordinanza la prosecuzione del procedimento per la domanda di risarcimento per vizi dell'immobile). (2)

(1-2) I. - Le sezioni unite tornano (con due sentenze identiche meno che per la fattispecie: la parte omessa della seconda è identica a quella di cui ai par. 5, 6 e 7 della prima) sulla controversa questione della distinzione tra sentenze definitive e non definitive per ribadire l'orienta mento «formalista» accolto da Cass., sez. un., 1° marzo 1990, n. 1577, Foro it., 1990, I, 836, ma successivamente abbandonato da altre pro nunce delle sezioni semplici (v. Cass. 19 ottobre 1998, n. 10328, id., Rep. 1998, voce Sentenza civile, n. 78; 19 agosto 1998, n. 8207, ibid., voce Appello civile, n. 18; 7 settembre 1995, n. 9448, id., Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 92; 20 maggio 1993, n. 5703, id., 1994, I, 829, e 12 giugno 1992, n. 7225, id., 1993, I, 480, con nota di Cea, Sentenze

definitive e non definitive: una «querelle» interminabile). Il problema è sorto a seguito della novella del 1950 che, pur lascian

do immutato l'art. 277 c.p.c., ha modificato il testo degli art. 103, 104, 279, 340 e 361 c.p.c. ed ha previsto la possibilità di scelta fra

impugnazione immediata e impugnazione differita tramite riserva per le sentenze non definitive, con ciò dando luogo ad un difetto di coordi namento tra le suddette norme.

Il 1° comma dell'art. 277 enuncia il principio generale del nostro ordinamento dell'unicità della decisione, secondo cui il giudice, una volta investito di tutta la causa, deve decidere totalmente il merito. Il 2° comma della medesima norma prevede un'eccezione a tale principio, che è in fatti da considerarsi tendenziale e non assoluto, laddove ammette che

Il Foro Italiano — 2000.

I

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 28 dicem

bre 1984, Olga Savoja, Rosa Maria Savoja ed Antonino Savoja

esponevano che il comune di San Pier Niceto aveva occupato alcuni terreni edificabili di proprietà di Rosa Ilacqua, per la realizzazione di tre opere pubbliche, e precisamente per la co

struzione di una scuola materna, per la realizzazione della stra

da di accesso a detta scuola e per l'ampliamento di strade co

il giudice possa decidere solo alcune delle più domande cumulate, se ritiene che per esse non sia necessaria un'ulteriore istruzione e se vi è un interesse apprezzabile della parte che ha fatto istanza.

La controversia interpretativa in esame riguarda appunto quest'ulti ma disposizione, non avendo il legislatore del 1950 chiarito se le pro nunce su alcune delle più domande cumulate di cui all'art. 277, 2° com

ma, siano da considerare sempre definitive e quindi da ricollegare al l'art. 279, 2° comma, n. 5, oppure se siano da considerare sentenze non definitive e quindi da ricollegare all'art. 279, 2° comma, n. 4.

L'art. 279, 2° comma, n. 5, infatti, regola l'ipotesi delle sentenze definitive su alcune delle più cause riunite con contemporaneo provve dimento di separazione e proseguimento dell'istruzione per le altre cau

se, sentenze che potranno essere impugnate solo in via immediata; men tre il n. 4 della stessa norma regola l'ipotesi delle sentenze non definiti ve che, senza definire il giudizio, decidono alcune delle questioni di cui ai nn. 1, 2 e 3 (questioni di giurisdizione o di competenza, questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, altre questioni di merito). Queste ultime sentenze, proprio in quanto non definitive, sono suscetti bili non solo di impugnazione immediata, ma anche, a scelta della parte soccombente, di impugnazione differita tramite la riserva prevista dagli art. 340 e 361, dando così luogo alla restaurazione dell'unità del giudi zio in sede di impugnazione.

Nessun dubbio sorge sulla natura non definitiva delle sentenze su

questioni di giurisdizione o di competenza (art. 279, 2° comma, n. 1) e su altre questioni pregiudiziali di rito o su questioni preliminari di

merito (art. 279, 2° comma, n. 2), intendendo con queste ultime le

questioni relative a meri fatti impeditivi, estintivi o modificativi dell'ef fetto del fatto costitutivo dedotto dall'attore, cioè quelle questioni che derivano solo dall'esercizio del potere di eccezione.

Problemi invece sorgono nell'interpretazione del rinvio al n. 3 dello stesso art. 279 che si riferisce alla definizione del giudizio con decisione totale del merito e che, quindi, nell'ambito delle sentenze non definitive di cui al n. 4, sembra far riferimento a quelle questioni di merito che

possono costituire oggetto di autonomo giudizio (v. Cocchi, in margi ne a Cass. 21 dicembre 1984, n. 6659, id., 1985, I, 1743). Ci si chiede, cioè, se tale rinvio vada inteso nel senso di comprendere tra le sentenze non definitive anche le sentenze su domande, con conseguente ricondu zione dell'art. 277, 2° comma, al suddetto n. 4 dell'art. 279, o se invece le sentenze su domande debbano essere sempre considerate definitive riconducendo così l'art. 277, 2° comma, al n. 5 dell'art. 279.

L'opzione per l'una o l'altra soluzione non ha una rilevanza pretta mente teorica, in quanto incide direttamente sull'esercizio del diritto di impugnazione: solo le sentenze non definitive sono suscettibili di im

pugnazione differita tramite l'istituto della riserva, mentre quelle defi nitive dovranno essere impugnate in via immediata, pena la perdita del diritto di impugnazione per decorrenza dei termini.

Si deve a questo punto precisare che il problema in esame riguarda solo il cumulo di domande tra gli stessi soggetti, perché nel caso di cumulo di domande fra soggetti diversi si avranno sempre sentenze de

finitive, a meno che non si versi in un'ipotesi di «litisconsorzio unita rio» cioè di più azioni connesse per identità di petitum e di causa peten di e come tali inseparabili (v. Cocchi, op. cit., 1745, a cui si rinvia

per i richiami della dottrina relativa all'istituto del «litisconsorzio

unitario»). II. - Due sono gli orientamenti che si sono prospettati sull'argomen

to: da una parte l'orientamento «sostanzialista» secondo cui la definiti vità della sentenza va desunta esclusivamente dal suo contenuto, per cui è definitiva la sentenza che, attribuendo o negando il bene in conte

stazione, decide una delle più domande cumulate in modo autonomo ed esaustivo, mentre non ha rilevanza l'esistenza o meno di un provve dimento di separazione o di una pronuncia sulle spese; dall'altra parte l'orientamento «formalista» secondo cui la definitività si desume esclu sivamente dal dato formale dell'esistenza o meno di un provvedimento di separazione, a prescindere dal contenuto della sentenza. Secondo la tesi «sostanzialista», quindi, l'art. 277, 2° comma, va ricondotto al n. 5 dell'art. 279 in quanto le sentenze su domande possono essere solo

definitive; mentre per la tesi «formalista» l'art. 277, 2° comma, va ri condotto al n. 4 della medesima norma in quanto il termine «questioni» ivi previsto va inteso in senso non letterale ma sistematico, comprensivo anche di «domande» e quindi si deve ammettere l'esistenza di sentenze non definitive su domande.

Come abbiamo già rilevato, l'accoglimento della tesi «formalista» da

parte di Cass., sez. un., 1577/90 cit., non ha posto fine ai contrasti

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

munali; deducevano che le opere erano state realizzate senza

che i relativi procedimenti espropriativi fossero stati conclusi, con conseguente illegittima ed irreversibile occupazione dei ter

reni; convenivano il comune davanti al Tribunale di Messina

chiedendo, quali eredi della Ilacqua, la condanna dell'ente al

risarcimento dei danni.

Il comune resisteva, sostenendo di aver completato le proce dure espropriative; in subordine contestava la natura edificato

ria dei terreni; in corso di lite eccepiva la prescrizione del diritto

giurisprudenziali sull'argomento, alimentati nuovamente da successive

pronunce delle sezioni semplici. Per l'orientamento «sostanzialista», v. la giurisprudenza già citata sopra, cioè Cass. 10328/98, 8207/98, 9448/95, 5703/93 e 7225/92; per l'orientamento «formalista» v., invece, Cass. 13 gennaio 1998, n. 209, id., Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 66, e 15 febbraio 1997, n. 1417, id., 1997, I, 2147, con nota di E. Fabiani, Sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive, a cui si rinvia

per i richiami di giurisprudenza e dottrina. Con le pronunce in epigrafe le sezioni unite confermano la soluzione

«formalista» accolta da Cass., sez. un., 1577/90, rilevando, in partico lare, che l'opposto orientamento pregiudica gravemente le esigenze di tutela della parte soccombente non offrendo un criterio certo ed univo co per distinguere tra sentenze definitive e non definitive e mettendo così in pericolo il suo diritto di impugnazione. Se infatti la parte soc combente propone riserva di impugnazione nei confronti di una senten za ritenuta non definitiva, rischia di farsi respingere la suddetta impu gnazione in quanto inammissibile, qualora il giudice dell'impugnazione qualifichi la medesima sentenza come definitiva, con conseguente perdi ta del diritto di impugnazione per decorrenza dei termini. Ciò spingerà la parte soccombente a proporre sempre impugnazione immediata, pre giudicando così il principio tendenziale dell'unità della decisione che il legislatore del 1950 ha voluto salvaguardare prevedendo la facoltà di scelta tra impugnazione immediata e differita.

In questo senso si è anche pronunciata una notevole parte della dot

trina, che ha sottolineato l'importanza di un criterio di distinzione certo ed univoco che tuteli adeguatamente il soccombente: v., in particolare, Cea, Sentenze definitive e non definitive: una «querelle» interminabile, cit., 483: Id., Pluralità di domande e sentenze non definitive, id., 1987, I, 145; Sassani, in Giur. it., 1991, I, 1, 841 ss.; Rota, in Nuova giur. civ., 1990,1, 780; Carbone, Definitività e non definitività della senten

za, in Corriere giur., 1990, 705, e Fabiani, Sulla distinzione tra senten ze definitive e non definitive, cit., 2153. Sempre a favore della tesi «for

malista», v. anche Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, 1997, II, 267 ss.; Montesano, Cumulo di domande e sentenze non definitive, in Giust. civ., 1985, I, 3132 ss.; Id., Ancora su cumulo di domande e sentenze non definitive, id., 1986, I, 2371, e Cerino Canova, Sul contenuto delle sentenze non definitive di merito, in Riv. dir. proc., 1971, 426.

A favore della tesi sostanzialista, v. Denti, Ancora sull'efficacia del la decisione di questioni preliminari di merito, id., 1970, 560 ss.; Sat

ta, Commentario, 1966, II, 1, 320 e 2, 106, e Andrioli, Commentario, 1960, II, 246 s.

Contrario a entrambi gli orientamenti è invece Costantino (Ancora sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive riservatili, in Foro it., 1993, I, 2469 ss.), secondo cui dal dato normativo degli art.

277, 2° comma, e 279, 2° comma, n. 5, si ricava che si ha sentenza non definitiva «allorché, in sede di decisione, il giudice valuti come

apprezzabile l'interesse di almeno una delle parti che abbia espressa mente richiesto la decisione di alcune delle più domande proposte» e si ha invece sentenza definitiva «allorché tutte le parti abbiano richiesto la separazione o il giudice, d'ufficio, ritenga che la trattazione congiun ta sia nociva alla economia processuale» (Id., op. cit., 2472), non ba sandosi così la distinzione, né sul dato formale dell'esistenza o meno di un provvedimento di separazione, né sul dato contenutistico del tipo di rapporto esistente tra le diverse domande cumulate, ma piuttosto sulla ratio stessa del frazionamento della decisione nelle due diverse

ipotesi, ossia la tutela dell'interesse di una parte nel caso di sentenze non definitive e l'esigenza di economia processuale nel caso di sentenze definitive.

III. - In un obiter dictum le pronunce riportate affrontano l'ulteriore

questione delle caratteristiche che deve avere il provvedimento di sepa razione, questione già ampiamente discussa dalla precedente giurispru denza appartenente all'orientamento «formalista».

In particolare, le sezioni unite, ribadendo quanto già sostenuto in

Cass. 1577/90, cit., affermano che il provvedimento di separazione de ve essere espresso, ma che a tal fine può considerarsi sufficiente anche

una mera pronuncia sulle spese, ciò in conformità all'indirizzo giuri

sprudenziale secondo cui il provvedimento di separazione, pur dovendo

essere espresso, non necessita di forme sacramentali. Non viene invece

accolta la diversa tesi della separazione implicita, tesi che sfocia in pra tica nell'orientamento sostanzialista nel momento in cui desume l'esi

stenza o meno di un provvedimento di separazione dal contenuto della

decisione (per la giurisprudenza a favore dell'uno o dell'altro indirizzo,

Il Foro Italiano — 2000.

al risarcimento del danno relativo all'occupazione dell'area de

stinata alla realizzazione della strada di accesso alla scuola.

Il tribunale, con sentenza del 13 gennaio 1990, accoglieva la

sola domanda di risarcimento del danno per il periodo di occu

pazione illegittima dell'area destinata alla costruzione della scuola

e per la perdita degli spezzoni di terreno divenuti inutilizzabili

in seguito alla realizzazione dell'opera suddetta; riteneva con

vertite in opposizioni alla stima le domande di risarcimento da

irreversibile trasformazione delle aree destinate alla realizzazio

ne delle tre opere pubbliche e dichiarava la propria incompeten za a decidere su di esse, trattandosi di materia riservata alla

cognizione della corte d'appello. I Savoja proponevano appello. Il comune resisteva e, in via

incidentale, impugnava il capo relativo alla conversione in op

posizione alla stima delle domande di risarcimento.

La Corte d'appello di Messina, con sentenza del 16 marzo

1993, pronunciava come segue: a) confermava la pronuncia ri

sarcitoria adottata dal tribunale; b) dichiarava ammissibile ed

accoglieva l'opposizione alla stima in relazione alla espropria zione (sopravvenuta) dell'area occupata per la costruzione della

scuola e dell'area occupata per l'ampliamento di strade comu

nali, delle quali riconosceva la natura edificatoria, disponendo, con separata ordinanza, un supplemento di consulenza tecnica

per la determinazione delle relative indennità secondo i criteri

di cui all'art. 5 bis 1. n. 359 del 1992; c) dichiarava che l'area

occupata per la realizzazione della strada di accesso alla scuola

era stata oggetto di occupazione appropriativa e, disattesa l'ec

cezione di prescrizione, per non essere decorso il termine decen

nale ritenuto nella specie applicabile, condannava il comune al

pagamento del valore venale del bene ed al pagamento dell'in

dennità per il periodo di occupazione legittima; d) riservava al

definitivo la statuizione sulle spese. Con sentenza definitiva del 13 maggio 1996 la corte d'appello

determinava l'indennità di espropriazione e l'indennità di occu

pazione relativamente alle aree espropriate per la costruzione

della scuola e per l'ampliamento delle strade comunali.

Avverso entrambe le suindicate sentenze, in virtù di riserva

di impugnazione differita formulata in relazione alla prima, ha

proposto ricorso per cassazione il comune, sulla base di cinque motivi. Hanno resistito, con controricorso, i Savoja, che hanno

cfr. Fabiani, Sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive, cit., 2152).

La dottrina più recente, pur ammettendo che la statuizione sulle spe se contenga di per sé un provvedimento di separazione, ha ritenuto di aderire alla tesi della separazione espressa, proprio in considerazione del fatto che la separazione implicita finisce per dar luogo alla stessa incertezza ed equivocità proprie dell'orientamento «sostanzialista» (in questo senso, Fabiani, op. loc. cit.; Cea, Sentenze definitive e non de

finitive: una «querelle» interminabile, cit., 484; Id., Pluralità di do mande e sentenze non definitive, cit., 152, e, meno recentemente, Ceri no Canova, Sul contenuto delle sentenze non definitive di merito, cit., 421 ss.).

Da quanto sopra deriva che la pronuncia sulle spese è di per sé suffi ciente ad attribuire natura definitiva alla sentenza, a meno che la stessa sentenza non sia chiaramente non definitiva, ad esempio perché qualifi cata tale dallo stesso giudice che l'ha emessa. In questo caso, secondo Cea (Sentenze definitive e non definitive: una «querelle» interminabile, cit., 485) si deve negare l'esistenza di un provvedimento di separazione e la pronuncia sulle spese va considerata frutto di un errore perché emessa fuori dall'ipotesi prevista dall'art. 91.

Ma cosa avviene se il giudice dispone la separazione senza provvedere sulle spese?

Se si accoglie l'orientamento «formalista», in quanto idoneo ad of frire un criterio di distinzione certo tra sentenze definitive e non defini tive e, conseguentemente, tale da garantire al soccombente l'effettivo esercizio del diritto di impugnazione, si deve ritenere che l'esistenza di un esplicito provvedimento di separazione è sufficiente a qualificare come definitiva la sentenza su alcune di più domande cumulate, mentre la mancanza di una pronuncia sulle spese costituisce un'ipotesi di viola zione dell'art. 91 da far vedere necessariamente in sede di impugnazione.

Con riferimento all'impugnazione come unico rimedio contro l'omis sione della pronuncia sulle spese, v. Grasso, Della responsabilità delle

parti, in Commentario al codice di procedura civile a cura di Allorio, 1973, 998, e, con specifico riferimento al problema della distinzione

tra sentenze definitive e non definitive, Proto Pisani, Dell'esercizio del

l'azione, ibid., 1134, il quale ultimo però sostiene l'orientamento «so stanzialista» e considera la diversa ipotesi in cui il giudice decida defini tivamente su una domanda senza disporre la separazione né provvedere sulle spese. (A. Fortini]

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PARTE PRIMA

a loro volta proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, avverso la sentenza definitiva.

Con ordinanza del 12 maggio 1998, la prima sezione civile

della Corte di cassazione, alla quale i ricorsi erano stati asse

gnati, rilevato che con il controricorso era stata eccepita l'inam

missibilità, per decorso del termine, del ricorso avverso la sen

tenza del 16 marzo 1993, in ragione della sua natura di sentenza

definitiva, in relazione alla quale risultava inefficace la riserva

di impugnazione differita, e che in punto di qualificazione della sentenza come definitiva o non definitiva, ai fini della riserva

di impugnazione differita, sussiste contrasto nella giurispruden za della Suprema corte, in quanto al criterio c.d. formale, ac

colto dalle sezioni unite con la sentenza 1577/90 (Foro it., 1990,

I, 836), si contrappone il criterio c.d. sostanziale, accolto da

successive decisioni (sent. 7225/92, id., 1993, I, 480; 5703/93, id., 1994, I, 829), ha disposto la trasmissione degli atti, per l'eventuale rimessione della questione alle sezioni unite, al pri mo presidente, che in tal senso ha provveduto.

Motivi della decisione. — 1. -1 due ricorsi, proposti avverso

le medesime sentenze, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.). (Omissis) 3. - Deducono i controricorrenti che la sentenza emessa dalla

corte d'appello il 16 marzo 1993 deve considerarsi sentenza de

finitiva: a) in relazione alla statuizione concernente l'occupazio ne appropriativa dell'area sulla quale è stata realizzata la strada

di accesso alla scuola e le conseguenti condanne; b) in relazione

all'accoglimento delle opposizioni alla stima concernenti le espro

priazioni delle aree sulle quali è stata costruita la scuola e sono

state ampliate alcune strade comunali; c) in relazione alla quali ficazione delle aree espropriate come terreni edificabili.

Sostengono infatti che si tratta di pronunce che, per il loro

contenuto, non hanno carattere di strumentalità rispetto alle ul

teriori decisioni, e che pertanto, alla stregua del criterio sostan

ziale accolto da varie pronunce della Suprema corte, vanno con

siderate definitive, con la conseguenza che non potevano costi

tuire oggetto di efficace riserva di impugnazione differita.

4. - L'eccezione di inammissibilità del ricorso principale —

in ragione della intervenuta decadenza del diritto di impugna zione per decorso del termine, stante l'inefficacia della riserva

di impugnazione differita avverso la sentenza del 16 marzo 1993,

da qualificarsi come sentenza definitiva — non è fondata.

Il criterio sostanziale, che privilegia, ai fini della qualificazio ne della sentenza come definitiva o non definitiva agli effetti

dell'ammissibilità della riserva di impugnazione differita, la va

lutazione del contenuto della pronuncia, non può essere accol

to. Queste sezioni unite della Suprema corte, con la sentenza

1577/90, cit., lo hanno infatti disatteso ed hanno accolto il con

trapposto criterio formale, affermando che è da considerarsi

non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differi

ta ai sensi degli art. 340 e 361 c.p.c., la sentenza con la quale, in ipotesi di più domande cumulate tra gli stessi soggetti, il giu dice decide una o più delle domande proposte, con prosecuzio ne del procedimento per le altre senza disporre la separazione ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5, c.p.c. e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda o alle domande decise, ma

rinviandone la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. E tale orientamento, posto in discussione da alcune pronunce

successive (ed in particolare dalla sentenza 7225/92, e dalla sen

tenza 5703/93, cit.), queste sezioni unite ritengono di conferma

re, per le considerazioni che seguono. 5. - Il contrasto di giurisprudenza, già composto con la sen

tenza a sezioni unite 1577/90, cit., verteva sull'individuazione

del criterio idoneo a qualificare come definitiva o non definiti

va, agli effetti della riserva di impugnazione, la sentenza che

decide solo alcune delle domande cumulate nello stesso proces so tra gli stessi soggetti.

All'orientamento c.d. sostanziale, che attribuiva rilevanza al

l'effettivo contenuto della decisione, e cioè alla sua intrinseca

autonomia rispetto ad una ulteriore decisione, si contrapponeva l'orientamento c.d. formale, che prescindeva dal contenuto del

la pronuncia ed attribuiva forza decisiva all'esistenza o meno

di un provvedimento di separazione emesso dal giudice ai sensi

dell'art. 279, 2° comma, n. 5.

Il contrasto si era creato successivamente alla modificazione

apportata al codice di procedura civile dalla novella del 1950.

Il legislatore del 1942 aveva accolto il principio dell'unica sen

tenza per ciascun grado del processo, per cui con la sentenza, in linea di principio, vanno decise tutte le domande proposte

li Foro Italiano — 2000.

e le relative eccezioni, definendo il giudizio (art. 277, 1° com

ma). Erano tuttavia previste sentenze «parziali» (art. 279, 3°

comma, che menzionava le ipotesi di cui agli art. 277, 2° com

ma, e 278), contro le quali non era ammesso gravame immedia

to, ma, con onere di farne espressa riserva, solo l'impugnazione unitamente alla sentenza definitiva (art. 339, 2° comma, 340

e 360, 3° comma), così realizzando la concentrazione del pro cesso in fase di impugnazione.

La novella del 1950 ha abolito il divieto di impugnazione im

mediata, senza peraltro escludere del tutto la ricomposizione ad unità del processo, poiché ha lasciato alla parte la scelta

tra l'impugnazione immediata e la riserva di impugnazione dif

ferita (art. 340 e 361), che la concentrazione in definitiva fa

vorisce.

5.1. - A sostegno del criterio sostanziale, si affermava quanto

segue:

a) la nozione di sentenza non definitiva, per la quale è am

messa la riserva di impugnazione, è data dagli art. 340 e 361, che prevedono l'ammissibilità della riserva esclusivamente per le sentenze di cui agli art. 278 (condanna generica) e 279, 2°

comma, n. 4 (che prevede l'ipotesi in cui il collegio, decidendo

alcune delle questioni di cui ai nn. 1 — questioni di giurisdizio ne o di competenza —,2 — questioni pregiudiziali attinenti

al processo o questioni preliminari di merito —, e 3 — decisio

ne totale del merito —, pronuncia sentenza con la quale «non

definisce» il giudizio); b) non è consentito allargare l'ambito della figura della sen

tenza non definitiva fino ad includervi le sentenze previste dal

l'art. 279, 2° comma, n. 5 (che prevede l'ipotesi in cui il colle

gio, valendosi della facoltà di cui agli art. 103, 2° comma, e

104, 2° comma, decide con sentenza solo alcune delle cause

fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti di

spone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione ri

guardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore

delle cause di sua competenza), poiché tale disposizione, richia

mando sia l'art. 103, 2° comma, che l'art. 104, 2° comma, deve

ritenersi che faccia riferimento tanto alle sentenze emesse, nel

l'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, in decisione di alcune sol

tanto delle cause riunite, quanto a quelle, già previste dall'art.

277, 2° comma, contenenti la decisione di solo alcune delle do

mande proposte, con prosecuzione, nell'uno e nell'altro caso, del procedimento per la decisione delle altre cause o domande;

e) le sentenze di cui all'art. 279, 2° comma, n. 5, e quindi anche quelle di cui all'art. 277, 2° comma, non possono essere

ricondotte nell'ambito delle sentenze non definitive sia perché

gli art. 340 e 361 non richiamano né l'art. 279, 2° comma, n. 5, né l'art. 277, 2° comma, sia perché le sentenze previste

dagli art. 340 e 361 non contengono rispetto alla domanda una

decisione completa ed esauriente, bensì bisognevole di integra zione ad opera della sentenza definitiva, mentre le sentenze di

cui all'art. 279, 2° comma, n. 5, ed all'art. 277, 2° comma, definiscono interamente il giudizio riguardo alla «causa» o alla

«domanda» decisa, poiché altrimenti si verserebbe nell'ipotesi di cui all'art. 279, 2° comma, n. 4;

d) tale ultima disposizione (concernente sentenze non definiti

ve per espressa previsione di legge, in virtù del richiamo com

piuto dagli art. 340 e 361) non può includere in sé la sentenza

decisoria di solo alcune delle «domande» proposte ai sensi del

l'art. 277, 2° comma, e dell'art. 104, 2° comma (ipotesi cui

si riferisce anche l'art. 279, 2° comma, n. 5) poiché parla di

«questioni» e non di «domande», sicché non è ammissibile una

sentenza non definitiva su domande;

e) nell'ipotesi di sentenza decisoria di solo alcune delle do

mande proposte (ai sensi dell'art. 277, 2° comma, o dell'art.

279, 2° comma, n. 5, in relazione all'ipotesi di cui all'art. 104, 2° comma), il legislatore, non consentendo la riserva di impu

gnazione differita, ha sacrificato a favore del principio della

celere definizione della controversia il principio della concentra

zione della decisione in fase di gravame;

f) consegue che, nell'ipotesi di unico giudizio con pluralità di domande, è sentenza definitiva, in quanto tale soggetta ad

impugnazione immediata, quella che esamina l'intero rapporto causale relativamente ad una delle domande proposte, che pre senta carattere di autonomia rispetto ad altra decisione da adot

tare nel giudizio che prosegue, e che non debba essere integrata da ulteriori pronunce;

g) allorché il giudice decide su una o su alcune (ma non tutte)

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

delle domande o delle cause, disponendo sulle altre ulteriore

istruttoria, egli fa implicitamente uso delle potestà di cui agli art. 103 e 104, non occorrendo per la separazione delle doman

de o delle cause decise in via definitiva da quelle rimesse in

istruttoria un provvedimento formale;

h) la definitività della sentenza non è esclusa dalla diversa

qualificazione ad essa attribuita dal giudice che la emette, né

dalla omessa pronuncia sulle spese, perché riservata alla pro nuncia definitiva, poiché ciò configura un vizio della sentenza

da far valere con l'impugnazione. In tal senso, in particolare, si veda la sentenza 6659/84 (id.,

1985, I, 1742), ma l'orientamento era condiviso da altre pro

nunce, tra cui si ricordano: sent. 3139/80 (id., Rep. 1980, voce

Appello civile, n. 17); 243/83 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 8); 8212/87 (id., Rep. 1987, voce Cosa giudicata civile, n. 11); 665/88 (id., Rep. 1988, voce Appello civile, n. 14), 2961/88 (ibid., voce Sentenza civile, n. 47).

5.2. - L'orientamento formale si incentrava sulle seguenti con

siderazioni (espresse, nella forma più incisiva ed esauriente, dal

la sentenza 4331/86, id., 1987, I, 144): a) la formula dell'art. 279, 2° comma, n. 4, deve essere intesa

non in modo letterale, ma sistematico: il richiamo al n. 3 non

può intendersi come richiamo a decisioni di merito di qualsiasi specie (e quindi anche a decisioni di merito su questioni diverse da quelle preliminari di merito di cui al n. 2), perché il n. 3 disciplina la sentenza definitiva di merito (si tratta della senten

za che definisce il giudizio decidendo totalmente il merito) e

dunque l'atto il cui contenuto consiste nella decisione della do

manda proposta (art. 277, 1° comma); esula dalla previsione del n. 3 ogni soluzione di mere «questioni» e quindi il n. 4, che lo richiama, va interpretato nel senso che la parola «que stioni» (al di fuori del richiamo alle questioni di giurisdizione o di competenza — di cui al n. 1 —, o alle questioni pregiudi ziali attinenti al processo o preliminari di merito — di cui al n. 2 —) si riferisce a «causa» o «domanda»;

b) l'art. 279, 2° comma, n. 4, come sopra inteso, non esclude

quindi la configurabilità di sentenze non definitive su domande;

c) consegue che la decisione su alcune domande ai sensi del

l'art. 277, 2° comma, coincide con l'ipotesi di cui all'art. 279, 2° comma, n. 4 (sentenza non definitiva), e non con quella di

cui al n. 5 (sentenza definitiva su alcune domande separate da

altre);

d) l'art. 277, 2° comma, e l'art. 279, 2° comma, n. 5, hanno

in comune il presupposto di un processo con più domande cu

mulate, ma soltanto la seconda disposizione riguarda la separa zione delle domande cumulate: nel sistema originario del codi

ce, nel quale era previsto il regime dell'impugnazione necessa

riamente differita, al frazionamento delle decisioni ex art. 277, 2° comma, seguiva un unico processo di impugnazione, in cui

l'unità si ricomponeva, sicché la decisione parziale su alcune

domande ivi prevista non determinava la loro separazione dalle

altre, ed il mutamento del regime delle impugnazioni apportato dalla novella non ha determinato l'abrogazione dell'art. 277, 2° comma, nel suo originario significato di decisione parziale su alcune domande, risultando anzi dai lavori preparatori che

l'impugnazione immediata, introdotta dalla riforma, potesse tro

vare applicazione proprio nel caso di pronuncia su alcuni capi di domanda;

e) la riforma continua a prevedere, come ipotesi di sentenza

non definitiva, quella resa ai sensi dell'art. 278, e se la condan na generica e la successiva liquidazione, che tutelano la medesi

ma situazione sostanziale, sono soggette alla disciplina della sen

tenza non definitiva, le stesse regole possono adattarsi ad un

giudizio avente ad oggetto più situazioni giuridiche suscettibili, ciascuna, di costituire oggetto di un autonomo processo, qual è quello presupposto dall'art. 277, 2° comma;

f) i requisiti per la decisione parziale (art. 277, 2° comma), e per la separazione delle domande cumulate (art. 103, 2° com

ma, richiamato dall'art. 104, 2° comma, a sua volta richiamato

dall'art. 279, 2° comma, n. 5) sono diversi: nel primo caso l'in

teresse apprezzabile «per la parte che ne ha fatto istanza» alla

sollecita definizione di alcune domande non bisognose di ulte

riore istruzione; nell'altro caso «l'istanza di tutte le parti», ov

vero il ritardo o l'aggravio del processo unitario, valutati (d'uf

ficio) indipendentemente dalla richiesta della parte o delle parti;

/l) l'ipotesi di una sentenza non definitiva su domande risul

II Foro Italiano — 2000 — Parte 1-3.

ta espressamente dalla previsione dell'art. 356, 2° comma (se condo il quale, quando sia stato proposto appello immediato

contro una delle sentenze previste dall'art. 279, 2° comma, n.

4, il giudice di appello non può disporre nuove prove riguardo alle domande e alle questioni, rispetto alle quali il giudice di primo grado, non definendo il giudizio, abbia disposto con se

parata ordinanza la prosecuzione dell'istruzione);

g) può quindi conclusivamente affermarsi che la sentenza non

definitiva di cui all'art. 279, 2° comma, n. 4, comprende anche

l'ipotesi di cui all'art. 277, 2° comma, e che questa si differen

zia pertanto dalle ipotesi previste dall'art. 279, 2° comma, n.

5, in virtù dell'esistenza di un provvedimento di separazione;

h) in certi casi non può esservi concorso tra le due discipline,

per essere preclusa la separazione delle domande cumulate (per ché legate da rapporti di accessorietà, garanzia o pregiudiziali

tà), con conseguente applicabilità del solo art. 277, 2° comma; in altri casi il potenziale concorso è risolto dall'adozione di un

provvedimento di separazione, che rende «definitiva» la pro nuncia su una domanda, mentre in difetto di tale provvedimen to, che può risultare anche da espressioni non «sacramentali», la sentenza deve qualificarsi «non definitiva»;

0 la soluzione accolta è coerente con il principio, affermato

in altri settori, secondo cui le forme dell'impugnazione sono

condizionate dalla qualifica espressa data dal giudice, anche se

errata (in senso conforme: sent. 653/80, id., Rep. 1980, voce

Appello civile, n. 19; 2020/82, id., Rep. 1982, voce Sentenza

civile, nn. 90, 93; 7025/83, id., Rep. 1983, voce Matrimonio, n. 267; 3965/84, id., Rep. 1986, voce Appello civile, nn. 12, 90; 3325/85, id., 1987, I, 144; 7408/86, id., Rep. 1986, voce Espropriazione per p.i., n. 272; 2992/87, id., Rep. 1987, voce

Appello civile, n. 16; 4325/88, id., 1989, I, 800). 5.3. - La composizione del contrasto è stata compiuta da queste

sezioni unite con la sentenza 1577/90, cit., nella quale è stato

accolto l'orientamento formale sulla base delle seguenti argo mentazioni (che in sostanza recepiscono quelle svolte nella sen

tenza 4331/86, cit.): a) il principio generale desumibile dall'art. 277, 1° comma

(secondo cui il collegio, nel deliberare sul merito, deve decidere

tutte le domande proposte e le relative eccezioni definendo il

giudizio), è quello della concentrazione della decisione, che con

sente di ricavare dal sistema la regola dell'unità della sentenza

per ciascun grado di giudizio; alla detta regola il 2° comma

dell'art. 277 arreca un'eccezione, prevedendo che il collegio, an

che quando l'istruttore gli abbia rimesso la causa a norma del

l'art. 187, 1° comma, può limitare la sua decisione ad alcune

domande in presenza di determinati presupposti; il contrasto

di giurisprudenza riguarda appunto il coordinamento di tale di

sposizione con l'art. 279, 2° comma, e cioè se essa debba essere

ricollegata al n. 4, e preveda quindi un'ipotesi di sentenza «non

definitiva», ovvero al n. 5, e preveda quindi un'ipotesi di sen

tenza «definitiva»;

b) non vale a contestare la prima opzione ermeneutica il te

nore letterale dell'art. 279, 2° comma, n. 4, che, nel richiamare

il precedente n. 3, lo ha accomunato alle altre ipotesi previste dai nn. 1 e 2, allorché ha statuito che il collegio anche in tal caso decidendo una «questione» non definisce il giudizio; il n. 4 discorre genericamente di «questioni» per ragioni di tecnica

legislativa, avendo richiamato con la stessa locuzione tutte e

tre le ipotesi di sentenze (definitive) previste dai nn. 1, 2 e 3; ma il n. 3 si discosta dai numeri precedenti, perché contempla una ipotesi in cui la sentenza (definitiva) è la più pregnante

possibile, in quanto contiene la totale definizione del merito

della controversia; se, quindi, il n. 3 attribuisce la qualifica di

sentenza alla pronuncia che definisce il giudizio, decidendo to

talmente il merito, il richiamo contenuto nel successivo n. 4

della norma esprime soltanto il concetto che, quando il collegio decide parzialmente il merito dell'intera controversia non defi

nendo il giudizio, in tal caso, come nelle ipotesi di cui ai nn.

1 e 2, pronuncia sentenza «non definitiva» ed impartisce distin

ti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa;

c) tale interpretazione, che coordina il cpv. dell'art. 277 al

l'art. 279, 2° comma, n. 4 (e non al n. 5 di tale disposizione, che riguarda la sentenza definitiva) è confermata da vari rilievi:

c.a) come già rilevato, nel sistema originario del codice, l'art.

277, 2° comma, apportando deroga al principio dell'unicità del

la sentenza per ciascun grado di giudizio, prevedeva come ipo

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PARTE PRIMA

tesi di sentenza non definitiva, la sentenza «parziale» su alcune

delle domande cumulate (in tal senso è la relazione); se si ritie

ne, aderendo all'orientamento sostanziale, che la separazione, ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5, consegua automatica

mente alla sentenza che decide solo alcune delle domande cu

mulate, tale sentenza dovrebbe ritenersi per ciò solo «definiti

va», in contrasto con la qualificazione di «parzialità» attribuita

dalla originaria formulazione dell'art. 279, 3° comma, alla sen

tenza emessa ai sensi dell'art. 277, 2° comma; né sussistono

valide ragioni per ritenere che, con la novella del 1950, quella

«parzialità» sia stata eliminata dall'entrata in vigore dell'art.

279, 2° comma, n. 5, che, sotto questo profilo, richiamando

la sentenza definitiva l'istituto della separazione, non presenta alcun carattere innovativo;

c.b) l'ipotesi del cumulo di domande presenta forti elementi

di analogia con la fattispecie prevista dall'art. 278; se, quindi, in quest'ultima ipotesi è espressamente consentita (art. 340 e

361) la scindibilità della decisione, malgrado la stretta inerenza

che sussiste tra l'oggetto del giudizio sull'an rispetto all'oggetto del giudizio sul quantum, ad eguale risultato deve pervenirsi

per quelle ipotesi in cui, riflettendo il giudizio più situazioni giuridiche suscettibili di costituire ciascuna oggetto di un auto

nomo processo, la relazione tra esse sia meno stretta di quella che sussiste tra la sentenza di condanna generica e la sentenza

di liquidazione del quantum; c.c) la ravvisata correlazione tra l'art. 277, 2° comma, con

l'art. 279, 2° comma, n. 4, non priva di autonomo rilievo la

prima disposizione, così realizzando una interpretazione abro

gatrice, poiché le due norme disciplinano rispettivamente il con

tenuto e la forma del provvedimento del giudice;

c.d) non può sostenersi che il giudice, quando decide una

o più delle domande cumulate, disponendo per le altre ulteriore

istruttoria, esercita implicitamente il potere di separazione di

cui agli art. 103, 2° comma, e 104, 2° comma (con conseguente definitività della sentenza ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n.

5): i presupposti per l'applicazione dell'art. 277, 2° comma, e

degli art. 103, 2° comma, e 104, 2° comma, sono infatti diver

si, poiché la separazione delle cause o delle domande può essere

disposta solo se vi sia l'istanza di tutte le parti, ovvero (anche

d'ufficio) quando la continuazione della loro riunione ritarde

rebbe o renderebbe più gravoso il processo, mentre per l'ado

zione della decisione su alcune soltanto delle domande cumulate

è richiesto che la sollecita definizione della controversia sia di

interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza (la cui proposizione è quindi sempre necessaria);

c.é) l'espressa previsione di sentenze non definitive su domande

si rinviene in altre norme, ed in particolare nell'art. 356 c.p.c.

(già richiamato dalla sentenza 4331/86, cit.) e nell'art. 9 1. n.

74 del 1987, che autorizza il tribunale ad emettere sentenza non

definitiva di scioglimento o cessazione degli effetti civili del ma trimonio, rinviando alla prosecuzione del giudizio gli ulteriori

provvedimenti;

c.f) limitando l'area della sentenza definitiva a quella caratte

rizzata dall'esercizio del potere di separazione della causa ex

art. 279, 2° comma, n. 5, si rimane più aderenti al principio di concentrazione della decisione, tendenzialmente accolto dal

codice di rito, poiché tale principio, in caso di sentenza non

definitiva, non è derogato in maniera irrimediabile come accade

invece per la sentenza definitiva, poiché con la riserva è possibi le ricostituire la concentrazione delle domande in sede di gravame;

d) in conclusione, nell'individuazione della sentenza «non de

finitiva» va privilegiato esclusivamente il dato (negativo) del man

cato esercizio da parte del giudice, nel decidere, in caso di cu

mulo di domande, soltanto una o alcune delle domande, del

potere di separazione, dovendosi invece ravvisare sentenza «de

finitiva» qualora tale potere sia stato esercitato, così ricollegan dosi la qualificazione della sentenza come «definitiva» esclusi

vamente ad un criterio formale, e cioè alla presenza di un prov vedimento di separazione; e non rileva che la separazione sia

stata disposta (erroneamente) in casi in cui è prevista per legge la trattazione unitaria del processo davanti allo stesso giudice in deroga alle norme sulla competenza (come nelle ipotesi di

connessione per accessorietà, garanzia, pregiudizialità), poiché, ai fini della qualificazione della sentenza come definitiva, deve

aversi riguardo solo all'esistenza e non anche alla legittimità del provvedimento di separazione;

Il Foro Italiano — 2000.

e) circa le caratteristiche del provvedimento mediante il quale il giudice esercita il potere di separazione, essendo stato accol

to, ai fini della distinzione tra sentenza definitiva e non definiti

va, il criterio formale, va privilegiata la tesi della separazione

espressa, pur non richiedendosi l'adozione di formule sacramen

tali; consegue che non assume rilievo la circostanza che il giudi

ce, nel provvedere su alcuna soltanto delle domande cumulate, non abbia provveduto sulle spese; per converso, qualora la pro nuncia sulle spese in relazione alla domanda decisa sia stata

emessa, la sentenza va considerata come definitiva, poiché in

tal modo il giudice non solo adempie all'obbligo imposto dal

l'art. 91 c.p.c., ma provvede, sia pure implicitamente, alla se

parazione delle cause, in quanto la condanna alle spese della

parte soccombente è contenuta nel provvedimento decisorio che

definisce e cioè conclude, per quella fase, il procedimento pen dente davanti a lui.

6. - Come già rilevato, il criterio formale, accolto dalle sezio

ni unite con la sentenza 1577/90, cit., è stato ulteriormente po sto in discussione da alcune successive pronunce, tra le quali si segnalano la sentenza 7225/92, cit., e la sentenza 5703/93,

cit., accomunate dalla rilevanza attribuita, ai fini in esame, alla

natura del cumulo tra le domande, e cioè al vincolo di connes

sione tra di esse esistente.

6.1. - In particolare, ha riaffermato il criterio sostanziale la

sentenza 7225/92 (concernente una ipotesi in cui, sussistendo

rapporto di pregiudizialità tra domande, il giudice di primo grado aveva deciso sulla domanda pregiudicante e provveduto sulle

spese). Dopo aver rilevato che l'adozione del criterio formale

finisce con l'avallare l'errore del giudice, la pronuncia sostiene

che una sentenza deve essere considerata definitiva o non defi

nitiva in ragione del suo effettivo contenuto, senza che rilevi

l'emanazione o meno di un provvedimento di separazione o di

pronuncia sulle spese; è quindi definitiva la sentenza che esauri

sce l'oggetto della controversia, senza necessità di ulteriori pro

nunce, mentre è non definitiva quella che riguarda solo un aspetto della controversia e che rinvia alla prosecuzione del giudizio il riconoscimento o meno del bene in contestazione; è sempre non definitiva la sentenza che pronuncia soltanto su alcune del

le domande cumulate, se tra queste sussiste (come nel caso esa

minato) vincolo di connessione.

Per contrastare il percorso argomentativo seguito dalle sezio

ni unite con la sentenza 1577/90 la sentenza osserva che:

a) l'art. 279 non si limita a disciplinare la forma dei provve dimenti del collegio, ma stabilisce, in virtù del richiamo fatto

dagli art. 340 e 361 al n. 4 del suo 2° comma, che è sentenza

«non definitiva» quella che decide su «questioni», e non su

domande;

b) l'art. 279, 2° comma, n. 5, si riferisce all'ipotesi di cumulo

di più «cause», e pertanto, quando il giudice decide soltanto

alcune cause e dispone la separazione delle altre, la sua senten

za è senza dubbio «definitiva», perché rispetto alle cause decise

viene esaurito l'oggetto della controversia;

e) l'art. 277, 2° comma, nel menzionare le «domande» e non

le «cause», si riferisce alle domande connesse (o ai diversi capi di un'unica domanda), sicché quando il giudice limita la deci

sione ad alcune domande (o ad alcuni capi) e dispone l'ulteriore

istruzione, emette sempre una sentenza «non definitiva», e l'e

ventuale provvedimento di separazione, esplicito o implicito (in

quanto ricompreso nella statuizione sulle spese), deve ritenersi

illegittimo, non essendovi cause da separare, e privo di rilevan

za ai fini della qualificazione della sentenza; d) l'analogia dell'ipotesi regolata dall'art. 277, 2° comma,

con quella prevista dall'art. 278 consente di estendere alla pri ma il richiamo alla seconda compiuto dagli art. 340 e 361 e

quindi la qualificazione della sentenza come «non definitiva».

6.1.2. - Gli argomenti enunciati dalla sentenza 7225/92, cit., non valgono a contrastare l'adesione al criterio formale che queste sezioni unite hanno voluto privilegiare con la sentenza 1577/90, cit. Va invero rilevato quanto segue:

a) anche il criterio sostanziale non è esente da inconvenienti,

poiché la qualificazione della sentenza come definitiva o non

definitiva, da compiersi caso per caso, alla stregua del contenu

to della decisione, non è agevole e può condurre quindi a con

clusioni incerte, esponendo la parte soccombente, le cui esigen ze di tutela assumono nella materia in esame preminente rilie

vo, poiché viene in discussione il suo diritto di impugnazione,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

al rischio di perdere il diritto di impugnare, per avere ineffica

cemente proposto la riserva, in relazione ad una sentenza rite

nuta non definitiva e qualificata invece come definitiva dal giu dice del gravame, ed inducendola quindi, per non correre tale

rischio, ad impugnare sempre in via immediata, così vanifican

do la facoltà di scelta che il legislatore ha voluto attribuirle

e pregiudicando il tendenziale principio dell'unità della decisio

ne; per converso, il criterio formale ha l'indubbio pregio della

certezza, in quanto si affida ad un elemento obiettivo e facil

mente accertabile, e cioè al dato negativo della mancanza del

provvedimento di separazione, che consente di qualificare la sen

tenza come non definitiva, ovvero al dato positivo dell'esistenza

di un provvedimento espresso di separazione (comunque impli cato da una statuizione sulle spese), che determina la natura

definitiva della pronuncia;

ti) non può condividersi l'interpretazione meramente letterale

dell'art. 279, 2° comma, n. 4; le considerazioni svolte nella sen

tenza 1577/90, cit., da intendersi qui richiamate, inducono a

privilegiare l'interpretazione sistematica della suindicata dispo

sizione, che consente di coordinarla con l'art. 277, 2° comma, e di ritenere quindi ammissibili anche sentenze non definitive

su domande; e va altresì ribadito che le due disposizioni svolgo no diversa funzione, riguardando l'una la forma del provvedi mento del giudice e l'altra il contenuto;

c) la rilevata contrapposizione tra l'art. 279, 2° comma, n.

5, che si riferisce alla trattazione di più «cause» nello stesso

processo (suscettive di decisione autonoma, previa separazione, con sentenza definitiva), e l'art. 277, 2° comma, che si riferisce

alla decisione di alcune «domande», non vale a sorreggere la

conclusione che la seconda disposizione riguarda l'ipotesi del

cumulo di domande tra loro connesse, come tali non separabili, sicché l'eventuale provvedimento di separazione, in quanto ille

gittimo, non varrebbe a rendere definitiva la decisione limitata

ad alcune domande; occorre infatti ribadire che, dovendosi ac

cogliere, anche per le esigenze di certezza e praticità sopra men

zionate, un criterio esclusivamente formale, ai fini in esame ri

leva soltanto l'esistenza e non la legittimità del provvedimento di separazione (in riferimento alla inscindibilità delle domande connesse); consegue che la sentenza resa definitiva dall'esercizio

da parte del giudice del potere di separazione, si sottrae alla

possibilità della riserva di impugnazione differita e può essere

impugnata solo in via immediata, ancorché venga censurata per l'erroneità della separazione sotto il profilo della inscindibilità

delle cause; per converso, il mancato esercizio del potere di se

parazione, precludendo il coordinamento con l'art. 279, 2° com

ma, n. 5, consente di inserire la decisione nell'ambito di quelle

previste come non definitive dall'art. 279, 2° comma, n. 4.

6.2. - Si è inoltre posta in espressa contraddizione con la de

cisione delle sezioni unite 1577/90, la sentenza 5703/93, cit. Ta

le sentenza, mentre concorda con l'interpretazione sistematica, che consente di coordinare l'art. 279, 2° comma, n. 4, con l'art.

277, 2° comma, e di ritenere quindi configurabili sentenze non

definitive su «domande» (e non soltanto su «questioni»), si con

trappone all'indirizzo formale svolgendo (in adesione ad auto

revole dottrina) le seguenti considerazioni, incentrate essenzial mente sulla valorizzazione del peculiare rapporto di connessio

ne che deve sussistere tre le domande cumulate:

a) diversamente da quanto affermato dagli assertori del crite

rio formale, nel caso di cumulo di domande non è configurabile concorso tra le discipline degli art. 277, 2° comma, e 279, 2°

comma, n. 5, con conseguente qualificazione della sentenza co

me definitiva (ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5), ovvero

come non definitiva (ai sensi del combinato disposto dell'art.

277, 2° comma, e dell'art. 279, 2° comma, n. 4), in dipendenza dell'avvenuto esercizio ovvero del mancato esercizio da parte del giudice del potere di separazione; requisiti e presupposti del

le suindicate disposizioni sono infatti diversi, e l'art. 277, 2°

comma, perderebbe ogni concreto significato se in ogni caso

di pluralità di domande il giudice avesse la piena discrezionalità di separazione per motivi di mera economia processuale;

ti) lo spazio sistematico di applicazione dell'art. 277, 2° com

ma, si ravvisa pertanto esclusivamente in quelle ipotesi in cui

le domande cumulate sono tra loro congiunte da identità di pe titum materiale, pur nella diversità della causa petendi, e cioè

nel caso di domande, subordinatamente o alternativamente for

mulate, che tendano a conseguire il medesimo bene della vita,

di guisa che l'eventuale rigetto di una di esse non produce con

II Foro Italiano — 2000.

creta soccombenza della parte che ne ha chiesto la separata de

cisione, potendo la parte medesima ancora conseguire il bene

con l'eventuale accoglimento delle residue domande; in ogni al

tra ipotesi non può esservi alcun concorso tra le due discipline e la sentenza su una delle domande cumulate, e non accomuna

te da identità di petitum materiale, non può che essere definiti

va, a nulla rilevando l'esistenza o meno di un provvedimento di separazione;

c) l'accertamento della natura definitiva o non definitiva del

la sentenza, nel caso di decisione di alcune soltanto delle do

mande unitariamente proposte, è riservato al giudice dell'impu

gnazione e deve quindi essere basato sulla oggettiva autonomia

o meno della decisione rispetto a quelle riservate in prosieguo,

indipendentemente dalla qualificazione che le abbia attribuito

il giudice a quo, e non sulla presenza o meno di un provvedi mento di separazione (e nella specie la sentenza è stata qualifi cata come definitiva, in ragione della totale autonomia tra do

mande decise e domanda «riservata», sussistendo tra di esse

soltanto connessione sotto il profilo soggettivo, nella diversità

di petitum e di causa petendi). 6.2.1. - Le richiamate considerazioni non possono condurre

ad abbandonare il criterio formale deve infatti rilevarsi quanto

segue:

a) la delimitazione dell'ambito di applicazione dell'art. 277, 2° comma, alla sola ipotesi di domande cumulate aventi eguale

petitum materiale (o mediato), non trova alcun sostegno nella

formulazione della norma;

b) l'adozione del criterio sostanziale, nei termini proposti dal

la sentenza 5703/93, cit., impone una valutazione non sempre

agevole del peculiare vincolo di connessione esistente tra più domande cumulate, e non è pertanto idonea a fornire certezza

nella qualificazione della sentenza come definitiva o non defini

tiva, a tutela delle preminenti esigenze di tutela della parte soc

combente, diversamente dal criterio formale, che va quindi pri

vilegiato. 7. - In conclusione, il contrasto, riproposto dalle suindicate

sentenze, va composto in senso conforme a quanto già statuito

a sezioni unite con la sentenza 1577/90, enunciando il seguente

principio: È da considerarsi non definitiva agli effetti della riserva di

impugnazione differita, la sentenza con la quale, in ipotesi di

domande cumulate tra gli stessi soggetti, il giudice decide una

o più delle domande proposte, con prosecuzione del procedi mento per le altre senza disporre la separazione ai sensi dell'art.

279, 2° comma, n. 5, c.p.c., e senza provvedere sulle spese in

ordine alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone

la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. 8. - Nel caso in esame, la sentenza della Corte d'appello di

Messina del 16 marzo 1993 non ha adottato un provvedimento di separazione ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5, né ha

provveduto sulle spese in relazione alle domande sulle quali ha

pronunciato. La sentenza va quindi qualificata come non defi

nitiva e quindi oggetto di efficace riserva di impugnazione dif

ferita. Consegue che il ricorso principale va dichiarato ammissibile. Gli atti vanno rimessi alla prima sezione civile per l'ulteriore

corso.

II

Svolgimento del processo. — Con separati atti di citazione,

Calogero Giovanni Armenio, Giovanni Iallonghi, Raffaele Di

Giuseppe, Maria Giovanna Leccese, Damiano Leccese, Luigi

Massaro, Maurizio Di Giuli, Cosmo Mici, Cosmo Spinosa, Gio vanni Ciccariello, Andrea Galliano, Damiano Uglietta, Giorgio

Fasano, Vincenzo Taiani, Gaetano Imbinto, Alfonso Vanni, Lui

gi Ciaramella, Silverio Vignati, Aurelio Inzitari, Gennaro Mo naco, Maria Monaco, Giovanni Meschino, Giovanni La Croix,

promissari acquirenti di appartamenti siti in un complesso im

mobiliare in località Monte di Tortona, in Gaeta, nel possesso dei beni in virtù di provvedimento cautelare, convennero da

vanti al Tribunale di Latina la s.r.l. Scavi e movimenti, promit tente venditrice, per sentire pronunciare sentenza sostitutiva del

contratto di trasferimento non concluso, con condanna della

convenuta al pagamento della penale pattuita per il ritardo; gli

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Page 8: sezioni unite civili; sentenza 8 ottobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M. Lo Cascio (concl. conf.); Comune di San Pier Niceto (Avv. Briguglio) c. Savoja e altri (Avv.

PARTE PRIMA

attori (ad eccezione dei primi cinque) proposero altresì doman

da di risarcimento dei danni per vizi riscontrati nell'immobile.

Il tribunale, con sentenza del 27 agosto 1984, pronunciò sen

tenza ex art. 2932 c.c., subordinando il trasferimento al paga mento del residuo prezzo, e condannò la convenuta al paga mento della penale in favore di ciascun attore; circa la doman

da di risarcimento per vizi dell'immobile, proposta da diciotto attori, con separata ordinanza dispose procedersi ad ulteriore

istruttoria; riservò il regolamento delle spese al definitivo.

Nel corso del successivo svolgimento del giudizio, la conve

nuta, che aveva formulato riserva di impugnazione, fu dichiara

ta fallita con sentenza del 23 novembre 1985, ed il curatore,

costituitosi, dichiarò di voler sciogliere i contratti ai sensi del l'art. 72 1. fall, e chiese il rigetto delle domande ex art. 2932 c.c.

Il tribunale, con sentenza del 22 febbraio 1991, dichiarò inam

missibile la domanda della curatela, rilevando che solo il giudi ce di appello avrebbe potuto modificare le statuizioni della sen

tenza del 27 agosto 1984; dichiarò inammissibile la domanda di risarcimento proposta da diciotto dei ventitré attori.

Propose appello la curatela, chiedendo il rigetto delle doman

de di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto

di vendita. Resistettero gli appellati, sostenendo che la sentenza del 27

agosto 1984, nella parte in cui aveva pronunciato sulle doman

de ex art. 2932 c.c., era passata in giudicato. I destinatari della

statuizione di inammissibilità della domanda di risarcimento pro

posero appello incidentale.

La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 16 maggio 1994,

rigettò l'appello della curatela osservando che la sentenza che

aveva statuito sulle domande di trasferimento degli immobili

ex art. 2932 c.c. doveva considerarsi sentenza definitiva ai sensi

dell'art. 279, 2° comma, n. 5, c.p.c., in relazione all'art. 104

c.p.c., in considerazione della totale autonomia tra le domande

decise e quelle riservate, non rilevando l'omessa adozione di

un provvedimento di separazione, e che pertanto la sentenza

del 27 agosto 1984, non impugnata immediatamente, era passa ta in giudicato; rilevò, ancora, che l'omesso versamento del re

siduo prezzo, disposto dal tribunale con la sentenza costitutiva,

tardivamente dedotto dalla curatela, non investiva l'efficacia del

giudicato ma l'esecuzione della sentenza; rigettò l'appello inci

dentale.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la

curatela del fallimento della s.r.l. Scavi e movimenti, affidan

dolo a due motivi. Hanno resistito, con separati controricorsi, i cinque originari attori che avevano proposto soltanto doman

da ex art. 2932 c.c., nonché i diciotto originari attori che aveva

no formulato altresì domanda di risarcimento dei danni.

La prima sezione civile della Corte di cassazione, alla quale il ricorso era stato assegnato, con ordinanza 3 luglio 1997, rile

vato che con il primo motivo di ricorso viene contestata la qua lificazione della sentenza del tribunale del 27 agosto 1984 come

sentenza definitiva, e ritenuto che sul punto sussiste contrasto

nella giurisprudenza della Suprema corte, nella quale si con

trappongono un indirizzo c.d. formale, che ricollega la definiti

vità all'adozione di un provvedimento di separazione (sez. un.

sent. 1577/90, Foro it., 1990, I, 836) ed un indirizzo c.d. so

stanziale, che attribuisce rilevanza al contenuto effettivo della

sentenza (sent. 7225/92, id., 1993, I, 480; 5703/93, id., 1994,

I, 829; 944.8/95, id., Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 92), ha disposto la rimessione degli atti al primo presidente, per l'e

ventuale assegnazione alle sezioni unite per la composizione del

contrasto.

In tal senso ha in effetti disposto il primo presidente. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor

so, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 277,

279, 2° comma, n. 4, e 340 c.p.c. la curatela ricorrente lamenta

che il giudice di appello abbia ritenuto definitiva la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. emessa inter partes dal Tribunale

di Latina il 27 agosto 1984, in quanto oggettivamente autono

ma rispetto alle ulteriori decisioni da adottare sulle domande

di risarcimento dei danni per vizi agli immobili, per le quali aveva disposto ulteriore istruttoria, dichiarando esplicitamente di aderire al c.d. orientamento sostanziale (accolto da varie pro nunce della Suprema corte), secondo il quale, nel caso di cumu

lo di domande tra gli stessi soggetti (o fra soggetti diversi), la

decisione integrale ed esauriente di alcune di esse (che esamina,

cioè, l'intero rapporto causale relativamente alla domanda, pre

1l Foro Italiano — 2000.

sentando carattere di autonomia e non necessitando di ulteriore

integrazione), con prosecuzione del processo per l'esame di al

tre domande, va considerata come sentenza «definitiva» ai fini

della proposizione dell'impugnazione, a prescindere dal nomen

attribuito dal giudice che l'ha pronunciata, ancorché questo non

abbia adottato un provvedimento formale di separazione della

domanda decisa da quelle rinviate ed abbia rimesso la statuizio

ne sulle spese dell'intero procedimento ad una sentenza ulteriore.

Sostiene che, così statuendo, il giudice di appello si è posto in contrasto con l'orientamento c.d. formale, accolto, compo nendo il contrasto di giurisprudenza, dalle sezioni unite della

Corte suprema con sentenza 1577/90, cit., secondo il quale è

indispensabile un provvedimento di separazione per dare carat

tere di definitività alla decisione su alcune delle domande cumu

late, con prosecuzione del procedimento per le altre.

3. (sic) - Osserva il collegio che, con la sentenza del 27 agosto

1984, il tribunale, accogliendo la domanda proposta da tutti

gli attori, promissari acquirenti di ventitré appartamenti, contro

la convenuta, promittente venditrice: a) ha pronunciato senten

za costitutiva ex art. 2932 c.c.; b) ha disposto la prosecuzione del giudizio per ulteriore istruttoria della domanda (proposta da diciotto degli attori) di risarcimento del danno per vizi degli immobili trasferiti; c) ha riservato la pronuncia sulle spese alla

sentenza definitiva, poi adottata il 22 febbraio 1991.

La decisione sulle domande ex art. 2932 c.c., adottata dalla

prima sentenza, è stata qualificata come «definitiva» dalla corte

d'appello, in esplicita adesione all'orientamento c.d. sostanzia

le: la corte ha quindi ritenuto inefficace la riserva di impugna zione differita proposta dalla convenuta, con conseguente pas

saggio in giudicato della statuizione costitutiva del trasferimen

to della proprietà (e con l'ulteriore effetto della preclusione dell'esercizio della facoltà di scioglimento dal contratto da par te del curatore, ai sensi dell'art. 72 1. fall., poiché il fallimento

della società promittente venditrice era intervenuto successiva

mente alla formazione del giudicato). È appunto alla professata adesione all'orientamento c.d. so

stanziale, che la censura è rivolta, sul rilievo che le sezioni unite

della Suprema corte, con la sentenza 1577/90, cit., lo hanno

disatteso ed hanno accolto il contrapposto orientamento c.d.

formale, affermando che è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita ai sensi degli art.

340 e 361 c.p.c., la sentenza con la quale, in ipotesi di più do

mande cumulate tra gli stessi soggetti, il giudice decide una o

più delle domande proposte, con prosecuzione del procedimen to per le altre senza disporre la separazione ai sensi dell'art.

279, 2° comma, n. 5, c.p.c. e senza provvedere sulle spese in

ordine alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone

la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. E la censura risulta fondata, poiché tale orientamento, posto

in discussione da alcune pronunce successive (ed in particolare dalla sentenza 7225/92, cit., e dalla sentenza 5703/93, cit.), queste sezioni unite ritengono di confermare, per le considerazioni che

seguono. (Omissis) 7. - Il primo motivo del ricorso va quindi accolto e l'impu

gnata sentenza, che non si è attenuta al suenunciato principio, va cassata in relazione.

Va disposta la rimessione degli atti alla prima sezione civile

per l'ulteriore corso.

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